L’altro giorno, riuscendo a restare serio, il Cainano ha comunicato: «Io sono l’editore più liberale della storia della carta stampata», da Gutenberg in avanti. Alla domanda «chi lo dice?», ha risposto: «I miei collaboratori».
Cioè i suoi dipendenti. La scena ricorda gli applausi di Fantozzi, di Filini e dell’intero Ufficio Sinistri al megadirettore galattico che organizza visioni multiple obbligatorie della Corazzata Potemkin la sera della finalissima dei mondiali di calcio.
Illustrando poi il suo personale concetto di stampa libera, l’editore più liberale della storia ha di nuovo chiesto la cacciata di Santoro per «uso criminoso della tv» e si è detto «deluso dai giornali su cui ha influenza la Fiat: Montezemolo poteva muoversi in modo diverso, a direttori e giornalisti bisogna dire di stare di qua o di là». Cioè: Montezemolo l’ha deluso perché lascia troppo liberi i suoi giornali. Infatti lui ha ingaggiato Ciarrapico perché «ci servono i suoi giornali». I giornali, com’è noto, non servono a dare notizie, ma a far vincere le elezioni. Possibilmente a lui.
Il nostro sistema dell’informazione, che alle persone normali appare come il più servile, censurato e comatoso del mondo, a lui sembra ancora troppo sbarazzino, corrosivo. Ma ci sta lavorando. L’altro giorno, per esempio, mentre lui tuonava preventiva- mente contro «i brogli della sinistra», due presidenti di seggio finivano in galera per i brogli di Forza Italia alle comunali di Palermo contro Leoluca Orlando. Ma, a parte qualche breve di cronaca, stampa e tv non se ne sono nemmeno accorte. Intanto a Milano venivano condannati in appello la sua segretaria Marinella Brambilla e il suo assistente Niccolò Querci: 1 anno e 4 mesi per falsa testimonianza. Cioè per aver mentito sotto giuramento ai magistrati, negando l’incontro dell’8 giugno 1994 a Palazzo Chigi tra l’avvocato Fininvest Massimo Maria Berruti e l’allora premier Silvio Berlusconi. Subito dopo quella visita, Berruti depistò le indagini sulle mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza, promettendo l’eterna gratitudine del Cavaliere ai finanzieri corrotti che avessero taciuto sulle tangenti del Biscione. Poi si difese in tribunale sostenendo di aver inquinato le prove «per tutelare la stabilità del governo». Condannato a 8 mesi per favoreggiamento, fu premiato con un seggio alla Camera: ora è ricandidato per la quarta volta e verrà presto raggiunto da Salvatore Sciascia, l’ex capo dei servizi fiscali Fininvest, condannato per aver corrotto i finanzieri, new entry delle liste del Pdl. La notizia della condanna di due dei pochissimi collaboratori del Cainano rimasti finora incensurati ha riscosso enorme successo presso la stampa e la tv: nemmeno una parola al Tg1, Tg2, Tg3, Tg4m, Tg5, Studio Aperto, TgLa7; manco una sillaba sui giornali, a parte una breve di 21 righe sul Corriere.
Lo stesso giorno la Marcegaglia Spa, il gruppo della meravigliosa Emma, neopresidente di Confindustria, patteggiava 500 mila euro di pena pecuniaria e 250 mila di confisca, e la sua controllata NE Cct Spa altri 500 mila euro di pena e 5 milioni di confisca, mentre il vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello della Emma) si beccava 11 mesi per corruzione: nel 2003, infatti, Marcegaglia Spa pagò una mazzettona di 158 mila euro al manager Enipower Lorenzo Marzocchi per un appalto di caldaie di 127 milioni. Una notizietta da niente, se si pensa che Confindustria espelle gli imprenditori che, minacciati anche di morte dalla mafia, si piegano a pagare il pizzo (dunque, per la legge, sono vittime di estorsione). Che intende fare, invece, l’associazione presieduta da Emma Marcegaglia contro il gruppo Marcegaglia che pagava tangenti senz’alcuna costrizione né minaccia, sol per arraffare appalti in barba alla libera concorrenza? La domanda non si pone neppure, perché nessuno a parte 20 righe sul Corriere e 7 e mezza sulla Stampa ha dato la notizia.
