PDA

View Full Version : [ MAGISTRATUR ] Il ''caso De Magistris'' e l'indipendenza della magistratura


Ser21
03-04-2008, 13:00
Il ''caso De Magistris'' e l'indipendenza della magistratura


di Felice Lima* - 2 aprile 2008

Abbiamo appreso ieri che il Ministro Scotti ha impugnato la sentenza del C.S.M. nei confronti di Luigi De Magistris, per la parte in cui lo ha assolto...
da alcune delle incolpazioni mossegli.Ho scritto in un lungo articolo pubblicato in questi giorni su Micromega le ragioni per le quali la parte di quella sentenza che mi appare da riformare sia quella della condanna e non certo quella dell’assoluzione.


In attesa di riportare qui tutto quell’articolo, rinvio, per alcune critiche tecniche alla sentenza, agli articoli che possono leggersi nel blog http://toghe.blogspot.com cliccando su questo link , oppure sulla voce “De Magistris: la sentenza disciplinare e i commenti tecnici” nell’indice per temi che c’è a metà della sidebar di destra della homepage.
Quello che mi preme dire adesso è che in questi giorni, nell’imminenza delle elezioni dei Consigli Giudiziari che si terranno questo fine settimana, tutte le correnti dell’A.N.M., imitando senza neppure accorgersene, nei modi e nei contenuti, i comportamenti dei partiti politici in campagna elettorale, stanno promettendo meraviglie ai magistrati, sciorinando inutili programmi elettorali pieni di nobili intenzioni e sacri valori da difendere (ma solo nei programmi, perché nella realtà li si violenta ogni giorno di più).
Ma, ugualmente a ciò che accade per la politica nazionale, ci sono i fatti, con la loro dolorosa “violenza” a sbugiardare promesse e proclami.
E uno di questi “fatti”, irriducibile come tutti i “fatti”, è il silenzio ostinato di tutti i “magistrati associati” sul merito della sentenza pronunciata dal C.S.M. lo scorso 18 gennaio nei confronti di Luigi De Magistris.
Quella sentenza è un ineludibile punto di discrimine.
Il cosiddetto «caso De Magistris», tradendo le aspettative di chi pensava che, come accaduto altre volte, si sarebbe potuta “liquidare la pratica” nella disattenzione generale, con un ingiusto marchio di infamia sul collega, è destinato a “lasciare il segno” dentro la magistratura e fuori, perché ha fatto emergere in maniera clamorosa alcune inaccettabili contraddizioni che minano, ormai sembra irreversibilmente, la credibilità dell’autogoverno della magistratura, sia sotto il profilo istituzionale (Consiglio Superiore della Magistratura) che sotto quello associativo (Associazione Nazionale Magistrati).
Per comprendere cosa è accaduto, occorre partire dalla situazione della Calabria, meravigliosa regione del Meridione afflitta da un grave ritardo di sviluppo, da una gravissima crisi di legalità e (in rapporto di effetto e causa) da una giustizia decisamente – e purtroppo, forse, volutamente – inefficiente, nonostante l’impegno di tanti magistrati che si spendono con coraggio e senza risparmio.
La misura del problema è data dal dato statistico che emerge dall’ultimo libro di Piercamillo Davigo (“La corruzione in Italia, percezione sociale e controllo penale”), secondo il quale le condanne definitive per concussione intervenute nel distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria tra il 1983 e il 2002 (ben 19 anni!!) sono una e quelle per corruzione sono due!
In pratica, o a Reggio Calabria non c’è la corruzione (!?) o la magistratura non la vede.
In questo contesto è arrivato un onesto magistrato napoletano (Luigi De Magistris, appunto), che si è messo a lavorare e ha avviato diverse inchieste per fatti molto gravi che coinvolgono magistrati, politici e imprenditori.

Come ho già detto, questo magistrato non è certamente l’unico che si è impegnato con coraggio e generosità in Calabria, sicché la sua storia non deve essere utilizzata per delegittimare indiscriminatamente tutti i magistrati calabresi.
Ma resta una storia emblematica, sicché neppure i magistrati calabresi per bene devono negare (come alcuni hanno fatto) l’evidenza dei fatti che da essa emergono.
All’avvio delle indagini di De Magistris, immediatamente un gruppo eterogeneo ma molto coeso di persone “controinteressate” alle stesse (magistrati, politici, imprenditori) si è adoperato in ogni modo per fermare il nostro collega e alcuni hanno chiesto a gran voce pubblicamente alla procura generale della Cassazione e al C.S.M. di fermare quel magistrato, punirlo e cacciarlo.
E la cosa è già in sé molto preoccupante, perché sviluppa ulteriormente la prassi eversiva dell’ordine democratico per la quale nel nostro Paese le persone a vario titolo “potenti” non si difendono «nel» processo, ma «dal» processo.

