IpseDixit
01-09-2007, 20:18
NAIROBI – Se c’è ancora qualche dubbio sulla volontà del Ruanda di allontanarsi dall’influenza francofona, basta guardare le ultime mosse: il lancio del campionato nazionale di cricket – sport britannico per definizione - e la richiesta di entrare nel Commonwealth, che dovrebbe essere accettata al prossimo summit in novembre. Due passi ai quali si devono aggiungere le continue accuse, ribadite anche da una commissione di inchiesta, sulle responsabilità dei militari francesi durante il genocidio del 1994: in soli 100 giorni, a cominciare dalla sera del 6 aprile, furono trucidati un milione di tutsi e di hutu moderati. Se Kigali tenta di saltare sul carro di Washington e di Londra, Parigi cerca in qualche modo di trattenerla, specie dopo che al vertice del governo francese è salito Nicolas Sarkozy e al Quai d’Orsay si è installato Bernard Kouchner, che ha preannunciato un suo viaggio in Ruanda.
LA STRAGE DEL 1994 - Le relazioni diplomatiche sono interrotte dal novembre dell’anno scorso, quando il giudice dell’antiterrorismo Bruguière, sostenuto dall’allora inquilino dell’Eliseo, Jacques Chirac, emise un mandato d’arresto contro nove alti funzionari ruandesi, stretti aiutanti del presidente Paul Kagame. I nove sono accusati di aver organizzato l’attentato del 6 aprile 1994 che scatenò la mattanza. Un missile tirò giù l’aereo sul quale viaggiava l’allora presidente del piccolo Stato africano Juvénal Habyarimana, che restò ucciso. Tre quarti d’ora dopo cominciò la mattanza.
ESTRADIZIONE - Il primo gesto di riavvicinamento mostrato da Parigi era sembrato confortante: il 20 luglio scorso la polizia francese aveva arrestato Wenceslas Munyeshyaka, un prete cattolico incastrato da un video, e Laurent Bucyibaruta, l’ex prefetto di Gikongoro, città martire per i massacri. I due si erano riparati in Francia e a nulla erano valse le richieste di estradizione del governo di Kigali. Il Tribunale Internazionale sui crimini in Ruanda li accusa di sterminio, assassinio e di stupro continuato. Il primo agosto doccia fredda: la corte d’appello di Parigi decide di rimettere in libertà i due e rileva che il mandato di cattura della Corte internazionale non ha valore. I Paesi dell’Unione Europea si sono sempre opposti a estradare gli accusati di genocidio in Ruanda dove rischiavano di essere condannati a morte. Ma ora le cose sono cambiate dopo che il 26 luglio il parlamento di Kigali ha abolito la pena capitale. Interrogato sulla possibilità di migliorare le relazioni con la Francia dopo la vittoria di Sarkozy il ministro degli esteri ruandese, Charles Murigande, ha risposto a Colette Braeckman, giornalista del quotidiano belga Le Soire, una delle maggiori esperte di politica di Grandi Laghi: «Sarei molto contento, ma temo che un’apertura del nuovo presidente su questo problema gli alienerebbe i favori dell’esercito e dei servizi di sicurezza». Sono anni che il governo ruandese chiede alla Francia e alla comunità internazionale di far luce sul comportamento dei militari d’Oltralpe intervenuti nel sud ovest del Paese africano dopo l’inizio del genocidio. Con l’Operazione Turquoise (22 giugno-22 agosto 1994, 2550 uomini), autorizzata dalle Nazioni Unite, i francesi avevano creato una zona umanitaria sicura, che ufficialmente doveva servire a proteggere i tutsi in fuga. In realtà, immediatamente, l’intervento dei legionari fu percepito come l’ultimo aiuto del presidente François Mitterrand (che aveva strettissime relazioni politiche e di affari con Juvénal Habyarimana) ai resti delle forze governative in fuga e l’unico mezzo per permettere ai dirigenti hutu di trovare rifugio in Congo (che allora si chiamava Zaire).
