View Full Version : Processo al processo
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Processo al processo
La politica affida alla giustizia tutte le emergenze sociali. Ma il meccanismo è impazzito. Un procedimento penale dura 1.424 giorni. 150 mila processi l'anno buttati via. Patteggiamenti beffa. Come uscirne? Prescrizione e appelli ridotti al minimo
Di Peter Gomez e Leo Sisti
La grande truffa ai danni dei cittadini funziona così. Tra lunedì e martedì mattina di ogni settimana in una procura come quella di Torino, i vigili urbani bussano alla porta di un pm e consegnano una cinquantina di denunce per guida in stato di ebbrezza. Il magistrato si mette subito al lavoro: il reato viene considerato lieve dal codice e normalmente prevede la condanna a 900 euro di ammenda. Proprio per non intasare i tribunali - a Torino 36 giudici smaltiscono 7 mila processi l'anno su 30 mila - la legge prevede che in casi come questi scatti un decreto penale di condanna: il pm chiede al gip (giudice delle indagini preliminari) di comminare la sanzione, lui lo fa e ordina di notificare al condannato il decreto, facendogli presente che ha 15 giorni di tempo per presentare opposizione e domandare un regolare processo. Risultato: la richiesta di emissione del decreto parte dalla procura sei mesi dopo il fatto perché, a causa della carenza di uomini e di mezzi, tanto impiega la cancelleria a registrare la notizia di reato e a inviare il fascicolo. Altri sei mesi se li prende il gip, ovviamente oberato da casi ben più gravi rispetto a quello di chi ha bevuto una birra di troppo. Poi, in media, ci vuole un anno per la notifica del provvedimento. Così il pagamento della pena pecuniaria viene richiesto con due anni di ritardo: a quel punto il condannato presenta opposizione e tutto va bellamente in prescrizione.
Ecco, se si vuole capire che cosa è accaduto alla giustizia italiana si può partire da qui. Dalle scene di vita quotidiana delle procure e dai dati del ministero. Cifre che raccontano come all'ormai arcinoto disastro dei tribunali civili (una media di 2.276 giorni fino alla sentenza di secondo grado), sia necessario aggiungere quello dei giudizi penali, dove per vedere un verdetto di appello di giorni se ne attendono 1.424, ai quali poi si somma circa un anno per la Cassazione. Numeri da bancarotta che mettono in rilievo le anomalie di un sistema in cui si istruiscono decine di migliaia di processi inutili. Grazie all'indulto di tre anni del 2006 la pena infatti non è quasi mai effettiva. E, grazie alla legge ex Cirielli del 2005 che ha dimezzato i termini di prescrizione, tutto o quasi va in fumo prima della Cassazione.
Che sarebbe finita così lo avevano detto per tempo in molti. Ma le aule parlamentari - in cui la categoria professionale più rappresentata è quella degli avvocati, gli onorevoli pregiudicati sono 24 e quelli indagati o salvati da prescrizione e amnistia un'ottantina - non ci avevano fatto caso. E anzi avevano continuato e continuano a scaricare sui magistrati e su un'organizzazione burocratico amministrativa senza risorse, ogni nuovo allarme sociale: dagli incidenti stradali all'immigrazione, dal disagio delle metropoli all'uso personale di droga. Il sistema è quello delle grida manzoniane: i lavavetri infastidiscono gli automobilisti? I writers imbrattano i muri delle città? Siano tutti processati! E non importa se, visto lo stato comatoso dei tribunali, il verdetto definitivo e la relativa condanna (spesso convertibile in pena pecuniaria) nei fatti non arriveranno mai.
Eppure ci sono moltissimi comportamenti illeciti che potrebbero essere sanzionati più efficacemente dalle varie amministrazioni dello Stato (come accade, per esempio, per la violazione dei limiti di velocità) e che finiscono invece nei palazzi di giustizia: l'elenco è lunghissimo e dentro c'è di tutto. Si va dalla guida senza patente, alla falsificazione della data sui biglietti di metropolitana e autobus, dalle truffe all'Enel (contatori bloccati con spilli o tessere telefoniche) fino al reato, comune per esempio a Lodi, dove termina l'autostrada del Sole, commesso da quei camionisti che partendo da Salerno consegnano invece a Melegnano un biglietto emesso a Casalpusterlengo. Così in Italia ogni anno evaporano per prescrizione circa 150 mila processi (vedi tabella). La maggior parte dei quali, in virtù delle norme stabilite dalla legge ex Cirielli dure solo con i recidivi, riguardano contravvenzioni in materia antinfortunistica, ambientale ed ecologica; i delitti di corruzione, falso in bilancio, frode fiscale; quelli di maltrattamento in famiglia e violazione degli obblighi di assistenza famigliare. Ma allora perché esiste la prescrizione? Solo per farla fare franca ai furbi e ai colletti bianchi? No. La ragione è semplice e in teoria è condivisibile: dopo un certo numero di anni lo Stato non ha più interesse a indagare su un reato perché è passato troppo tempo. Inutile lavorare per scoprire gli autori di un crimine che le stesse vittime non ricordano più.
In realtà in Italia accade una cosa diversa: spesso i reati si prescrivono quando ormai gli imputati sono stati individuati. Ci sono processi che saltano in primo grado, in appello e addirittura in Cassazione. Tutto viene cancellato quando già polizia e magistrati hanno consumato molti soldi pubblici ed energie per indentificare i presunti colpevoli: un'assurdità. All'estero questo non accade. In Germania, per esempio, una volta che c'è stata la prima sentenza, la prescrizione è definitivamente interrotta. Negli Stati Uniti muore addirittura il giorno del rinvio a giudizio. La differenza ha delle conseguenze importanti.
Nel 1989 è stato introdotto il nuovo codice di procedura penale. Da allora sul modello di quanto accadeva nei sistemi anglosassoni, anche da noi la prova si forma in aula: il processo cioè è molto garantista, vengono ascoltati decine o centinaia di testimoni, tutte o quasi le indagini svolte dal pm sono ripetute. Questo è un bene per il cittadino imputato, che così riduce al massimo il rischio di essere condannato da innocente, ma ovviamente implica dei tempi di dibattimento molto lunghi. Il sistema insomma può funzionare solo se si fanno pochi processi. E infatti chi ha ideato il nostro codice prevedeva che se ne celebrassero pochissimi: come accade negli Usa dove l'85 per cento degli imputati, quando le prove sono forti, si dichiarano colpevoli e patteggiano la condanna ottenendo così degli sconti di pena. O in Inghilterra, dove addirittura solo il 10 per cento delle persone sotto inchiesta arriva al processo. In Italia invece la situazione è capovolta: in pochi patteggiano o accedono al rito abbreviato che garantisce uno sconto di un terzo sulla condanna. A quasi tutti, visti i nuovi brevi termini di prescrizione, e i tempi del processo, conviene andare in aula e tirarla il più possibile per le lunghe. Il caso delle denunce per guida in stato di ebbrezza di Torino insegna.