Per fortuna, in tanta desolazione, il giornalismo d’inchiesta sopravvive almeno su un quotidiano: il Giornale. Ieri l’house organ berlusconiano sparava in prima pagina una grande inchiesta dal titolo promettente: «Ecco l’Italia degli indegni. Top manager, fannulloni, giudici: vi sveliamo l’altra casta, quella di chi guadagna troppo e fa carriera ingiustamente». Inchiesta affidata a Vittorio Sgarbi, condannato definitivamente per truffa ai danni dello Stato per aver lavorato 3 giorni su 3 anni alla Soprintendenza di Venezia. Uno che, in fatto di indegni e fannulloni, è un’autorità di livello mondiale. Possima puntata: un'inchiesta sui politici che prendono l'ambulanza al posto del taxi, a cura di Gustavo Selva.
Marco Travaglio
Uliwood party 1 aprile 2008
tratto da L'unita'
:help:
CarloR1t
02-04-2008, 00:44
Lo posto anche qui perchè mi sembra in tema con la 'libertà di stampa'...
Dalle Lettere da Lexington di Noam Chomsky
1
Che cosa rende conformisti
i media più importanti
Il motivo per cui scrivo dei media risiede nel mio interesse intellettuale per la cultura nel suo complesso e nel fatto che i media ne costituiscono il campo più facile da studiare. Vengono pubblicati quotidianamente. Si può condurre un'indagine sistematica. Si può confrontare la versione di ieri con la versione di oggi. C'è una grande quantità di prove riguardo a ciò che viene o non viene alterato e al modo in cui sono strutturate le cose.
La mia impressione è che i media non siano molto diversi dalla cultura accademica o dalle riviste intellettuali di opinione. Ci sono alcune limitazioni in più, ma non sono radicalmente diversi. I media interagiscono tra loro, sicché è possibile muoversi al loro interno con grande facilità.
Quando si considerano i media o qualunque istituzione si desideri investigare, ci sono tre aspetti che si possono esplorare. E’ possibile porsi domande sulle loro strutture interne. Si può avere bisogno di sapere qualcosa sulla loro collocazione nel contesto della società. E poi, come si rapportano rispetto agli altri sistemi di potere e di autorità? Se siete fortunati, troverete una documentazione interna lasciata dai professionisti più quotati di quel particolare mezzo d'informazione, dalla quale potrete desumere che cosa stiano facendo e quale sia, a grandi linee, il loro sistema dottrinario. Con questo non intendo i comunicati stampa delle pubbliche relazioni, ma ciò che quelle persone si dicono tra loro riguardo a quello che stanno facendo. C'è parecchia documentazione interessante in merito.
Questi sono i tre tipi di informazioni principali sulla natura dei media. Mettiamo che li si voglia studiare come uno scienziato studierebbe una molecola complessa. Si guarda la struttura e poi la si prende come base per formulare un'ipotesi su come dovrebbe apparire il prodotto. Dopodiché, si esamina il prodotto e si controlla in che misura sia conforme all'ipotesi. Pressoché tutto il lavoro di analisi dei media è costituito da quest'ultima parte, ossia il tentativo di studiare da vicino quale sia esattamente il prodotto e se questo si conformi a idee preconfezionate circa la natura e la struttura di quel determinato mezzo di comunicazione.
Ebbene, che cosa si scopre? Prima di tutto, che ci sono diversi media, con ruoli diversi. Ci sono quelli dello spettacolo e di Hollywood, le soap opera e così via, e poi quasi tutti i giornali del paese (la stragrande maggioranza). Tutti questi sono rivolti a un pubblico di massa.
Ma ci sono anche altri media, quelli di élite, quelli che, come si suoi dire, stabiliscono l'ordine del giorno", perché dotati di grandi risorse e dedicati alla raccolta e al commento delle notizie. Sono questi ultimi che disegnano lo schema entro il quale agiscono tutti gli altri. Nel novero, si contano il «New York Times», la CBS e alcuni altri. Il loro pubblico è costituito per lo più da persone privilegiate. I lettori del «New York Times», persone ricche o inserite in quella che comunemente viene definita "classe politica", sono in generale a vario titolo dei dirigenti. Possono essere politici, industriali (come gli alti quadri delle grandi corporation), personalità del mondo accademico (come i professori universitari) o altri giornalisti impegnati nell'organizzare il pensiero della gente e il modo in cui si guardano le cose.
