ania
14-05-2008, 05:03
http://www.ilsecoloxix.it/levante/view.php?DIR=/levante/documenti/2008/05/11/&CODE=423553c0-1f53-11dd-b92b-0003badbebe4
12 maggio 2008
Vivere e morire per l’Università
Parlando con Vincenzo Tagliasco, anche dell’argomento più banale, si aveva l’ineliminabile sensazione di trovarsi di fronte a una persona fuori dal comune.
Un uomo dotato non soltanto di un’intelligenza superiore, da scienziato, ma pervaso da una vastità di interessi culturali praticamente infinita: dalla letteratura al cinema, dalla filosofia all’arte, dalla politica alla demografia.
Una curiosità insaziabile, quasi frenetica, combinata con un entusiasmo contagioso e un’autoironia sempre vigile.
Un atteggiamento che travolgeva anche l’interlocutore che Tagliasco aveva il dono di far sentire intelligente quasi quanto lui.
Una disposizione mentale che era probabilmente all’origine del suo talento di docente, della sua vocazione di maestro.
Ora Tagliasco non c’è più e già sentiamo la sua mancanza, come quella di altri amici, Flavio Baroncelli e Franco Carlini, scomparsi prematuramente privandoci delle loro capacità di interpretare la realtà.
Tagliasco ci lascia però con un interrogativo in più, una domanda insolubile che ci sgomenta.
Egli, infatti, ha deciso di togliersi la vita.
Un suicidio è sempre inspiegabile, al tempo stesso troppo semplice, nella sua irrimediabile evidenza, e troppo complicato nel messaggio che sempre lascia a chi resta.
Questo messaggio Tagliasco lo ha affidato a una lettera alla famiglia, alla moglie, Annamaria d’Ursi, e alle adorate figlie ed è il commovente resoconto di un disagio esistenziale diventato insopportabile, una dolorosa difficoltà di riconoscersi nel mondo che lo circondava, ma anche un implicito atto d’accusa nei confronti di una Università a cui aveva dedicato la vita: ho fallito davanti alle mie figlie, è il senso della lettera, non sono riuscito a trasformare questa Università e a realizzare gli ideali di una gioventù ormai troppo lontana.
Probabilmente per lui non contava più molto la straordinaria carriera accademica - formatosi all’università di Harvard e al Mit, era stato uno dei primi bioingegneri italiani - né l’amore degli studenti, molti dei quali oggi sono fra i ricercatori più famosi al mondo nel campo della robotica.
Forse non contava più molto il lungo elenco delle pubblicazioni scientifiche, ma anche divulgative o il romanzo a cui stava lavorando da anni, come i riconoscimenti che riceveva a livello internazionale.
Oppure tutto questo contava ancora moltissimo, tanto da sacrificargli la vita.
Tagliasco era nato a Savona il 26 febbraio 1941.
Laureatosi in Ingegneria elettronica nel 1965, si perfeziona negli Stati Uniti in psicologia della percezione e del controllo motorio.
Docente a Genova dall’inizio degli anni Settanta, nel 1984 diviene il primo direttore del Dist, il Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Telematica.
Dal 1986 al 1995 lavora come esperto dell’Ue e dell’Ocse sulla formulazione di scenari per il futuro.
La sua vita è finita venerdì mattina sulle alture di Chiavari, ai margini di un sentiero nel bosco, stroncata da un colpo di pistola.
Negli ultimi anni si era occupato di una questione talmente delicata e centrale per il futuro dell’umanità da turbare soltanto nel porla: creare robot, non soltanto intelligenti, ma coscienti, in grado cioè di interagire autonomamente con l’uomo, di apprendere, di provare sentimenti.
La sua amata fantascienza trasformata in realtà, il confine tra umano e non umano, tra biologico e meccanico reso più labile e quindi attraversabile. Tagliasco era in grado di raccontare questi suoi progetti con la massima semplicità citando Asimov piuttosto che Kubrick o il tale algoritmo, ma senza perdere mai di vista le implicazioni sociali, politiche ed economiche delle nuove tecnologie.
L’altro grande interesse, la vera passione di una vita, sono stati gli studenti, i giovani, l’università.
In quasi quarant’anni di lavoro Tagliasco ha formato diverse generazioni di ingegneri, indirizzandoli verso i percorsi più innovativi e non ha mai rinunciato a tentare di rendere l’istituzione universitaria un volano per lo sviluppo della città e della regione che amava, ma anche del Paese.
Di sicuro, vista la situazione in cui versa l’ateneo genovese, Vincenzo Tagliasco, con il suo punto di vista internazionale e l’intatta spinta utopica, avrebbe potuto essere il Rettore ideale cui affidare le speranze di un possibile rilancio.
L’ultimo libro di Tagliasco, “L’esperienza. Perché i neuroni non spiegano tutto” è fresco di stampa; lo ha scritto con Riccardo Manzotti, l’allievo diventato amico e poi stretto collaboratore e che in queste ore drammatiche è stato vicino alla moglie nella casa di Chiavari e che non riesce a darsi ragione di questa morte.