Anche il governo Prodi se ne è accorto. In aprile è stato presentato un disegno di legge per accelerare le procedure e rivedere, a soli due anni di distanza dall'ultima riforma del centrodestra, i tempi di prescrizione. "La prescrizione sarà pari alla pena massima del reato aumentata della metà", spiega il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Li Gotti, "e soprattutto smetterà di decorre dal momento della sentenza di appello". Ce la farà la riforma ad essere approvata in pochi mesi? Al di là dell'ottimismo del governo è lecito dubitarne. Nelle commissioni Giustizia circa il 50 per cento dei membri sono avvocati che spesso, al contrario di quanto accade all'estero, esercitano in contemporanea il mandato parlamentare e la professione forense. E in questo caso gli interessi in gioco sono fortissimi: non solo quelli dei clienti, ma anche quelli economici della categoria.
Il procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, a giorni manderà in libreria un'opera destinata a far discutere: Toghe Rotte. La giustizia raccontata da chi la fa (edizioni chiarelettere). Il libro è una raccolta di esperienze sul campo di diversi magistrati e si traduce in un circostanziato atto di accusa nei confronti della classe politica che, secondo Tinti, ha fin qui operato volutamente per non far funzionare la macchina della giustizia. Il magistrato, dopo aver ricordato che "a Roma ci sono tanti avvocati come in tutta la Francia", scrive: "Se si esamina l'attività del Parlamento e quella della maggior parte dei ministri della Giustizia succedutisi negli ultimi vent'anni, si scopre una cosa incredibile: non solo non si è fatto sostanzialmente nulla per aumentare l'efficienza dell'amministrazione della giustizia, ma addirittura si è lavorato per diminuirla fortemente (...) Tutte le occasioni di impegno massiccio del Parlamento (...) hanno in realtà riguardato provvedimenti palesemente 'ostili' alla giustizia". Tinti li elenca ad uno ad uno, compreso quello che ha abbreviato i termini di prescrizione del processo "così da farne prescrivere alcuni molto importanti che interessavano proprio a quelli che facevano la legge" e considera: "Paradossalmente (mah), il potere politico interviene sulla giustizia ogni volta che essa risulta in qualche modo efficiente (...) Qualche anno fa, con i voti di tutti i partiti politici, è stata fatta una piccola riforma delle pene accessorie che sono quelle che si aggiungono alla pena principale, la prigione. Tra queste c'era l'interdizione dai pubblici uffici e l'interdizione dall'esercizio di una professione. Prima (...) un sindaco condannato a due anni per corruzione, con la sospensione non andava in carcere, ma gli si applicava la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, così almeno la smetteva di fare il sindaco (...) Adesso, la sospensione condizionale sospende anche la pena accessoria".
Oggi il governo, di fronte all'ennesimo allarme sicurezza, ha però assicurato un giro di vite. Il 29 agosto il ministro dell'Interno Giuliano Amato, ha tuonato: "Quando uno viene arrestato non te lo puoi trovare davanti tre mesi dopo". L'idea è che i giudici debbano motivare il perché decidono di liberare un indagato o un imputato. Infatti, ricorda il magistrato romano Mario Almerighi, "il 93 per cento dei condannati in primo grado non va in carcere". All'estero succede il contrario. Anche perché in paesi civili come Gran Bretagna, Svizzera e Stati Uniti, l'appello di fatto non esiste. Il secondo grado scatta solo se la difesa è in grado di produrre nuove prove non già esaminate dal tribunale o (come accade in Inghilterra) se si sono verificate irregolarità procedurali. Si può davvero ipotizzare una rivoluzione copernicana di questo tipo? Si può davvero abolire l'appello?
"Per risolvere i problemi della giustizia ci vogliono un Bondi e un Giustiniano", ripete spesso con una battuta il pm milanese Francesco Greco, riferendosi a Enrico Bondi, risanatore della Parmalat. Insomma a parte la riscrittura dei codici, bisogna trovare il modo di risparmiare e reperire nuove risorse. Un'impresa titanica, ma non impossibile. Greco è il presidente della commissione Recupero spese di giustizia, istituita dal ministro Mastella nel marzo 2007. Il suo lavoro parte da un dato di fatto: la giustizia è macchina che produce 'reddito'. Ogni anno, ad esempio, imputati e condannati dovrebbero liquidare alle casse dello Stato circa 500 milioni di euro (diventati più di 700 nel 2007). Un vero tesoro, in gran parte frutto del pagamento delle spese processuali, che però non viene incassato. Nel 2006 lo Stato ha incamerato solo 24 milioni, una somma che salirà quest'anno a circa 70. Migliorare insomma si può. Magari guardando alla Cassazione, dove i ricorsi giudicati inammissibili (il 70 per cento dei casi) o infondati, hanno come conseguenza una condanna a un versamento alla cassa delle ammende. In totale sulla carta fanno 80 milioni di euro. Il perché della norma è chiaro: se paghi quando hai torto, prima di intasare di carte il palazzaccio ci penserai su un bel po'. In molti però oggi non pagano. Basterebbe obbligare i ricorrenti a depositare in anticipo una cauzione, da restituire in caso di vittoria, ottenendo due risultati: uno Stato più ricco e una suprema Corte meno inflazionata.
(13 settembre 2007)
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Acqua alta in tribunale
Stanze incustodite. Fascicoli abbandonati a disposizione di chiunque. Processi infiniti. Rinvii fino al 2013. Così affonda la giustizia a Venezia. E in Procura si può anche entrare con la pistola in borsa
di Fabrizio Gatti
Anche se c'è un mucchio di arretrato, il venerdì dopo pranzo comincia puntuale il weekend. Non alle cinque della sera come nel resto d'Europa. Il fuso orario della Corte d'Appello di Venezia corre più in fretta. E all'una del pomeriggio (del venerdì), eccolo finalmente il meritato riposo. A vedere come si svuotano, non sembra che questi uffici abbiano il record nazionale di lentezza dei processi. Primi nel 2004 con 1.392 giorni, quasi quattro anni. Secondi nel 2005 dietro ad Ancona, con 1.200 giorni (vedi tabella a pag. 49). Ed è soltanto l'appello, al quale va aggiunta la durata del primo grado, civile o penale. Ma sarà perché sulla Laguna c'è ancora il sole e perdersi l'ultima passeggiata al Lido è un peccato. Sarà per la sospensione delle udienze che ogni estate ferma le fatiche dal primo di agosto a metà settembre. Sarà che un fascicolo in più o in meno non cambia nulla nel disastro nazionale. Dunque benvenuti nel quartier generale del diritto a Nord-est: per gli italiani le ferie sono finite da un pezzo, qui è ancora Ferragosto.
