Adric
27-05-2008, 23:58
il free jazz... quanto sarebbe da definirsi jazz o comunque musica? non so, nella mia ignoranza ci vedo uno di quegli esperimenti per far cose diverse, però insensate... cioè, all'epoca, una musica del genere, era ottima per rendere l'idea della rabbia e la sofferenza di un popolo, ma comunque non sarebbe da definirsi "musica" al cento per cento... jazz poi...
ovviamente secondo me, e per quanto ne posso sapere... come la vedi tu?
ps: sto studiando la materia da qualche mese :D
Ritengo opportuno aprire un thread separato per risponderti, il discorso sul free jazz va troppo fuori argomento e rischia di essere controproducente rispetto allo scopo del thread 'Jazz a Napoli' (segnalare concerti e notizie inerenti il jazz a Napoli e in Campania).
Riporto in parte (con diverse varianti) un post che ho scritto in un altro forum.
In Italia sin dall'inizio perdura una situazione di errata comprensione del free jazz anche tra alcuni addetti ai lavori e musicisti, non soltanto tra coloro che si avvicinano al jazz.
Questo è dovuto al fatto che la quasi totalità dei libri sul free jazz in Italiano, risalendo alla fine degli anni 60 o ai primi anni 70, ha due grossi problemi:
1) analizza il free più dal punto di vista politico e sociale che musicale e discografico
2) analizza solo il free jazz degli anni 60 e quasi solo il free statunitense.
Fanno eccezione due libri:
Uomini e avanguardie jazz, di Mario Luzzi del 1980, che contiene interviste a molti degli esponenti di punta del free di varie nazionalità (Sun Ra, Rivers, Shepp, Breuker, Gaslini ecc) dalle loro parole vengono ribaltati diversi luoghi comuni a cui hanno contribuito i libri di Leroi Jones (Il popolo del blues) e Charles & Comolli (Free Jazz Black Power)
Free Jazz di Ekkehard Jost scritto nel 1972, tradotto finalmente in italiano nel 2006 (con ben 34 anni di ritardo!!!), è la più importante analisi musicale del free americano anni 60.
Più in generale in Italia ci sono molte storie generali del jazz, ma di libri sulle singole correnti jazzistiche ne sono stati tradotti ben pochi.
Il risultato è che su generi assai eterogenei per natura come il free jazz ma anche il west coast jazz c'è parecchia confusione.
Solo in Italia e in Francia c'è stata questa politicizzazione del jazz negli anni 70 con i risultati che gente come Sarah Vaughan, Gerry Mullligan (ed altri) è stata fischiata o bollata come fascista (ma si puo' dare a un nero - o a un bianco che suona con neri - del fascista ???) perchè non faceva free, sigh.
Ma il libro di Jost molti non l'hanno ancora letto, idem il libro di Luzzi che è fuori catalogo da diversi anni e difficile da trovare.
Nel free jazz perdurano diversi stereotipi e idee errate:
1) il free jazz (e l'evoluzione del sax tenore) non si è fermato con la morte di Coltrane, Ayler è stato un innovatore, cosi come come all'organo lo è stato Larry Young
2) il free jazz ha dominato la scena del jazz negli anni 70, specialmente in Europa
3) il free jazz non è mai sparito anche se dal 1983 in poi ha perso di visibilità sui media, ma verso la fine degli anni 80 ha visto una rinascita artistica negli Usa alla quale si è invece contrapposta un'involuzione creativa in Europa.
------
Il free jazz è lo stile jazzistico più eterogeneo che ci sia.
Dal punto di vista dell'organico si va da dischi e concerti di solo sax, solo piano, solo trombone, solo chitarra ecc a trii o quartetti insoliti senza piano (pianoless), o senza batteria ecc a organici più allargati come settetti, ottetti o anche a big band free; negli anni settanta si sono molto diffusi i gruppi composti da un quartetto di soli sassofoni, sole batterie, soli tromboni ecc.
Non c'è nessuno strumento indispensabile nel free jazz, l'improvvisazione ha un ruolo ancora maggiore che negli altri stili jazzistici, e spesso la mancanza di un tema rende la musica free di non facile fruizione.
Personalmente nel free jazz trovo un po' di tutto; dischi che reputo capolavori, che mi fanno ammazzare dalle risate, che mi annoiano, che trovo inascoltabili od orrendi ecc
Proprio a causa della diversità di organico proposte differenti di free jazz possono essere tra loro musicalmente agli antipodi e non avere nulla in comune.