«È difficile, se non impossibile, trovare le parole - spiega al telefono - ma prima che l’assenza di Vincenzo si faccia assordante è inevitabile aggrapparsi ai ricordi.
Ricordo l’amico sempre disponibile e generoso, il docente di informatica biomedica che affascinava e incantava gli studenti con la sua cultura, lo studioso della mente che non finiva mai di indagare nuove possibilità e cercare nuove conferme sperimentali, il “monello” che insegnava a mio figlio come costruire cerbottane di carta dalla mira infallibile.
Potrei ricordare il ligure capace di lunghi giorni di meticolosa parsimonia e di improvvisi lampi di stupefacente generosità.
Potrei ricordare l’affabulatore sapiente o il poeta tessitore di immagini aspre come le ardesie della sua Savona.
Potrei ricordare i suoi racconti del tempo di guerra o le sue memorie della contestazione studentesca».
«Ma ogni ricordo dell’uomo Vincenzo - prosegue Manzotti - sarebbe parziale e insufficiente.
Farei un torto perché Vincenzo era soprattutto i suoi sogni e la sua capacità di crederci, realizzarli, farli diventare delle occasioni concrete.
Vincenzo era, ed è, i suoi sogni che ha inseguito e cercato di trasmettere nel corso di una vita.
Vincenzo coltivava, in anticipo sui tempi, le sue visioni e sapeva tradurle in parole, esperimenti, progetti di ricerca, libri.
Vincenzo sognava una Università libera da interessi personali, chiusure corporative, condizionamenti angusti.
Avrebbe voluto un’istituzione proiettata verso il futuro, aperta a nuove intuizioni; un terreno fertile per i nuovi ingegni; un’accademia ideale dove i sognatori di scenari futuri potessero trasformare la materia delle idee in fatti concreti e tangibili».
«Vincenzo non ci lascia solo dei ricordi - conclude l’amico - Vincenzo ci lascia una responsabilità: non lasciare che i sogni muoiano, non lasciare che le angustie del quotidiano soffochino la spinta verso qualcosa di più dell’interesse, del particolare, della rendita.
I suoi sogni e le sue visioni sono ben vive dentro e intorno a noi.
Non lasciamoli morire.
Non lasciamo che restino soli, ma facciamoli diventare realtà e Vincenzo sarà ancora con noi».
Il professor Tagliasco era uno dei più noti docenti del Dist, il dipartimento di informatica, sistemistica e telematica.
Era un esperto di bioingegneria e aveva a lungo studiato i temi dell'intelligenza artificiale anche negli Stati Uniti.
Tra le sue opere i saggi Coscienza e realtà. Una teoria della coscienza per costruttori e studiosi di menti e cervelli e Dietro le formule, i discorsi della logica e della matematica.
12 maggio 2008
Vivere e morire per l’Università
Parlando con Vincenzo Tagliasco, anche dell’argomento più banale, si aveva l’ineliminabile sensazione di trovarsi di fronte a una persona fuori dal comune.
Un uomo dotato non soltanto di un’intelligenza superiore, da scienziato, ma pervaso da una vastità di interessi culturali praticamente infinita: dalla letteratura al cinema, dalla filosofia all’arte, dalla politica alla demografia.
Una curiosità insaziabile, quasi frenetica, combinata con un entusiasmo contagioso e un’autoironia sempre vigile.
Un atteggiamento che travolgeva anche l’interlocutore che Tagliasco aveva il dono di far sentire intelligente quasi quanto lui.
Una disposizione mentale che era probabilmente all’origine del suo talento di docente, della sua vocazione di maestro.
Ora Tagliasco non c’è più e già sentiamo la sua mancanza, come quella di altri amici, Flavio Baroncelli e Franco Carlini, scomparsi prematuramente privandoci delle loro capacità di interpretare la realtà.
Tagliasco ci lascia però con un interrogativo in più, una domanda insolubile che ci sgomenta.
Egli, infatti, ha deciso di togliersi la vita.
Un suicidio è sempre inspiegabile, al tempo stesso troppo semplice, nella sua irrimediabile evidenza, e troppo complicato nel messaggio che sempre lascia a chi resta.
Questo messaggio Tagliasco lo ha affidato a una lettera alla famiglia, alla moglie, Annamaria d’Ursi, e alle adorate figlie ed è il commovente resoconto di un disagio esistenziale diventato insopportabile, una dolorosa difficoltà di riconoscersi nel mondo che lo circondava, ma anche un implicito atto d’accusa nei confronti di una Università a cui aveva dedicato la vita: ho fallito davanti alle mie figlie, è il senso della lettera, non sono riuscito a trasformare questa Università e a realizzare gli ideali di una gioventù ormai troppo lontana.
Probabilmente per lui non contava più molto la straordinaria carriera accademica - formatosi all’università di Harvard e al Mit, era stato uno dei primi bioingegneri italiani - né l’amore degli studenti, molti dei quali oggi sono fra i ricercatori più famosi al mondo nel campo della robotica.
Forse non contava più molto il lungo elenco delle pubblicazioni scientifiche, ma anche divulgative o il romanzo a cui stava lavorando da anni, come i riconoscimenti che riceveva a livello internazionale.
