View Full Version : In Paraguay viene eletto l'ex vescovo progressista
blamecanada
21-04-2008, 11:19
Dopo anni di dominio del Partido Colorado in dittatura come in democrazia, sostenitore degl'interessi dei latifondisti e che ha formato una simbiosi clientelistica con lo Stato stesso, viene per la prima volta eletto democraticamente un candidato dell'opposizione: Fernando Lugo, ex vescovo vicino alla teologia della liberazione, e che guida una coalizione che spazia dai socialisti radicali ai liberali progressisti.
Tekojoja! Trionfa Fernando Lugo e l’uguaglianza entra nel dizionario politico in Paraguay
di Gennaro Carotenuto, Lunedì 21 Aprile 2008, 08:49
Lugo Tekojoja vuol dire “uguaglianza” in lingua guaraní, con il castigliano l’altra lingua ufficiale del più remoto paese dell’America latina, che da oggi rientra nella storia. Con il 41% dei voti infatti l’ex-vescovo Fernando Lugo, è da oggi presidente, ed è la prima volta in 196 di storia del Paraguay indipendente che un dirigente dell’opposizione arriva al governo pacificamente.
Ha sconfitto le oligarchie che, con il Partido Colorado che fu di Alfredo Stroessner, il Supremo echeggiato da Augusto Roa Bastos, avevano sempre dominato il paese ma che nella nuova America latina hanno dovuto accettare il trionfo popolare. Nel primo discorso da presidente eletto, Lugo ha detto che i suoi hanno dimostrato che “anche i piccoli possono vincere” e (riprendendo lo slogan del Venezuela bolivariano) che “il Paraguay adesso è di tutti”.
Tutte le volte che ha alzato la testa nella storia il Paraguay è stato castigato, castigato dai vicini nel nome di un impero. A metà ‘800, quando era forse il più avanzato industrialmente tra tutti i paesi del continente, la Banca di Londra pagò la Tripla Alleanza di Argentina, Brasile e Uruguay perchè distruggesse quella strana esperienza di sostituzione d’importazione in un continente obbligato a importare tutto dall’Inghilterra, l’impero dell’epoca. Si fermarono solo quando ebbero sterminato il 70% degli uomini adulti, laddove per uomini adulti si contavano anche i bimbi di 15 anni.
Negli anni ‘30 del ‘900 accadde di nuovo. Standard Oil e Shell indussero i governi di Bolivia e Paraguay alla guerra fraticida e 85.000 nativi americani (boliviani e paraguayani) persero la vita per una guerra decisa a Wall Street. Poi venne Alfredo Stroessner, dittatore dal 1954 all’89, e non fu un caso che proprio Asunción diventasse il centro operativo del Piano Condor, il piano di sterminio contro i movimenti popolari e la società civile latinoamericana propedeutico all’imposizione del neoliberismo sul continente. Durante la dittatura almeno 30.000 furono uccisi o fatti sparire, centinaia di migliaia arrestati e torturati e un terzo dei paraguayani dovette esiliarsi, soprattutto in Argentina, dove si calcola viva oggi il 18% della popolazione. Il padre di Fernando Lugo fu arrestato venti volte, tre suoi fratelli furono torturati e lui stesso, diventato sacerdote, fu espulso dal paese per i suoi “sermoni sovversivi”.
Finita la dittatura non finì il dominio dell’eterno Partito Colorado, quell’oligarchia transazionale che in nome della proprietà privata dell’uno per cento della popolazione, continua ancora oggi a far detenere a questo il 77% delle terre fertili. Così il Paraguay è divenuto quel che è, con quel 77% di terre nelle mani dell’uno e spiccioli della popolazione. Ha sei milioni di abitanti, dei quali due sono infimamente poveri. Almeno 600.000 bambini vivono in denutrizione che vuol dire non vivere, non avere alcun futuro davanti se nella prima infanzia non hai la fortuna di alimentarti bene. Quasi mezzo milione sono i braccianti senza terra in una terra dove l’agroindustria dà sempre meno lavoro e solo il 20% della popolazione ha accesso a servizi medici di base. E’ la tragedia di una dittatura dimenticata perché si è voluta dimenticare, perché faceva comodo tanto all’agrindustria, come a quella dell’energia idroelettrica dalla quale Lugo vuole ripartire per dare dignità ad un popolo.
Intanto Fernando, che fin dagli anni ‘70 era discepolo di Leónidas Proaño, una delle più lucide menti della Teologia della Liberazione, la Chiesa che sceglie i poveri, era tornato da Roma, e diventato vescovo di San Pedro, un dipartimento pauperrimo dove i paramilitari dei latifondisti bruciano sistematicamente le baracche di qualunque contadino che osi alzare la testa. Ma, forti anche di quel vescovo dei poveri, quei contadini hanno continuato ad alzare la testa, tanto che dopo l’11 settembre 2001, ben 4.000 di questi sono stati considerati “terroristi” e processati secondo le leggi di sicurezza volute da Washington e pedissequamente riprese ad Asunción, e che considerano i movimenti indigeni e contadini latinoamericani come “terroristi”.
8585 Da oggi questa storia comincia a finire. Fernado Lugo, il vescovo divenuto ex per continuare a fare il pastore del suo popolo e per questo criticato aspramente da Joseph Ratzinger, è presidente. Ma non ci si inganni. La coalizione che ha portato Lugo alla presidenza, dalla sinistra dei movimenti ai liberali, con un vicepresidente amico di José María Aznar, è fragile. Molti rischi sono dietro l’angolo e molti passi dovranno essere compiuti. Ma il Paraguay oggi non è isolato come fu al tempo della Triple Alleanza voluta da Londra, o al tempo della guerra del Chaco voluta dai petrolieri, o al tempo del Piano Cóndor, voluto da Washington.