Ma il senso comunque nel free c'è; la maggiore libertà che ti consente il free jazz nel suonarlo implica anche maggiore responsabilità e prendere maggiori rischi. Se il free fosse insensato o avesse un contenuto prettamente di protesta politica o/e sociale sarebbe sparito da molti anni, invece si fa tuttora.
Suonare free jazz oggi più o meno ha lo stesso senso che suonare altri stili di jazz: tradizionale, mainstream, (hard) bop, third stream ecc Ma fare free denota anche anche il voler fare una musica che è meno commerciale, meno immediata, ma che consente sia più libertà espressiva rispetto a stili molto codificati come l'hard bop sia maggiore varietà di organico dei gruppi.
Il free ha più potenzialità inespresse, anche se certamente in passato, specie da parte dei jazzisti europei è servito per mascherare le loro deficienze tecniche e compositive.
Il free jazz è stato ed è un fenomeno soprattutto musicale.
L'impegno politico e sociale diretto nel (free) jazz c'è stato solo per una minoranza di musicisti, non è che i jazzmen Usa facessero comizi politici o lezioni sociologiche ai concerti in Europa, non parliamo poi dei jazzisti europei, a parte Gaslini e poche altre eccezioni (lp come Fabbrica Occupata ecc).
Inoltre proprio col free jazz i neri negli USA hanno cominciato ad allontanarsi dal jazz negli anni 60 ed a ascoltare Rhythm & Blues prima, soul & funky poi e infine dalla metà degli anni 80 l'hip hop.
Il movimento politico delle Pantere Nere per raggiungere più afroamericani possibile musicalmente era orientato su una musica molto più comprensibile da tutti come il soul, anche se la stragrande maggioranza del soul parla di amore o di sesso e con la politica e le Pantere Nere ha poco a che vedere.
Inoltre dischi storici di impegno civile/politico come 'Freedom Suite' di Rollins o 'Ah Um' di Mingus sono precedenti al free jazz (viene considerata la nascita del free jazz l'uscita nel 1960 del disco di Ornette Coleman chiamato proprio Free Jazz che ha finito per intitolare così l'intero stile , anche se c'è chi ha rifiutato questo termine usando sinomini come new thing, creative music, musica improvvisata, avantgarde jazz ecc
Per comprendere i jazzisti free non è sufficiente ascoltare o comprare i loro dischi, vedere i video su youtube o leggere i libri, anche se ciò aiuta spesso non poco (d'altronde parecchi sono morti). Solo ascoltandoli dal vivo li si comprenderà in pieno, l'impressione live risulta spesso radicalmente diversa da quella fornita dal disco in studio
Quindi esponenti storici del free (anni 60 e 70) ancora vivi e in attività che oggi hanno tra i 60 e i 70 anni come Ornette Coleman, Cecil Taylor, Anthony Braxton, Muhal Richard Abrams, Roscoe Mitchell, Oliver Lake, Hamiett Bluiett (World Saxophone Quartet), John Tchicai, Marion Brown, Sonny Simmons, Arthur Blythe, Joseph Jarman, Roswell Rudd, Andrew Cyrille, Sunny Murray, Milford Graves ecc vanno assolutamente visti dal vivo, anche a costo di farsi 200-300 Km o fino a quattro ore di treno ed andare fuori regione, e sbrigandosi pure (prima che muoiano o che comunque per motivi di salute non siano più in grado di suonare).
Stesso discorso per la generazione successiva degli innovatori degli anni 80 e 90: musicisti che oggi hanno tra i 50 e i 60 anni; John Zorn (che fonde free jazz e musica ebraica), Butch Morris (una mescolanza di musica classica e free jazz), Henry Threadgill, David S.Ware, Charles Gayle, James Blood Ulmer ecc
Ci sono poi jazzisti che da anni che non suonano più free, ma jazz più convenzionale, come Archie Shepp, Pharoah Sanders, Carla Bley o David Murray.
Il free jazz dei musicisti europei, a parte qualche eccezione (Derek Bailey, John Tchicai, John Surman ecc) andrebbe approfondito solo dopo un'adeguato studio di quello statunitense.
Per quanto riguarda il free jazz italiano io stesso ammetto di conoscerlo assai poco. Il problema quasi insormontabile è che i dischi di free jazz italiani degli anni 60 e dei primi anni 70 (e non solo quelli di free ma anche i dischi dei jazzisti italiani in generale) sono molto difficili da trovare, sono fuori catalogo da diversi anni ed hanno quotazioni collezionistiche elevate; per problemi di diritti o di vario genere molti non sono mai usciti in formato cd. Quasi introvabile il disco del Gruppo Romano Free Jazz, difficili quelli di Mario Schiano.
