View Full Version : L'ultimo sfregio di Salvatore Borsellino
Palermo 26.12.2007
Mi sento in dovere di aggiungere queste mie considerazioni personali alle dichiarazioni di mia sorella Rita, che ho sottoscritto insieme a tutta la famiglia Borsellino, sulla incredibile vicenda della possibile concessione della grazia ad un traditore dello Stato che finora ha scontato solo 7 mesi sui 10 anni di detenzione a cui e stato condannato in via definitiva dallo corte di Cassazione.
Personaggio sul quale pesano peraltro gravissimi sospetti, oggetto di indagini purtroppo ancora in corso dopo ben quindici anni, in merito alle telefonate intercorse, 80 secondi dopo la strage, tra il castello Utveggio, dal quale e probabilmente stato azionato il telecomando per l'esplosione dell'autobomba, da una utenza clonata instestata a Paolo Borsellino e l'utenza dello stesso Contrada:.
Come risulta da carte processuali "si segnala l'esigenza di approfondire ipotesi ed elementi sin qui trascurati, nella prospettiva di individuare complici e mandanti esterni all'associazione mafiosa. Si individua un cospicuo raggio di attività investigative aventi oggetto organismi e persone che potevano contare sulla disponibilità dei locali di Castello di Uvteggio, sede del Sisde, controllato a Palermo dal dottor Contrada".
Quella sede del Sisde smantellata pochi giorni dopo la strage perché evidentemente aveva esaurito il suo compito.
Basterebbero questi sospetti e l'esistenza di queste indagini per rendere inopportuna anche solo l'ipotesi della concessione della grazia ad un individuo sul quale pesano sospetti di questo genere ma per di piu anche dal punto di vista tecnico mi risulta che per reati di mafia (compresi nell'elenco di cui all'art 4 bis ord.pen.) non è possibile nè la sospensione della pena nè le misure alternative tra cui la detenzione domiciliare, salvo non collaborino con la giustizia.
Non mi risulta che Bruno Contrada abbia mai mostrato l'intenzione di collaborare con la Giustizia anzi ha sempre dichiarato sprezzantemente che mai e poi mai avrebbe presentato domanda di grazia e a questo punto risulta inverosimilie la celerita' senza precedenti con la quale il nostro custode della Costituzione abbia appoggiato la richiesta di grazia ed inoltrato la pratica al cosiddetto ministro di grazia e giustizia per un rapido espletamento dei passaggi necessari.
In quanto alle pretese esigenze umanitarie è bene ricordare che il Giudice di Sorveglianza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere si e' pronunciato il 12 dicembre 2007 in maniera contraria alla possibilita' di differimento della pena detentiva del Contrada poiche' le patologie dello stesso potrebbero essere curate in carcere od in apposite strutture esterne.
Se peraltro tutti gli affetti di patologie come il diabete dovessero avanzare domanda di grazia per gli stessi motivi del Sig. Contrada ed ottenerla in tempi cosi rapidi il problema del sovraffolamento delle carceri italiane sarebbe rapidamente risolto.
Le attuali condizioni di salute del Sig. Contrada (o meglio del Dottor Contrada, come lo hanno sempre chiamato con rispetto molti affiliati a Cosa Nostra) sono peraltro deteminate da uno sciopero della fame attuato da qualche giorno dallo stesso, e i suoi numerosi fratelli, piuttosto che accusare mi sorella Rita di scarsa umanità perché si oppone alla concessione della grazia farebbero bene ad impiegare le loro energlie a a convincere il proprio fratello a ricominciare a nutrirsi, per i prossimi anni, di quello che il regime carcerario, a spese dei contribuenti italiani, gli passa.
Per sapere quello che mio fratello Paolo pensava di Bruno Contrada basta ricordare l'episodio, riportato in atti processuali, nel quale avendo Paolo sentito fare quel nome a tavola da un funzionario di polizia amico della figlia, era sobbalzato dicendo chi ti ha fatto quel nome, basta che può bastare pronunciarlo a sproposito per morire.
In quanto al cosiddetto ministro di grazia e giustiza non poteve che essere affidata ad un uomo come lui, che ha cosi bene portato a compimento i compiti di sottrarre inchieste scottanti ai loro giudici naturali, conditi da sottrazioni di incartamenti dalle casseforti del tribunale di incatamenti relativi a processi prima che al giudice che l'aveva in carico ne fosse comunicata l'avocazione, di portare a termine questo compito.
Risulta cosi chiara la missione storica che lo stesso Mastella dichiara essergli stata affidata da Giulio Andreotti nel momento in cui, prima riluttante, fu convinto dallo stesso Andreotti, oltre che da Cossiga, ad accettare questo incarico.