Ordinariamente, le inchieste finiscono o con una archiviazione o con un rinvio a giudizio (e in questo secondo caso i rinviati a giudizio hanno modo di difendersi nel processo).
Alcune delle inchieste di De Magistris hanno avuto un terzo tipo di esito: sono state fermate o “dirottate”.
E in questo senso è andata – nei fatti e indipendentemente dalle intenzioni che li muovevano – l’attività di tanti, che, ciascuno per quanto di competenza, hanno concretamente ostacolato le indagini.

E, altra cosa di notevole rilievo, molti di costoro sono magistrati!
Ci sono state così (fra l’altro e non solo):

1) fughe di notizie;

2) campagne di stampa denigratorie e diffamatorie contro il magistrato inquirente;

3) interpellanze parlamentari a decine;

4) ispezioni ministeriali numerose e pluriennali;

5) una revoca di assegnazione da parte del procuratore capo;

6) una avocazione definita pubblicamente dall’autorevole collega Antonio Ingroia “impensabile”, priva di fondamento giuridico e attuata con modalità che preoccupano non poco.

Alla fine di tutto questo, la Procura Generale della Cassazione e il Consiglio Superiore della Magistratura hanno fatto, nella sostanza, ciò che veniva loro chiesto dai “controinteressati alle indagini”.
La Procura Generale ha formulato contro Luigi De Magistris moltissime incolpazioni disciplinari e il C.S.M. lo ha condannato e trasferito all’esito di un processo lampo durato un mese (iniziato con la notifica dell’incolpazione a metà dicembre del 2007 e finito con la pronuncia della sentenza il 18 gennaio 2008).
Va aggiunto anche che la procura generale ha formulato a carico di Luigi De Magistris molte incolpazioni dichiarate infondate dallo stesso C.S.M. e qualcuna addirittura nulla, per la palese indeterminatezza degli addebiti (penso a quelle contraddistinte nella sentenza con le lettere «I» ed «M»), con un accanimento che sarebbe stato giudicato certamente in maniera molto negativa se posto in essere da un altro pubblico ministero nei confronti di un qualunque indagato.

Così stando le cose, la sentenza della sezione disciplinare è, come ho detto, l’elemento di discrimine di tutta la storia.
Perché se quella sentenza fosse, non dico condivisibile, ma almeno difendibile, allora si potrebbe ipotizzare che la coincidenza fra desideri dei “controinteressati alle indagini” e azione della Procura Generale e del C.S.M. sia stata puramente casuale.
Ma se la sentenza fosse tecnicamente non difendibile, allora le conclusioni da trarre sarebbero altre e molto gravi.
Perché bisognerebbe prendere atto che la Procura Generale e il C.S.M., anziché difendere l’indipendenza dei magistrati e l’imparzialità della giurisdizione, avrebbero finito nei fatti per danneggiarle gravemente.
L’analisi tecnica della sentenza che abbiamo proposto negli scritti del blog che ho citato sopra e nell’articolo di Micromega, al quale rinvio, inducono a ritenere non solo che la sentenza è tecnicamente ben poco convincente, ma che molti passaggi della motivazione (penso, fra gli altri, a quelli relativi al capo «E» di incolpazione) appaiono tali da provocare la sensazione che il giudice, più che chiedersi “se” condannare o no De Magistris, possa essersi impegnato a cercare solo “come” condannarlo.

Ciò che mi preme sottolineare ora qui è che, a fronte di tutto questo, la linea di condotta dell’A.N.M. e di tutte le sue correnti (perché, in verità, l’A.N.M. non esiste, essendo solo un “contenitore” delle correnti) è consistita nel:

1) rifiutarsi ostinatamente, a livello centrale, di prendere una qualunque posizione sulla vicenda;

2) emettere, a livello locale, un paio di comunicati palesemente ostili a Luigi De Magistris, isolandolo pubblicamente;

3) quando la Procura Generale e il C.S.M. hanno avviato le loro pratiche, dire che bisognava tacere e attendere la sentenza;

4) quando è stata pronunciata la sentenza, dire che bisognava tacere e attendere la motivazione;

5) quando è arrivata la motivazione, tacere e basta, imboscandosi in un silenzio irreale.

