Dandrake
24-01-2008, 21:26
Sotto segnalazione di FreeMan http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?p=20746265#post20746265 sposto quì questo thread dopo aver verificato che non c'è ancora una discussione aperta in questa sezione e su questo argomento.
Tribunale di Roma archivia il caso: "peer to peer" non è punibile
E gli Internet provider non sono responsabili di reati dei loro utenti, perchè devono rispettare neutralità della Rete e non possono distinguere dati che passano sul loro tratto
ANNA MASERA
ROMA. «Non appare possibile dare rilevanza ad un fenomeno assai diffuso, di difficile criminalizzazione ed avente accertamenti quasi impossibili in termini di raccolta della prova». Così scrive il pm Paolo Giorgio Ferri nella richiesta d’archiviazione dell’inchiesta sullo scambio, in Internet, peer to peer, di file audio e video.
L’indagine, contro ignoti, si è concentrata sull’attività di tre siti: www.beashare.com , www.emuleitalia.net , www.bittorrent.com.
La sentenza ribalta un precedente pronunciamento della magistratura di Bolzano che aveva ottenuto, su istanza di un editore austriaco, l'indirizzo Ip dei computer dei migliaia di utilizzatori italiani di sistemi di file sharing (il famigerato caso Peppermint).
Il giudice per le indagini preliminari, il Gip del tribunale di Roma Carla Santese, ha accolto la ricostruzione dell’ufficio dell’accusa e aggiunto: «Appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte dal pm nella richiesta di archiviazione, che qui si intende integralmente riportata e trascritta».
Secondo il magistrato inquirente i portali in oggetto «si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo». In poche parole l’utente A scarica da B, passando per i punti C e D, «rendendo difficile l’identificazione» e ponendo «problemi non solo per gli esiti delle indagini, ma anche di giurisdizione perché lo scambio che rileva spesso avviene estero su estero».
Gli accertamenti sono stati compiuti in base alla legge 248 del 18 agosto 2000, che sancisce le nuove norme di tutela sul diritto d’autore. In particolare il fascicolo era aperto per l’articolo 14, che si sofferma su chi «abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento».
Il gip Santese ha accolto, però, la richiesta del pm e archiviato il caso, rigettando l’opposizione presentata da una società di produzione.
«Osservato che al di là dei problemi di prova...non sembra o almeno non è pacifico che le condotte che si vogliono censurare penalmente abbiano tale rilevanza» - scrive il pm Ferri nella sua richiesta - e dal punto di vista penale «non sempre è ravvisabile quel lucro espressamente richiesto dalla norma».
«Il Tribunale di Roma ha molto saggiamente distinto le responsabilità personali delle azioni messe in atto nello spazio virtuale di Internet da quelle dei servizi e delle applicazioni per la navigazione in rete» commenta Fiorello Cortiana, esponente della Consulta sulla Governance di Internet. Cortiana si augura che la decisione del tribunale di Roma «faccia giurisprudenza e metta fine ai tentativi oscurantisti e impraticabili di precludere la Neutralità della Rete, favorendo invece gli sviluppi delle pratiche innovative virtuose come l’introduzione del fair use e l’uso delle licenze Creative Commons».
Più che affermare che il ricorso al «peer to peer» (p2p) non è reato, in realtà la decisione
del Gip di Roma dice che non è possibile perseguire i siti web che fanno riferimento ai servizi «p2p» è la precisazione che arriva dalla Fimi, la federazione dell'industria musicale italiana, secondo cui «il Gip di Roma si è semplicemente riferito a singoli siti che
offrono informazioni relative a programmi per fare 'p2p' e non all’attività di singoli utenti che invece resta reato, così come previsto dalle legge italiana».
E infatti - aggiunge la Fimi - «la normativa sul diritto d’autore agli art. 171 a bis e 171 ter a bis prevede sanzioni penali a carico di tutti coloro che immettono abusivamente fonogrammi tutelati in un sistema di reti telematiche; nello specifico una multa di 2.000 euro per coloro che condividono senza scopo di lucro e una multa fino a 15.000 euro con possibile pena detentiva fino a 4 anni per coloro che invece condividono a scopo di lucro». In entrambi i casi vengono applicate pesanti sanzioni amministrative che possono arrivare anche a svariate centinaia di migliaia di euro.
