dantes76
22-04-2008, 18:01
CON AIR FRANCE VOLANO VIA I CAPITALI STRANIERI
di Giorgio Barba Navaretti 22.04.2008
Il ritiro dell'offerta di Air France su Alitalia pone problemi molto seri alla sopravvivenza della compagnia di bandiera. Ma è soprattutto un'ennesima dimostrazione di come nei confronti dei capitali esteri la nostra sia oramai diventata un'economia di rigetto più che di attrazione. Il caso, con le sue false verità, ricorda al mondo che per applicare un contratto contestato da noi ci vogliono 1.210 giorni contro 331 in Francia e che a ogni Finanziaria si modificano le regole fiscali. Gli investimenti torneranno solo quando le regole del mercato e di chi le governa saranno chiare e certe.
Chi investe rischia, ma chiede regole del gioco chiare e precise. In Italia questa condizione non c’è e perciò i capitali stranieri o non vengono o se ne vanno. Èbene ricordare che nel nostro paese nel 2006 lo stock degli investimenti diretti esteri sul Pil era il 15,9 per cento contro il 38 per cento per la media europea. Negli ultimi cinque anni in Italia sono state fatte 561 nuove operazioni di investimento, contro 1360 in Francia, 727 in Spagna e addirittura 1033 in Polonia.
E con mercati sempre più integrati e l’esplosione geografica della produzione sia di manufatti che di servizi, essere un territorio in grado di attrarre attività dall’estero è un tassello essenziale, imprescindibile per la crescita di un’economia contemporanea.
TRA REALTÀ E SURREALTÀ
Molti si interrogano sulla bassa attrattività del nostro paese e su cosa fare per aumentarla. Questo è un obiettivo che chi governerà l’Italia nei prossimi anni deve per forza mettere al centro della propria agenda. La bandiera dell’italianità sotto cui il prossimo presidente del Consiglio ha deciso di giocare la partita dell’Alitalia non è certo un buon primo passo per segnalare che il nuovo esecutivo intende porsi seriamente il problema di attrarre maggiori investimenti dall’estero.
La rottura della trattativa Air France-Alitalia, non solo pone problemi serissimi alla sopravvivenza della compagnia di bandiera, ma è anche un’ennesima dimostrazione, forse la peggiore negli ultimi tempi, di come nei confronti dei capitali esteri la nostra sia oramai diventata un’economia di rigetto più che di attrazione.
La partita vera in questo caso è stata quella tra la gelida “realtà” dei fatti e dei numeri (la squadra perdente) e la colorata “surrealtà” di scenari impossibili ma venduti per veri (la squadra vincente). Nel modo in cui il “surreale” ha sconfitto il “reale” c’è tutto il dramma della gestione politica della nostra economia.
La “realtà” sta nei numeri dei bilanci Alitalia, in un conto economico che non torna e non può tornare alle attuali condizioni; nel fatto che il problema è soprattutto industriale più che finanziario; nel fatto che solo attraverso una forte alleanza o integrazione con un gruppo straniero è possibile far tornare nuovamente quei conti; nel fatto che un doppio hub a Fiumicino e Malpensa non può funzionare; nel fatto che l’Alitalia è un'azienda che opera sul mercato e che se non ce la fa fallisce o va in amministrazione controllata.
La “surrealtà” invece, alimentata dal ping pong tra le rigidità suicide dei sindacati e la presunta cordata italiana di Berlusconi, sta nel pensare che possa esistere una soluzione alternativa ad Air France che sia meno costosa in termini di occupazione e denaro. Le sinergie e le tasche profonde di Air France avrebbero permesso un piano di ristrutturazione più morbido e investimenti minori di un’eventuale soluzione stand alone. E sicuramente ancora minori di quelli che deriverebbero dal resuscitare Alitalia dalle ceneri di un’amministrazione controllata.
Soprattutto, la surrealtà ha creato l’illusione che in un settore con economie di scala e di network come quello aereo una soluzione nazionale possa essere meglio di una globale.
In questo straordinario malinteso la verità del mercato e delle regole non hanno più significato. Con la farsa finale di 100-150 milioni di soldi dei contribuenti giustificati da motivazioni di ordine pubblico per aggirare il divieto degli aiuti di Stato.
INVESTIMENTI E REGOLE
La perdita di credibilità internazionale del nostro paese prescinde dal comportamento più o meno tignoso di Air France o dalle presunte ragioni industriali che ne hanno motivato l’abbandono. Il caso Air France e le sue false verità semplicemente ricorda al mondo che per applicare un contratto contestato da noi ci vogliono 1.210 giorni contro 331 in Francia; che per costruire un’opera pubblica del valore maggiore di 50 milioni ci vogliono in media undici anni; che a ogni Legge finanziaria vengono modificate le regole fiscali.