I media di élite stabiliscono le linee guida entro cui operano gli altri. Per esempio, le telescriventi dell'Associated Press macinano un flusso costante di notizie, ma ogni giorno, a metà pomeriggio, c'è una sosta, e arriva un messaggio di questo tenore: «All'attenzione dei direttori: il "New York Times" di domani pubblicherà i seguenti servizi in prima pagina». Il punto è che se tu sei il direttore di un giornale di Dayton, Ohio, e non hai le risorse per capire di quale notizia si tratti, o se in ogni caso non hai voglia di pensarci, questo ti fa capire quali servizi mettere nello spazio di pagina che intendi dedicare a qualcosa di diverso dalla cronaca locale o dall'intrattenimento del tuo pubblico. Questi sono i servizi che piazzi li perché il «New York Times» ti dice che dovresti occupartene domani. Se sei un direttore di Dayton, Ohio, probabilmente sei costretto a farlo, poiché non disponi di molte risorse.
Se canti fuori dal coro, se pubblichi articoli che non piacciono alla grande stampa, te ne accorgerai molto presto. Quanto è accaduto di recente al «San Jose Mercury News» con l'inchiesta di Gary Webb* è un esempio eloquente. Ci sono molti modi in cui i giochi di potere possono rimetterti in riga se esci dalle fila. Se cerchi di spezzare il cliché, non durerai a lungo. Questo sistema funziona molto bene e, come si può capire, è un riflesso di consolidate strutture di potere.
I media di massa tentano essenzialmente di distrarre il pubblico. Vogliono che la gente faccia qualcos'altro, in modo che non dia fastidio a "noi" (per "noi" si intende coloro che organizzano e gestiscono il potere). Che si interessi, per esempio, di sport. Che impazzisca per le partite, per gli scandali sessuali, per i personaggi importanti e i loro problemi, o facezie di questo tipo. Qualunque cosa, purché non sia seria. Le cose serie, naturalmente, sono per le persone serie. Di queste ci occupiamo "noi".
Che genere di istituzioni sono i media d'élite, quelli che fissano l'ordine del giorno, come, per esempio, il «New York Times», o la CBS? Be', prima di tutto, sono grandi imprese con alti margini di profitto. Per di più, sono collegate, di solito, a società molto più grandi, come la General Electric, la Westinghouse e così via, quando addirittura non sono parte integrante dei loro beni. Siamo al vertice della struttura di potere dell'economia privata, una struttura quanto mai tirannica. Le grandi corporation sono fondamentalmente delle tirannie, strutturate in maniera rigidamente gerarchica, e controllate dall'alto. Se non ti piace quello che fanno, ti sbattono fuori. I media più importanti sono semplicemente parte di quel sistema.
Che dire della loro collocazione istituzionale? Be', più o meno è la stessa. I media interagiscono e sono collegati con gli altri centri di potere più importanti, quali il governo, le altre corporation e le università. E dal momento che funzionano come un sistema d'indottrinamento, collaborano strettamente con le istituzioni accademiche. Se sei un giornalista incaricato di scrivere un articolo sull'Asia sud-orientale o sull'Africa, si suppone che tu vada in una grande università dove troverai un esperto che ti dirà che cosa scrivere, oppure che ti documenti presso una delle grandi fondazioni, come la Brookings Institution o l'American Enterprise Institute, dove ti diranno quali parole scegliere.
Queste istituzioni sono molto simili ai media. Al loro interno, si possono trovare persone indipendenti, cosa che vale anche per i media. In linea di massima, ciò vale anche per le grandi imprese e perfino per gli stati fascisti. Ma l'istituzione, di per sé, è parassitaria; dipende da altre fonti per il suo sostegno finanziario. E quelle fonti, come i capitali privati, le borse di studio messe a disposizione dalle imprese, il governo (così strettamente correlato al potere delle grandi corporation, che a stento se ne distingue) costituiscono essenzialmente l'ambito entro cui operano le università.
*Gary Webb, giornalista investigativo che vinse il premio Pulitzer,scrisse nel 1996 una serie di articoli sul presunto legame fra la CIA e il traffico di cocaina a Los Angeles. Fu trovato morto nella sua casa di Sacramento il 10 dicembre 2004 a causa di un apparente suicidio che suscitò parecchie perplessità [N.d.R.].