Salvatore Borsellino
Il comunicato di Salvatore Borsellino è pubblicato nel blog "Uguale per tutti":
http://toghe.blogspot.com/2007/12/la-grazia-bruno-contrada.html
Contrada, il dottor morte
Sulle “ragioni umanitarie di eccezionale urgenza” che hanno indotto il cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella a istruire immediatamente la pratica per la grazia a Bruno Contrada, condannato definitivamente sette mesi fa a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, bastano le considerazioni di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo: “Il giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere si è pronunciato il 12 dicembre contro il differimento della pena del Contrada poichè le patologie dello stesso potrebbero essere curate in carcere o in apposite strutture esterne. Se peraltro tutti gli affetti di patologie come il diabete dovessero avanzare domanda di grazia e ottenerla in tempi così rapidi, il sovraffolamento delle carceri sarebbe rapidamente risolto”. Se poi Contrada non avesse avviato lo sciopero della fame, ma avesse continuato a nutrirsi, le sue condizioni di salute sarebbero senz’altro migliori. Il detenuto malato dev’essere curato, nell’infermeria del carcere o in ospedale, secondo le leggi vigenti, non essendo la grazia una terapia anti-diabete.
Quanto alle ragioni giuridiche di un’eventuale clemenza, sono ancor più deboli di quelle umanitarie. Mai è stato graziato un personaggio di quel calibro condannato per mafia. E mai è stato graziato un condannato a distanza così ravvicinata dalla sua condanna (Contrada ha scontato 7 mesi dei 10 anni previsti). Si è molto discusso, a proposito di Adriano Sofri, se il candidato alla grazia debba almeno chiederla o possa riceverla d’ufficio, se debba accettare la sentenza o la possa rifiutare: ma, se anche prevalesse la seconda tesi, sarebbe ben strano graziare un signore, stipendiato per una vita dallo Stato, che ha dipinto i suoi giudici come strumenti in mano alla mafia per condannare un nemico della mafia, giudici al servizio di “un manipolo di manigoldi, di criminali, di pendagli da forca che hanno inventato le cose più assurde mettendosi d’accordo”. E tuttora chiede la revisione del processo. Graziarlo addirittura prima dell’eventuale revisione significherebbe usare impropriamente la clemenza per ribaltare il verdetto della Cassazione: un’invasione di campo del potere politico in quello giudiziario.
Ultimo punto: sollecitata per un parere dal giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, la Procura di Palermo ha risposto che Contrada non risulta aver mai interrotto i suoi rapporti con Cosa Nostra, ragion per cui si ritiene che potrebbe –una volta libero– riallacciarli.
Restano da esaminare le possibili ragioni ”politiche” di tanta fretta. Ragioni che risalgono alle sua lunga e controversa carriera di poliziotto e agente segreto alle dipendenze dello Stato, ma al servizio dell’Antistato.
Già capo della squadra mobile e della Criminalpol di Palermo, già numero tre del Sisde (alla guida del dipartimento Criminalità organizzata) fino al Natale del 1992, quando fu arrestato, Contrada è indicato come trait d’union fra Stato e mafia non solo da una ventina di mafiosi pentiti, ma pure da una gran quantità di autorevolissimi testimoni. A cominciare dai colleghi di Giovanni Falcone, che raccontano al diffidenza che il giudice nutriva nei confronti di “’u Dutturi”: i giudici Del Ponte, Caponnetto, Almerighi, Vito D’Ambrosio, Ayala. E poi Laura Cassarà, vedova di Ninni (uno dei colleghi di Contrada alla Questura di Palermo assassinati dalla mafia mentre lui colludeva con la mafia). Tutti a ripetere davanti ai giudici di Palermo che Contrada passava informazioni a Cosa Nostra, incontrando anche personalmente alcuni boss, come Rosario Riccobono e Calogero Musso. Nelle sentenze succedutesi in 15 anni, si legge che Contrada concesse la patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco; che agevolò la latitanza di Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo e John Gambino; che intratteneva rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco; che spifferava segreti d’indagine ai mafiosi in cambio di favori e regali (come i 10 milioni di lire accantonati dal bilancio di Cosa Nostra, nel Natale del 1981, per acquistare un’auto a un’amante del superpoliziotto); che ha portato al processo falsi testimoni a sua difesa.
Decisivo il caso di Oliviero Tognoli, l’imprenditore bresciano arrestato in Svizzera nel 1988 come riciclatore della mafia. Secondo Carla Del Ponte, che lo interrogò a Lugano insieme a Falcone, Tognoli ammise che a farlo fuggire dall’Italia era stato Contrada, anche se, terrorizzato da quel nome, rifiutò di metterlo a verbale. Poi, in un successivo interrogatorio, ritrattò. Quattro mesi dopo, Cosa Nostra tentò di assassinare Falcone e la Del Ponte con la bomba all’Addaura. Nemmeno Borslelino si fidava di Contrada. E nemmeno Boris Giuliano: finì anche lui morto ammazzato. Il che spiega, forse, lo sconcerto dei familiari delle vittime della mafia all’idea che lo Stato, dopo aver speso 15 anni per condannare Contrada, impieghi 7 mesi per liberarlo.