Una settimana nella giustizia di una delle regioni più ricche e attive al mondo non può che portare in questo antico palazzo sul Canal Grande. Un buco nero in cui il tempo rallenta e mastica con calma tutti i fascicoli che, in un modo o nell'altro, devono passare davanti ai giudici della Corte d'Appello. A Venezia possono arrivare i procedimenti di tutto il Veneto. Dalle vertenze di lavoro alle rapine in villa. Dalle liti per l'eredità agli omicidi. La regione non è più la terra povera, disagiata, abitata dai figli dei contadini che per vivere dovevano emigrare. Da due decenni la ricchezza richiama nuovi criminali e la competizione alimenta le cause. Eppure lo Stato continua a trattare la giustizia in Veneto con gli stessi organici di quell'epoca, quando gli uomini facevano i minatori all'estero e le ragazze andavano a servizio nelle ville di dottori e signori.
Per vedere come funziona, basta frequentare da spettatore i corridoi deserti dove è possibile trovare incustoditi e consultare i faldoni con migliaia di intercettazioni telefoniche dell'antimafia. Una borsa a tracolla per sembrare un commesso. E dentro, tra le carte, anche una pistola. Ovviamente finta. Una Beretta calibro 9 per 21 in ferro, identica a quella vera, con tanto di sicura e cartucce (a salve). Diversa soltanto per il tappo rosso bene in vista sulla canna. È una prova. La sicurezza dei tribunali e del loro personale non è un aspetto secondario nell'organizzazione della giustizia. Ma per tutta la settimana nessuno se ne accorge. È possibile portare la scacciacani più volte fino alla Procura. Passare e ripassare davanti alla segreteria del procuratore. Incrociare in corridoio il sostituto Carlo Nordio. Fermarsi di fronte alle stanze del pm Emma Rizzato o del gip Stefano Manduzio, i magistrati che si occupano degli attentati e dei depistaggi di Unabomber. Non un solo sorvegliante. Nemmeno un metal detector.
All'ingresso della Corte d'Appello qualcosa per scovare eventuali armi nelle tasche invece c'è: una lunga fila di cabine elettroniche. L'impianto sarà costato qualche centinaio di migliaia di euro. Ed è spento. Si entra e si esce a piacere, aggirando l'ostacolo a destra dove il passaggio non ha filtri. Soltanto un pomeriggio si fa avanti un custode senza divisa. Il venerdì appunto, quando se ne sono andati quasi tutti per il weekend. L'unico viavai è dovuto ai commissari d'esame e ai praticanti che oggi affrontano gli orali per diventare avvocato.
Promuovere un appello a Venezia solleva un serie di problemi. Prima di tutto di agenda. Bisogna andare in una cartoleria e trovarne una del 2010 o perfino del 2013. Proprio in questi giorni, per un ricorso depositato nel luglio 2007 è stata decisa la data della prima udienza: luglio 2010. È una causa di lavoro. Avanti di questo passo, per il dipendente che l'ha presentata la pensione arriverà prima della sentenza. Le richieste di risarcimento danni viaggiano ancora più in là nel futuro: ricorsi depositati quest'anno sono stati rinviati al calendario 2013.
Spesso le conseguenze dei ritardi sono drammatiche. È il caso di un ingegnere moldavo che aspetta dal 6 ottobre 2001. Dal giorno in cui a Curtarolo, in provincia di Padova, è caduto dal tetto di una casa. Lavorava come muratore, senza contratto e senza permesso di soggiorno. È finito in coma all'ospedale, ma si è salvato. Tra il 2004 e il 2005 i suoi principali, il proprietario dell'impresa edile e il rappresentante legale di una società immobiliare della zona, vengono condannati a tre e due mesi per lesioni personali colpose. I due scelgono il patteggiamento e il Tribunale decide di non ordinare il pagamento dei danni come condizione per la riduzione della pena. Confermata la sentenza penale, quest'anno in gennaio l'ingegnere presenta attraverso gli avvocati della Cgil il ricorso civile per ottenere il risarcimento.
La prima udienza viene fissata al 5 giugno 2007. Ma in primavera il giudice che se ne deve occupare ottiene un incarico fuorisede, e pagato, a Roma. Tutta la sua agenda deve essere trasferita ai colleghi. Così la prima udienza per l'ingegnere moldavo viene rinviata a un'altra data: 26 novembre 2008. Probabilmente quel giorno il magistrato chiederà alle parti se hanno raggiunto un accordo. Poiché né l'impresario edile né la società immobiliare hanno voglia di pagare, la risposta sarà no. Verrà quindi fissata una nuova udienza. Ne serviranno almeno quattro per stabilire se nel cantiere erano rispettate le norme di sicurezza. E anche nel caso di una condanna tra cinque anni, i due imprenditori possono sempre presentare ricorso alla Corte d'Appello di Venezia. Che esaminerà il caso dopo tre anni e forse lo concluderà dopo altri quattro. Nel frattempo l'ingegnere-muratore è dovuto tornare in Moldavia. La sua vita è completamente rovinata. Le lesioni e il trauma cranico hanno riportato la sua mente all'infanzia. È paraplegico. L'Inail gli ha riconosciuto un'invalidità al 100 per cento. Adesso sono sua moglie e le due figlie a doversi prendere cura di lui.
La lentezza del processo trascina un altro problema: la sostituzione dei magistrati che lo conducono. Sulle rive della laguna si alzano le ciminiere del grande petrolchimico di Marghera. Le cause più famose sulla morte di almeno 350 operai si sono concluse con il riconoscimento di 40 casi. Ma soltanto per uno si è arrivati alla condanna. Gli altri 39 sono rimasti impuniti perché dal decesso erano già scaduti i tempi di prescrizione. Qualcosa del genere si sta ripetendo in questi mesi con una serie di nuove cause per contaminazione nei luoghi di lavoro. Prima che un'inchiesta sia conclusa, cambiano almeno quattro sostituti procuratori. Qualcuno perché viene promosso o trasferito. Altri perché ottengono incarichi temporanei. E ogni volta bisogna ripartire daccapo. Gli avvocati ne sono consapevoli: "I sette anni e mezzo della prescrizione passano in fretta. Tra rinvii, primo grado, eventuale appello e Cassazione, se non è riconosciuto l'omicidio colposo o peggio, nessun altro reato viene punito". Per i legali degli eventuali imputati non resta che tirarla il più a lungo possibile. L'esempio da seguire sono i processi contro Silvio Berlusconi. Un modello di difesa che nasce in Veneto: uno degli avvocati più attivi del Cavaliere, Niccolò Ghedini, è padovano e si è fatto le ossa da queste parti.
Nessun avvocato veneziano, però, proprio nessuno, desidera esporsi di persona contro la disorganizzazione dell'attività di giudici e pm. La giustizia sarà uguale per tutti. Ma irritare un magistrato potrebbe renderla meno uguale ai danni dei propri clienti. Così le scelte vengono accettate in silenzio. Come quella che nel 2007 ha chiamato per alcuni mesi due dei quattro giudici della sezione lavoro del Tribunale ad aiutare i colleghi della Corte d'Appello. Hanno praticamente dimezzato l'ufficio che tratta una delle questioni più sentite dai cittadini e dall'economia: le vertenze contro la propria azienda o, nel caso inverso, contro i propri dipendenti.