Le persone che, al loro interno, non si adeguano a tale struttura, coloro che non l'accettano né l'interiorizzano (e non si può lavorare agevolmente entro i suoi confini, a meno di non assimilarla e di "crederci"), probabilmente verranno scartate lungo il cammino, a cominciare dall'asilo nido e per tutto il loro percorso educativo
Esistono diverse varietà di filtri per liberarsi degli individui che sono una spina nel fianco e pensano in modo indipendente. Quelli fra voi che hanno frequentato l'università, sanno che il sistema scolastico è profondamente strutturato in modo da ricompensare il conformismo e l'obbedienza; se non ti uniformi a quel modello, sei un piantagrane. Quindi, si tratta di una sorta di filtro per cui alla fine le persone che pensano onestamente (cioè non mentono) interiorizzano lo schema di convinzioni e di orientamenti del sistema di potere in cui vengono formati. Istituzioni di élite come Harvard e Princeton, o le piccole università di prestigio, per esempio, lavorano molto sulla socializzazione. Se andate in un posto come Harvard, gran parte di quello che succede lì si riduce all'insegnamento delle buone maniere; come comportarsi in qualità di membro delle classi superiori, come pensare quello che va bene pensare e così via.
Se avete letto la Fattoria degli animali di George Orwell, scritto a metà degli anni Quaranta, sapete che si tratta di una satira sull'Unione Sovietica, uno stato totalitario. Fu un grande successo. Tutti ne andarono pazzi. Oggi, scopriamo che Orwell scrisse un'introduzione che non venne pubblicata. Comparve soltanto trent'anni dopo. L'introduzione alla Fattoria degli animali trattava della "censura letteraria" in Inghilterra. Essa spiegava, ovviamente, che il libro ridicolizzava l'Unione Sovietica e il suo regime oppressivo, ma aggiungeva che l'Inghilterra non era poi così diversa. Non abbiamo addosso il KGB, diceva, ma il risultato finale è più o meno lo stesso. Le persone che hanno idee indipendenti o che hanno in mente i pensieri sbagliati vanno tagliate fuori.
Orwell parlava brevemente, forse solo in due paragrafi, della struttura istituzionale, e si chiedeva: perché succede questo? Be', in primo luogo perché la stampa è in mano a persone ricche, preoccupate che solo certe cose arrivino al pubblico. L'altro punto che l'auto-re sottolineava, è che quando frequenti le scuole giuste, come Oxford, impari che ci sono certe cose che non vanno dette e certi pensieri che non vanno coltivati. Quello è il ruolo socializzante delle istituzioni di élite, e se non ti adatti, di solito ti buttano fuori. Quei due paragrafi la dicono lunga su come funzioni il sistema.
Quando critichi i media e dici «guardate, ecco quello che Anthony Lewis o qualcun altro ha scritto», le persone tirate in ballo s'infuriano e affermano con pieno diritto: «Nessuno mi dice che cosa scrivere. Io scrivo quello che voglio. Tutta questa faccenda di pressioni e costrizioni è assurda, perché io non sono mai sottoposto a pressioni». Il che è assolutamente vero, ma il punto è che non sarebbero li, se non avessero già dimostrato che nessuno dovrà dire loro cosa scrivere, perché loro scriveranno da soli la cosa giusta. Se avessero cominciato dalle previsioni meteorologiche e avessero insistito nel genere sbagliato di articoli, non avrebbero mai raggiunto le posizioni da cui ora possono dire tutto ciò che vogliono. Lo stesso vale, solitamente, per le facoltà universitarie nel campo delle discipline più marcatamente ideologiche. Prima bisogna passare attraverso il sistema di socializzazione.
Una volta assodato questo, diamo un'occhiata alla struttura dell'intero sistema. Come vi aspettate che siano le notizie? Be', è piuttosto ovvio. Prendiamo il «New York Times». E una grande impresa e vende un prodotto. Quel prodotto è l'audience. Il giornale non fa soldi quando lo comprate. Chi lo gestisce è felice di metterlo gratuitamente sul web. Probabilmente, quando lo comprate, il giornale ci perde. Ma è il pubblico il loro prodotto. Il prodotto è un settore di privilegiati, come le persone che pubblicano i giornali, ossia, quelli che nella società prendono le decisioni che contano. Bisogna vendere un prodotto a un mercato, e il mercato, ovviamente, è quello della pubblicità (il che significa altre imprese). Che si tratti della televisione, dei giornali o di qualunque altra cosa, i media vendono il pubblico. Grandi corporation private vendono pubblico ad altre grandi imprese private. Nel caso dei media di élite, si tratta di grossi affari.
Che cosa possiamo aspettarci? Che cosa si potrebbe dedurre circa la natura del prodotto dei media, dato questo insieme di fattori? Quale sarebbe l'ipotesi zero, il tipo di congettura che potreste fare senza prendere in considerazione ulteriori riflessioni? L'ipotesi ovvia sarebbe che il prodotto dei media, quello che vi appare, quello che non vi appare e il modo in cui è orientato nel presentare i fatti, rifletta l'interesse dei compratori e dei venditori, delle istituzioni e dei sistemi di potere che gli stanno intorno. Se non succedesse così, sarebbe una specie di miracolo.