Sono iscritto a tutte le mailing list di tutte le correnti dell’A.N.M. e ho scritto a tutte diverse volte, pregando tutti i colleghi di avere il coraggio e la dignità di prendere una qualsiasi posizione di merito sulla vicenda e sulla sentenza e, per quanto possa sembrare assurdo, NESSUNO mi ha risposto né ha speso alcuna parola sul “caso De Magistris”, che, nella magistratura associata, è diventato, dunque, un assurdo tabù.

Trovo del tutto assurdo che NESSUNO trovi quel coraggio e quella dignità e che tutti coloro che, nelle correnti che si ritengono e dicono di essere “progressiste”, invitavano ieri ad attendere il deposito della motivazione della sentenza del C.S.M. promettendo che, POI, ne avrebbero parlato “causa cognita”, sembrano oggi, invece, fuggiti a nascondersi e comunque si sottraggono con ostinazione a qualsiasi richiesta di opinione e giudizio sull’accaduto.

La posizione di tutti e ciascuno dei “magistrati associati” è, nei fatti, che del “caso De Magistris” non si deve parlare assolutamente.
E questo mentre, peraltro, i componenti del C.S.M. hanno posto in essere sul punto condotte davvero gravi e sorprendenti.
In particolare, Letizia Vacca, componente cosiddetto laico del C.S.M., indicata dal Partito dei comunisti italiani (quando si dice la pretesa “diversità” della sinistra!), vicepresidente della Prima Commissione, ha ritenuto di dichiarare pubblicamente, in presenza di numerosi giornalisti che vi hanno dato ampio risalto, parlando al plurale, a nome di tutta la commissione, che Luigi De Magistris è «un cattivo magistrato» e che «deve essere colpito» perché ciò resti chiaro.
E appare di tutta evidenza quale grave violazione dei suoi doveri e quale irreparabile vulnus alla credibilità dell’istituzione che rappresenta sia venuto da queste dichiarazioni della professoressa Vacca, che denunciano una palese e dichiarata prevenzione di giudizio dell’istituzione che dovrebbe mantenere serenità, riserbo e, soprattutto, imparzialità nel giudicare i magistrati, la cui indipendenza è affidata alla sua tutela.
E altrettanto evidente è quanto sia grave che la professoressa Vacca, non solo abbia formulato quegli inaccettabili giudizi, ma ci abbia tenuto a renderli pubblici con il massimo clamore e a nome dei suoi colleghi.
Come a voler “mandare un messaggio” a non si sa chi sul contenuto e la fermezza delle intenzioni del C.S.M..
In queste condizioni, la sentenza nei confronti di Luigi De Magistris, oltre a destare le perplessità tecniche alle quali ho fatto riferimento, è giunta come una condanna ampiamente annunciata e indebitamente anticipata.
Altra sorprendente condotta ha posto in essere il vicepresidente del C.S.M. Nicola Mancino, che presiedeva il collegio giudicante che ha emesso la sentenza De Magistris.
Egli, violando suoi specifici doveri di riserbo (forse “difesi” anche dai precetti di cui all’art. 326 del codice penale, a seconda che si ritenga o no coperta da dovere di segreto d’ufficio la camera di consiglio della Sezione Disciplinare del C.S.M.), non appena pronunciata da lui stesso la sentenza in questione, ci ha tenuto a dire ai giornalisti che essa è stata adottata all’unanimità.
Nessuna di queste condotte è stata oggetto di biasimo specifico (almeno noto all’esterno) da parte di tutti gli altri componenti del C.S.M., né alcuno dei consiglieri a nome dei quali Vacca e Mancino hanno “esternato” ha ritenuto di smentirli o di esigere da loro chiarimenti e scuse.

Evidente mi appare, nella sua tragicità, il significato della impossibilità dei vertici dell’A.N.M. e di tutte le correnti di prendere una qualunque posizione su una vicenda tanto cruciale così come evidente risulta, conseguentemente, la definitiva perdita di ogni credibilità da parte di chi, rassegnandosi alle ovvie conseguenze “politiche” di questo silenzio, ne confessa implicitamente la natura necessitata.

Quest’ultimo aspetto della vicenda è di particolare rilievo, perché denuncia clamorosamente che la magistratura nel suo insieme ha sacrificato l’indipendenza dei singoli magistrati a logiche politiche molto preoccupanti.