Da domani in Paraguay arriveranno i medici (cubani) a portare salute in un paese dove questa è stata sempre negata, in dittatura come in democrazia, e ci sarà la solidarietà della Patria Grande intera. Quello stare tra i giganti Brasile e Argentina non sarà più una morsa ma un’opportunità. Tanto Cristina che Lula hanno già annunciato che rinegozieranno quei contratti capestro firmati da Stroessner per le due grandi dighe di Itaipù e Yaciretá. E’ una rinegoziazione che permetterà al paese (come succede per il petrolio in Venezuela e il gas in Bolivia) di avere le risorse per finanziare i programmi sociali e la speranza che finalmente un po’ di tekojoja, un po’ di uguaglianza, riporti il Paraguay nella storia e nella Patria grande latinoamericana.
fonte:
Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/2252-tekojoja-trionfa-fernando-lugo-e-luguaglianza-entra-nel-dizionario-politico-in-paraguay)
La notizia si trova un po' in tutti i quotidiani, ma è riportato soltanto come fatto di cronaca senza ulteriori informazioni.
Fernando Lugo, ex vescovo vicino alla teologia della liberazione
Teologia della liberazione? Quella che fu rinnegata come eretica dalla Chiesa qualche decina di anni fa :D
Non vengono qui gli utenti contro l'ateismo "è tutto fuffa" :asd: a dire "SATANAAAAAAAAAAAA"? :D
Varilion
21-04-2008, 11:51
Io sto aspettando quelli che di solito gridano allo scandalo...all'ingerenza etc...:P
Io sto aspettando quelli che di solito gridano allo scandalo...all'ingerenza etc...:P
Io invece aspetto gli altri, pensa un po' te :D
Ziosilvio
21-04-2008, 11:54
Teologia della liberazione? Quella che fu rinnegata come eretica dalla Chiesa qualche decina di anni fa :D
Sarà anche per questo che non è più vescovo? :fiufiu:
EDIT: però è ancora prete, mi sembra di capire...
Sarà anche per questo che non è più vescovo? :fiufiu:
Non esiste il "non più vescovo", un vescovo non può essere "devescovizzato", se non a livello formale (ovviamente se credi nel dio cristiano e nel fatto che i vescovi siano i suoi pastori).
Quindi gli si può togliere il titolo di vescovo, ma non il fatto di esserlo per un credente (un vescovo può sempre ordinare sacerdoti.....eretici come lui ovviamente).
Non esiste il "non più vescovo", un vescovo non può essere "devescovizzato", se non a livello formale (ovviamente se credi nel dio cristiano e nel fatto che i vescovi siano i suoi pastori).
Quindi gli si può togliere il titolo di vescovo, ma non il fatto di esserlo per un credente (un vescovo può sempre ordinare sacerdoti.....eretici come lui ovviamente).
Non sono esperto ma se la gerarchia cattolica lo "devescovizza" non può più ordinare nessun prete.
Non sono esperto ma se la gerarchia cattolica lo "devescovizza" non può più ordinare nessun prete.
Quel prete così ordinato è eretico ovviamente, ma il vescovo può sempre farlo in barda a quello che dice il Vaticano.
Un vescovo è vescovo per sempre.
Non esiste il "non più vescovo", un vescovo non può essere "devescovizzato", se non a livello formale (ovviamente se credi nel dio cristiano e nel fatto che i vescovi siano i suoi pastori).
Quindi gli si può togliere il titolo di vescovo, ma non il fatto di esserlo per un credente (un vescovo può sempre ordinare sacerdoti.....eretici come lui ovviamente).
In questo caso si tratta di una "sospensione" delle funzioni sacerdotali (a divinis), non di una scomunica, nè della privazione del titolo di vescovo. In parole povere, è un vescovo senza poteri.
Nel caso si mettesse ad esercitare sotto sospensione, allora arriverebbe la scomunica.
In questo caso si tratta di una "sospensione" delle funzioni sacerdotali (a divinis), non di una scomunica, nè della privazione del titolo di vescovo. In parole povere, è un vescovo senza poteri.
Nel caso si mettesse ad esercitare sotto sospensione, allora arriverebbe la scomunica.
Ma anche scomunicato lui ha comunque la possibilità di ordinare sacerdoti (eretici) per la sua diocesi.
Ovviamente non verranno riconosciuti, ma questo è ovvio.
Ma anche scomunicato lui ha comunque la possibilità di ordinare sacerdoti (eretici) per la sua diocesi.
Ovviamente non verranno riconosciuti, ma questo è ovvio.
E' falso in alcuni casi. Chi è scomunicato per eresia resta si vescovo, ma è impossibilitato a conferire cariche od ordinare sacerdoti. Le cariche sono insite nell'ordinamento della fede Cattolico Romana, quindi chi viene espulso da quest'ultima perde questa facoltà.
Varilion
21-04-2008, 12:51
Vescovo lo si è per sempre una volta ordinati.
Lugo si è semplicemente dimesso dal proprio incarico di ordinario diocesano per darsi alla politica, facendo ciò si è ovviamente attirato le critiche della Chiesa Romana (che non condivide).
Se si mettesse ad ordinare preti, di sua iniziativa o in qualsiasi modo dar l'idea di voler fare attivamente sia il Presidente, che il Religioso, quasi certamente andrebbe in contro ad una diffida "formale" da parte di Roma...con le conseguenze del caso.
(ma i preti ordinati sarebbero comunque preti, non si tratterebbe comunque di eresia ma di scisma...)
Per il resto..beh ..io gli auguro di avere fortuna nelle sue nuove vesti di presidente e di riuscire a migliorare la situazione del suo povero stato..
(ma i preti ordinati sarebbero comunque preti, non si tratterebbe comunque di eresia ma di scisma...)
Lo scisma implica un'espulsione, quindi i preti ordinati da un vescovo espulso sono considerati tali per il loro titolo, ma non per i loro "poteri".