Ma ora viene la parte più difficile. Ti chiedi se la cosa funziona davvero come previsto. A questo punto potrai giudicare da solo. C'è una quantità di materiale su questa ipotesi, che è stata sottoposta ai test più severi che si possano immaginare, ma che è tuttora in grado di reggere egregiamente. Difficilmente troverete qualcos'altro nelle scienze sociali che confermi con tanta forza altre conclusioni. Non è una grossa sorpresa, poiché sarebbe miracoloso se l'ipotesi non reggesse, considerate le varie forze in gioco.
Al passo successivo, scoprirete che l'intero argomento è completamente tabù. Se andate alla Kennedy School of Government, o all'università di Stanford o da qualunque altra parte a studiare giornalismo e scienza delle comunicazioni o scienze politiche, difficilmente appariranno questioni del genere. Vale a dire che quell'ipotesi, che chiunque potrebbe formulare anche senza saperne nulla, non può essere espressa, e non si possono discutere le prove che vi si riferiscono. E anche questo rientra nelle previsioni. Se guardaste alla struttura istituzionale vi verrebbe logico pensare che questo deve inevitabilmente accadere: perché mai questi individui dovrebbero farsi scoprire? Perché dovrebbero permettere che si svolga un'analisi critica di ciò che stanno facendo? La risposta è: non c'è alcun motivo per cui dovrebbero permetterlo, e di fatto, non lo permettono. Ancora una volta, non si tratta di una censura coercitiva. E' solo che non si arriva a certi ruoli istituzionali, se non si ha perfettamente interiorizzato quel punto di vista. Questo processo include la sinistra (o più precisamente quella che viene chiamata sinistra) come la destra. A meno che non abbiate superato un adeguato iter di socializzazione e siate addestrati in modo tale da rimuovere certi pensieri, è improbabile c che arriviate fin li. Così, ci ritroviamo con una seconda serie di previsioni, secondo cui la prima serie di previsioni non può essere discussa.
L'ultima cosa da vagliare è la cornice dottrinaria in cui (li avviene tutto questo. La domanda in questo caso è se gli individui ai vertici del sistema di informazione, includendovi i media, la pubblicità e le scienze politiche accademiche, abbiano un quadro chiaro di come dovrebbero andare le cose quando scrivono l'uno per l'altro (diversamente da quando fanno i discorsi).
Quando si fa un discorso in pubblico, si tratta solo di parole di circostanza e aria fritta. Ma quando comunicano fra di loro, cosa dicono?
Fondamentalmente, sono tre le correnti da prendere in considerazione. La prima è costituita dall'industria delle relazioni pubbliche, l'industria della propaganda per le più importanti attività economiche. Che cosa dicono i leader dell'industria delle PR? In secondo luogo si esaminano i cosiddetti "intellettuali pubblici", i grandi pensatori, quelli che scrivono gli editoriali d'opinione e i libri importanti sulla natura della democrazia. Che cosa dicono? La terza corrente da osservare è quella accademica, in particolare il settore delle scienze politiche riguardante la comunicazione e l'informazione, divenuto ormai una branca di quella disciplina negli ultimi settanta o ottant'anni.
Dunque, guardate in queste tre direzioni, e ascoltate cosa dicono, osservate le figure più in vista che hanno scritto sull'argomento. Tipicamente, vi sentirete dire (sto solo parafrasando) che il grosso pubblico è costituito da "estranei ignoranti e impiccioni". Dobbiamo tenerli fuori dall'arena pubblica perché sono troppo stupidi, e se entreranno in gioco, faranno solo guai. La loro funzione è di essere "spettatori", e non "partecipanti".
Di tanto in tanto, hanno la possibilità di votare, scegliendo uno fra "noi", ossia gli intelligenti. Ma, dopo, se ne devono tornare a casa a fare qualcos'altro, come guardare le partite di football.
I partecipanti sono quelli che vengono definiti "uomini responsabili", e l'intellettuale con un ruolo istituzionale, naturalmente, è sempre uno di loro. Questi ultimi non si chiedono mai cosa li rende "uomini responsabili", mentre altre persone, facciamo il caso di Eugene Debs*, finiscono in galera?
