Ser21
08-05-2008, 16:29
Esposto Contrada. No ad archiviazione.
7 maggio 2008
Caltanissetta. La decisione è del Gip Ottavio Sferlazza che ha rigettato la richiesta di archiviazione della Procura nissena.
L'esposto denuncia di Bruno Contrada, tendente a dimostrare che contro di lui furono dette solo calunnie e falsita', anche da parte di "alcuni collaboratori di giustizia e alcuni appartenenti alle forze dell'ordine'' non verra' archiviato.
E' stata rigettata, infatti, dal gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura nissena del fascicolo aperto dopo l'esposto dell'ex funzionario del Sisde. ''La richiesta di archiviazione formula dal pm - scrive il giudice Sferlazza nell'ordinanza - non puo' allo stato essere accolta, atteso che l'esame degli atti procedurali ha evidenziato l'incompletezza delle indagini sin qui espletate e la conseguente necessita' di ulteriori approfondimenti investigativi''. Per questo motivo il gip ha chiesto al pm di svolgere ulteriori indagini entro 60 giorni. "Compiacimento" per la decisione del giudice e' stato espresso dal legale dell'ex 007 Giuseppe Lipera. ''Continuo a ripetere - dice il penalista - che il tempo e' galantuomo e la verita' e' figlia del tempo. Spero solo che il dottor Contrada sia ancora in vita quando si accertera' la sua piu' totale innocenza. Questo provvedimento del gip di Caltanissetta - conclude - e' solo il primo passo. Tanti avranno di che pentirsi!''.
Saviano: "A volte maledico Gomorra"
7 maggio 2008
Sui legami fra Canada e mafia l’autore ha detto: «Attenzione, non è un problema solo italiano»
«Sarei bugiardo se dicessi che non mi sono mai pentito. Lo riscriverei 100 volte.
Ma molte mattine mi sono svegliato e ho maledetto Gomorra per tutto quello che ha creato. Sono uno scrittore, non un mistico con la vocazione di martire». Roberto Saviano arriva all’Istituto Italiano di Cultura di Toronto con l’auto blu e la scorta, che lo segue ovunque. A 28 anni vive blindato come un pentito. Ma la sua colpa agli occhi della camorra non è aver infranto il loro codice d’onore come i collaboratori di giustizia, ma aver raccontato in un libro, che ha venduto oltre 2 milioni di copie ed è stato tradotto in 43 lingue, come funziona la camorra, anzi il “Sistema” o “Cosa Nuova”.
Cosa l’ha spinta a scrivere un libro su un argomento che ha messo a rischio la sua vita?
«Sono cresciuto in una terra complicata. Quando avevo 16 anni hanno ammazzato il prete del mio paese e nel 2002 la camorra ha ucciso Federico Del Prete, un uomo che aveva più volte denunciato i soprusi dei clan e promosso manifestazioni contro il pizzo. Queste cose mi hanno scavato dentro. Ho scritto Gomorra per rabbia e per ambizione perché speravo di poter cambiare qualcosa».
E cosa è cambiato?
«Sul piano politico niente. Sul piano culturale, invece, sono cambiate due cose. Da una parte le persone si sono sentite stimolate, ora vogliono sapere, pretendono che se ne parli. E dall’altra Gomorra ha rotto la cappa di silenzio che gravava sui media e sulla magistratura, che prima non potevano parlare del loro lavoro e della mafia».
Si aspettava così tanto successo?
«No. All’inizio sono state pubblicate 5000 copie, poi il libro è esploso grazie al passaparola. È il lettore quello che fa la differenza».
Ha mai paura?
«No, ma non perché sono coraggioso, perché sono molto protetto. Sono costantemente sotto scorta da due anni e quando vado a Napoli vivo chiuso in caserma. La cosa che mi pesa di più, però, è aver coinvolto in tutto questo anche la mia famiglia. È un senso di colpa di cui non ti liberi facilmente».
Si dice che la mafia sia ovunque. Secondo lei è anche in Canada?
«Tutto quello che so sul Canada è che ha accolto molti capitali dei cartelli criminali italiani perché l’errore più comune è pensare che la criminalità organizzata sia un problema solo italiano. Non è così: è un problema internazionale».
Cosa si può fare fuori dall’Italia per limitarne l’espansione?
«Intanto smettere di accogliere capitali “sporchi”, poi controllare di più le banche e il settore dell’edilizia. Anche creare una polizia e una giurisprudenza antimafia sarebbe importante».
Quali sono i legami fra mafia e politica in Italia?
«Dopo “Tangentopoli” sono cambiate molte cose. Le mafie locali continuano a scegliere sindaci e assessori, indipendentemente dal partito. A livello nazionale, invece, solo Cosa Nostra sceglie i politici. Gli altri preferiscono influenzare il sistema coi soldi. Per capire in che modo la criminalità organizzata influenza la politica, infatti, io studio le strategie che usano le grandi aziende per influenzare il sistema, per esempio Bmw o General Motors. La mafia funziona allo stesso modo perché è il capitale che determina tutto».
Quindi la mafia è soprattutto un potere economico?