Oppure tutto questo contava ancora moltissimo, tanto da sacrificargli la vita.
Tagliasco era nato a Savona il 26 febbraio 1941.
Laureatosi in Ingegneria elettronica nel 1965, si perfeziona negli Stati Uniti in psicologia della percezione e del controllo motorio.
Docente a Genova dall’inizio degli anni Settanta, nel 1984 diviene il primo direttore del Dist, il Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Telematica.
Dal 1986 al 1995 lavora come esperto dell’Ue e dell’Ocse sulla formulazione di scenari per il futuro.
La sua vita è finita venerdì mattina sulle alture di Chiavari, ai margini di un sentiero nel bosco, stroncata da un colpo di pistola.
Negli ultimi anni si era occupato di una questione talmente delicata e centrale per il futuro dell’umanità da turbare soltanto nel porla: creare robot, non soltanto intelligenti, ma coscienti, in grado cioè di interagire autonomamente con l’uomo, di apprendere, di provare sentimenti.
La sua amata fantascienza trasformata in realtà, il confine tra umano e non umano, tra biologico e meccanico reso più labile e quindi attraversabile. Tagliasco era in grado di raccontare questi suoi progetti con la massima semplicità citando Asimov piuttosto che Kubrick o il tale algoritmo, ma senza perdere mai di vista le implicazioni sociali, politiche ed economiche delle nuove tecnologie.
L’altro grande interesse, la vera passione di una vita, sono stati gli studenti, i giovani, l’università.
In quasi quarant’anni di lavoro Tagliasco ha formato diverse generazioni di ingegneri, indirizzandoli verso i percorsi più innovativi e non ha mai rinunciato a tentare di rendere l’istituzione universitaria un volano per lo sviluppo della città e della regione che amava, ma anche del Paese.
Di sicuro, vista la situazione in cui versa l’ateneo genovese, Vincenzo Tagliasco, con il suo punto di vista internazionale e l’intatta spinta utopica, avrebbe potuto essere il Rettore ideale cui affidare le speranze di un possibile rilancio.
L’ultimo libro di Tagliasco, “L’esperienza. Perché i neuroni non spiegano tutto” è fresco di stampa; lo ha scritto con Riccardo Manzotti, l’allievo diventato amico e poi stretto collaboratore e che in queste ore drammatiche è stato vicino alla moglie nella casa di Chiavari e che non riesce a darsi ragione di questa morte.
«È difficile, se non impossibile, trovare le parole - spiega al telefono - ma prima che l’assenza di Vincenzo si faccia assordante è inevitabile aggrapparsi ai ricordi.
Ricordo l’amico sempre disponibile e generoso, il docente di informatica biomedica che affascinava e incantava gli studenti con la sua cultura, lo studioso della mente che non finiva mai di indagare nuove possibilità e cercare nuove conferme sperimentali, il “monello” che insegnava a mio figlio come costruire cerbottane di carta dalla mira infallibile.
Potrei ricordare il ligure capace di lunghi giorni di meticolosa parsimonia e di improvvisi lampi di stupefacente generosità.
Potrei ricordare l’affabulatore sapiente o il poeta tessitore di immagini aspre come le ardesie della sua Savona.
Potrei ricordare i suoi racconti del tempo di guerra o le sue memorie della contestazione studentesca».
«Ma ogni ricordo dell’uomo Vincenzo - prosegue Manzotti - sarebbe parziale e insufficiente.
Farei un torto perché Vincenzo era soprattutto i suoi sogni e la sua capacità di crederci, realizzarli, farli diventare delle occasioni concrete.
Vincenzo era, ed è, i suoi sogni che ha inseguito e cercato di trasmettere nel corso di una vita.
Vincenzo coltivava, in anticipo sui tempi, le sue visioni e sapeva tradurle in parole, esperimenti, progetti di ricerca, libri.
Vincenzo sognava una Università libera da interessi personali, chiusure corporative, condizionamenti angusti.
Avrebbe voluto un’istituzione proiettata verso il futuro, aperta a nuove intuizioni; un terreno fertile per i nuovi ingegni; un’accademia ideale dove i sognatori di scenari futuri potessero trasformare la materia delle idee in fatti concreti e tangibili».
«Vincenzo non ci lascia solo dei ricordi - conclude l’amico - Vincenzo ci lascia una responsabilità: non lasciare che i sogni muoiano, non lasciare che le angustie del quotidiano soffochino la spinta verso qualcosa di più dell’interesse, del particolare, della rendita.
I suoi sogni e le sue visioni sono ben vive dentro e intorno a noi.
Non lasciamoli morire.
Non lasciamo che restino soli, ma facciamoli diventare realtà e Vincenzo sarà ancora con noi».
Il professor Tagliasco era uno dei più noti docenti del Dist, il dipartimento di informatica, sistemistica e telematica.
Era un esperto di bioingegneria e aveva a lungo studiato i temi dell'intelligenza artificiale anche negli Stati Uniti.
Tra le sue opere i saggi Coscienza e realtà. Una teoria della coscienza per costruttori e studiosi di menti e cervelli e Dietro le formule, i discorsi della logica e della matematica.