La risposta è ovvia. Loro sono obbedienti e subordinati al potere, mentre l'altro è indipendente. Ma loro, naturalmente, non si pongono nemmeno la domanda. E per questo che si ritengono gli "uomini responsabili" chiamati a gestire il potere, mentre il resto della gente deve restarne fuori. E "noi" non dovremo soccombere (sto citando un articolo accademico) ai «dogmatismi democratici che dipingono l'uomo come il miglior giudice dei propri interessi». Non lo è. E un cattivo giudice, sicché le persone responsabili devono occuparsi dei loro interessi al posto loro e a loro beneficio.
In effetti, questa dottrina è molto simile al leninismo. Noi facciamo le cose per voi, e lo stiamo facendo nel vostro interesse. Io ho il sospetto che sia questo, in parte, il motivo per cui storicamente è stato così facile per molta gente passare da un entusiastico fervore stalinista a un appoggio incondizionato alla potenza americana. La gente si sposta con grande rapidità da una posizione all'altra, e il mio sospetto è che questo dipenda, fondamentalmente, dal fatto che si tratta sempre della stessa posizione. In realtà non ti stai muovendo più di tanto. Stai solo facendo una diversa valla azione dei luoghi dove risiede il potere. In un dato momento pensi che sia da una parte, in un altro, pensi
In sia dall'altra. Alla fine assumi sempre la stessa posizione. Come è potuto accadere tutto questo? La storia del fenomeno è interessante. In gran parte, si
tratta di una conseguenza della prima guerra mondiale, che rappresentò a tutti gli effetti una svolta epocale.
La Grande Guerra cambiò considerevolmente la posizione degli Stati Uniti nel mondo. Nel XVIII secolo, l'America era già il paese più ricco del mondo. La qualità della vita, la salute e la longevità della sua popolazione furono raggiunte dalle classi agiate britanniche solo all'inizio del XX secolo, per non parlare del resto del mondo. Gli Stati Uniti erano straordinariamente ricchi, con immensi vantaggi, e alla fine del XIX secolo avevano di gran lunga l'economia più sviluppata del globo. Ma non avevano un ruolo importante sulla scena mondiale. La loro influenza si estendeva dall'America Centrale alle isole caraibiche fino ad alcune zone del Pacifico, ma non andava oltre.
* Eugene Victor Debs, socialista americano, fondò nel 1893 il sindacato dei ferrovieri. Nel 1920, a causa del suo militante impegno pacifista, fu condannato a 10 anni di carcere. La pena gli fu condonata nel 1921 dal presidente Warren G. Harding [N.d.R.].
Durante la prima guerra mondiale, i rapporti di forza cambiarono. E cambiarono ancora più vistosamente dopo l'ultima guerra. Alla fine del secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti, in sostanza, si impadronirono del mondo. Ma dopo la prima guerra mondiale vi era già stato un mutamento, e l'America si trasformò da una nazione debitrice in una nazione creditrice. Non su vasta scala, come la Gran Bretagna, ma divenne per la prima volta un attore importante sullo scenario mondiale. Questo fu un cambiamento, ma ce ne furono anche altri.
Durante la prima guerra mondiale, per la prima volta intervenne una propaganda statale altamente organizzata. Gli inglesi disponevano di un ministero dell'Informazione e ne avevano un gran bisogno: dovevano indurre gli Stati Uniti a entrare in guerra, o si sarebbero trovati in guai seri. Il ministero dell'Informazione era studiato principalmente per la diffusione della propaganda, comprendente anche fantasiose invenzioni sulle atrocità commesse degli "unni" (i tedeschi). Il bersaglio prescelto furono gli intellettuali americani, in base alla ragionevole presunzione che fossero gli individui più influenzabili e, verosimilmente, i più inclini a credere alla propaganda. Gli intellettuali sono anche quelli che la diffondono nel loro stesso sistema. Così, la propaganda era mirata soprattutto agli intellettuali americani, e funzionò a meraviglia. I documenti del ministero dell' Informazione britannico (molti sono stati resi di pubblico dominio) dimostrano che lo scopo degli inglesi era, per dirla con le loro parole, controllare il pensiero del mondo, un obiettivo di trascurabile Importanza, ma, soprattutto, il pensiero degli Stati Uniti. Il ministero non si curava granché di quello che pensavano in India. Ma riuscì in pieno a convincere i pio eminenti intellettuali americani ad accettare le sue invenzioni. Gli inglesi ne erano molto orgogliosi, e con ragione, perché si salvarono la vita. Altrimenti avrebbero perso la prima guerra mondiale.