[/B]
«La mafia è il più grande potere economico dell’Italia. Manovra ogni anno 150 miliardi di euro e negli ultimi 30 anni ha ammazzato 10mila persone. Molte più di quante ne siano morte nella Striscia di Gaza».
Riina resta al 41 Bis
7 maggio 2008
Roma. "E' ancora pericoloso". Questa la sentenza della Suprema Corte della Cassazione che conferma il regime di carcere duro.
Totò Riina, il capo dei capi di 'Cosa Nostra', deve rimanere nel penitenziario di Opera in regime di carcere duro. Lo ha deciso la Cassazione che ha negato al capo dei Corleonesi l'istanza del differimento pena, quella di detenzione domiciliare e quella per contestare la proroga del 41/bis decisa con decreto ministeriale del 12 dicembre 2006. In particolare, la Prima sezione penale della Suprema Corte - con la sentenza 18398 depositata oggi - ha dichiarato "inammissibili" tutte le richieste avanzate da Riina e ha confermato il 'no' all'attenuazione del regime detentivo così come stabilito dal Tribunale di sorveglianza di Milano il 12 ottobre 2007. Ad avviso dei giudici di piazza Cavour è ancora attuale "il pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza" rappresentato dal boss che ha una "impressionante biografia penale" e che è "potenzialmente in grado", se scarcerato, di riprendere i contatti con la Mafia. In proposito gli "ermellini" ricordano che le più recenti informative degli organi di polizia hanno evidenziato "la perdurante operatività del sodalizio di appartenenza del Riina (la Mafia siciliana nel suo complesso), tuttora oggetto di indagini diffuse per reati di gravissima rilevanza, sodalizio nel quale il Riina rivestiva un ruolo di vertice assoluto". La Cassazione osserva inoltre che "potenzialmente" Riina, nonostante sia al 41/bis "e tanto più se il carcere duro venisse revocato", sarebbe in grado "di mantenere contatti con la consorteria mafiosa di appartenenza ed anche con quelle altre articolazioni delinquenziali in vario modo ad essa collegate". Il capo della Cupola di 'Cosa Nostra' a sostegno delle sue richieste aveva rappresentato la gravità delle sue condizioni di salute con riferimento ai rischi di infarto e ad un probabile tumore alla prostata. Ma la Cassazione gli ha risposto che le più recenti relazioni mediche sul suo stato di salute "non solo illustravano un quadro stabile e sotto controllo ma, soprattutto, negavano qualsiasi incompatibilità con il regime carcerario in atto".
ANSA
Fonti complessive : http://www.antimafiaduemila.com/
7 maggio 2008
Caltanissetta. La decisione è del Gip Ottavio Sferlazza che ha rigettato la richiesta di archiviazione della Procura nissena.
L'esposto denuncia di Bruno Contrada, tendente a dimostrare che contro di lui furono dette solo calunnie e falsita', anche da parte di "alcuni collaboratori di giustizia e alcuni appartenenti alle forze dell'ordine'' non verra' archiviato.
E' stata rigettata, infatti, dal gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura nissena del fascicolo aperto dopo l'esposto dell'ex funzionario del Sisde. ''La richiesta di archiviazione formula dal pm - scrive il giudice Sferlazza nell'ordinanza - non puo' allo stato essere accolta, atteso che l'esame degli atti procedurali ha evidenziato l'incompletezza delle indagini sin qui espletate e la conseguente necessita' di ulteriori approfondimenti investigativi''. Per questo motivo il gip ha chiesto al pm di svolgere ulteriori indagini entro 60 giorni. "Compiacimento" per la decisione del giudice e' stato espresso dal legale dell'ex 007 Giuseppe Lipera. ''Continuo a ripetere - dice il penalista - che il tempo e' galantuomo e la verita' e' figlia del tempo. Spero solo che il dottor Contrada sia ancora in vita quando si accertera' la sua piu' totale innocenza. Questo provvedimento del gip di Caltanissetta - conclude - e' solo il primo passo. Tanti avranno di che pentirsi!''.
Saviano: "A volte maledico Gomorra"
7 maggio 2008
Sui legami fra Canada e mafia l’autore ha detto: «Attenzione, non è un problema solo italiano»
«Sarei bugiardo se dicessi che non mi sono mai pentito. Lo riscriverei 100 volte.
Ma molte mattine mi sono svegliato e ho maledetto Gomorra per tutto quello che ha creato. Sono uno scrittore, non un mistico con la vocazione di martire». Roberto Saviano arriva all’Istituto Italiano di Cultura di Toronto con l’auto blu e la scorta, che lo segue ovunque. A 28 anni vive blindato come un pentito. Ma la sua colpa agli occhi della camorra non è aver infranto il loro codice d’onore come i collaboratori di giustizia, ma aver raccontato in un libro, che ha venduto oltre 2 milioni di copie ed è stato tradotto in 43 lingue, come funziona la camorra, anzi il “Sistema” o “Cosa Nuova”.
Cosa l’ha spinta a scrivere un libro su un argomento che ha messo a rischio la sua vita?