Ma c’è un ultimo capitolo, che sfugge alle sentenze: uno dei tanti tasselli che compongono il mosaico del “non detto”, o dell’ ”indicibile” sulla strage di via d’Amelio, dove morì Borsellino con gli uomini della sua scorta (ancora oggetto di indagini della Procura di Caltanissetta, che pure ha archiviato la posizione di Contrada). Quel pomeriggio del 19 luglio ‘92 Contrada è in gita in barca al largo di Palermo con gli amici Gianni Valentino (un commerciante in contatto col boss Raffaele Ganci) e Lorenzo Narracci (funzionario del Sisde). Racconterà Contrada che, dopo pranzo, Valentino riceve una telefonata della figlia “che lo avvertiva del fatto che a Palermo era scoppiata una bomba e comunque c’era stato un attentato. Subito dopo il Narracci, credo con il suo cellulare, ma non escludo che possa anche aver usato il mio, ha chiamato il centro Sisde di Palermo per informazioni più precise”. Appreso che la bomba è esplosa in via d’Amelio, dove abita la madre di Borsellino, Contrada si fa accompagnare a riva, passa da casa e, in serata, giunge in via d’Amelio. Ma gli orari - ricostruiti dal consulente tecnico dei magistrati, Gioacchino Genchi - non tornano. L’ora esatta della strage è stata fissata dall’Osservatorio geosismico alle 16, 58 minuti e 20 secondi. Alle 17 in punto, cioè 100 secondi dopo l’esplosione, Contrada chiama dal suo cellulare il centro Sisde di via Roma. Ma, fra lo scoppio e la chiamata, c’è almeno un’altra telefonata: quella che ha avvertito Valentino dell’esplosione. Dunque, in 100 secondi, accadono le seguenti cose: la bomba sventra via d’Amelio; un misterioso informatore (Contrada dice la figlia dell’amico) afferra la cornetta di un telefono fisso (dunque non identificabile dai tabulati), forma il numero di Valentino e l’avverte dell’accaduto; Valentino informa Contrada e gli altri sulla barca; Contrada afferra a sua volta il cellulare, compone il numero del Sisde e ottiene la risposta dagli efficientissimi agenti presenti negli uffici solitamente chiusi di domenica, ma tutti presenti proprio quella domenica. Tutto in un minuto e 40 secondi. Misteri su misteri. Come poteva la figlia di Valentino sapere, a pochi secondi dal botto, che – parola di Contrada – “c’era stato un attentato”? Le prime volanti della polizia giunsero sul posto 10-15 minuti dopo lo scoppio. E come potevano, al centro operativo Sisde, sapere che era esplosa una bomba in via D’Amelio già un istante dopo lo scoppio? Le prime notizie confuse sull’attentato sono delle 17.30. Escludendo che la figlia di Valentino e gli uomini del Sisde siano dei veggenti, e ricordando i rapporti del commerciante con i Ganci, viene il dubbio che l’informazione in tempo reale l'abbia data chi per motivi – diciamo così – professionali, ne sapeva molto di più. Qualcuno che magari si trovava appostato in via D’Amelio, o nelle vicinanze, in un ottimo punto di osservazione (magari il Monte Pellegrino, dove sorge il castello Utveggio, sede di misteriosi uffici del Sisde in contatto con un mafioso coinvolto nella strage e poi frettolosamente chiusi). E attendeva il buon esito dell’attentato per poi comunicarlo in tempo reale a chi di dovere.
Forse, prima di parlare di grazia a Contrada, si dovrebbe almeno pretendere che dica la verità su quel giorno. Altrimenti qualcuno potrebbe sospettare – con i parenti delle vittime – che lo si voglia liberare prima che dica la verità.
Marco Travaglio
Io consiglio sempre a chi non l'avesse ancora letto di acquistare il libro "I Complici" di Gomez e Abbate,giornalista sotto scorta.
Dal Sisde alla Mafia la carriera de «’u Dutturi»
Sulle «ragioni umanitarie di eccezionale urgenza» che hanno indotto il ministro Mastella a istruire immediatamente la pratica per la grazia a Bruno Contrada, condannato definitivamente sette mesi fa a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, bastano le considerazioni di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo: «Il giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere si è pronunciato il 12 dicembre contro il differimento della pena del Contrada poiché le patologie dello stesso potrebbero essere curate in carcere o in apposite strutture esterne. Se peraltro tutti gli affetti di patologie come il diabete dovessero avanzare domanda di grazia e ottenerla in tempi così rapidi, il sovraffollamento delle carceri sarebbe rapidamente risolto».