Il collasso della giustizia in Veneto viene annunciato già nel gennaio 2006 dall'allora presidente della Corte d'Appello, Giovanni Massagli. Come esempio, durante il discorso inaugurale dell'anno giudiziario, l'alto magistrato presenta proprio il caso dei suoi giudici del lavoro: "Si poteva davvero pensare che la sezione della Corte d'Appello, istituita con il presidente e due consiglieri, potesse reggere le impugnazioni dagli otto Tribunali del distretto come Venezia, Padova, Verona, Vicenza e Treviso per citare i più grossi?". Il risultato è che Giovanni Massagli ha terminato il suo incarico. E, dopo un anno, non è stato ancora sostituito. Al suo posto, l'anno giudiziario 2007 l'ha inaugurato il 'presidente reggente', Nicola Greco: "Dai dati del Consiglio superiore della magistratura", ricorda ancora una volta Greco, "si rileva che su 408 posti in organico, 37 sono vacanti con una percentuale di scopertura pari al 9,07 per cento a fronte di una media nazionale pari al 7,7 per cento".
La mancata assunzione di personale è una conseguenza dei tagli ai bilanci nazionali. Ma c'è un aspetto che nessun discorso inaugurale ha ancora affrontato. L'ha rivelato la scorsa settimana il ministero dell'Economia nel 'Libro verde sulla spesa pubblica': il 74 per cento dei magistrati del distretto della Corte d'Appello di Venezia, praticamente tutto il Veneto, ha un ruolo e quindi uno stipendio superiore alle funzioni effettivamente svolte. Un record se confrontato con Reggio Calabria e Palermo dove, nonostante conducano in molti casi una vita blindata, soltanto il 44 e il 48 per cento dei magistrati gode di benefici simili. Questo corrisponde a un aumento dei costi. E non sempre coincide con una migliore professionalità.
La preparazione di un magistrato è una questione molto difficile da dimostrare. Un indizio possono essere i ricorsi alla Corte di Cassazione. Per questo bisogna spostarsi a Roma. Il ricorso più significativo è quello depositato contro una sentenza scritta e firmata dal presidente di una sezione civile della Corte d'Appello di Venezia. Il caso è delicatissimo: riguarda il riconoscimento di un figlio. Una causa cominciata nel 1996 e conclusa in appello nel 2005. Quel giorno il presidente di sezione ha probabilmente fretta. Perché nel dispositivo della sentenza ripete esattamente le parole scritte dall'avvocato appellante e aggiunge le poche righe della sua decisione. È insomma un copia-incolla da pagina 11 a pagina 23 in cui il magistrato si dimentica perfino di cambiare il soggetto, tanto da sembrare lui la parte in causa. Secondo il legale, che ora chiede l'annullamento della sentenza, mancano le motivazioni del giudice. In altre parole, se si trattasse di un esame di giurisprudenza, questo presidente di sezione della Corte d'Appello veneziana dovrebbe essere bocciato. Dopo tre anni, però, la Cassazione non ha ancora deciso.
Se il 74 per cento dei magistrati veneti prende uno stipendio più alto rispetto alle funzioni che ricopre, alla sede storica del Tribunale vicino al ponte di Rialto non hanno nemmeno i soldi per pagare la sorveglianza. È per questo che si può entrare e uscire tranquillamente con la pistola nella borsa. La notte dell'8 agosto 2001 un attentato, rimasto impunito, ha fatto esplodere una parete. Ma il tavolo e le due sedie dei custodi all'ingresso sono vuote. Qui non hanno risorse nemmeno per comprarsi gli schedari o prendere in affitto qualche locale per l'archivio. I fascicoli sono ovunque. Alla portata di chiunque, dentro scatoloni o negli scaffali aperti. Una città sull'acqua non ha cantine e il nuovo palazzo di giustizia è ancora un cantiere.
Un tacito accordo permette agli avvocati di servirsi da soli: non c'è abbastanza personale perché atti e verbali vengano cercati dai segretari. A volte qualche documento si perde e bisogna far partire la procedura per ricostruire la pratica. Secondo la legge sulla privacy, gli archivi dovrebbero essere sempre custoditi e chiusi a chiave in un luogo protetto. Ma i primi ad accettare la violazione delle norme sono i magistrati che ogni mattina fanno lo slalom tra gli scatoloni pieni. Abbandonati in un'aula aperta al pubblico hanno parcheggiato decine di faldoni della Direzione distrettuale antimafia. Si possono leggere i brogliacci delle telefonate, le informative di polizia e carabinieri, i nomi dei confidenti da proteggere. Una giustizia a cielo aperto, alla faccia della riservatezza sulle intercettazioni. Scene identiche nel lungo corridoio davanti agli uffici dei giudici per le indagini preliminari. Scaffali aperti. Faldoni per terra dove, da qualche parte, ci sono anche i provvedimenti sugli attentati di Unabomber, l'inchiesta più scottante del Nord-est. Va un po' meglio al piano della procura. Ma di fronte a una delle segreterie si possono sfogliare i fascicoli delle inchieste appena avviate: non c'è più posto e le cartelline se ne stanno in attesa su un ripiano in corridoio.
Non resta che scendere nell'aula dove vengono processati i criminali più pericolosi e appoggiare la pistola su uno dei banchi. La bellissima sala della Corte d'assise è deserta. Ci sono le telecamere. Forse basta contare e aspettare di essere scoperti: uno, due, tre... Non arriva nessuno. n
(13 settembre 2007)
Va ricordata anche l'inchiesta di Report del 6 maggio 2007
http://www.media.rai.it/mpmedia/0,,RaiTre-Report%5E24271,00.html
Testo integrale:
http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1072244,00.html
e quelle di Riccardo Iacona a Napoli e a Locri:
http://www.media.rai.it/mpmedia/0,,RaiTre-witalia%5E4742,00.html
http://www.media.rai.it/mpmedia/0,,RaiTre-witalia%5E29550,00.html
Thread:
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1515414
naitsirhC
15-09-2007, 12:33
Povera Italia...
a che punto siamo arrivati!
dantes76
15-09-2007, 12:40
E' vero la giustizia, aveva bisogno di un indulto..
"il 93 per cento dei condannati in primo grado non va in carcere". All'estero succede il contrario. Anche perché in paesi civili come Gran Bretagna, Svizzera e Stati Uniti, l'appello di fatto non esiste. Il secondo grado scatta solo se la difesa è in grado di produrre nuove prove non già esaminate dal tribunale o (come accade in Inghilterra) se si sono verificate irregolarità procedurali. Si può davvero ipotizzare una rivoluzione copernicana di questo tipo? Si può davvero abolire l'appello?