Per non proseguire off topic, considero la scelta di Lugo lecita e propositiva, mi auguro davvero possa fare del bene per il proprio paese.
(ma i preti ordinati sarebbero comunque preti, non si tratterebbe comunque di eresia ma di scisma...)
Vabbè, ho detto "eresia" per semplificare e perchè qui c'è di mezzo la "Teologia della Liberazione" che non è ben vista dalla Chiesa, cmq hai ragione tu: sarebbe uno scisma :)
blamecanada
22-04-2008, 13:08
IL PARAGUAY ENTRA NELL’ASSE DEL MALE
Gennaro Carotenuto
(22 aprile 2008)
Ad Asunción è bastato eleggere presidente Fernando Lugo, un tranquillo “curato di campagna”, perché anche il Paraguay fosse iscritto d’ufficio nell’ “asse del male latinoamericano”. Lo hanno accusato di tutto, dall’essere delle FARC colombiane, all’essere un burattino nelle mani del venezuelano Hugo Chávez e del cubano Fidel Castro, ma il vescovo, che entrando in politica ha disgustato Joseph Ratzinger, è solo un tassello in più di una foto di famiglia che si ricompone.
A due giorni dal voto di Asunción che ha messo fine a decenni di dominio del Partito Colorado, possono farsi alcune riflessioni importanti.
La prima è che la Teologia della Liberazione, quella che a partire dal Concilio Vaticano II e dal Congresso Eucaristico di Medellin nel 1968, non solo non è stata sconfitta dal feroce wojtylismo degli anni ’80, ma è più che mai un tassello fondamentale di un’idea di America latina dove la chiesa cattolica è in comunione con il proprio popolo, quello dei diseredati e degli esclusi.
La seconda è che il “vento del Sud”, quello dell’integrazione latinoamericana, appare inarrestabile. Dopo il cambio di segno politico in Paraguay, solo la Colombia in maniera netta e Perù e Cile in maniera più sfumata, non guardano all’integrazione latinoamericana come il motore dello sviluppo e della giustizia sociale.
La terza considerazione è quella sull’eterogeneità e fragilità del blocco sociale che ha eletto Fernando Lugo. La macchina dello stato continuerà a stare a lungo nelle mani di una burocrazia nelle mani del Partito stato, quello Colorado, gli appetiti degli “amici di Lugo” da una parte e i bisogni sempre più urgenti di una popolazione alla quale Lugo deve ora concretizzare la speranza, rendono la luna di miele con l’ex-vescovo quanto mai breve.
Quindi –ed è la quarta considerazione- Fernando Lugo, ha bisogno immediato di ottenere risposte dall’integrazione regionale che gli permettano la governabilità di un progetto, il suo, appena abbozzato, nonostante l’ampio successo elettorale. Sta alla lungimiranza di Lula e di Cristina, rispettivamente presidenti del Brasile e dell’Argentina, una rinegoziazione generosa dei patti leonini tracciati tra dittature quarant’anni fa per le due grandi dighe di Itaipù e Yaciretá che possono fornire a Lugo le risorse per iniziare a cambiare un paese preistorico nei rapporti di produzione e futuribile nella modernità neoliberale.
Si conferma così –è la quinta e ultima considerazione- che è nel controllo delle risorse, il gas, il petrolio, l’acqua, il rame, la biodiversità, “la ricchezza della Nazione” e la chiave dell’unico sviluppo possibile, quello giusto ed equilibrato. E’ il ribaltamento di tutti i paradigmi neoliberali imposti dalla modernità occidentale e per questo la modernità occidentale continuerà ad essere nemica giurata del modello di sviluppo integrazionista latinoamericano.
Fonte: latinoamerica (http://www.giannimina-latinoamerica.it/visualizzaNotizia.php?idnotizia=132)
cdimauro
22-04-2008, 13:17
http://it.wikipedia.org/wiki/Oscar_Romero
Per non dimenticare...
blamecanada
22-04-2008, 14:06
Il prete rosso che mira al centro
Fernando Lugo, favorito alle presidenziali che si tengono oggi, descrive il «suo» nuovo Paraguay
Non importeremo modelli e io non sarò né Chavez né Evo né Lula. Ma ci affiancheremo ai progressisti dell'America latina
Maurizio Matteuzzi
Asunción
Monsignor Fernando Lugo, 57 anni, ordinato sacerdote nell'ordine del Verbo divino nel '77, missionario in Ecuador per 5 anni, laureato in «spiritualità e sociologia» alla Pontificia università gregoriana di Roma, nel '94 fu nominato vescovo di San Pedro, la regione più povera del povero Paraguay, e a metà del 2006 annunciò al Vaticano l'intenzione di dimettersi per correre alle presidenziali. Alla fine dell'anno il Vaticano di Ratzinger, che già lo amava poco in quanto reo confesso e praticante della Teologia della liberazione, rispose sospendendolo a divinis. Lui aveva dato vita a un movimento politico, chiamato Tekojoja, che in lingua guaraní più o meno vuol dire «uguaglianza» e faceva proseliti. Una minaccia seria per l'establishment colorado, abituato a trionfare in tutte le elezioni, anche se non come nei 34 anni del dittatore Alfredo Stroessner quando le vinceva «con più del 100% dei voti».
Da allora i suoi nemici gli hanno dichiarato guerra, guerra sporca - non si sa quante amanti e quanti figli sparsi qua e là, legami con le Farc colombiane e con terroristi paraguayani dediti ai sequestri, incitamento alle occupazioni di terre e per ultimo, inevitabile, finanziamenti occulti dal venezuelano Chávez. Ma niente ha - o sembra avere - scalfito la sua presa su una popolazione che non ne può più di 60 anni di colorados, della povertà scandalosa in un paese ricco, della corruzione impudente e istituzionalizzata. Nell'ultimo anno ha moderato la radicalità dei discorsi e il messianesimo dei toni, ha messo in piedi una Alianza patriótica para el cambio che comprende una decina di partiti, dai liberali all'estrema sinistra, e una ventina di movimenti sociali e campesinos. Anche per dover tenere insieme questa eterogeneità - che lui chiama «ricchezza pluralista» -, la sua proposta è abbastanza vaga e può essere definita genericamente di centro-sinistra, anche se lui si considera «di centro». Ma ce n'è abbastanza per suscitare gli incubi dei colorados, per risvegliare il Paraguay dalla sua rassegnata sonnolenza e per affibbiargli l'etichetta di «vescovo rosso».