Se poi Contrada non avesse avviato lo sciopero della fame, ma avesse continuato a nutrirsi, le sue condizioni di salute sarebbero senz’altro migliori. Il detenuto malato dev’essere curato, nell’infermeria del carcere o in ospedale, secondo le leggi vigenti, non essendo la grazia una terapia anti-diabete. Quanto alle ragioni giuridiche di un’eventuale clemenza, sono ancor più deboli di quelle umanitarie. Mai è stato graziato un personaggio di quel calibro condannato per mafia. E mai è stato graziato un condannato a distanza così ravvicinata dalla sua condanna (Contrada ha scontato 7 mesi dei 10 anni previsti). Si è molto discusso, a proposito di Adriano Sofri, se il candidato alla grazia debba almeno chiederla o possa riceverla d’ufficio, se debba accettare la sentenza o la possa rifiutare: ma, se anche prevalesse la seconda tesi, sarebbe ben strano graziare un signore, stipendiato per una vita dallo Stato, che ha dipinto i suoi giudici come strumenti in mano alla mafia per condannare un nemico della mafia, giudici al servizio di «un manipolo di manigoldi, di criminali, di pendagli da forca che hanno inventato le cose più assurde mettendosi d’accordo». E tuttora chiede la revisione del processo. Graziarlo addirittura prima dell’eventuale revisione, significherebbe usare impropriamente la clemenza per ribaltare il verdetto della Cassazione: un’invasione di campo del potere politico in quello giudiziario. Ultimo punto: sollecitata per un parere dal giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, la Procura di Palermo ha risposto che Contrada non risulta aver mai interrotto i suoi rapporti con Cosa Nostra, ragion per cui si ritiene che potrebbe - una volta libero - riallacciarli.
Restano da esaminare le possibili ragioni «politiche» di tanta fretta. Ragioni che risalgono alle sua lunga e controversa carriera di poliziotto e agente segreto alle dipendenze dello Stato, ma al servizio dell’Antistato. Già capo della Mobile e della Criminalpol di Palermo, già numero tre del Sisde (alla guida del dipartimento Criminalità organizzata) fino al Natale del 1992, quando fu arrestato, Contrada è indicato come trait d’union fra Stato e mafia non solo da una ventina di mafiosi pentiti, ma pure da una gran quantità di autorevolissimi testimoni. A cominciare dai colleghi di Giovanni Falcone, che raccontano al diffidenza che il giudice nutriva nei confronti di «’u Dutturi»: i giudici Del Ponte, Caponnetto, Almerighi, Vito D’Ambrosio, Ayala. E poi Laura Cassarà, vedova di Ninni (uno dei colleghi di Contrada alla Questura di Palermo assassinati dalla mafia mentre lui colludeva con la mafia). Tutti a ripetere davanti ai giudici di Palermo che Contrada passava informazioni a Cosa Nostra, incontrando anche personalmente alcuni boss, come Rosario Riccobono e Calogero Musso. Nelle sentenze succedutesi in 15 anni, si legge che Contrada concesse la patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco; che agevolò la latitanza di Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo e John Gambino; che intratteneva rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco; che spifferava segreti d’indagine ai mafiosi in cambio di favori e regali (come i 10 milioni di lire accantonati dal bilancio di Cosa Nostra, nel Natale del 1981, per acquistare un’auto a un’amante del superpoliziotto); che ha portato al processo falsi testimoni a sua difesa. Decisivo il caso di Oliviero Tognoli, l’imprenditore bresciano arrestato in Svizzera nel 1988 come riciclatore della mafia. Secondo Carla Del Ponte, che lo interrogò a Lugano insieme a Falcone,Tognoli ammise che a farlo fuggire dall’Italia era stato Contrada, anche se, terrorizzato da quel nome, rifiutò di metterlo a verbale. Poi, in un successivo interrogatorio, ritrattò. Quattro mesi dopo, Cosa Nostra tentò di assassinare Falcone e la Del Ponte con la bomba all’Addaura. Nemmeno Borslelino si fidava di Contrada. E nemmeno Boris Giuliano: finì anche lui morto ammazzato. Il che spiega, forse, lo sconcerto dei familiari delle vittime della mafia all’idea che lo Stato, dopo aver speso 15 anni per condannare Contrada, impieghi 7 mesi per liberarlo. Ma c’è un ultimo capitolo, che sfugge alle sentenze:uno dei tanti tasselli che compongono il mosaico del «non detto», o dell’«indicibile» sulla strage di via d’Amelio, dove morì Borsellino con gli uomini della sua scorta (ancora oggetto di indagini della Procura di Caltanissetta, che pure ha archiviato la posizione di Contrada).
Marco Travaglio
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