DonaldDuck
28-04-2008, 08:17
http://www.corriere.it/politica/08_aprile_28/pressing_dalemiano_ora_rompiamo_con_di_pietro_7bda2dd6-14e9-11dd-805d-00144f02aabc.shtml
Il ministro degli Esteri: aprire all’Udc, riallacciare con la sinistra
Pressing dalemiano su Veltroni: ora rompiamo con Di Pietro
ROMA—Non è sul risultato di Roma che Walter Veltroni si gioca il "posto di lavoro". Ma certamente con un successo il leader del Pd avrà maggiore possibilità di far valere la sua proposta sui capigruppo (riconferma di Finocchiaro e Soro fino al 2009) e di contrastare l’offensiva di chi vorrebbe vederlo disoccupato tra un annetto. E allora chissà se ieri anche il segretario del Partito democratico nutriva le stesse speranze dell’onorevole Renzo Lusetti. Il deputato pd per augurare la vittoria a Rutelli ha trasformato lo slogan veltroniano "yes we can", in «yes, week end», puntando sull’assenteismo del centrodestra, grazie al ponte lungo del 25 aprile. Roma o non Roma, per Veltroni le difficoltà sono molte. Non c’è solo il problema dei capigruppo (di cui si parlerà oggi in un "caminetto", prima, e in un’assemblea dei parlamentari del Pd, dopo). Anche se quella è una grana non da poco.
Infatti, se Bersani dovesse spuntarla, il segretario dovrebbe vedersela con Fassino, che aveva accettato la proposta di una riconferma "a tempo determinato" del tandem Soro-Finocchiaro. Ma se i giochi si riaprissero, difficilmente l’ex leader ds farebbe passare sotto silenzio il fatto di non essere stato nemmeno preso in considerazione per il posto di capogruppo. In questo caso solo la vicepresidenza del Senato a Fassino eviterebbe ulteriori tensioni. Ma capigruppo a parte, in gioco è la strategia di Veltroni, giudicata fallimentare da una parte del Pd. Quel che Fassino dice con pacatezza («Bisogna discutere seriamente per ricostruire la strategia del Pd»), altri ripetono con parole e toni assai più duri. Intanto i dalemiani già all’inizio di questa settimana sferreranno un’offensiva per mettere in dubbio l’opportunità dell’alleanza con il movimento di Antonio Di Pietro. Secondo quest’area del Pd, infatti, il rapporto con l’ex pubblico ministero di Mani Pulite mette a repentaglio la costruzione di un canale di comunicazione con l’Udc.
Del resto, è stato lo stesso Di Pietro a dire all’Espresso che non intende certo collaborare con tutti gli esponenti del partito di Casini. E se il Pd la pensasse diversamente, ha aggiunto, questo «sarebbe un colpo mortale per la nostra alleanza». Ed è sul rapporto con l’Udc (e non solo) che si basa la strategia di Massimo D’Alema. Il che spiega perché certi suoi sostenitori vogliano rompere l’alleanza con Di Pietro. Senza contare il fatto che i "fans" del ministro degli Esteri sono anche convinti che Italia dei Valori abbia preso tutti quei voti grazie all’accordo elettorale stretto con il Pd. Se si fosse presentata da sola, invece, avrebbe ottenuto minori consensi e, magari, com’è capitato ad altre forze, non avrebbe avuto neanche un rappresentante in Parlamento. Questi sono i discorsi dei dalemiani, naturalmente, perché il leader, invece, guarda ben più in là, al futuro e alle nuove possibili strategie politiche.
Il ragionamento che va facendo in questi giorni il ministro degli Esteri è questo: siamo stretti, non abbiamo abbastanza spazio per tessere nuove alleanze e invece è proprio quello che dovremmo fare, con l’Udc, ma sarebbe il caso di riallacciare i rapporti anche con la sinistra. Quella di D’Alema non sarà una critica esplicita alla gestione della linea politica del Pd veltroniano, ma poco ci manca... Dire che la situazione del Partito democratico è complicata è quindi un eufemismo. Come se non bastasse, i radicali sono in agitazione. Non si sono ancora iscritti al gruppo unico con il Pd (e chissà se Veltroni, per evitare altri guai, non preferisca la loro non adesione). In più nella campagna elettorale romana si sono distinti dal Partito democratico.
Lo hanno fatto con un’intervista della segretaria Rita Bernardini al "Secolo d’Italia" in cui si definiva «profondamente sbagliata» la criminalizzazione fatta dal Pd ai danni di Gianni Alemanno e del suo passato fascista. Insomma, i problemi sembrano affastellarsi l’uno sull’altro. E Veltroni, di fronte all’offensiva dei suo avversari interni, dovrà decidere se siglare l’armistizio con D’Alema o andare allo scontro.