Dottor Lugo, dicono che lei sarà il Chávez del Paraguay...
«Ho ammirazione e rispetto per il presidente Chávez, un leader forte che ha fatto trasformazioni importanti nel suo paese e ha favorito le masse popolari. Ma ci sono anche molte cose che non condivido. Non vogliamo importare modelli e io non sarò il Chávez paraguayano né l'Evo né il Lula. Sarò il Lugo paraguayano. La pluralità di modelli arricchisce l'America latina. Noi ci affiancheremo, questo sì, a tutti i governi progressisti dell'America latina.
L'accusano di essere un estremista di sinistra, una specie di lupo che si è travestito d'agnello per ragioni elettorali...
Io mi rifaccio all'opzione preferenziale per i poveri che la chiesa ha scelto nelle conferenze episcopali di Puebla e Medellin. Ma la mia opzione per i poveri è pastorale, non è la lotta di classe proposta dalla sinistra politica che porta allo scontro e alla violenza. Molti mi vedono come un uomo di sinistra ma io mi considero di centro, nel senso che voglio essere nel centro del cuore del popolo, e della credibilità che può unire tendenze diverse.
Qual è la sostanza delle sue proposte?
Il punto uno è una riforma agraria integrale per i 300 mila campesinos senza terra, che non sia solo ripartizione di terra ai contadini e agli indigeni, ma formazione, assistenza tecnica, crediti, cooperativizzazione, per creare un modello produttivo differente. Il secondo è una riattivazione economica con equità sociale. Anche in Paraguay le 500 famiglie dell'oligarchia vivono molto bene a spese di una povertà che colpisce più del 50% dei 6 milioni e mezzo di paraguayani e li costringe all'emigrazione, soprattutto i giovani, con effetti sociali devastanti. Il terzo è il recupero dell'istituzionalità della repubblica, a cominciare dal potere giudiziario, perché in questi 60 anni c'è stata l'assoluta identificazione fra il partito unico e lo Stato. Il quarto è un programma di emergenza nazionale, perché il paese si trova in terapia intensiva e ha bisogno di un cambio strutturale, del modello di convivenza, del modello sociale ed economico, del modello di Stato per poter recuperare la sua sovranità nazionale svenduta dalla "rosca mafiosa», la cricca criminale che si è impadronita del Paraguay.
Cosa intende per sovranità nazionale?
Il Paraguay non deve essere solo un paese agricolo, d'allevamento o d'esportazione di risorse naturali, cominciando con l'acqua e il petrolio. Penso a quelle quando parlo di sovranità nazionale.
L'acqua dell'Acuífero Guaraní che è la seconda o terza riserva d'acqua dolce del pianeta e l'energia delle centrali di Itaipú e Yaciretá che il Paraguay per contratto è costretta a vendere solo a Brasile e Argentina e a prezzo non di mercato ma di costo. Lei propone di moltiplicare per 7 il prezzo di vendita ma ciò vuol dire entrare in rotta di collisione con Brasile e Argentina. Per questo si dice che lei non sia il candidato preferito da Lula?
Lula mi ha ricevuto a Brasilia ed è stato molto gentile. Mi è sembrato disponibile a mettere in piedi un tavolo tecnico su Itaipú, non per cambiare il trattato bilaterale ma per rivedere il prezzo di vendita dell'energia. D'altra parte anche Lula si dovrà convincere che il Paraguay non può continuare a essere forse il maggior produttore di energia idrica del mondo e allo stesso tempo quello che la vende al prezzo più stracciato del mondo. E anche se le multinazionali sono ansiose di mettere le mani sull'Acuífero Guaraní, bisognerà che si convincano che quella è una risorsa del Paraguay e parte integrante della sovranità nazionale paraguayana.
Lei parla anche di petrolio. Fin dai tempi della guerra con la Bolivia nel 1932 si parla del petrolio del Chaco, però finora il petrolio non è stato trovato...
Si sente spesso dire che andare a cercare il petrolio paraguayano non è economicamente redditizio. Ma io so che 200 km più in là, in Bolivia, di petrolio ce n'è tanto. In Paraguay tre temi sono tabù. Uno è il finanziamento del terrorismo internazionale nella Tripla frontiera con Brasile e Argentina, l'altro è la presenza di forze militari Usa a Mariscal Estigarribia, nel Chaco, e il terzo è il petrolio. Vogliamo aprire un'investigazione seria, a livello sia nazionale sia internazionale, su tutti tre i temi.
Anche lei pensa a una nazionalizzazione delle risorse energetiche come in Bolivia e Venezuela?
Non vogliamo né il monopolio delle imprese nazionali o trans-nazionali né il monopolio dello Stato. Ma è certo che lo Stato debba avere un peso importante nel controllo e uso delle nostre risorse.
Non c'è contraddizione fra la riforma agraria integrale per i 300 mila campesinos senza terra e l'industria della soia per la produzione degli agro-combustibili che si sta divorando il Paraguay, ormai il terzo o quarto esportatore mondiale, e implica monocoltura da un lato ed espulsioni di mano d'opera agricola dall'altro? Pochi giorni fa l'Onu ha definito il business degli agro-combustibile «un crimini contro i diritti umani»...
Sulla soia abbiamo avviato un discorso con imprenditori brasiliani. In linea di principio non siamo contrari purché siano rispettati alcuni principi fondamentali: il rispetto dell'ambiente, della sovranità alimentare e delle leggi paraguayane.
