nekromantik
22-05-2008, 10:54
http://www.larena.it/ultima/oggi/cronaca/Aac.htm
AL PALASPORT. «Student Day» sulla mafia con testimoni autorevoli organizzato dagli studenti degli istituti Ferraris, Galilei, Montanari e Nani-Boccioni
Il fratello di Borsellino punta il dito
«Sono stato zitto per sette anni, ma non posso più tacere quando vedo che politici compromessi con la mafia riprendono il controllo del Paese»
Il presidente del Senato Schifani? Deve chiarire la sua posizione
Giancarlo Beltrame
L'assemblea è in corso da oltre tre ore, gli studenti più coraggiosi, che non hanno ancora abbandonato il Palasport, cominciano a manifestare essi pure segni di stanchezza e di nervosismo. Il moderatore Paolo Butturini chiama sul palco Salvatore Borsellino. Il timore è che la distanza anagrafica, come nel caso dei relatori precedenti, e il parlare di fatti accaduti quando la maggior parte dei presenti se non era ancora nata era in fasce o poco più inducano alla distrazione. Il fratello del giudice assassinato in via D'Amelio a Palermo da un'autobomba della mafia il 19 luglio 1992 sale e invece di sedersi, si slaccia con mossa decisa la cravatta, poi si toglie d'impeto la giacca, si arrotola le maniche della camicia, afferra il microfono e si porta con piglio battagliero davanti al tavolo dei relatori, proprio a bordo pedana. In piedi affronta la platea dei ragazzi quasi volesse sfidarli. E vince. Perché la sua relazione è piena di passione, di sdegno, di rabbia, di voglia che le cose cambino, di speranza riposta proprio in quei giovani che stanno lì di fronte a lui. «Per me è un dovere venire a parlare di mio fratello», esordisce. «L'avevo fatto per qualche anno, poi sono stato zitto per sette anni. Ho ripreso dal 17 luglio dell'anno scorso, per la rabbia che mi cresceva dentro quando ho visto che i politici più compromessi con la mafia riprendevano il controllo del Paese».
Non le manda certo a dire il fratello di Paolo Borsellino. E pur senza nominarli se la prende con il senatore Marcello Dell'Utri e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Chi oggi siede alla guida del governo ha detto che il mafioso Vittorio Mangano (condannato all'ergastolo per mafia e per anni addetto alle scuderie di casa Berlusconi, ndr) è un eroe. Se Mangano è un eroe, allora Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non sono eroi», urla in faccia ai presenti. «Al funerale di Paolo gli avvoltoi politici furono cacciati dalla cattedrale. Oggi dovremmo cacciare tanti parlamentari inquisiti per mafia a calci, pugni e sputi come fecero allora sull'onda di un'indignazione che fu incontenibile».
Borsellino non è l'unico ad alzare il tiro sui politici. Poco prima era stato Vincenzo Guidotto, presidente dell'Osservatorio veneto per l'antimafia a denunciare l'esclusione dalle liste del Pd di Nando Dalla Chiesa, il figlio del generale dei carabinieri e prefetto di Palermo assassinato dalla mafia, l'incarico di aprire i lavori del nuovo Senato affidato a Giulio Andreotti e a chiedere al presidente del Senato Renato Schifani di «chiarire la sua posizione rispetto alle frequentazioni mafiose, di cui parlò nel 2002 L'Espresso in un articolo, il cui autore, denunciato, fu assolto perché aveva scritto cose vere. Dovrebbe avere l'umiltà democratica di rendere conto al popolo sovrano di cose che forse i suoi elettori non sapevano».
Quando racconta gli ultimi 57 giorni di vita del fratello, Salvatore Borsellino sembra ancor oggi travolto da emozioni irrefrenabili. Rievoca la solitudine in cui fu lasciato dopo l'agguato mortale a Falcone, le complicità e le contiguità dei servizi segreti con la mafia stragista, la coscienza di essere una vittima designata che lo spingeva da un lato a ripetere ai familiari più stretti «devo fare in fretta, in fretta...» e dall'altro a negare persino le carezze e la presenza ai figli per far sentire meno a loro la sua mancanza che sapeva sarebbe arrivata molto presto. Emozioni e rabbia che fanno breccia in chi ha avuto il coraggio di restare.