Negli Stati Uniti, del resto, trovarono una controparte. Woodrow Wilson fu rieletto nel 1916 sulla baseun programma contrario alla guerra. Gli Stati Uniti erano un paese pacifista. Lo erano sempre stati, in materia di affari internazionali.
La gente non voleva andare a combattere guerre all'estero. Il paese si opponeva con forza alla guerra e Wilson fu scelto sulla scorta di posizioni anti-interventiste. "Pace senza vittoria" fu lo slogan. Ma il presidente intendeva intervenire nel conflitto. Quindi, il problema era come trasformare un popolo di pacifisti in un branco di esaltati fanaticamente ostili ai tedeschi, al punto tale che decidano di andare a sterminarli? Per ottenere questo risultato, ci vuole la propaganda. Così, negli Stati Uniti nacque il primo vero grande centro per la propaganda statale. Fu chiamato Commissione per l'informazione pubblica (un bel nome orwelliano) o Commissione Creel, dal nome di chi la guidava. Compito di questa commissione fu di condurre la popolazione a un'isteria nazionalistica. La commissione lavorò magnificamente. Nel giro di pochi mesi s'instaurò tu clima di isteria bellicista, e gli Stati Uniti poterono scendere in guerra.
Molti furono impressionati da un simile risultato, Uno di questi, cosa non priva di implicazioni per gli eventi successivi, fu Hitler. Nel Mein Kampf, il futuro dittatore conclude, con qualche giustificazione, che la Germania aveva perso la prima guerra mondiale perché aveva perso la battaglia della propaganda. I tedeschi non erano riusciti a competere con la propaganda inglese e americana e ne erano stati completamente sopraffatti. Hitler decise di impegnarsi affinché anche tedeschi potessero avere il loro sistema di propaganda cosa puntualmente avvenuta durante la seconda guerra mondiale.
La cosa più importante per noi è che gli sforzi della Commissione Creel impressionarono profondamente anche la comunità affaristica statunitense. A quell'epoca, i suoi membri avevano un problema. Il paese stava diventando più ricco e, formalmente, più democratico Una quantità sempre maggiore di gente aveva diritto a voto. Stava arrivando una grande massa di immigranti e un maggior numero di individui poteva partecipare alla vita pubblica.
Dunque che si poteva fare? Dirigere il paese come un club privato stava diventando più difficile. Perciò ovviamente, bisognava controllare il pensiero della gente. C'erano già specialisti delle pubbliche relazioni ma non c'era stata mai un'industria delle pubbliche relazioni. Qualcuno veniva assunto per abbellire l'immagine pubblica di Rockefeller, o cose di questo genere, ma questa enorme industria delle pubbliche relazioni, che è un'invenzione americana, nacque dopo la prima guerra mondiale. I suoi membri più importanti provenivano dalla Commissione Creel. Edward Bernays, la figura principale, di fatto usciva dritto da R. Pochi anni dopo, Bernays pubblicò un libro intitolato Propaganda.
A quei tempi, il termine "propaganda", per inciso, non aveva un'accezione negativa. Fu durante la seconda guerra mondiale che divenne tabù perché associato alla Germania e ai crimini commessi dai nazisti. Ma prima di allora la parola "propaganda" significava solo informazione controllata, o qualcosa del genere. Così, verso il 1925, Bernays scrisse un libro intitolato Propaganda, dove si applicano le lezioni apprese dalla prima guerra mondiale. Il sistema propagandistico della prima guerra mondiale e la commissione di cui egli faceva parte, sostiene Bernays, hanno dimostrato che è possibile «irreggimentare le menti dei cittadini tanto quanto fa un esercito con i suoi soldati». Queste nuove tecniche volte a irreggimentare le menti, egli dice, devono essere usate da minoranze intelligenti in modo da assicurarsi che i bifolchi stiano in riga. E ora noi possiamo farlo perché abbiamo appreso queste tecniche.
Il libro divenne un manuale che esercitò una grande influenza nell'industria delle pubbliche relazioni, e Bernays diventò una specie di guru delle PR. Bernays era un autentico liberale nella linea Roosevelt/Kennedy. Fu lui a orchestrare, tra l'altro, l'attività di pubbliche relazioni dietro il colpo di stato che rovesciò il governo democratico del Guatemala con l'appoggio americano.