Ci scrive a commento dell'ordinanza del Gip del tribunale di Roma l'avvocato Carlo Blengino del foro di Torino, noto già per aver fatto assolvere i ragazzi del Politecnico accusati di pirateria: «E' un provvedimento importante da cui è possibile trarre due importanti considerazioni: i sistemi peer to peer non possono essere oggetto di criminalizzazione e denuncia penale contro ignoti sulla base dell'aprioristica affermazione del "tutti scaricano e dunque violano il diritto d'autore". Chiedere a una Procura di indagare con atti invasivi sulle reti di comunicazione (intercettazione di flussi telematici) senza almeno un indizio di specifiche violazioni per specifici brani in un contesto di tempo e luogo definiti, sarebbe come chiedere a una Procura di far perquisire tutti i mezzi che passano sulla rete autostradale (auto, moto, camion) perchè sulle autostrade passano i carichi di droga o armi. Più che di privacy, si parla di buon senso.
Il secondo principio rilevante riguarda il fine di lucro. L'ordinanza è in linea con la nota sentenza 149 della Suprema Corte di Cassazione che nel gennaio 2007 ha con ineccepibile motivazione statuito la liceità del download se effettuato senza fine di lucro. La condivisione della musica nelle reti peer to peer risponde notoriamente non a logiche commerciali, ma al diritto sancito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici".
In sede europea la risoluzione tanto temuta dai frequentatori del p2p nota come Ipred 2 prevede che gli Stati membri provvedano a qualificare come reato qualsiasi violazione internazionale del diritto di proprietà intellettuale commessa su scala commerciale, e precisa "per violazione su scala commerciale si intende la violazione di un diritto di proprietà intellettuale commesso per ottenere un vantaggio commerciale: ciò esclude atti compiuti da un utilizzatore privato per fini personali e non di lucro".
Seppure possano ravvisarsi possibili critiche in alcune affermazioni dell'Ordinanza, il provvedimento è in linea con le norme internazionali e soprattutto con il diritto d'accesso alla cultura.
Ciò che pero' mi colpisce è che le case di produzione si ostinino a condurre una battaglia senza comprendere che solo se la musica circola gratis i supporti saranno ancora venduti: pare un paradosso, ma il caso dei Radiohead dovrebbe insegnare qualcosa».
FONTE: La Stampa
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tm...p;sezione=News
Tribunale di Roma archivia il caso: "peer to peer" non è punibile
E gli Internet provider non sono responsabili di reati dei loro utenti, perchè devono rispettare neutralità della Rete e non possono distinguere dati che passano sul loro tratto
ANNA MASERA
ROMA. «Non appare possibile dare rilevanza ad un fenomeno assai diffuso, di difficile criminalizzazione ed avente accertamenti quasi impossibili in termini di raccolta della prova». Così scrive il pm Paolo Giorgio Ferri nella richiesta d’archiviazione dell’inchiesta sullo scambio, in Internet, peer to peer, di file audio e video.
L’indagine, contro ignoti, si è concentrata sull’attività di tre siti: www.beashare.com , www.emuleitalia.net , www.bittorrent.com.
La sentenza ribalta un precedente pronunciamento della magistratura di Bolzano che aveva ottenuto, su istanza di un editore austriaco, l'indirizzo Ip dei computer dei migliaia di utilizzatori italiani di sistemi di file sharing (il famigerato caso Peppermint).
Il giudice per le indagini preliminari, il Gip del tribunale di Roma Carla Santese, ha accolto la ricostruzione dell’ufficio dell’accusa e aggiunto: «Appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte dal pm nella richiesta di archiviazione, che qui si intende integralmente riportata e trascritta».
Secondo il magistrato inquirente i portali in oggetto «si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo». In poche parole l’utente A scarica da B, passando per i punti C e D, «rendendo difficile l’identificazione» e ponendo «problemi non solo per gli esiti delle indagini, ma anche di giurisdizione perché lo scambio che rileva spesso avviene estero su estero».
Gli accertamenti sono stati compiuti in base alla legge 248 del 18 agosto 2000, che sancisce le nuove norme di tutela sul diritto d’autore. In particolare il fascicolo era aperto per l’articolo 14, che si sofferma su chi «abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento».
Il gip Santese ha accolto, però, la richiesta del pm e archiviato il caso, rigettando l’opposizione presentata da una società di produzione.