Non sarà facile per il nuovo governo rimediare. Gli investimenti torneranno in Italia solo quando ci sarà nuovamente un terreno di gioco in cui le regole del mercato e di chi le governa saranno chiare e certe. Il vantaggio è che le cose da fare sono ovvie. Lo svantaggio è che per farle bisogna avere il coraggio di scontrarsi con i gruppi di interesse, dai sindacati ai più piccoli comuni, che continuano a tenere in scacco l’interesse nazionale.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000381.html
di Giorgio Barba Navaretti 22.04.2008
Il ritiro dell'offerta di Air France su Alitalia pone problemi molto seri alla sopravvivenza della compagnia di bandiera. Ma è soprattutto un'ennesima dimostrazione di come nei confronti dei capitali esteri la nostra sia oramai diventata un'economia di rigetto più che di attrazione. Il caso, con le sue false verità, ricorda al mondo che per applicare un contratto contestato da noi ci vogliono 1.210 giorni contro 331 in Francia e che a ogni Finanziaria si modificano le regole fiscali. Gli investimenti torneranno solo quando le regole del mercato e di chi le governa saranno chiare e certe.
Chi investe rischia, ma chiede regole del gioco chiare e precise. In Italia questa condizione non c’è e perciò i capitali stranieri o non vengono o se ne vanno. Èbene ricordare che nel nostro paese nel 2006 lo stock degli investimenti diretti esteri sul Pil era il 15,9 per cento contro il 38 per cento per la media europea. Negli ultimi cinque anni in Italia sono state fatte 561 nuove operazioni di investimento, contro 1360 in Francia, 727 in Spagna e addirittura 1033 in Polonia.
E con mercati sempre più integrati e l’esplosione geografica della produzione sia di manufatti che di servizi, essere un territorio in grado di attrarre attività dall’estero è un tassello essenziale, imprescindibile per la crescita di un’economia contemporanea.
TRA REALTÀ E SURREALTÀ
Molti si interrogano sulla bassa attrattività del nostro paese e su cosa fare per aumentarla. Questo è un obiettivo che chi governerà l’Italia nei prossimi anni deve per forza mettere al centro della propria agenda. La bandiera dell’italianità sotto cui il prossimo presidente del Consiglio ha deciso di giocare la partita dell’Alitalia non è certo un buon primo passo per segnalare che il nuovo esecutivo intende porsi seriamente il problema di attrarre maggiori investimenti dall’estero.
La rottura della trattativa Air France-Alitalia, non solo pone problemi serissimi alla sopravvivenza della compagnia di bandiera, ma è anche un’ennesima dimostrazione, forse la peggiore negli ultimi tempi, di come nei confronti dei capitali esteri la nostra sia oramai diventata un’economia di rigetto più che di attrazione.
La partita vera in questo caso è stata quella tra la gelida “realtà” dei fatti e dei numeri (la squadra perdente) e la colorata “surrealtà” di scenari impossibili ma venduti per veri (la squadra vincente). Nel modo in cui il “surreale” ha sconfitto il “reale” c’è tutto il dramma della gestione politica della nostra economia.
La “realtà” sta nei numeri dei bilanci Alitalia, in un conto economico che non torna e non può tornare alle attuali condizioni; nel fatto che il problema è soprattutto industriale più che finanziario; nel fatto che solo attraverso una forte alleanza o integrazione con un gruppo straniero è possibile far tornare nuovamente quei conti; nel fatto che un doppio hub a Fiumicino e Malpensa non può funzionare; nel fatto che l’Alitalia è un'azienda che opera sul mercato e che se non ce la fa fallisce o va in amministrazione controllata.
La “surrealtà” invece, alimentata dal ping pong tra le rigidità suicide dei sindacati e la presunta cordata italiana di Berlusconi, sta nel pensare che possa esistere una soluzione alternativa ad Air France che sia meno costosa in termini di occupazione e denaro. Le sinergie e le tasche profonde di Air France avrebbero permesso un piano di ristrutturazione più morbido e investimenti minori di un’eventuale soluzione stand alone. E sicuramente ancora minori di quelli che deriverebbero dal resuscitare Alitalia dalle ceneri di un’amministrazione controllata.
Soprattutto, la surrealtà ha creato l’illusione che in un settore con economie di scala e di network come quello aereo una soluzione nazionale possa essere meglio di una globale.
In questo straordinario malinteso la verità del mercato e delle regole non hanno più significato. Con la farsa finale di 100-150 milioni di soldi dei contribuenti giustificati da motivazioni di ordine pubblico per aggirare il divieto degli aiuti di Stato.
INVESTIMENTI E REGOLE
La perdita di credibilità internazionale del nostro paese prescinde dal comportamento più o meno tignoso di Air France o dalle presunte ragioni industriali che ne hanno motivato l’abbandono. Il caso Air France e le sue false verità semplicemente ricorda al mondo che per applicare un contratto contestato da noi ci vogliono 1.210 giorni contro 331 in Francia; che per costruire un’opera pubblica del valore maggiore di 50 milioni ci vogliono in media undici anni; che a ogni Legge finanziaria vengono modificate le regole fiscali.
Non sarà facile per il nuovo governo rimediare. Gli investimenti torneranno in Italia solo quando ci sarà nuovamente un terreno di gioco in cui le regole del mercato e di chi le governa saranno chiare e certe. Il vantaggio è che le cose da fare sono ovvie. Lo svantaggio è che per farle bisogna avere il coraggio di scontrarsi con i gruppi di interesse, dai sindacati ai più piccoli comuni, che continuano a tenere in scacco l’interesse nazionale.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000381.html