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View Full Version : Mediaset tracolla? Per salvarla basta che la Rai perda audience e pubblicità


gretas
06-12-2007, 10:51
di Marco Travaglio



I vertici di viale Mazzini dicono no, licenziati. Nuovi manager, nuovo Cda. Così comincia la lunga marcia di Berlusconi


ALL’INIZIO DEL 1993 la Fininvest è sull’orlo del fallimento. Indebitata e inquisita fino al collo. I «comitati corporate» dei top manager e dei dirigenti del gruppo si
riuniscono quasi ogni giorno con Silvio Berlusconi nel quartier generale di Milano2 per l’estremo salvataggio. L’ingegner Guido Possa, segretario particolare del Cavaliere, verbalizza in «report» che finiranno in mano al pool di Milano. Il 22 gennaio direttore finanziario Ubaldo Livolsi fa il punto sui debiti: 4550 miliardi di lire, 700 in più del ’91. E «il sistema bancario non è disposto ad aumentare l’affidamento nei nostri confronti (alcune banche anzi han chiesto a noi, come a tanti altri clienti, piccole ma significative riduzioni dell’esposizione (...). La situazione è molto seria». Il rischio è il fallimento: «Basterebbe una sia pur lieve flessione delle entrate pubblicitarie della tv (non improbabile vista la recessione) (...) per porci in grosse difficoltà». Anche il Cavaliere vede nero: «La nostra tv è un’azienda matura, con buona redditività, ma lentamente si avvia al declino». Ci vorrebbe un’idea.


:muro:
Un’idea meravigliosa


I dirigenti suggeriscono di vendere un pezzo di Telepiù o di quotare la partecipazione della Silvio Berlusconi Editore in Mondadori, così da rimborsare le banche. Ma il Cavaliere dice no e il 22 febbraio illustra, ai suoi uomini attoniti, un piano temerario. Possa annota: «L’unica concreta azione possibile a breve è un accordo con la Rai: potrebbe ridurre i costi di 300-350 miliardi l’anno. È urgente intervenire nel processo di ridefinizione della struttura Rai, per far sì che le massime responsabilità siano assunte da veri manager (coi quali sarebbe più agevole raggiungere un buon accordo) e prega Roberto Spingardi (capo del personale Fininvest) di suggerirgli nominativi di persone papabili (congiuntamente a G. Letta)». Il padrone della Fininvest vuole scegliersi i capi della Rai. Imbottirla di manager «amici» perché «tengano bassa» la programmazione, dando fiato alle boccheggianti reti di Milano2. Nel ’93 la guerra dell’audience ha dissanguato le casse Fininvest. Se - ragiona Berlusconi- si convince la Rai a un disarmo bilanciato, i due contendenti abbassano gl’investimenti, la qualità e i costi. Intanto la Rai perde il primato negli ascolti e Fininvest incamera più spot e alza i prezzi (mentre la Rai ha un tetto di spot invalicabile, già al limite). Ma nel nuovo governo «tecnico» Ciampi non ha amici. E nemmeno nel nuovo Cda Rai. In Viale Mazzini arrivano i «professori», sotto la presidenza di Claudio Demattè, che danno spazio a professionisti come Guglielmi, Iseppi, Freccero, Aldo Grasso. Torna persino Beppe Grillo. Il Cavaliere è disperato, ricorderà Dell’Utri: «Nel settembre ’93 Berlusconi mi convocò ad Arcore e mi disse: “Marcello, dobbiamo fare un partito”(…). C’era l’aggressione delle Procure e la Fininvest aveva 5000 miliardi di debiti. Franco Tatò,amministratore delegato del gruppo, non vedeva vie d’uscita: “Cavaliere dobbiamo portare i libri in tribunale”». Così Berlusconi si fa avanti con Demattè e butta lì la proposta indecente: un accordo di cartello per spartirsi audience e pubblicità. Come annoterà il consigliere Paolo Murialdi, i rappresentanti delle due aziende discutono come «ridurre le spese degli acquisti e di produzione di Rai e Fininvest». Con tanti saluti al libero mercato, il Cavaliere pretende «una ripartizione dell’audience in parti uguali, nella misura del 45%». A vantaggio di Mediaset, che sta sotto la Rai: «All’epoca un punto di audience equivaleva 20 miliardi di introito pubblicitario».