«Osservato che al di là dei problemi di prova...non sembra o almeno non è pacifico che le condotte che si vogliono censurare penalmente abbiano tale rilevanza» - scrive il pm Ferri nella sua richiesta - e dal punto di vista penale «non sempre è ravvisabile quel lucro espressamente richiesto dalla norma».
«Il Tribunale di Roma ha molto saggiamente distinto le responsabilità personali delle azioni messe in atto nello spazio virtuale di Internet da quelle dei servizi e delle applicazioni per la navigazione in rete» commenta Fiorello Cortiana, esponente della Consulta sulla Governance di Internet. Cortiana si augura che la decisione del tribunale di Roma «faccia giurisprudenza e metta fine ai tentativi oscurantisti e impraticabili di precludere la Neutralità della Rete, favorendo invece gli sviluppi delle pratiche innovative virtuose come l’introduzione del fair use e l’uso delle licenze Creative Commons».
Più che affermare che il ricorso al «peer to peer» (p2p) non è reato, in realtà la decisione
del Gip di Roma dice che non è possibile perseguire i siti web che fanno riferimento ai servizi «p2p» è la precisazione che arriva dalla Fimi, la federazione dell'industria musicale italiana, secondo cui «il Gip di Roma si è semplicemente riferito a singoli siti che
offrono informazioni relative a programmi per fare 'p2p' e non all’attività di singoli utenti che invece resta reato, così come previsto dalle legge italiana».
E infatti - aggiunge la Fimi - «la normativa sul diritto d’autore agli art. 171 a bis e 171 ter a bis prevede sanzioni penali a carico di tutti coloro che immettono abusivamente fonogrammi tutelati in un sistema di reti telematiche; nello specifico una multa di 2.000 euro per coloro che condividono senza scopo di lucro e una multa fino a 15.000 euro con possibile pena detentiva fino a 4 anni per coloro che invece condividono a scopo di lucro». In entrambi i casi vengono applicate pesanti sanzioni amministrative che possono arrivare anche a svariate centinaia di migliaia di euro.
Ci scrive a commento dell'ordinanza del Gip del tribunale di Roma l'avvocato Carlo Blengino del foro di Torino, noto già per aver fatto assolvere i ragazzi del Politecnico accusati di pirateria: «E' un provvedimento importante da cui è possibile trarre due importanti considerazioni: i sistemi peer to peer non possono essere oggetto di criminalizzazione e denuncia penale contro ignoti sulla base dell'aprioristica affermazione del "tutti scaricano e dunque violano il diritto d'autore". Chiedere a una Procura di indagare con atti invasivi sulle reti di comunicazione (intercettazione di flussi telematici) senza almeno un indizio di specifiche violazioni per specifici brani in un contesto di tempo e luogo definiti, sarebbe come chiedere a una Procura di far perquisire tutti i mezzi che passano sulla rete autostradale (auto, moto, camion) perchè sulle autostrade passano i carichi di droga o armi. Più che di privacy, si parla di buon senso.
Il secondo principio rilevante riguarda il fine di lucro. L'ordinanza è in linea con la nota sentenza 149 della Suprema Corte di Cassazione che nel gennaio 2007 ha con ineccepibile motivazione statuito la liceità del download se effettuato senza fine di lucro. La condivisione della musica nelle reti peer to peer risponde notoriamente non a logiche commerciali, ma al diritto sancito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici".
In sede europea la risoluzione tanto temuta dai frequentatori del p2p nota come Ipred 2 prevede che gli Stati membri provvedano a qualificare come reato qualsiasi violazione internazionale del diritto di proprietà intellettuale commessa su scala commerciale, e precisa "per violazione su scala commerciale si intende la violazione di un diritto di proprietà intellettuale commesso per ottenere un vantaggio commerciale: ciò esclude atti compiuti da un utilizzatore privato per fini personali e non di lucro".
Seppure possano ravvisarsi possibili critiche in alcune affermazioni dell'Ordinanza, il provvedimento è in linea con le norme internazionali e soprattutto con il diritto d'accesso alla cultura.
Ciò che pero' mi colpisce è che le case di produzione si ostinino a condurre una battaglia senza comprendere che solo se la musica circola gratis i supporti saranno ancora venduti: pare un paradosso, ma il caso dei Radiohead dovrebbe insegnare qualcosa».
FONTE: La Stampa
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tm...p;sezione=News