Il governo Berlusconi, voleva fare così almeno per quelli dichiarati innocenti in primo grado (ancora più garantista: solo se l'accusa ha elementi nuovi si poteva fare appello, secondo la proposta), ma chissà perchè tutti erano contro perchè dicevano che era una legge ad personam... Eppure l'Inghilterra mi sembra un paese civile... :rolleyes:
Il governo Berlusconi, voleva fare così almeno per quelli dichiarati innocenti in primo grado (ancora più garantista: solo se l'accusa ha elementi nuovi si poteva fare appello, secondo la proposta), ma chissà perchè tutti erano contro perchè dicevano che era una legge ad personam... Eppure l'Inghilterra mi sembra un paese civile... :rolleyes:
Perchè era una legge incostituzionale in contrasto con il principio della parità delle parti processuali.
http://www.ambientediritto.it/sentenze/2007/Corte_Cost/C.C._2007_n.26.htm
In Inghilterra l'appello è permesso sia per l'accusa che per la difesa ma solo per motivi procedurali.
io dico solo una cosa
che per un onesto cittadino che vuole fare il magistrato o il giudice si trova molti muri da scavalcare..
iniziamo a conteggiarli:
1)esami truccati, entrano solo i figli di papa'
2)lavorare e studiare non è facile per uno che NON è figlio di...
3)i concorsi sono truccati
4)fare carriera fino a diventare giudice/o altro beh....idem
il fatto è che ci si lamenta sempre della carenza di organico, ma non vi e mai venuto in mente che è proprio per colpa di chi ha voluto costruirsi una "casta" intorno al proprio lavoro che ha peggiorato le cose?=?????
secondo me rimettendo le cose a norma di legge ci sarebbero :
1) piu' lavoratori,quindi meno tempi di attesa
2)meno "casta" quindi un sistema piu' vicino al cittadino
3)piu' equita'
Dopo i pesanti tagli degli anni passati, di fronte alle disastrose condizioni in cui versa la Giustizia, sono in arrivo ancora altri tagli con la prossima finanziaria.
http://www.giustizia.it/ministro/com-stampa/xv_leg/11.09.07.htm
Comunicato stampa
Finanziaria 2008: dalla Giustizia tagli per circa 60 milioni di euro
Ammonta a quasi 60 milioni di euro il contributo della Giustizia in termini di risparmi alla Legge Finanziaria 2008. Lo rende noto l'ufficio stampa del Ministero in una nota nella quale si precisa che il totale dei tagli previsti è così suddiviso:
* 7,6 milioni di euro per la riduzione della spesa per l'acquisto di mezzi di trasporto, macchinari e attrezzature dell'amministrazione penitenziaria e di quella minorile;
* 5 milioni di euro il risparmio sul funzionamento delle amministrazioni giudiziaria, penitenziaria e minorile;
* 2 milioni di euro da autorizzazioni di spesa per dirigenti dell'amministrazione;
* 3,3 milioni di euro in meno per l'acquisto di beni, macchine e attrezzature dell'amministrazione giudiziaria;
* 40 milioni di euro dalla razionalizzazione delle spese relative ad intercettazioni telefoniche (risparmi che saliranno a 70 milioni nel 2009 e a 100 milioni di euro nel 2010).
Un taglio, quindi, di circa 60 milioni di euro per venire incontro alle indicazioni governative in vista della prossima Finanziaria che, tuttavia, non potrà non tener conto delle necessità improcrastinabili per il buon funzionamento della Giustizia, considerando soprattutto che il settore, nella precedente legislatura, ha già subito tagli per il 53%.
Da notare come non ci sono tagli alle consulenze mentre sulle intercettazioni si va giù pesante.
Dopo i pesanti tagli degli anni passati, di fronte alle disastrose condizioni in cui versa la Giustizia, sono in arrivo ancora altri tagli con la prossima finanziaria.
http://www.giustizia.it/ministro/com-stampa/xv_leg/11.09.07.htm
Da notare come non ci sono tagli alle consulenze mentre sulle intercettazioni si va giù pesante.
Chissà come mai... :rolleyes:
Processi-lumaca, l'Italia batte tutti i record
di MARIO COFFARO
ROMA - «Chi ha ucciso la giustizia?»: per rispondere a questa domanda l'Avvocatura italiana, per bocca della sua presidente Michelina Grillo, sa «che occorrerebbe fare la lista di tutti i governi che si sono succeduti in questi anni e non hanno considerato prioritario intervenire in modo consistente ed organico per sanare, correggere, riformare e investire in un settore di così grande rilevanza strategica». È amaro doverlo ricordare ma in una ipotetica gara europea tra processi lumaca l'Italia vincerebbe il premio per chi è più lento sia nel penale che nel civile. Un triste primato che ha portato il nostro Paese ad avere il maggior numero di ricorsi per equo indennizzo dalla lentezza della giustizia alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Gli avvocati di tutta Italia riuniti nell'organismo unitario (Oua) alla loro 11^ Conferenza nazionale sulla giustizia nella capitale hanno voluto, a scanso di equivoci, precisare che: «La giustizia italiana versa in una situazione drammatica, unica in Europa, ma la responsabilità non è del ministro Mastella. La crisi è di antica data - ha detto la presidente Grillo, aggiungendo - ma noi abbiamo voglia di buona politica e per questo occorre partire da una analisi severa della situazione per arrivare a proposte concrete e realizzabili». L'analisi parte dalle cifre dell'Oua, sintetizzate da varie fonti ufficiali. Nel civile si va dai 340 giorni per i procedimenti davanti al giudice di pace agli 887 giorni per il primo grado, 1020 giorni per l'appello, fino a i 1102 per la Cassazione. Nel penale un processo nei tribunali collegiali richiede 630 giorni, 603 nelle Corti d'appello, 426 nelle Corti d'assise, 242 nelle corti d'assise d'appello e 280 in Cassazione.
Per i procedimenti davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, l'Italia è in testa alla classifica negativa: alla fine di ottobre del 2006 le denunce erano state 1258 contro 1012 condanne. Il confronto con gli altri Paesi è imbarazzante: in Francia le denunce sono state 305 e le condanne 255, così anche per la Spagna, la Germania ha accumulato 308 denunce e 301 Condanne, la Polonia 237 denunce e 185 condanne, l'Irlanda 4 denunce e 4 condanne e l'Albania una denuncia e una condanna.
Ma le cifre non sono tutto. Gli avvocati lamentano la carenza «delle risorse materiali e umane di cui dispone il sistema, entrambe perennemente insufficienti per fronteggiare una domanda in costante crescita». Ma stavolta partono all'attacco dì quella che definiscono «la piaga delle sacche di privilegio. E giusto ricordare che i maggiori stanziamenti degli ultimi anni in favore del settore sono stati pressoché interamente assorbiti dagli oneri relativi agli stipendi dei magistrati». L'Italia ha aumentato la spesa per la giustizia più di molti altri Paesi in Europa ma l'efficienza del sistema è peggiorata invece di migliorare. «Non è solo una questione di fondi - dice Grillo - anche se in molti tribunali non ci sono soldi per fotocopie, per la stenotipia dei verbali. Il problema è capire che fine fanno le entrate a titolo di giustizia. Non c'è una rendicontazione trasparente. Non sarà perché gli italiani fanno entrare nelle casse dello Stato molto di più di quanto il Tesoro mette a disposizione del sistema giustizia?». È un sospetto fondato sulla mancanza di dati omogenei che consenta «di valutare t'esistente, ma anche di preventivare il reale impatto delle future riforme».
Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino che ha partecipato ieri alla tavola rotonda coordinata da Bruno Vespa ha detto che: «Occorre una riforma omogenea nel sistema giustizia, aggrovigliato da novelle e miniriforme portate sia dal governo di centrodestra che da quello attuale di centrosinistra. Occorre snellire sia il processo civile che il processo penale, ma garantendo prima di tutto il cittadino». Il presidente dell'Anni, Giuseppe Gennaro, ha però messo l'accento sull'innovazione informatica: «Bisogna fare funzionare al più presto il processo telematico».
12-10-2007
Il Messaggero
http://img266.imageshack.us/img266/1892/processifn5.th.png (http://img266.imageshack.us/my.php?image=processifn5.png)
http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/prima-udienza/prima-udienza/prima-udienza.html
Foggia, crisi della giustizia al Sud: difficilmente si riuscirà ad anticipare la data
Avevano citato in giudizio l'Inps per il ricalcolo della pensione
"La prima udienza? Torni nel 2020"
Due anziani convocati fra 13 anni
di RAFFAELE LORUSSO
FOGGIA - Una storia vera di giustizia al rallentatore. Accade nella sezione lavoro del tribunale di Foggia. Due braccianti agricoli quasi settantenni, in pensione già da alcuni anni, citano in giudizio l'Inps perché ritengono che ci sia un errore nei parametri di calcolo della pensione. Chiedono l'adeguamento dell'importo e, ovviamente, gli arretrati. I loro legali depositano i fascicoli il 25 settembre scorso, ma quando si recano in cancelleria per conoscere la data della prima udienza, non credono ai propri occhi: l'appuntamento è per il 27 febbraio 2020.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Aspettare tredici anni per comparire per la prima volta davanti al giudice, significa infatti che, visti i tempi dei processi ordinari, la sentenza di primo grado non arriverà prima del 2023-2025. Quando, cioè, ai malcapitati il ricalcolo della pensione - neppure un migliaio di euro in più l'anno - potrebbe non servire più.
Così va la giustizia nel profondo Sud. Non che gli altri tribunali siano campioni di rapidità, ma il caso di Foggia è paradossale. Certo, nel capoluogo dauno la sezione lavoro deve affrontare un numero di cause sicuramente elevato e con un organico di magistrati ridotto all'osso. Non è però l'unica a lavorare in una situazione di perenne emergenza. Per dire: la sezione lavoro del tribunale di Bari non se la passa meglio, ma - riferiscono gli addetti ai lavori - per un fascicolo depositato in questi giorni la prima udienza nel peggiore dei casi sarebbe fissata nel 2009. Trattandosi di cause ordinarie, senza cioè alcun motivo per chiedere la discussione urgente, difficilmente i legali riusciranno ad anticipare la data della prima udienza.
In Capitanata le cause contro l'Inps per il ricalcolo delle pensioni si sprecano. Sono quasi routine perché di facile trattazione. Volendo, si può giungere a sentenza in tempi relativamente brevi. Un motivo in più per discuterle senza dover dilatare all'infinito i tempi dei processi.
Il rinvio alle calende greche - perché di questo si tratta - sembra ormai diventata la regola. Certo, a volte è anche questione di fortuna. Due ricorsi per la stessa ragione (il ricalcolo della pensione Inps) depositati lo stesso giorno (il 25 settembre) nella stessa cancelleria hanno ottenuto una corsia preferenziale (si fa per dire): saranno discussi il 13 marzo 2013.
Rispetto al 2020 è dopodomani, anche se non è proprio dietro l'angolo. Ai malcapitati ricorrenti non rimane così che fare gli scongiuri. Non potendo sperare in un ragionevole anticipo dell'udienza (si tratta di una causa ordinaria), per portare a casa qualche spicciolo in più possono pur sempre affidarsi alle statistiche: la vita media si è allungata e in Italia si vive di più che nel resto d'Europa.
(23 ottobre 2007)
di questo passo sono sicuro che finiremo nella m**a :(
pensate che possano fare anche un indulto per tutte le cause aperte?, nel senso che dichiarino tutto annullato vista l'impossibilita' di procedere
secondo voi di questo passo cosa succedera?
ovviamente è una bolla pronta ad esplodere, non c'è dubbio!!
http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_22/giustizia_condannata_5f550198-c8ba-11dc-8074-0003ba99c667.shtml
Dentro le aule Processi che non finiscono mai: 3.612 istruttorie contro le toghe e 3.612 assoluzioni
Giustizia condannata
Sprechi, lentezze e 7,7 miliardi di euro 200 mila prescrizioni: record europeo
Gian Antonio Stella
Cosa avete in agenda il 27 febbraio 2020? «Che razza di domanda!», direte voi. Eppure un paio di braccianti pugliesi, quel giovedì che arriverà fra dodici anni abbondanti, quando sarà un vecchio rottame (calcisticamente) perfino il baby Pato, hanno dovuto segnarselo su un quaderno: appuntamento in tribunale. Così gli avevano detto: se il buon Dio li manterrà in salute (hanno già passato la settantina: forza nonni!), se quel giorno non verranno colpiti da un raffreddore, se il giudice non avrà un dolore cervicale, se il cancelliere non sarà in ferie, se gli avvocati non saranno in agitazione, se l’Italia non sarà bloccata da uno sciopero generale con paralisi di tutto, se non mancherà qualche carta bollata, se non salterà la corrente elettrica, Sua Maestà la Giustizia si concederà loro in udienza. E potranno finalmente discutere della loro causa contro l’Inps.
Dopo di che, auguri. Di rinvio in rinvio, col ritmo delle nostre vicende giudiziarie, già immaginavano una sentenza tra il 2025 e il 2030. Magari depositata, cascando su un giudice pigro, verso il 2035. Già centenari. Ma niente paura: sulla base della legge Pinto avrebbero potuto ricorrere in Appello contro la lentezza della giustizia. E ottenere l’«equa riparazione » per avere aspettato tanto. Certo, avrebbero dovuto avere pazienza: dal 2003 al 2005 i ricorsi di questo tipo sono infatti raddoppiati (da 5.510 a 12.130) e in certi posti come Roma ci vuole già oggi un’eternità (due anni) per vedersi riconoscere di avere atteso un’eternità. Quanto ai soldi del risarcimento, ciao… Le somme che lo Stato è costretto a tirar fuori ogni anno continuano a montare, montare, montare…
E per quella lontana data non è detto che ci sia ancora un centesimo. Il presidente di Cassazione Gaetano Nicastro, del resto, l’ha già detto: «Se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi finanziarie». Diagnosi infausta confermata il mese scorso dal ministero dell’Economia. Secondo il quale i cittadini che hanno «potenzialmente diritto all’indennizzo» per i processi interminabili sono «almeno 100mila» l’anno. Mettete che abbiano diritto a strappare in media 7 mila euro ciascuno e fate il conto. Erano già rassegnati, i due braccianti, a darsi tempi biblici quando il Tribunale, per evitare una figuraccia, li ha in questi giorni richiamati: era tutto un errore, l’appuntamento è solo nel 2013. Ah, solo nel 2013! Solo fra cinque anni! Ecco com’è, il libro sulla giustizia italiana scritto da Luigi Ferrarella e titolato, con un malizioso richiamo alla dannazione eterna, «Fine pena mai»: un libro sospeso tra il ridicolo e l’incubo.