Piu facili da trovare ma costosi i dischi di Giorgio Gaslini, poi della seconda metà degli anni 70 in poi ci sono i dischi di Andrea Centazzo, Guido Mazzon, Gaetano Liguori, Gianluigi Trovesi, Enrico Rava, Giancarlo Schiaffini.
ovviamente secondo me, e per quanto ne posso sapere... come la vedi tu?
ps: sto studiando la materia da qualche mese :D
Ritengo opportuno aprire un thread separato per risponderti, il discorso sul free jazz va troppo fuori argomento e rischia di essere controproducente rispetto allo scopo del thread 'Jazz a Napoli' (segnalare concerti e notizie inerenti il jazz a Napoli e in Campania).
Riporto in parte (con diverse varianti) un post che ho scritto in un altro forum.
In Italia sin dall'inizio perdura una situazione di errata comprensione del free jazz anche tra alcuni addetti ai lavori e musicisti, non soltanto tra coloro che si avvicinano al jazz.
Questo è dovuto al fatto che la quasi totalità dei libri sul free jazz in Italiano, risalendo alla fine degli anni 60 o ai primi anni 70, ha due grossi problemi:
1) analizza il free più dal punto di vista politico e sociale che musicale e discografico
2) analizza solo il free jazz degli anni 60 e quasi solo il free statunitense.
Fanno eccezione due libri:
Uomini e avanguardie jazz, di Mario Luzzi del 1980, che contiene interviste a molti degli esponenti di punta del free di varie nazionalità (Sun Ra, Rivers, Shepp, Breuker, Gaslini ecc) dalle loro parole vengono ribaltati diversi luoghi comuni a cui hanno contribuito i libri di Leroi Jones (Il popolo del blues) e Charles & Comolli (Free Jazz Black Power)
Free Jazz di Ekkehard Jost scritto nel 1972, tradotto finalmente in italiano nel 2006 (con ben 34 anni di ritardo!!!), è la più importante analisi musicale del free americano anni 60.
Più in generale in Italia ci sono molte storie generali del jazz, ma di libri sulle singole correnti jazzistiche ne sono stati tradotti ben pochi.
Il risultato è che su generi assai eterogenei per natura come il free jazz ma anche il west coast jazz c'è parecchia confusione.
Solo in Italia e in Francia c'è stata questa politicizzazione del jazz negli anni 70 con i risultati che gente come Sarah Vaughan, Gerry Mullligan (ed altri) è stata fischiata o bollata come fascista (ma si puo' dare a un nero - o a un bianco che suona con neri - del fascista ???) perchè non faceva free, sigh.
Ma il libro di Jost molti non l'hanno ancora letto, idem il libro di Luzzi che è fuori catalogo da diversi anni e difficile da trovare.
Nel free jazz perdurano diversi stereotipi e idee errate:
1) il free jazz (e l'evoluzione del sax tenore) non si è fermato con la morte di Coltrane, Ayler è stato un innovatore, cosi come come all'organo lo è stato Larry Young
2) il free jazz ha dominato la scena del jazz negli anni 70, specialmente in Europa
3) il free jazz non è mai sparito anche se dal 1983 in poi ha perso di visibilità sui media, ma verso la fine degli anni 80 ha visto una rinascita artistica negli Usa alla quale si è invece contrapposta un'involuzione creativa in Europa.
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Il free jazz è lo stile jazzistico più eterogeneo che ci sia.
Dal punto di vista dell'organico si va da dischi e concerti di solo sax, solo piano, solo trombone, solo chitarra ecc a trii o quartetti insoliti senza piano (pianoless), o senza batteria ecc a organici più allargati come settetti, ottetti o anche a big band free; negli anni settanta si sono molto diffusi i gruppi composti da un quartetto di soli sassofoni, sole batterie, soli tromboni ecc.
Non c'è nessuno strumento indispensabile nel free jazz, l'improvvisazione ha un ruolo ancora maggiore che negli altri stili jazzistici, e spesso la mancanza di un tema rende la musica free di non facile fruizione.
Personalmente nel free jazz trovo un po' di tutto; dischi che reputo capolavori, che mi fanno ammazzare dalle risate, che mi annoiano, che trovo inascoltabili od orrendi ecc
Proprio a causa della diversità di organico proposte differenti di free jazz possono essere tra loro musicalmente agli antipodi e non avere nulla in comune.
Ma il senso comunque nel free c'è; la maggiore libertà che ti consente il free jazz nel suonarlo implica anche maggiore responsabilità e prendere maggiori rischi. Se il free fosse insensato o avesse un contenuto prettamente di protesta politica o/e sociale sarebbe sparito da molti anni, invece si fa tuttora.