Papa Ratzinger ha disapprovato la sua decisione di darsi alla politica. Come sono i suoi rapporti con la chiesa?
La disapprovazione del papa mi addolora ma è coerente con il pensiero della teologia dogmatica della chiesa perché non era mai capitato, prima, che un vescovo rinunciasse per darsi alla politica. Io continuo ad andare a messa tutte le domeniche e incontro spesso i miei ex-compagni, con alcuni di loro, anche della gerarchia, mi sento più in sintonia, con altri meno. Io mi sento e sono ancora parte della chiesa.
Elezioni
Il vescovo, la donna e il solito generale
M. M.
Dei tre candidati che oggi, qui in Paraguay, si giocheranno la presidenza - un prete, una donna e un generale - il più «normale» è il terzo, il generale (ora ex) Lino Oviedo. Perché la sua condizione di militare golpista, anche se sempre più demodée, può essere vista ancora come «normale» in America latina e specialmente in Paraguay, il paese più chiuso e isolato - «un'isola circondata dalla terra». In questo senso Oviedo (con il suo trittico «Dio, Patria, Famiglia») è più «normale» di Blanca Ovelar, la candidata del Partido Colorado, la cui «anormalità» non sta tanto nel fatto che propone il «cambio» come non fosse lei l'esponente del partito al potere da 60 anni, quanto che sarebbe la prima donna a diventare presidente in Paraguay.
La vera «anormalità», che per una volta accende le luci della ribalta sul dimenticato Paraguay, è il prete, che è anche il favorito, brogli permettendo. Fernando Lugo non è il primo prete a darsi alla politica - Jean-Bertrand Aristide fu eletto presidente a Haiti nel '91, Ernesto Cardenal fu ministro sandinista in Nicaragua nel '79 -, ma probabilmente è il primo vescovo. Un vescovo della Teologia della liberazione. Quindi «un vescovo rosso», anche se la sua coalizione parte sulla destra dai liberali. Se oggi dovesse vincere sarebbe la fine di un'epoca. I colorados, come i peronisti in Argentina, sono prima ancora che un partito - per quanto partito-Stato - o un'ideologia, un simbolo identitario e fideistico che passa di padre in figlio. Sarebbe la prima volta che perdono dal '47 e la prima volta dal 1811, anno dell'indipendenza, che il passaggio da un governo all'altro avviene senza golpe, guerre civili o rivoluzioni.
Se l'appuntamento è decisivo per il Paraguay, è straordinariamente rilevante anche per l'America latina e non solo. Del Paraguay si parla poco e si conosce ancor meno. Forse perché il saccheggio silenzioso di oggi e quello di domani possano essere meglio garantiti dal silenzio. L'oro blu del secolo XXI, l'acqua dolce dell'Acuífero Guaraní, secondo forse solo all'Amazzonia, l'acqua del Rio Paraná che diviene energia nelle centrali di Itaipú e Yaciretá. E l'oro nero, il petrolio che non fu trovato nella micidiale guerra del Chaco con la Bolivia del 1932 ma che c'è, ci deve essere, e con il barile a 115 dollari sarà finalmente «trovato».
Del Paraguay non si parla e non interessa se ogni giorno 10 bambini con meno di 5 anni muoiono per malattie curabilissime e 1 su 7 è denutrito. Ma si dovrà parlare e interesserà sempre di più (gli americani e le multinazionali) per l'acqua dolce, (i brasiliani e gli argentini) per l'energia e (tutti) per il petrolio del Chaco. Se oggi vincerà Lugo, anche il Paraguay si risveglierà, ultimo in America latina, dal suo lungo torpore e andrà ad affiancarsi ai governi «progressisti»della regione. Lugo dice che non è un «vescovo rosso», che non sarà il Chavez o il Lula paraguayano. Forse gli basterà essere Fernando Lugo, «il vescovo dei poveri».
La grande speranza paraguayana: mettere fine a 60 anni di colorados
Tutto l'apparato dei dipendenti statali mobilitato dal Partito che fu di Stroessner. Ma neppure la guerra sucia è servita contro Lugo
Serena Corsi
Asunción
Al vescovo Fernando Lugo, candidato presidenziale, i paraguayani affidano oggi le speranze della fine di un'epoca: quella del Partido Colorado ininterrottamente al potere da 60 anni. Iniziata nel 1948 con un'impronta ideologica e una retorica molto simili al peronismo della vicina Argentina, l'egemonia colorada ebbe il suo apogeo con il lungo regno del terrore del generale Alfredo Stroessner, dal 1954 al 1989. Da allora una interminabile e incompiuta transizione democratica avvicenda al potere la stessa classe dirigente, in genere complice della dittatura.
Per il Paraguay detronizzare i colorados non significherebbe solo cominciare a fare i conti col passato ma terremotare la ferrea identificazione fra lo Stato e il partito di governo. Oggi, i primi in fila all'apertura dei seggi saranno i 400 mila impiegati pubblici che devono il loro posto di lavoro alla tessera colorada, portati ai seggi dalle centinaia di bus messi a disposizione dal partito (e sottratti al trasporto pubblico). «Non puoi andare a votare alle 7 perchè devi portare tua nonna all'ospedale? Non preoccuparti: noi portiamo la nonna all'ospedale e tu vai a votare», dice l'ex sindaco colorado di Asuncion Enrique Riera per spiegare cosa sia la maquina electoral. Poche settimane fa il quotidiano ABC color ha pubblicato il fac-simile di una scheda distribuita a marzo negli uffici pubblici a tutti gli impiegati: dovevano compilarla con i nomi di almeno 10 amici o parenti pronti a votare per il partito.