Un formidabile reportage su un pianeta che tutti pensiamo di conoscere e che scopriamo di non conoscere affatto. Almeno non fino in fondo. Fino agli abissi di numeri e situazioni incredibili. Un racconto che trabocca di storie, aneddoti, personaggi curiosi e surreali ma che allo stesso tempo non concede un grammo al populismo, alla demagogia, al qualunquismo. E che proprio grazie a questa sobrietà ricca di humour ma esente da ogni invettiva caciarona, in linea con lo stile di Ferrarella che i lettori del Corriere bene conoscono, rappresenta la più lucida, netta e spietata requisitoria contro un sistema che rischia di andare a fondo. E di tirare a fondo l’intero Paese. Sia chiaro: non ci sono solo ombre, nella giustizia italiana. Di più: se ogni giorno si compie il miracolo di tanti processi che arrivano in porto, tante udienze che vengono aperte, tanti colpevoli che finiscono in galera e tanti innocenti che ottengono l’assoluzione, è merito di migliaia di persone perbene, giudici, cancellieri, impiegati, fattorini, che si dannano l’anima in condizioni difficilissime. Se non proprio disperate.
Ma certo, anche le luci mostrano quanto sia buio il contesto. Bolzano, che nonostante un buco del 45% negli organici riesce ad aumentare la produttività, ridurre l’arretrato e insieme dimezzare le spese abbattendo addirittura del 60% i costi delle intercettazioni fa apparire ancora più scandalosi i contratti stipulati separatamente dai diversi tribunali per l’affitto delle costose apparecchiature necessarie al «Grande Orecchio », affitto che configurava «uno sconcertante ventaglio dei costi da 1 a 18 per lo stesso servizio».
Torino, «capace tra il 2001 e il 2006 di ridurre di un terzo il carico pendente del contenzioso ordinario civile: una performance che, se imitata da tutti i tribunali italiani, in cinque anni avrebbe ridotto di 238 giorni il tempo medio di attesa di una sentenza civile» dimostra quanto siano incapaci di una reazione all’altezza la stragrande maggioranza degli altri uffici, dove si è accumulato un «debito giudiziario» spaventoso: «4 milioni e mezzo di procedimenti civili e 5 milioni di fascicoli penali». Una «macchina» sgangherata e infernale. Che «consuma più di 7,7 miliardi di euro l’anno» e per cosa? «Per impiegare in media 5 anni per decidere se qualcuno è colpevole o innocente; per far prescrivere da 150 a 200mila procedimenti l’anno, record europeo; per incarcerare ben 58 detenuti su 100 senza condanne definitive; per dare ragione o torto in una causa civile dopo più di 8 anni, per decidere in 2 anni un licenziamento in prima istanza; per far divorziare marito e moglie in sette anni e mezzo; per lasciare i creditori in balia di una procedura di fallimento per quasi un decennio; per protrarre 4 anni e mezzo un’esecuzione immobiliare».
Ma certo che ci sono raggi di sole. A Milano, per esempio, dall’11 dicembre 2006 si possono «emettere decreti ingiuntivi telematici. Il risultato del primo anno è stato fare guadagnare a cittadini e imprese richiedenti dai 12 ai 14 milioni di euro: cioè i soldi fatti loro risparmiare, nella differenza tra costo del denaro al 4% e tasso di interesse legale al 2,50%, dal fatto di poter disporre con quasi due mesi d’anticipo dei 700 milioni di euro che costituiscono il valore dei circa 3.500 decreti ingiuntivi emessi. Un effetto leva pazzesco: 100mila euro spesi per investire nella tecnologia, ma già 12-14 milioni di euro di ritorno per la collettività nel primo anno». Qual è la lezione? Ovvio: occorre assolutamente investire sulle nuove tecnologie. Macché. «Fine pena mai» dimostra che, dovendo tagliare e non avendo il fegato di tagliare là dove si dovrebbe ma dove stanno le clientele, le amicizie, le reti di interessi, hanno via via deciso di tagliare in questi anni perfino le email, gli accessi a Internet, l’acquisto di programmi elettronici, la messa a punto di software specifici, l’assistenza informatica.
L’ultimo somaro sa che se non puoi contare su un’assistenza efficiente, addio: il tuo computer può improvvisamente diventare inutile come un’auto senza ruote. Bene: su questo fronte «la disponibilità del ministero per il 2006 copre appena il 5% del fabbisogno annuale ». Auguri. Per non dire del casellario ancora aggiornato in larga parte manualmente e che dovrebbe diventare totalmente informatico quest’anno (e vai!) nonostante dovesse esserlo già dal 1989 (diciotto anni fa) e per questa sua arretratezza ha consentito ad esempio a una nomade «fermata in varie città 122 volte per furti o borseggi, e condannata a segmenti di pena di 6/9 mesi per volta» di totalizzare «in teoria 20 anni di carcere senza mai fare nemmeno un giorno in prigione».
Colpa dei ministri di destra e di sinistra che si sono succeduti ammucchiando «troppe riforme» spesso in contraddizione l’una con l’altra. Del Parlamento che ha via via affastellato leggi su leggi votando ad esempio 19 modifiche alla custodia cautelare in tre decenni.
Dei politici che non hanno mai trovato la forza, il coraggio, lo spirito di servizio per dare «insieme» una nuova forma a un sistema giudiziario che ormai è così sgangherato che riesce a recuperare «soltanto dal 3% al 5%» delle pene pecuniarie, con una perdita secca annuale di 750 milioni di euro, cioè sette miliardi in un decennio, «nonché di 112 milioni di euro di spese processuali astrattamente recuperabili ».
Così cieco che, taglia taglia, offre per le spese agli uffici giudiziari di Campobasso 138 mila euro e poi ne spende un milione, sette volte di più, per risarcire i cittadini vittime della giustizia troppo lenta anche per mancanza di fondi.
E i magistrati? Tutti assolti? Ma niente affatto, risponde Ferrarella. Il quale non fa sconti a nessuno. E se riconosce qualche buona ragione a chi tende a inquadrare certi ritardi «nel contesto», contesto che è «il migliore avvocato difensore » del giudice sotto accusa, non manca di denunciare assurdità che gridano vendetta. Possibile che perfino chi si «dimenticò » in galera 15 mesi un immigrato se la sia cavata con una semplice censura perché «era la prima volta»? Che non abbia pagato dazio neanche chi ha depositato sentenze «riguardanti cause decise più di sette anni prima»? Che 3.612 istruttorie aperte per accertare la responsabilità delle «toghe» in 3.612 casi di indennizzo per processi troppo lenti si siano concluse con 3.612 assoluzioni?
