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View Full Version : [ Misteri d'Italia ]Omicidio Rostagno,l'ultimo mistero corre dalla mafia alla Somalia


Ser21
23-06-2008, 12:06
Omicidio Rostagno, l'ultimo mistero corre dalla mafia alla Somalia


di Saverio Lodato - 23 giugno 2008

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/7666/48/


Palermo. Chi ha ucciso Mauro Rostagno? E perché? Venti anni dopo, uno dei delitti eccellenti in Sicilia negli anni ottanta trova una sua, sia pur parzialissima, risposta: fu la mafia del trapanese ad eliminare con quattro colpi di fucile calibro 12 e due di pistola calibro trentotto, il giornalista scomodo, il fustigatore coraggioso che dagli schermi di una televisione privata trapanese (RTC) sbatteva quotidianamente in faccia ai cittadini scandali e corruzione, i nomi dei mafiosi e dei massoni che soffocavano la società civile, denunciava quei politici che, con mafia e massoneria, andavano a braccetto. La prova, oggi, viene da una definitiva perizia balistica sulle armi e le cartucce rinvenute sul luogo del delitto. Gli investigatori ritengono esistere «significative analogie» che provano l’appartenenza all’arsenale della «famiglia trapanese».
Era il 26 settembre 1988, quando in località Lenzi, aperta campagna alle porte di Trapani, un commando sorprese Rostagno che in compagnia di Monica Serra, una ragazza di 24 anni, stava rientrando in auto nella comunità Saman che gestiva, insieme a sua moglie Chicca Roveri e al suo amico Francesco Cardella, per il recupero di tossicodipendenti. Mauro non ebbe scampo. Monica, che era ospite della Saman, se lo vide morire accanto. Da quel giorno si scatenarono illazioni e suggestioni, ipotesi cinematografiche o letterarie, leggende metropolitane d’ogni tipo. E chi diceva che il delitto fosse maturato dentro la comunità per ragioni sentimentali, gelosie e invidie. E chi diceva che Cosa Nostra fosse totalmente estranea al delitto. E chi, e non erano pochi, dicevano che Mauro se la fosse comunque cercata. E chi adombrò persino il sospetto che lo avessero ucciso i suoi «ex» militanti di Lotta Continua perché si era deciso a fare i nomi degli assassini del commissario Luigi Calabresi, nell’agguato di sedici anni prima a Milano. Non è un caso, infatti, che le prime indagini dei carabinieri, piuttosto che privilegiare la radiografia di quella mappa di poteri duramente aggrediti dal giornalista, ruotarono proprio sulla sua figura, la sua vita privata.


Ne parliamo oggi con Antonio Ingroia, sostituto procuratore a Palermo, diventato titolare delle indagini da quando (dieci anni fa) il fascicolo venne trasmesso dalla Procura trapanese al «pool» antimafia di Palermo.

Dottore Ingroia, perché ci vollero dieci anni per individuare la pista mafiosa? «Sino a quel momento la Procura di Trapani non ritenne che vi fossero certezze sulla mafiosità di quel delitto. Furono decisive le dichiarazioni di Vincenzo Sinacori, il primo pentito della mafia trapanese, che si dichiarò certo del coinvolgimento dei vertici locali di Cosa Nostra. Intanto la Procura di Trapani aveva già imboccato la cosiddetta "pista interna" che aveva portato all’arresto della moglie di Rostagno, di Monica Serra, e di altri ospiti della comunità accusati di essere gli esecutori materiali. Fra gli indagati c’era anche Francesco Cardella che per anni rimase all’estero».

Ma su cosa si basava una simile «pista interna»?
«Si era costruito un mosaico indiziario sostenuto anche da incongruenze e contraddizioni nelle testimonianze dei componenti e dei responsabili della Saman che fece parlare qualcuno di "delitto fra amici"».


Che fine ha fatto la «pista interna»?
«Gli arresti furono tutti scarcerati dal Tribunale della Liberà e la Procura di Palermo prese atto della inconsistenza del quadro probatorio. Si giunse così alla richiesta definitiva di archiviazione per questa ipotesi investigativa. Decollò così finalmente, anche se con dieci anni di ritardo, l’indagine sulla pista mafiosa».

Sinacori rimase l’unico a prospettare la pista mafiosa?
«No. Si aggiunsero altri collaboratori, sia trapanesi che palermitani, che confermarono il ruolo decisivo della "famiglia" mafiosa di Trapani guidata all’epoca da Vincenzo Virga».

Sarà Virga, attualmente detenuto per associazione mafiosa, l’unico chiamato a rispondere dell’omicidio Rostagno?
«Il segreto investigativo non mi consente di rispondere.
Ma confermo che secondo la Procura di Palermo Rostagno fu ucciso dalla mafia».

Ma solo mafia, tanto per cambiare?
«La matrice mafiosa non esclude la possibile convergenza con gli interessi di altri ambienti vicini alla mafia a eliminare un giornalista scomodo come Rostagno».

Dottor Ingroia, ma non le pare davvero singolare che per fare una perizia balistica ci siano voluti vent’anni?
«Mi limito a dire che quando l’esito della perizia diventerà pubblico le sorprese investigative non mancheranno».

Proprio qualche giorno fa a Riccione, per iniziativa della fondazione in memoria di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sono stati mostrati documentari in cui si da per certo che Mauro fosse riuscito a filmare, su una pista abbandonata del trapanese, il trasbordo di armi sui velivoli militari italiani destinati alla Somalia. Sono dunque in molti a ipotizzare un collegamento fra i due delitti.
«Ho indagato a lungo in questo senso. Alcuni testimoni hanno sostanzialmente confermato l’episodio, inclusa una visita di Rostagno a Giovanni Falcone per raccontargli tutto quello che sapeva. D’altra parte, prima non le dicevo che un movente di mafia non esclude altri moventi?».