Nonostante i voti «garantiti» delle 400 mila famiglie che ruotano intorno al pubblico impiego - una massa elettorale enorme visto che normalmente votano sì e no i due terzi dei 3 milioni di iscritti - e la storica cooptazione dei sindacati e di alcuni movimenti popolari (ad esempio una cospicua fetta di senza-tetto), da mesi i sondaggi danno Lugo in vantaggio di 6 punti sulla candidata governativa Blanca Ovelar e di 10 sull'altro presidenziabile, l'ex-generale Lino Oviedo, oscuro «uomo forte» del paese.
Uno scarto che non si è ridotto nemmeno con l'oscena guerra sucia scatenata contro l'ex-vescovo di San Pedro, accusato di ogni nefandezza e addirittura di preparare la guerriglia in caso di sconfitta.
L'impopolare e sempre più nervoso presidente Nicanor Duarte Frutos è arrivato a dire che fra gli osservatori internazionali arrivati per verificare la legalità del voto (e possibilmente scongiurare i prevedibili brogli colorados) si annidano «agitatori politici» pronti a scatenare il finimondo. L'ha dovuto richiamare a un comportamento più consono, dopo un vivace incontro quattr'occhi, l'ex-ministra degli esteri colombiana Maria Emma Mejìa, responsabile della missione dell'Osa, l'Organizzazione degli Stati americani, noto covo di estremisti.
Più che la frode post-elettorale, difficile per la presenza di tanti occhi estranei e di tanta attenzione mediatica, Lugo dice di temere «la frode pre-elettorale». E per la via «legale» i colorados hanno già fatto di tutto e di più. Nei giorni scorsi si è anche ventilato di chiudere le frontiere per sbarrare la strada, oltre che agli «agitatori stranieri», alle decine di migliaia di emigrati paraguayani che da Argentina, Uruguay e Brasile stanno tornando in Paraguay per votare, e prevedibilmente contro il governo che li ha costretti a emigrare. Il numero della circoscrizioni elettorali è stato portato da 200 a 300 per disperdere i votanti in seggi lontani e tentare di diminuire l'affluenza, considerata un fattore pro-Lugo. Il Tribunale elettorale, come tutto il resto della Giustizia, è colorado.
Scrivere la parola fine sul regime è tremendamente difficile. Ma, con la candidatura di Lugo, qualcosa che sembrava eterno è già finito: il letargo politico in cui il Paraguay ha continuato a languire mentre il resto dell'America latina si risvegliava. Merito dei movimenti sociali, contagiati dai forum di Porto Alegre; merito dei migranti paraguayani che all'estero mettono da parte rimesse da mandare a casa e accumulano coscienza politica; merito anche dell'improvvisa diffusione di internet, che ha rotto in pochi mesi un secolare isolamento; merito, loro malgrado, degli stessi colorados, che dopo 60 anni presentano un paese arretrato, immiserito dalla corruzione e dalla svendita della terra e delle sue risorse.
«Domenica è il giorno della resurrezione - ha detto Lugo chiudendo la campagna elettorale, giovedì sera, nella gremitissima plaza de la Constitucion -.Che questa domenica sia la resurrezione del Paraguay».
Fonte: Il Manifesto
zerothehero
22-04-2008, 18:15
Se è una persona capace, perchè no? :fagiano:
Sawato Onizuka
23-04-2008, 13:03
Inutile chiarire qual è stato il problema principale dell'America Latina negli ultimi tempi ...
(dico solo guardate i numerini dell'AIRE relativi al 2005) :asd:
blamecanada
23-04-2008, 13:18
Altri articoli.
Paraguay in festa, vince il vescovo dei poveri
Valanga di voti per Fernando Lugo, che il 15 agosto riceverà la fascia tricolore dalle mani dell'impopolarissimo presidente uscente, il «colorado» Nicanor Duarte, indicato come capo della «cricca mafiosa», padrona incontrastata del paese dal 1947
Maurizio Matteuzzi
Asunción
Fernando Lugo a valanga. Fra il prete, la donna e il generale nelle elezioni di domenica ha vinto il prete. Anzi il vescovo, perché monsignor Lugo non è più vescovo di San Pedro ma formalmente è ancora un vescovo. La sua domanda di dimissioni al Vaticano per darsi alla politica fu respinta e sul finire del 2006 da Roma arrivò invece la sospensione a divinis. Ora che è stato eletto presidente della Repubblica, il suo destino ecclesiastico è «nelle mani del papa», ha detto monsignor Ignacio Gogorza, il capo della Conferenza episcopale paraguayana.
Ma il cinquantasettenne vescovo della Teologia della liberazione avrà altro a cui pensare, più importante di Ratzinger, a partire dal 15 agosto quando riceverà la fascia tricolore dalle mani dell'impopolarissimo presidente uscente, il colorado Nicanor Duarte Frutos, e s'insedierà nel palazzo del Maresciallo López, la sede presidenziale metà a Versailles e metà a Westminster sulla riva del fiume Paraguay.
Dunque l'impensabile è divenuto realtà.
Domenica 20 aprile la Alianza patriótica para el cambio, con Lugo come candidato alla presidenza e Federico Franco - leader del Partido liberal radical auténtico - come vice, ha stravinto. Troppo anche per l'efficiente macchina da brogli dei colorados che si è inceppata prima di tutto per la voglia di cambio dell'elettorato e poi per il lavoro attento di 500 osservatori internazionali e infine per la presenza di centinaia di giornalisti stranieri che hanno reso impossibile ciò che in passato era routine.