Ma la sua più grande impresa, quella che lo rese davvero famoso, fu compiuta alla fine degli anni Venti, quando riuscì a convincere le donne a fumare. Le donne, a quei tempi, non fumavano, e lui condusse grandi campagne pubblicitarie per la Chesterfield. Tutti voi conoscete come funziona la tecnica: modelle e stelle del cinema con sigarette tra le labbra e cose di questo genere. Bernays si guadagnò lodi sperticate. Diventò una figura di primo piano nell'industria, e il suo libro diventò un classico.
Un altro membro della commissione era Walter Lippmann, la figura più eminente del giornalismo americano per circa mezzo secolo (e intendo giornalismo americano serio). Lippmann scrisse anche quelli che vengono definiti saggi progressisti sulla democrazia, perché considerati tali negli anni Venti.
Come Bernays, Lippmann applicò esplicitamente le lezioni del lavoro di propaganda. Disse che c'era una nuova arte nella democrazia, chiamata la "fabbrica del consenso". L'espressione è sua. Edward Herman e io l'abbiamo presa in prestito per un nostro libro, ma è Lippmann che l'ha coniata. Fabbricando il consenso, disse Lippmann, si può aggirare il fatto che, formalmente, una gran quantità di persone ha il diritto di voto. Si può svuotarlo di importanza, perché è possibile fabbricare il consenso e assicurarsi che le scelte e gli orientamenti siano strutturati in modo tale che le persone facciano sempre quello che viene detto loro, anche se formalmente hanno la possibilità di partecipare. Così, si avrà una democrazia che funzionerà correttamente. Questo significa applicare alla lettera le lezioni dell'agenzia per la propaganda.
La sociologia e le scienze politiche accademiche nascono dalla stessa fonte. Il fondatore della cosiddetta scienza delle comunicazioni nell'ambito delle scienze politiche accademiche è Harold Lasswell.
Il suo primo risultato importante fu lo studio della propaganda. Lasswell disse, con molta franchezza, quello che ho citato prima circa la necessità di non soccombere al dogmatismo della democrazia. Rifacendosi all'esperienza della guerra, i partiti politici hanno appreso le stesse lezioni, specialmente i membri del partito conservatore In Inghilterra. I loro documenti dell'epoca, resi recentemente di pubblico dominio, dimostrano che anch'essi riconobbero i risultati conseguiti dal ministero dell'Informazione britannico. I conservatori si resero conto che il paese stava diventando più democratico e non sarebbe più stato un club privato per soli uomini. Così, conclusero che la politica doveva diventare una "guerra politica" e applicarono i meccanismi della propaganda, che avevano funzionato in modo così brillante nella prima guerra mondiale, allo scopo di controllare i pensieri della gente.Questo è il lato dottrinario, che coincide con la struttura istituzionale. Esso rafforza le previsioni sul modo in cui dovrebbero funzionare le cose, e le previsioni, di fatto, sono state largamente confermate. Ma neppure queste conclusioni possono essere discusse. Tutto questo ora è letteratura, ma è accessibile solo a quelli che fanno parte del sistema. Quando si va all'università, non si leggono classici sul modo di controllare la mente delle persone.
Così come non si legge quello che James Madison disse davanti alla Constitutional Convention sul fatto che l'obiettivo principale del nuovo sistema doveva essere quello di «proteggere la minoranza degli opulenti dalla maggioranza», e che la Costituzione doveva essere modellata a tale scopo. Questo è il fondamento del sistema costituzionale, ma nessuno lo studia.
Non lo si trova neppure nella letteratura accademica, a meno di cercarlo veramente a fondo.Questo è, a mio parere, il quadro in cui il sistema è strutturato dal punto di vista istituzionale, delle dottrine che vi stanno dietro e della maniera in cui funziona. Quelle che sto descrivendo sono tendenze, forti tendenze, ma naturalmente ci sono eccezioni, spesso importanti.
C'è poi un'altra parte dei media che si rivolge agli estranei "ignoranti e impiccioni". Questo settore, utilizza principalmente "distrazioni" diverse. Da questo, credo, si possa prevedere quello che ci si può attendere.
Titolo originale: Letters from Lexington
© 2004 Noam Chomsky
© 1990, 1991, 1992, 1993 by Sheridan Square Press, Inc. and the Institute for Media Analysis, Inc.
Prefazione © 2004 by Edward Herman
Introduzione alla nuova edizione © 2004 by Donaldo Macero
Traduzione di Pietro Ferrari
Revisione di Enrico Domenichini
Realizzazione editoriale: Conedit Libri S.r.l., Cormano (MI)
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