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View Full Version : Eutanasia ante litteram in Sardegna


LUVІ
18-07-2008, 22:23
Chi conosce la leggenda della femmina agabbadora? Si aggirava per la Gallura a bordo di un cavallo, di corsa, verso i moribondi, chiamata dai famigliari, con un martello di nodoso e duro olivastro millenario; si chiudeva da sola nella stanza del moribondo e, con un colpo secco in capo, praticava l'eutanasia.
L'ultimo caso negli anni '50. Ho visto il martello della agabbadora, vecchio di centinaia di anni, al museo di Luras.

http://it.sardegne.com/foto/esperienze/isoladeimisteri/1.jpg

http://it.sardegne.com/sardegna-info/tradizioni/457-l-isola-dei-misteri.html

Interessante vedere come certi concetti di pietà umana siano parte del patrimonio culturale di una società e come poi essi vengano cancellati da strati e strati di altri retaggi culturali.

LuVi

Korn
18-07-2008, 22:25
il relativismo, comunista!!!

LUVІ
18-07-2008, 22:27
Da un altro link: http://blog.alfemminile.com/blog/seeone_109458_2368295/Miti-leggende-e-rituali-della-Sardegna/Femina-Agabbadora

Una galoppata notturna per portare la morte.
È la corsa della "femina agabbadora", consolatrice dei moribondi in Gallura.

La donna che batteva le campagne come un’ombra correva lungo i sentieri vicini al mare; arrivata nella casa dove la malattia stava irrimediabilmente consumando qualcuno, con un colpo preciso di martello al capo poneva fine a tutte le sofferenze.

Chiamata dai familiari del moribondo, tollerata dalle istituzioni e dalla Chiesa, rimossa dalla coscienza e dalla tradizione gallurese.

A Luras, nel museo etnografico “Galluras” c’è l’ultimo mazzolu, così si chiama in gallurese il martello della femina agabbadori. Lo custodisce gelosamente Pier Giacomo Pala, ideatore ed proprietario del museo: ha trovato il martello in uno stazzo. Un oggetto che certo non tranquillizza. Non è costruito a regola d’arte, più che altro è un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permette un’impugnatura sicura e precisa. Lo strumento che amministrava la morte negli stazzi.

Suggestione orribile, eppure affascina la figura della donna che sino alla fine dell’Ottocento ha aiutato i malati ad evitare una lunga agonia.

«Nel museo " " abbiamo anche altri oggetti rituali che accompagnavano le ultime ore dei malati terminali. Come ad esempio lu iualeddu, un piccolo giogo in legno che veniva messo sotto il cuscino del moribondo». La riproduzione del giogo simboleggiava la fine della vita. Staccato dai buoi (la forza che trainava l’aratro e il carro), rappresentava il corpo dell’ammalato, privo di vigore e incapace ormai di assolvere al suo compito.
Ma se lu juali aveva un valore simbolico, il martello della femina agabbadori è un oggetto funzionale e soprattutto, sino alla seconda metà dell’Ottocento, funzionante.

Franco Fresi, studioso delle tradizioni della Gallura, ha scritto pagine interessanti sul martello e conosce bene l’argomento. Dice: «Ho avuto la possibilità di parlare direttamente con il nipote di una donna che aveva aiutato i malati a morire.
Un uomo molto anziano che aveva superato i 100 anni. Mi ha raccontato di questa eutanasia praticata in Gallura. Un’usanza che oggi può apparire terribile ma che negli stazzi, lontani molti giorni di cavallo da un medico, serviva ad evitare le sofferenze e aveva un suo significato. Il fatto che fosse affidata ad una donna significa che aveva una importanza notevole».
Le cose andavano così. «La femina agabbadori arriva nello stazzo di notte, sempre.
Ai familiari che le stavano di fronte e che l’avevano chiamata diceva questa frase:

“Deu ci sia” (Dio sia qui).

Poi faceva uscire dalla stanza del moribondo tutti i presenti. La donna assestava il colpo mazzolu provocando la morte del malato. Quasi sempre il colpo era diretto alla fronte. Tanto è vero che la parola agabbadori deriva dallo spagnolo acabar, terminare, ma alla lettera “dare sul capo”. La femina agabbadori andava via dallo stazzo senza chiedere niente, accompagnata dalla gratitudine dei familiari del malato».

L’argomento del martello è stato trattato più volte da antropologi e studiosi di tradizioni popolari. Uno dei primi a parlarne è Vittorio Angius nel 1832; ma Zenodoto cita Eschilo che parla delle usanze di una colonia cartaginese in Sardegna: usanze che prevedono il sacrificio degli anziani. Giovanni Lilliu parla della rupe babaieca a Gairo, dove venivano soppressi gli anziani e i malati. Il martello che in Gallura viene chiamato mazzolu ha un corrispondente nel Nuorese, dove viene indicato come mazzoccu, e in Campidano dove invece si usava il termine mazzocca.
La pratica dell’eutanasia “rurale” è legata al rapporto che si aveva in Sardegna con la morte. Dell’argomento si è occupato Alessandro Bucarelli, cagliaritano, ordinario di medicina legale dell’Università di Sassari.

Ciaba
18-07-2008, 23:34
[...]Tanto è vero che la parola agabbadori deriva dallo spagnolo acabar, terminare, ma alla lettera “dare sul capo”. [...]

...dal quale deriva in italiano il termine accoppare, che ha lo stesso significato. Articolo interessante, ancestrale, una donna da la vita una donna la toglie. Ci sarebbe molto da discutere, in senso costruttivo intendo, visti i fatti degli ultimi tempi. Socialmente e mentalmente accettare nella propria società una figura del genere non dèv'èssere stata una cosa semplice, dettata da superficialità. Rispetto a certe prese di posizione viene da pensare come mai siamo tornati così indietro su questi argomenti.

Solertes
19-07-2008, 01:29
Socialmente e mentalmente accettare nella propria società una figura del genere non dèv'èssere stata una cosa semplice, dettata da superficialità.

Non credo che sia stato nè difficile nè superficiale...molte usanze si perdevano nella notte dei tempi e molte sono andate perdute a causa della evangelizzazione "forzata" durante il dominio Spagnolo....

Se si pensa che per guarire le persone punte da un insetto velenoso "S'Arza" veniva eseguito un ballo attorno al malato posto in un fosso (con il corpo di ballo composto da una combinazione particolare di donne....che non ricordo, ma era una roba tipo: una vedova, una vergine...etc etc)....se tutt'ora il 16 Gennaio in tante parte dell'isola viene acceso un enorme falò con una danza rituale (Falò che in qualche modo nella storia è stato cristianizzato), in tale occasione si preparano dei dolci rigorosamente tondi, così come non è casuale la forma del pane tipico Sardo...

Per il fatto che fosse una donna ad essere "accabbadora" (lo dico nella mia variante di Sardo :p) è abbastanza normale in una terra devota un tempo alla "dea madre" e con una società di stampo "matriarcale"....

La Sardegna è una miniera di cose di questo genere ma purtroppo la maggior parte delle persone che viene da queste parti è interessata per lo più al mare ed è convinta che le tradizioni si fermino al solo "folklore" di ballerini al suono del "bimboi" e agli arrosti. :D