L'incertezza è durata poco, domenica. Alle 4 del pomeriggio si sono chiusi i seggi, dopo pochi minuti tutti i sondaggi a boca de urna, come si chiamano qui gli exit polls, davano Lugo in testa, seguito a 4-5 punti dal Blanca Ovelar, l'ex-maestra rurale e ministro dell'istruzione imposta da Duarte Frutos, e molto più indietro Lino Oviedo, l'ex-generale golpista. Dopo un'ora o poco più i primi risultati ufficiali effettivi confermavano e anzi ampliavano il trend. L'altissima (per qui) partecipazione al voto, 65% dei 2.8 milioni di elettori, si confermava un fattore in favore di Lugo. La sede del movimento Tekojoja, dove Lugo aveva il suo quartier generale, non si poteva trattenere nonostante gli inviti alla prudenza, quella dei colorados cominciava a svuotarsi, mentre nelle strade della sonnacchiosa Asunción si scatenava un chiassoso inferno che sarebbe durato tutta la notte e il rumore dei petardi si faceva assordante. Alle 7 e mezzo del pomeriggio Lugo si presentava alla sua prima conferenza stampa da «presidente virtuale», un'ora dopo Oviedo riconosceva la sua vittoria e si diceva pronto «a collaborare», alle 8.45 toccava a Blanca Ovelar ammettere «l'irreversibilità» dei risultati e alle 9.45 al vero sconfitto Nicanor Duarte, che elogiava la «festa della democrazia». Il risultato finale dava a Lugo 700 mila voti e il 40.8%, a Blanca 530 mila voti e il 30.7%, a Oviedo 379 mila voti e il 21.9%.
Come diceva poi Lugo nel primo intervento da presidente non più solo virtuale, di fronte alla folla riunita davanti al Panteon nazionale: «voi siete i colpevoli dell'allegria della maggior parte del popolo paraguayano». Ma se il «colpevole» dell'allegria è stato il popolo elettore, il colpevole della bruciante sconfitta colorada è stato il presidente Duarte Fruto.
È lui, più volte indicato per nome e cognome durante la campagna elettorale da Lugo e dai principali media paraguayani (non certo sospettabili di simpatie di sinistra) come il capo della «cricca mafiosa» padrona del paese, che passerà alla storia come il primo presidente colorado a perdere un'elezione, il primo presidente colorado a perdere un'egemonia che durava incontrastata e incontrastabile dal 1947. A parte tutto il resto, si era alienato l'appoggio di mezzo partito imponendo con delle primarie che in assenza di controlli esterni avevano fatto gridare alla frode, la sua candidata Blanca Ovelar dichiarata vincitrice per un pelo su quello che sembrava il favorito indiscusso (e l'uomo dell'ambasciata Usa), l'ex vice-presidente di Duarte Frutos, Luis Castiglioni. Che da allora si è messo in sciopero e domenica a seggi ancora aperti ha dichiarato alla tv che a partire da subito si sarebbe rimesso in corsa per la leadership alla testa della sua corrente, Vanguardia colorada, contro la «cricca mafiosa». La sera Duarte Frutos gli ha dato del «traditore».
Blanca Ovelar, dignitosa nella sconfitta, non sarà così la prima donna a diventare presidente del Paraguay e ha fallito l'intento di andare ad aggiungersi all'onda rosa che in Cile e Argentina ha portato Michelle Bachelet e Cristina Fernandez alla presidenza della repubblica.
Il compito di Lugo non si presenta facile. Le aspettative che ha saputo suscitare, se gli hanno garantito il trionfo, lo caricano di una responsabilità enorme. Lui era il candidato «dei poveri e degli esclusi», dei movimenti sociali, dei campesinos senza terra, degli indigeni senza niente. Oltre tutto la sua coalizione è molto variegata e frastagliata e va dalla destra moderata - il Plra del vicepresidente, grosso modo il corrispettivo dell'Unione civica radicale rispetto al peronismo in Argentina - ai socialdemocratici, fino all'estrema sinistra che grazie all'onda sollevata da Lugo mette piede in parlamento. I liberali, l'avversario centenario e storico dei colorados, hanno avuto l'intelligenza politica di cogliere la novità-Lugo e rinunciare a una propria candidatura presidenziale, ma di certo come il partito più strutturato della coalizione di governo, cercheranno di condizionarlo il più possibile. Ma sanno che ancora una volta non avrebbero vinto se non ci fosse stato Fernando Lugo. E anche Lugo lo sa.
Il nuovo presidente
Le reazioni del continente
Argentina, Cristina Kirchner: «Grazie a Lei, giustizia sociale».
La presidenta dell'Argentina Cristina Kirchner - in visita ufficiale in Ecuador - ha inviato un messaggio al neoletto presidente paraguayano Fernando Lugo per testimoniargli l'appoggio del suo governo: «L'America latina - ha detto - attraversa una nuova stagione, non solo per la rivendicazione dei valori democratici e il rispetto dei diritti umani, ma anche per il riconoscimento della necessità di lavorare per i diritti sociali dei più svantaggiati. Sono convinta - ha aggiunto - che grazie a lei il Paraguay imboccherà la strada della giustizia sociale».
Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva: «Complimenti per la vittoria»
Dal Ghana, dove sta partecipando a una conferenza dell'Onu, il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva ha inviato in Paraguay un telegramma di felicitazioni all'ex vescovo di San Pedro, Lugo, in attesa di potergli telefonare «appena a casa». Davanti alle telecamere, ha detto scherzando: «Se stai guardando la televisione, complimenti per la vittoria». Parlando con i giornalisti, però, Lula è tornato su uno dei punti di frizione fra i due paesi, oggetto della campagna elettorale di Lugo, la diga di Itaputu (circa un quinto del fabbisogno energetico del Brasile): i termini del contratto per le forniture elettriche provenienti dalla diga - ha detto Lula - «rimarranno invariati».
Venezuela, Hugo Chávez Frías: «Incontramoci per l'Unasur»
Da Caracas, il presidente del Venezuela Hugo Chávez ha telefonato a Lugo congratulandosi per «l'andamento impeccabile della giornata democratica» e per rendere omaggio «all'eroica storia del popolo paraguaiano, erede della memoria del maresciallo Francisco Solano Lopez». A partire da quella storia e nell'interesse presente «dei due popoli», Chávez ha anche rivolto all'omologo paraguaiano l'invito a potersi incontrare prima possibile per mettere in campo progetti comuni, in special modo la già avviata costruzione dell'Unione delle nazioni del Sudamerica (Unasur).