22 gennaio 2008
(ultima modifica: 23 gennaio 2008)
ma togliere un grado di giudizio,no?
ma togliere un grado di giudizio,no?
troppi avvocati
troppi giudici
troppi magistrati
troppe toghe
e poi nessuno di loro lavora a dovere
e si mettono i bastoni tra le ruote a vicenda
cosa succede?
poi metti i politici corrotti che ci tengono ad uscire puliti da un processo
vedi un po' te
ma togliere un grado di giudizio,no?
Così poi i ladri magari finiscono dentro ? Naaaa ...
ma togliere un grado di giudizio,no?
Ci aveva provato Berlusconi: se eri dichiarato innocente, appello solo se c'erano prove o fatti nuovi. Bocciata perchè legge ad personam... ( :rolleyes: )
Ci aveva provato Berlusconi: se eri dichiarato innocente, appello solo se c'erano prove o fatti nuovi. Bocciata perchè legge ad personam... ( :rolleyes: )
Perchè era una legge incostituzionale in contrasto con il principio della parità delle parti processuali.
http://www.ambientediritto.it/sentenze/2007/Corte_Cost/C.C._2007_n.26.htm
In Inghilterra l'appello è permesso sia per l'accusa che per la difesa ma solo per motivi procedurali.
:rolleyes:
:rolleyes:
E allora? Si cambia la costituzione! :O
Eppure quelli del csx in genere sono ipergarantisti...
LucaTortuga
24-01-2008, 09:21
Ci aveva provato Berlusconi: se eri dichiarato innocente, appello solo se c'erano prove o fatti nuovi. Bocciata perchè legge ad personam... ( :rolleyes: )
Non direi, Berlusconi voleva togliere la possibilità di appello al P.M., non al condannato.
Ergo, il problema di qui si parla qui, ovvero del condannato in primo grado che fa appello solo per far prescrivere il reato, non lo avrebbe minimamente risolto.
Ricordiamoci che è sempre l'imputato a cercare di allungare il processo, nella speranza che intervenga la prescrizione.
Il P.M., al contrario, ha tutto l'interesse a sveltire il più possibile, per lo stesso motivo.
Quindi, togliere la possibilità di appello all'accusa, non serve affatto a defatigare i tribunali (gli appelli chiesti dall'accusa sono una minima parte, e quasi sempre ben fondati) o a sveltire i processi.
Serve solo a impedire che un eventuale assolto ingiustamente in primo grado, non possa più essere giustamente condannato in appello.
E allora? Si cambia la costituzione! :O
La c.d. legge Pecorella non è stata bocciata dalla Corte Costituzionale perché ritenuta una legge ad personam come tu continui erroneamente a sostenere ma perché incostituzionale. Avevo già postato la sentenza ma evidentemente non hai voglia di leggerla.
La parità delle parti processuali è un principio fondamentale che non esiste solo nel nostro ordinamento. È davvero ridicolo pensare che di debba modificare la nostra Costituzione in senso contrario, per alterare la posizione delle parti a tutto vantaggio della difesa senza risolvere gli annosi problemi dei tempi della giustizia. La "ragionevole durata del processo" non si ottiene attraverso la totale soppressione di rilevanti facoltà processuali di una sola delle parti.
Come qualcuno già ti ha fatto notare la legge impediva al pubblico ministero di appellarsi contro le sentenze di proscioglimento senza porre limiti alla facoltà dell'imputato di appellarsi contro una sentenza di condanna.
Per ridurre i tempi della giustizia non è necessario modificare addirittura la Costituzione, per permettere l'approvazione di leggi come la Pecorella ma, come da tempo sostiene il sostituto procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri, da vent'anni in prima fila contro la 'ndrangheta, è sufficiente con legge ordinaria modificare le norme e le procedure esistenti senza stravolgimenti e correggendo gli errori legislativi fatti negli ultimi vent'anni che hanno indebolito la giustizia a tutto vantaggio della criminalità.
L'organizzazione giudiziaria va poi riformata rendendola più efficiente e garantendo i mezzi e le risorse necessarie. Le condizioni di certe procure e tribunali sono da terzo mondo (si vedano i servizi di Iacona e di Report).
Quello che serve soprattutto è una classe politica che abbia veramente intenzione di far funzionare la macchina della Giustizia e che non approvi leggi come l'indulto, la ex-cirielli (un'amnistia mascherata), la Cirami, l'introduzione del patteggiamento allargato, in generale leggi che hanno tutt'altri fini rispetto a quello di velocizzare i tempi della giustizia.
6.1. – Al di sotto dell’assimilazione formale delle parti – «il pubblico ministero e l’imputato possono appellare contro le sentenze di condanna» (ergo, non contro quelle di proscioglimento) – la norma censurata racchiude una dissimmetria radicale. A differenza dell’imputato, infatti, il pubblico ministero viene privato del potere di proporre doglianze di merito avverso la sentenza che lo veda totalmente soccombente, negando per integrum la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con l’azione intrapresa, in rapporto a qualsiasi categoria di reati.
...
6.2. – La rimozione del potere di appello del pubblico ministero si presenta, per altro verso, generalizzata e “unilaterale”.
È generalizzata, perché non è riferita a talune categorie di reati, ma è estesa indistintamente a tutti i processi: di modo che la riforma, mentre lascia intatto il potere di appello dell’imputato, in caso di soccombenza, anche quando si tratti di illeciti bagatellari – salva la preesistente eccezione relativa alle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda (art. 593, comma 3, cod. proc. pen.; si veda, altresì, per i reati di competenza del giudice di pace, l’art. 37 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274) – fa invece cadere quello della pubblica accusa anche quando si discuta dei delitti più severamente puniti e di maggiore allarme sociale, che coinvolgono valori di primario rilievo costituzionale.
È “unilaterale”, perché non trova alcuna specifica “contropartita” in particolari modalità di svolgimento del processo – come invece nell’ipotesi già scrutinata dalla Corte in relazione al rito abbreviato, caratterizzata da una contrapposta rinuncia dell’imputato all’esercizio di proprie facoltà, atta a comprimere i tempi processuali – essendo sancita in rapporto al giudizio ordinario, nel quale l’accertamento è compiuto nel contraddittorio delle parti, secondo le generali cadenze prefigurate dal codice di rito.
...
Nella specie, per contro, la menomazione recata dalla disciplina impugnata ai poteri della parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell’imputato, eccede il limite di tollerabilità costituzionale, in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e “unilaterale” della menomazione stessa: oltre a risultare – per quanto dianzi osservato – intrinsecamente contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di condanna.
Le residue censure dei giudici rimettenti restano di conseguenza assorbite.
10. – L’art. 1 della legge n. 46 del 2006 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen., esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva.
Eppure quelli del csx in genere sono ipergarantisti...
Io sarei di csx? Mi conosci forse? :rolleyes:
Per favore attieniti all'argomento della discussione, grazie.
Quanto al garantismo ormai si fa sempre più spesso un uso inappropriato del termine. Quella non era una legge garantista, ma incostituzionale.
Igor,sei fenomenale.Quoto ogni tua singola parola.
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