L'UNITA'


Breve storia di questo ennesimo mistero italiano:



Le ipotesi sulla morte
Il delitto mafioso fu la pista percorsa immediatamente dagli inquirenti (carabinieri e polizia) e dal magistrato Franco Messina. Sembrò suffragata dal ritrovamento,otto mesi dopo,del cadavere di un tecnico dell’Enel, Vincenzo Mastrantoni: costui era l’autista del boss mafioso Vincenzo Virga. Mastrantoni aveva tolto l'energia elettrica nella zona,la notte del delitto. Dopo anni, però,non essendoci stati riscontri attendibili, Messina ed il suo successore all'inchiesta, Massimo Palmeri, abbandonarono la pista mafiosa.

Fu percorsa una nuova strada e formulata una nuova ipotesi connessa al delitto del commissario Luigi Calabresi (vedi "Il perché dell'ipotesi Calabresi").

Anche qui non si raccolsero prove certe.

La procura di Trapani, nel 1996 ipotizzò ancora che il delitto potesse essere maturato all'interno della Saman, per traffico di stupefacenti all'interno della Saman suscitando forti polemiche. Inviò mandati di cattura ad alcuni ospiti della comunità, individuati come esecutori materiali del delitto, a Cardella come mandante (che si rifugiò in Nicaragua) e alla Roveri, accusata di favoreggiamento. Anche questa pista fu poi abbandonata.

Francesco Cardella in seguito, fu indicato come trafficante di armi. Una inquietante teoria, che vedrebbe la morte di Rostagno legata alla scoperta di un traffico d'armi con la Somalia, attraverso due ex dragamine della marina svedese acquistati dal Cardella per la Saman come sede "marina" della comunità, ma che spesso furono visti a Malta e sembra, nel corno d'Africa. A Pizzolungo, a pochi chilometri da Trapani, nel 1985, tre anni prima della morte di Rostagno, il giudice Carlo Palermo, da pochi mesi in quella procura, dopo essere stato trasferito da Trento, dove indagava su un traffico d'armi, sfuggì a un attentato dinamitardo dove morirono una donna e i suoi due gemellini. Una pista che porta anche alla guerriglia Somala, ad Ilaria Alpi e all'agente del SISMI (i Servizi segreti militari italiani), il maresciallo Vincenzo Li Causi. Quest'ultimo operò in quegli anni per l'organizzazione Gladio a Trapani. Nel 1991 il Sismi lo aveva poi inviato ripetutamente in Somalia dove il 12 novembre 1993 morì in un agguato compiuto da banditi, come successo anche alla Alpi il 20 marzo 1994. In sintesi l'ipotesi suggerisce che Rostagno avesse scoperto un traffico di armi in cui fosse coinvolto Cardella ed i Servizi deviati e volesse farne pubblica denuncia. Niente prove e si tornò nel 1998 ad indagare su Cosa nostra siciliana, ma non più al Palazzo di Giustizia trapanese, bensì alla Dda della Procura antimafia di Palermo, che iscrisse nel registro degli indagati l'allora latitante Vincenzo Virga.



Il perché dell'ipotesi Calabresi
Gli ultimi mesi di Rostagno: all’inizio del 1988 era andato a Trento per il ventennale della “rivoluzione” studentesca del ’68” e si era incontrato con alcuni ex compagni di militanza. Poi aveva ricevuto una comunicazione giudiziaria a suo carico. Il pentito “politico” Leonardo Marino, che si era allora autoaccusato dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, aveva tirato in ballo i dirigenti di Lotta Continua come mandanti dell’assassinio. Lotta Continua, nata da Potere Operaio nel 1969, fu costituita da un gruppo dirigente omogeneo fino al novembre del 1976, quando fu sciolta. I principali esponenti furono Rostagno, Adriano Sofri, Luigi Bobbio, Guido Viale, Marco Boato e poi Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. La guerra tra Lotta Continua ed il commissario Luigi Calabresi era cominciata con la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (detto "Pino"), precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario la notte del 15 dicembre del ’69. La versione ufficiale fu “suicidio”, ma Lotta Continua indicò come assassino Calabresi.

Ci fu un processo, intentato da Calabresi contro Lotta Continua che non ebbe vincitori. Lotta Continua si schierò apertamente contro la lotta armata, ma agli occhi della sinistra extraparlamentare Calabresi incarnava l’assassino protetto dal Sistema che non solo rimaneva impunito, ma anzi, faceva carriera. Un buon movente per farlo fuori nel maggio del 1972?

Comunque, quell’estate del 1988, poco prima di essere ucciso, Rostagno ricevette un avviso di comparizione davanti ai giudici che indagavano sulla morte del commissario. Si arrabbiò molto. Corse in redazione e dalla sua televisione trasmise un editoriale in cui, tirandosi fuori da ogni responsabilità, promise che avrebbe raccontato ai telespettatori del suo telegiornale per filo e per segno i termini dell’interrogatorio non appena il giudice lo avesse sentito. Commentò con amici e colleghi, con rabbia, più volte: "Marino è uno che nell’organizzazione non ha mai contato un cazzo. Ci perseguitano. E’ manovrato. Gli fanno dire quello che vogliono.". "Anche i Servizi continuano a perseguitarmi" Poi la frase chiave che avrebbe portato i magistrati a valutare l’ipotesi Calabresi: "Mi hanno rotto i coglioni! Non vedo l’ora di andare a raccontare un bel po’ di cosette".