Suonare free jazz oggi più o meno ha lo stesso senso che suonare altri stili di jazz: tradizionale, mainstream, (hard) bop, third stream ecc Ma fare free denota anche anche il voler fare una musica che è meno commerciale, meno immediata, ma che consente sia più libertà espressiva rispetto a stili molto codificati come l'hard bop sia maggiore varietà di organico dei gruppi.
Il free ha più potenzialità inespresse, anche se certamente in passato, specie da parte dei jazzisti europei è servito per mascherare le loro deficienze tecniche e compositive.
Il free jazz è stato ed è un fenomeno soprattutto musicale.
L'impegno politico e sociale diretto nel (free) jazz c'è stato solo per una minoranza di musicisti, non è che i jazzmen Usa facessero comizi politici o lezioni sociologiche ai concerti in Europa, non parliamo poi dei jazzisti europei, a parte Gaslini e poche altre eccezioni (lp come Fabbrica Occupata ecc).
Inoltre proprio col free jazz i neri negli USA hanno cominciato ad allontanarsi dal jazz negli anni 60 ed a ascoltare Rhythm & Blues prima, soul & funky poi e infine dalla metà degli anni 80 l'hip hop.
Il movimento politico delle Pantere Nere per raggiungere più afroamericani possibile musicalmente era orientato su una musica molto più comprensibile da tutti come il soul, anche se la stragrande maggioranza del soul parla di amore o di sesso e con la politica e le Pantere Nere ha poco a che vedere.
Inoltre dischi storici di impegno civile/politico come 'Freedom Suite' di Rollins o 'Ah Um' di Mingus sono precedenti al free jazz (viene considerata la nascita del free jazz l'uscita nel 1960 del disco di Ornette Coleman chiamato proprio Free Jazz che ha finito per intitolare così l'intero stile , anche se c'è chi ha rifiutato questo termine usando sinomini come new thing, creative music, musica improvvisata, avantgarde jazz ecc
Per comprendere i jazzisti free non è sufficiente ascoltare o comprare i loro dischi, vedere i video su youtube o leggere i libri, anche se ciò aiuta spesso non poco (d'altronde parecchi sono morti). Solo ascoltandoli dal vivo li si comprenderà in pieno, l'impressione live risulta spesso radicalmente diversa da quella fornita dal disco in studio
Quindi esponenti storici del free (anni 60 e 70) ancora vivi e in attività che oggi hanno tra i 60 e i 70 anni come Ornette Coleman, Cecil Taylor, Anthony Braxton, Muhal Richard Abrams, Roscoe Mitchell, Oliver Lake, Hamiett Bluiett (World Saxophone Quartet), John Tchicai, Marion Brown, Sonny Simmons, Arthur Blythe, Joseph Jarman, Roswell Rudd, Andrew Cyrille, Sunny Murray, Milford Graves ecc vanno assolutamente visti dal vivo, anche a costo di farsi 200-300 Km o fino a quattro ore di treno ed andare fuori regione, e sbrigandosi pure (prima che muoiano o che comunque per motivi di salute non siano più in grado di suonare).
Stesso discorso per la generazione successiva degli innovatori degli anni 80 e 90: musicisti che oggi hanno tra i 50 e i 60 anni; John Zorn (che fonde free jazz e musica ebraica), Butch Morris (una mescolanza di musica classica e free jazz), Henry Threadgill, David S.Ware, Charles Gayle, James Blood Ulmer ecc
Ci sono poi jazzisti che da anni che non suonano più free, ma jazz più convenzionale, come Archie Shepp, Pharoah Sanders, Carla Bley o David Murray.
Il free jazz dei musicisti europei, a parte qualche eccezione (Derek Bailey, John Tchicai, John Surman ecc) andrebbe approfondito solo dopo un'adeguato studio di quello statunitense.
Per quanto riguarda il free jazz italiano io stesso ammetto di conoscerlo assai poco. Il problema quasi insormontabile è che i dischi di free jazz italiani degli anni 60 e dei primi anni 70 (e non solo quelli di free ma anche i dischi dei jazzisti italiani in generale) sono molto difficili da trovare, sono fuori catalogo da diversi anni ed hanno quotazioni collezionistiche elevate; per problemi di diritti o di vario genere molti non sono mai usciti in formato cd. Quasi introvabile il disco del Gruppo Romano Free Jazz, difficili quelli di Mario Schiano.
Piu facili da trovare ma costosi i dischi di Giorgio Gaslini, poi della seconda metà degli anni 70 in poi ci sono i dischi di Andrea Centazzo, Guido Mazzon, Gaetano Liguori, Gianluigi Trovesi, Enrico Rava, Giancarlo Schiaffini.