Proposta indecente


Demattè rifiuta perché «era inaccettabile: un accordo di ferro per dividerci in partenza le quote di audience. Se uno dei due superava la quota, doveva provvedere a scaricare il palinsesto (...): inserire programmi di bassa qualità e basso costo per permettere alla rete concorrente di riguadagnare le quote perdute». Demattè pagherà caro il gran rifiuto. Il 9 giugno ’94, al governo da un mese, Berlusconi attacca la Rai perché fa concorrenza a Fininvest: «È un servizio pubblico, non dovrebbe curarsi di raggiungere il massimo di ascolto, casomai coprire i vuoti che le tv commerciali lasciano aperti». Il 26 giugno, in gran segreto, riunisce ad Arcore i manager di Publitalia per esaminare il piano triennale di risanamento Rai elaborato da Demattè: aumenti automatici del canone legati al costo dei programmi trasmessi e crescita del 5% annuo del fatturato pubblicitario. Ma i manager Fininvest lo bocciano: se la Rai cresce ancora, il Biscione tracolla. La contro-proposta è contenere i ricavi pubblicitari della Rai, con «un tetto di 1000-1100 miliardi annui». Berlusconi boccierà come «scandaloso» il piano triennale della Rai e, visto che i professori non si dimettono, il 31 giugno li licenzia con un emendamento di 5 righe al decreto salva-Rai. Il nuovo vertice di Viale Mazzini è di stretta osservanza berlusconiana. Presidente Letizia Moratti, al Tg1 Carlo Rossella, al Tg2 Clemente Mimun, e così via.Qualche mese più tardi, cambio della guardia anche al vertice della Sipra: via Edoardo Giliberti, che nel ’93 sha aumentato il fatturato del 7% (contro l’1.5% di Publitalia), dentro Antonello Perricone, ex Publitalia. La presidente Moratti è stata chiara: «La Rai dev’essere complementare alla Fininvest». Dice Demattè: «Giliberti ha ottenuto risultati straordinari, ma non si sarebbe fatto corrompere». Giliberti conferma: «Era un accordo sull’audience che avrebbe inciso sulla pubblicità. Abbassare l’audience è facile: basta spostare i programmi pomeridiani in prima serata e viceversa. L’audience crolla nello spazio di un mattino».


Pubblicità, la grande torta


Il primo governo Berlusconi dura solo 7 mesi. Ma nel ’96 Berlusconi quota in Borsa le sue tv (nuovo marchio: Mediaset), scaricando i debiti sul mercato. Nel 2001 torna a Palazzo Chigi, infiltra i suoi uomini alla Rai e il piano del ’93-’94 si concretizza. Per cinque anni. Calisto Tanzi, patròn della Parmalat racconta che Berlusconi nel ’94 gli aveva chiesto «un aiuto»: «Insieme concordammo di utilizzare il canale della pubblicità per finanziare occultamente Forza Italia. Trasferimmo quote di pubblicità Rai a Publitalia, anche se non ne sono sicurissimo, ma certamente l’accordo con Berlusconi prevedeva che le tariffe degli spot non godessero di particolari sconti e/o promozioni. Parlai con Barili, capo del settore, dicendogli di favorire Mediaset, cosa che fece». Non c’è solo Parmalat, a trasferire i suoi spot dalla Rai alle reti Mediaset per compiacere il nuovo inquilino di Palazzo Chigi: nel 2001 Telecom ritira dalla Rai investimenti per 77,5 miliardi di lire, la Nestlè per 20, la Fiat per 9. Nel 2003 70 aziende distolgono i loro investimenti dalla stampa per girarli alle reti Mediaset, sottraendo 165 milioni di euro alla stampa e trasferendone un centinaio al Biscione. Secondo il Garante, i ricavi di Mediaset salgono dai 1497 milioni di euro del 1998 ai 2157 del 2004, mentre quelli della Rai salgono solo fino al 2000, poi si bloccano dal 2001 al 2003. Anche perché tra il 2002 e il 2003, grazie alla gestione Baldassarre-Saccà e alla cacciata di Biagi, Santoro e Luttazzi, la Rai ha perso la sfida -prima sempre vinta- del prime time, passando dal 47.6% di share (contro il 43 di Mediaset) a un misero 43.6% (contro il 46.4% di Mediaset). Uno crollo di 4 punti, talmente plateale da portare al «Raibaltone» del 2003, con l’arrivo del duo Annunziata-Cattaneo che recupererà qualche punto, portando i due colossi al pareggio. Intanto però alla Rai comandano uomini Mediaset, da Deborah Bergamini ad Alessio Gorla, in costante contatto con la "concorrenza" e con lo staff del premier padrone. Proprio quel che Berlusconi sognava nel ’93. Mediaset ormai è una gigantesca macchina da soldi: altissimi ricavi pubblicitari (2,5 miliardi di euro l’anno), bassissime spese per i palinsesti (1 miliardo). Il 22 marzo 2005 Mediaset annuncia «i migliori risultati economici e finanziari dal ’96». Utile netto a 500 milioni (+35.3%), raccolta pubblicitaria a +9.1. Un’azione Mediaset vale 187% in più del ’96. E Berlusconi, ha triplicato il suo patrimonio dal ‘94: da 3,1 a 9.6 miliardi di euro. Niente male. Nel ’94, diceva a Montanelli e Biagi: «Se non entro in politica finisco in galera e fallisco per debiti».


http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=2981

Deuced
06-12-2007, 11:23
scommetto 100€ che qualcuno proverà a giustificarlo dicendo che fanno tutti così...

ferste
06-12-2007, 11:34
ma tutte queste cose sono verbalizzate dai giudici?sono intercettazioni?sono deduzioni?

Ser21
06-12-2007, 11:43
ma tutte queste cose sono verbalizzate dai giudici?sono intercettazioni?sono deduzioni?

Atti processuali.