Maria Teresa Meli
28 aprile 2008
Il ministro degli Esteri: aprire all’Udc, riallacciare con la sinistra
Pressing dalemiano su Veltroni: ora rompiamo con Di Pietro
ROMA—Non è sul risultato di Roma che Walter Veltroni si gioca il "posto di lavoro". Ma certamente con un successo il leader del Pd avrà maggiore possibilità di far valere la sua proposta sui capigruppo (riconferma di Finocchiaro e Soro fino al 2009) e di contrastare l’offensiva di chi vorrebbe vederlo disoccupato tra un annetto. E allora chissà se ieri anche il segretario del Partito democratico nutriva le stesse speranze dell’onorevole Renzo Lusetti. Il deputato pd per augurare la vittoria a Rutelli ha trasformato lo slogan veltroniano "yes we can", in «yes, week end», puntando sull’assenteismo del centrodestra, grazie al ponte lungo del 25 aprile. Roma o non Roma, per Veltroni le difficoltà sono molte. Non c’è solo il problema dei capigruppo (di cui si parlerà oggi in un "caminetto", prima, e in un’assemblea dei parlamentari del Pd, dopo). Anche se quella è una grana non da poco.
Infatti, se Bersani dovesse spuntarla, il segretario dovrebbe vedersela con Fassino, che aveva accettato la proposta di una riconferma "a tempo determinato" del tandem Soro-Finocchiaro. Ma se i giochi si riaprissero, difficilmente l’ex leader ds farebbe passare sotto silenzio il fatto di non essere stato nemmeno preso in considerazione per il posto di capogruppo. In questo caso solo la vicepresidenza del Senato a Fassino eviterebbe ulteriori tensioni. Ma capigruppo a parte, in gioco è la strategia di Veltroni, giudicata fallimentare da una parte del Pd. Quel che Fassino dice con pacatezza («Bisogna discutere seriamente per ricostruire la strategia del Pd»), altri ripetono con parole e toni assai più duri. Intanto i dalemiani già all’inizio di questa settimana sferreranno un’offensiva per mettere in dubbio l’opportunità dell’alleanza con il movimento di Antonio Di Pietro. Secondo quest’area del Pd, infatti, il rapporto con l’ex pubblico ministero di Mani Pulite mette a repentaglio la costruzione di un canale di comunicazione con l’Udc.
Del resto, è stato lo stesso Di Pietro a dire all’Espresso che non intende certo collaborare con tutti gli esponenti del partito di Casini. E se il Pd la pensasse diversamente, ha aggiunto, questo «sarebbe un colpo mortale per la nostra alleanza». Ed è sul rapporto con l’Udc (e non solo) che si basa la strategia di Massimo D’Alema. Il che spiega perché certi suoi sostenitori vogliano rompere l’alleanza con Di Pietro. Senza contare il fatto che i "fans" del ministro degli Esteri sono anche convinti che Italia dei Valori abbia preso tutti quei voti grazie all’accordo elettorale stretto con il Pd. Se si fosse presentata da sola, invece, avrebbe ottenuto minori consensi e, magari, com’è capitato ad altre forze, non avrebbe avuto neanche un rappresentante in Parlamento. Questi sono i discorsi dei dalemiani, naturalmente, perché il leader, invece, guarda ben più in là, al futuro e alle nuove possibili strategie politiche.
Il ragionamento che va facendo in questi giorni il ministro degli Esteri è questo: siamo stretti, non abbiamo abbastanza spazio per tessere nuove alleanze e invece è proprio quello che dovremmo fare, con l’Udc, ma sarebbe il caso di riallacciare i rapporti anche con la sinistra. Quella di D’Alema non sarà una critica esplicita alla gestione della linea politica del Pd veltroniano, ma poco ci manca... Dire che la situazione del Partito democratico è complicata è quindi un eufemismo. Come se non bastasse, i radicali sono in agitazione. Non si sono ancora iscritti al gruppo unico con il Pd (e chissà se Veltroni, per evitare altri guai, non preferisca la loro non adesione). In più nella campagna elettorale romana si sono distinti dal Partito democratico.
Lo hanno fatto con un’intervista della segretaria Rita Bernardini al "Secolo d’Italia" in cui si definiva «profondamente sbagliata» la criminalizzazione fatta dal Pd ai danni di Gianni Alemanno e del suo passato fascista. Insomma, i problemi sembrano affastellarsi l’uno sull’altro. E Veltroni, di fronte all’offensiva dei suo avversari interni, dovrà decidere se siglare l’armistizio con D’Alema o andare allo scontro.
Maria Teresa Meli
28 aprile 2008