«Sono cresciuto in una terra complicata. Quando avevo 16 anni hanno ammazzato il prete del mio paese e nel 2002 la camorra ha ucciso Federico Del Prete, un uomo che aveva più volte denunciato i soprusi dei clan e promosso manifestazioni contro il pizzo. Queste cose mi hanno scavato dentro. Ho scritto Gomorra per rabbia e per ambizione perché speravo di poter cambiare qualcosa».
E cosa è cambiato?
«Sul piano politico niente. Sul piano culturale, invece, sono cambiate due cose. Da una parte le persone si sono sentite stimolate, ora vogliono sapere, pretendono che se ne parli. E dall’altra Gomorra ha rotto la cappa di silenzio che gravava sui media e sulla magistratura, che prima non potevano parlare del loro lavoro e della mafia».
Si aspettava così tanto successo?
«No. All’inizio sono state pubblicate 5000 copie, poi il libro è esploso grazie al passaparola. È il lettore quello che fa la differenza».
Ha mai paura?
«No, ma non perché sono coraggioso, perché sono molto protetto. Sono costantemente sotto scorta da due anni e quando vado a Napoli vivo chiuso in caserma. La cosa che mi pesa di più, però, è aver coinvolto in tutto questo anche la mia famiglia. È un senso di colpa di cui non ti liberi facilmente».
Si dice che la mafia sia ovunque. Secondo lei è anche in Canada?
«Tutto quello che so sul Canada è che ha accolto molti capitali dei cartelli criminali italiani perché l’errore più comune è pensare che la criminalità organizzata sia un problema solo italiano. Non è così: è un problema internazionale».
Cosa si può fare fuori dall’Italia per limitarne l’espansione?
«Intanto smettere di accogliere capitali “sporchi”, poi controllare di più le banche e il settore dell’edilizia. Anche creare una polizia e una giurisprudenza antimafia sarebbe importante».
Quali sono i legami fra mafia e politica in Italia?
«Dopo “Tangentopoli” sono cambiate molte cose. Le mafie locali continuano a scegliere sindaci e assessori, indipendentemente dal partito. A livello nazionale, invece, solo Cosa Nostra sceglie i politici. Gli altri preferiscono influenzare il sistema coi soldi. Per capire in che modo la criminalità organizzata influenza la politica, infatti, io studio le strategie che usano le grandi aziende per influenzare il sistema, per esempio Bmw o General Motors. La mafia funziona allo stesso modo perché è il capitale che determina tutto».
Quindi la mafia è soprattutto un potere economico?
[/B]
«La mafia è il più grande potere economico dell’Italia. Manovra ogni anno 150 miliardi di euro e negli ultimi 30 anni ha ammazzato 10mila persone. Molte più di quante ne siano morte nella Striscia di Gaza».
Riina resta al 41 Bis
7 maggio 2008
Roma. "E' ancora pericoloso". Questa la sentenza della Suprema Corte della Cassazione che conferma il regime di carcere duro.
Totò Riina, il capo dei capi di 'Cosa Nostra', deve rimanere nel penitenziario di Opera in regime di carcere duro. Lo ha deciso la Cassazione che ha negato al capo dei Corleonesi l'istanza del differimento pena, quella di detenzione domiciliare e quella per contestare la proroga del 41/bis decisa con decreto ministeriale del 12 dicembre 2006. In particolare, la Prima sezione penale della Suprema Corte - con la sentenza 18398 depositata oggi - ha dichiarato "inammissibili" tutte le richieste avanzate da Riina e ha confermato il 'no' all'attenuazione del regime detentivo così come stabilito dal Tribunale di sorveglianza di Milano il 12 ottobre 2007. Ad avviso dei giudici di piazza Cavour è ancora attuale "il pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza" rappresentato dal boss che ha una "impressionante biografia penale" e che è "potenzialmente in grado", se scarcerato, di riprendere i contatti con la Mafia. In proposito gli "ermellini" ricordano che le più recenti informative degli organi di polizia hanno evidenziato "la perdurante operatività del sodalizio di appartenenza del Riina (la Mafia siciliana nel suo complesso), tuttora oggetto di indagini diffuse per reati di gravissima rilevanza, sodalizio nel quale il Riina rivestiva un ruolo di vertice assoluto". La Cassazione osserva inoltre che "potenzialmente" Riina, nonostante sia al 41/bis "e tanto più se il carcere duro venisse revocato", sarebbe in grado "di mantenere contatti con la consorteria mafiosa di appartenenza ed anche con quelle altre articolazioni delinquenziali in vario modo ad essa collegate". Il capo della Cupola di 'Cosa Nostra' a sostegno delle sue richieste aveva rappresentato la gravità delle sue condizioni di salute con riferimento ai rischi di infarto e ad un probabile tumore alla prostata. Ma la Cassazione gli ha risposto che le più recenti relazioni mediche sul suo stato di salute "non solo illustravano un quadro stabile e sotto controllo ma, soprattutto, negavano qualsiasi incompatibilità con il regime carcerario in atto".
ANSA
Fonti complessive : http://www.antimafiaduemila.com/