Bolivia, Evo Morales: «dignità ai popoli indigeni»
Telefonate di congratulazioni al neoeletto Lugo sono arrivate, tra l'altro, anche dai presidenti del Cile, dell'Ecuador e dell'Uruguay, ma il primo ad avere con lui una lunga conversazione telefonica nella mattinata di ieri è stato il presidente della Bolivia Evo Morales. Per molti commentatori, la «dignità delle popolazioni indigene» - uno dei temi portanti della campagna elettorale di Lugo - è stata al centro della conversazione e costituirà motivo di una prossima reciproca consonanza.
Schiaffo a Ratzinger, la rivincita dei teologi della liberazione
Serena Corsi
Asunción
«Adesso sta al papa, e solo a lui, decidere che fare col caso di Fernando Lugo. Nel diritto canonico non ci sono accenni al riguardo» dice, commentando il risultato delle elezioni, il presidente della Conferenza episcopale paraguayana Ignacio Gogorza. Un po' come dire: non vorrei essere nei suoi panni.
Joseph Ratzinger aveva deciso di negare al vescovo Fernando Lugo la «riduzione allo stato laicale», assecondando così l'esplicita richiesta dei colorados - e dello stesso presidente Duarte Frutos, recatosi in Vaticano nel dicembre scorso - che speravano in questo modo di impedirne la candidatura.
Una decisione, quella della Santa sede, presa quando ancora nessuno credeva veramente che il vescovo di San Pedro sarebbe andato fino in fondo, e che ora ritorna come un boomerang, reso ancor più tagliente dalla dichiarata vicinanza di Fernando Lugo alla Teologia della liberazione.
La corrente fu condannata dalla gerarchia ecclesiastica nel 1984, quando la Congregazione della dottrina della fede, presieduta dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, salvò le apparenze ratificando l' «opzione preferenziale per i poveri» scelta dalla chiesa a Puebla e Medellin, ma la condannò nel principio cardine secondo cui la redenzione è possibile solo attraverso l'impegno sociale (come aveva sostenuto, fra gli altri, il teologo brasiliano Leonardo Boff nel suo Chiesa, Carisma e Potere che gli costò l'espulsione).
Un principio a cui è impossibile non pensare adesso che un vescovo si mette a fare il presidente della repubblica.
Difficile, per la Santa sede, fingere di non sapere che l'equipe di Lugo è formata in buona parte da francescani, alcuni ancora in seno alla chiesa, altri usciti «da sinistra», ma tutti fondamentali per contrastare, con il credito di cui godono presso le comunità ecclesiali paraguayane, gli effetti della feroce campagna sporca scatenata dal governo contro il vescovo.
Non è un caso che domenica, quando il volto sorridente di Lugo veniva trasmesso dalle televisioni del mondo, accanto a lui si scorgeva distintamente Frei Betto, notissimo esponente brasiliano della Teologia della liberazione.
Il Vaticano dovrà fare i conti col fatto che Lugo non ha vinto nononstante il fatto di essere un vescovo ma proprio perché lo è, schierandosi sempre a favore delle lotte contadine della sua diocesi di San Pedro, tuonando nei suoi sermoni contro la vergognosa concentrazione della terra - e della ricchezza - in poche mani.
La maggioranza elettorale paraguayana - che è cattolica come nel resto dell'America latina - insieme al benservito ai colorados ha inviato, consapevole o no, anche un duro monito al Vaticano che, preoccupato del flusso incessante di fedeli in rotta verso le sette evangeliche, ha optato per un nuovo marketing che cerca affannosamente di copiare lo stile degli avversari, fra preti-rockstar, ritorno ai catecumeni, improbabili connubi con curatori ciarlatani.
Il voto in massa per Lugo, a dispetto della posizione del Vaticano, rivela com chiarezza cos'è che fa ancora breccia nelle coscienze dei fedeli.
Sarà che i paraguayani sono abituati a essere isolati dal mondo e, pertanto, nel bene e nel male, a fare di testa loro. Sarà che, negli anni della dittatura Stroessner, quelli in cui Lugo prendeva i voti, Wojtyla stringeva la mano a Pinochet mentre molte gerarchie del continente - salvo onorevoli eccezioni - facevano da sponda ai rispettivi dittatori, la chiesa paraguayana si distingueva per essere l'unica opposizione (con permesso di parola) al dittatore.
Sarà che il rapporto fra il Paraguay e il cattolicesimo iniziò con una esperienza originalissima (sia pur controversa) quali furono le reducciones gesuite del secolo XIIX, cancellate da Carlo III di Spagna nel 1767 preoccupato da questo strano esperimento di vita autonoma di gesuiti e indigeni.
Un pezzo di storia di cui nel Paraguay si ha poca memoria, ma di cui la sopravvivenza della lingua guaraní anche nel vocabolario religioso non poteva non lasciare segni e che furono uno dei cardini della decisione di Fernando Lugo di prendere i voti : risanare la ferita indigena.
Nel paese delle missioni gesuite, un vescovo diventa presidente e la prima indigena diventa senatrice nella stessa domenica.
Tutti da Il manifesto
nomeutente
23-04-2008, 16:16
Ora come ora è una buona notizia (anzi, ottima), ma bisogna vedere come andrà avanti la situazione... se sarà un altro Lula (tante speranze, tante delusioni) o se segnerà davvero una svolta.
blamecanada
23-04-2008, 16:52
Ora come ora è una buona notizia (anzi, ottima), ma bisogna vedere come andrà avanti la situazione... se sarà un altro Lula (tante speranze, tante delusioni) o se segnerà davvero una svolta.
Questo è vero, ma se non altro peggio di prima non può andare...
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