Sul punto, con riferimento ai rapporti fra le correnti dell’A.N.M. e la politica, preoccupa peraltro:

– che il ministro Mastella, l’indomani del suo insediamento, abbia incontrato tutte le correnti e il giorno dopo abbia nominato i vertici di numerosi uffici del suo ministero scegliendo cencellianamente proprio importanti esponenti delle correnti medesime;

– che anche autorevoli colleghi delle correnti un tempo “di opposizione” (per esempio Magistratura Democratica) abbiano accettato quegli incarichi e ancor più che li abbiano mantenuti quando il ministero Mastella andava con evidenza in una direzione che avrebbe dovuto ricevere dai magistrati più critiche che consensi (questa situazione è stata ricostruita sui media come la cosiddetta “pax Mastelliana”, si può immaginare con quale danno per la credibilità della magistratura associata);

– che una delle correnti cosiddette “progressiste” dell’A.N.M. (il Movimento per la giustizia) abbia ritenuto opportuno candidare e fare eleggere al comitato direttivo centrale dell’Associazione un collega che è stato per dieci anni consecutivi (fino al 2005: dunque, in epoca recentissima) presidente di una regione (le Marche);

– che proprio questo stesso collega (Vito D’Ambrosio) sia stato designato (certamente in maniera del tutto legittima: non è questo che è qui in discussione) per sostenere l’accusa nel procedimento disciplinare a carico di De Magistris, chiedendo per lui addirittura una pena superiore a quella pur già gravissima poi inflittagli.

A fronte di tutto questo, personalmente resto stupefatto nel leggere “programmi elettorali” per i Consigli Giudiziari e nel sentire i capicorrente chiamare a raccolta i magistrati per una battaglia per la difesa dell’indipendenza della magistratura da “combattere” nei confronti del governo prossimo venturo.

In questo momento, la “magistratura associata” nel suo insieme mi appare come il più grave nemico dell’indipendenza dei magistrati e dell’efficienza della giustizia.

Come ho già scritto su questo blog, è evidente che ciò che serve al Paese è l’indipendenza «dei magistrati» (di ogni singolo magistrato), che è cosa del tutto diversa dall’indipendenza «della magistratura».

L’indipendenza della magistratura senza l’indipendenza dei magistrati si trasforma, infatti, soltanto in un privilegio corporativo e nello strumento di un potere che non serve il paese – dal quale, infatti, è sempre più lontano e meno apprezzato – ma se stesso.

Come i “capipartito” della politica nazionale sembrano ormai sempre più autoreferenziali e dediti ottusamente solo alla difesa di sé stessi e del proprio potere, nella stessa tragica condizione sembrano intrappolati i “capicorrente” dell’A.N.M..

E’ veramente difficile ascoltare di questi tempi “tribune politiche”, nelle quali coloro che hanno grandissima parte della responsabilità dello stato del Paese promettono sogni dietro i quali nascondono i fatti. Così ugualmente mi addolora davvero profondamente vedere coloro che nella magistratura hanno grandissima parte della responsabilità del suo stato (decisamente non lodevole) nascondersi e nascondere i fatti dietro campagne elettorali per l’ennesima spartizione correntizia dei Consigli Giudiziari (per i quali i magistrati voteranno il 6 e il 7 aprile prossimi).

Come l’unica “novità” che la politica nazionale sa proporre agli elettori è un po’ di rimescolamento degli “apparentamenti”, così, mentre la giustizia naufraga in gran parte anche per responsabilità interne alla magistratura (mi permetto di rinviate qui al mio articolo “Le responsabilità dei magistrati nella crisi della giustizia”), i responsabili dell’associazionismo giudiziario l’unica cosa che sanno “pensare” sono nuovi modi di “presentarsi”.

Prendendo a prestito una famosa battuta di Nanni Moretti, aspetto con ostinazione che qualunque magistrato dica qualcosa sul merito della sentenza De Magistris. Non necessariamente “qualcosa di sinistra” (come chiedeva Moretti). Mi basta che dica “qualunque cosa”. Il grado di ostinazione nel silenzio dà la misura di quanto è profonda la notte.

E prendendo a prestito anche altre parole dello stesso Moretti, dico ai miei colleghi che, con questa classe dirigente della magistratura associata, “non vinceremo mai”!

Tratto da www.19luglio1992.com
*(Giudice del Tribunale di Catania)


http://www.antimafiaduemila.com/content/view/2814/48/1/2/

kintaro oe
03-04-2008, 13:37
Ehhhhh...sta magistratura.....

http://www.ilresto.net/media/2008/Il%20Resto%202008-03-15.pdf