C'è da aggiungere altro? Spero che certe parole facciano riflettere seriamente sui termini "lotta alla mafia"...
AL PALASPORT. «Student Day» sulla mafia con testimoni autorevoli organizzato dagli studenti degli istituti Ferraris, Galilei, Montanari e Nani-Boccioni
Il fratello di Borsellino punta il dito
«Sono stato zitto per sette anni, ma non posso più tacere quando vedo che politici compromessi con la mafia riprendono il controllo del Paese»
Il presidente del Senato Schifani? Deve chiarire la sua posizione
Giancarlo Beltrame
L'assemblea è in corso da oltre tre ore, gli studenti più coraggiosi, che non hanno ancora abbandonato il Palasport, cominciano a manifestare essi pure segni di stanchezza e di nervosismo. Il moderatore Paolo Butturini chiama sul palco Salvatore Borsellino. Il timore è che la distanza anagrafica, come nel caso dei relatori precedenti, e il parlare di fatti accaduti quando la maggior parte dei presenti se non era ancora nata era in fasce o poco più inducano alla distrazione. Il fratello del giudice assassinato in via D'Amelio a Palermo da un'autobomba della mafia il 19 luglio 1992 sale e invece di sedersi, si slaccia con mossa decisa la cravatta, poi si toglie d'impeto la giacca, si arrotola le maniche della camicia, afferra il microfono e si porta con piglio battagliero davanti al tavolo dei relatori, proprio a bordo pedana. In piedi affronta la platea dei ragazzi quasi volesse sfidarli. E vince. Perché la sua relazione è piena di passione, di sdegno, di rabbia, di voglia che le cose cambino, di speranza riposta proprio in quei giovani che stanno lì di fronte a lui. «Per me è un dovere venire a parlare di mio fratello», esordisce. «L'avevo fatto per qualche anno, poi sono stato zitto per sette anni. Ho ripreso dal 17 luglio dell'anno scorso, per la rabbia che mi cresceva dentro quando ho visto che i politici più compromessi con la mafia riprendevano il controllo del Paese».
Non le manda certo a dire il fratello di Paolo Borsellino. E pur senza nominarli se la prende con il senatore Marcello Dell'Utri e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Chi oggi siede alla guida del governo ha detto che il mafioso Vittorio Mangano (condannato all'ergastolo per mafia e per anni addetto alle scuderie di casa Berlusconi, ndr) è un eroe. Se Mangano è un eroe, allora Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non sono eroi», urla in faccia ai presenti. «Al funerale di Paolo gli avvoltoi politici furono cacciati dalla cattedrale. Oggi dovremmo cacciare tanti parlamentari inquisiti per mafia a calci, pugni e sputi come fecero allora sull'onda di un'indignazione che fu incontenibile».
Borsellino non è l'unico ad alzare il tiro sui politici. Poco prima era stato Vincenzo Guidotto, presidente dell'Osservatorio veneto per l'antimafia a denunciare l'esclusione dalle liste del Pd di Nando Dalla Chiesa, il figlio del generale dei carabinieri e prefetto di Palermo assassinato dalla mafia, l'incarico di aprire i lavori del nuovo Senato affidato a Giulio Andreotti e a chiedere al presidente del Senato Renato Schifani di «chiarire la sua posizione rispetto alle frequentazioni mafiose, di cui parlò nel 2002 L'Espresso in un articolo, il cui autore, denunciato, fu assolto perché aveva scritto cose vere. Dovrebbe avere l'umiltà democratica di rendere conto al popolo sovrano di cose che forse i suoi elettori non sapevano».
Quando racconta gli ultimi 57 giorni di vita del fratello, Salvatore Borsellino sembra ancor oggi travolto da emozioni irrefrenabili. Rievoca la solitudine in cui fu lasciato dopo l'agguato mortale a Falcone, le complicità e le contiguità dei servizi segreti con la mafia stragista, la coscienza di essere una vittima designata che lo spingeva da un lato a ripetere ai familiari più stretti «devo fare in fretta, in fretta...» e dall'altro a negare persino le carezze e la presenza ai figli per far sentire meno a loro la sua mancanza che sapeva sarebbe arrivata molto presto. Emozioni e rabbia che fanno breccia in chi ha avuto il coraggio di restare.
C'è da aggiungere altro? Spero che certe parole facciano riflettere seriamente sui termini "lotta alla mafia"...