TESTIMONIANZE - La commissione (formalmente indipendente) che lavora dal 2004 sull’argomento in Ruanda ha raccolto testimonianze assai compromettenti contro i militari francesi accusati, per esempio, di aver atteso tre giorni prima di intervenire a salvare un gruppo di tutsi intrappolato dagli hutu sulle colline di Biserero, nella zona che avrebbe essere dovuto essere «di sicurezza». Altre testimonianze parlano di relazioni speciali tra le squadracce hinterhamwe (gli estremisti hutu) e i comandanti francesi. Per non parlare della denuncia del colonnello belga Luc Marchal, impiegato nella MINUAR (la missione dell’Onu in Ruanda), secondo cui uno degli aerei francesi inviato per rimpatriare gli europei in fuga, era arrivato carico d’armi destinate agli hutu. Un giudice istruttore francese, Brigitte Raynaud, ancora durante il governo Chirac, si è recata a Kigali per interrogare i testimoni, ma il procuratore aveva giudicato irricevibili quattro delle sei deposizioni, mentre l’allora ministro della difesa Michèle Alliot-Marie aveva ritenuto inammissibili le denunce. Uno dei responsabili della Turquoise, il colonnello Hogard, aveva pubblicato un dura difesa dell’operazione e il comandante, il generale Jean-Claude Lafourcade, aveva convocato la stampa, per rintuzzare le accuse. Ai tempi, solo l’ex presidente Veléry Giscard d’Estaing aveva osato schierarsi contro l’intervento, giudicato non come neutrale ma semplicemente come un aiuto a chi aveva pianificato e commesso il genocidio.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/09_Settembre/01/ruanda_francesi_strage.shtml
LA STRAGE DEL 1994 - Le relazioni diplomatiche sono interrotte dal novembre dell’anno scorso, quando il giudice dell’antiterrorismo Bruguière, sostenuto dall’allora inquilino dell’Eliseo, Jacques Chirac, emise un mandato d’arresto contro nove alti funzionari ruandesi, stretti aiutanti del presidente Paul Kagame. I nove sono accusati di aver organizzato l’attentato del 6 aprile 1994 che scatenò la mattanza. Un missile tirò giù l’aereo sul quale viaggiava l’allora presidente del piccolo Stato africano Juvénal Habyarimana, che restò ucciso. Tre quarti d’ora dopo cominciò la mattanza.
ESTRADIZIONE - Il primo gesto di riavvicinamento mostrato da Parigi era sembrato confortante: il 20 luglio scorso la polizia francese aveva arrestato Wenceslas Munyeshyaka, un prete cattolico incastrato da un video, e Laurent Bucyibaruta, l’ex prefetto di Gikongoro, città martire per i massacri. I due si erano riparati in Francia e a nulla erano valse le richieste di estradizione del governo di Kigali. Il Tribunale Internazionale sui crimini in Ruanda li accusa di sterminio, assassinio e di stupro continuato. Il primo agosto doccia fredda: la corte d’appello di Parigi decide di rimettere in libertà i due e rileva che il mandato di cattura della Corte internazionale non ha valore. I Paesi dell’Unione Europea si sono sempre opposti a estradare gli accusati di genocidio in Ruanda dove rischiavano di essere condannati a morte. Ma ora le cose sono cambiate dopo che il 26 luglio il parlamento di Kigali ha abolito la pena capitale. Interrogato sulla possibilità di migliorare le relazioni con la Francia dopo la vittoria di Sarkozy il ministro degli esteri ruandese, Charles Murigande, ha risposto a Colette Braeckman, giornalista del quotidiano belga Le Soire, una delle maggiori esperte di politica di Grandi Laghi: «Sarei molto contento, ma temo che un’apertura del nuovo presidente su questo problema gli alienerebbe i favori dell’esercito e dei servizi di sicurezza». Sono anni che il governo ruandese chiede alla Francia e alla comunità internazionale di far luce sul comportamento dei militari d’Oltralpe intervenuti nel sud ovest del Paese africano dopo l’inizio del genocidio. Con l’Operazione Turquoise (22 giugno-22 agosto 1994, 2550 uomini), autorizzata dalle Nazioni Unite, i francesi avevano creato una zona umanitaria sicura, che ufficialmente doveva servire a proteggere i tutsi in fuga. In realtà, immediatamente, l’intervento dei legionari fu percepito come l’ultimo aiuto del presidente François Mitterrand (che aveva strettissime relazioni politiche e di affari con Juvénal Habyarimana) ai resti delle forze governative in fuga e l’unico mezzo per permettere ai dirigenti hutu di trovare rifugio in Congo (che allora si chiamava Zaire).
TESTIMONIANZE - La commissione (formalmente indipendente) che lavora dal 2004 sull’argomento in Ruanda ha raccolto testimonianze assai compromettenti contro i militari francesi accusati, per esempio, di aver atteso tre giorni prima di intervenire a salvare un gruppo di tutsi intrappolato dagli hutu sulle colline di Biserero, nella zona che avrebbe essere dovuto essere «di sicurezza». Altre testimonianze parlano di relazioni speciali tra le squadracce hinterhamwe (gli estremisti hutu) e i comandanti francesi. Per non parlare della denuncia del colonnello belga Luc Marchal, impiegato nella MINUAR (la missione dell’Onu in Ruanda), secondo cui uno degli aerei francesi inviato per rimpatriare gli europei in fuga, era arrivato carico d’armi destinate agli hutu. Un giudice istruttore francese, Brigitte Raynaud, ancora durante il governo Chirac, si è recata a Kigali per interrogare i testimoni, ma il procuratore aveva giudicato irricevibili quattro delle sei deposizioni, mentre l’allora ministro della difesa Michèle Alliot-Marie aveva ritenuto inammissibili le denunce. Uno dei responsabili della Turquoise, il colonnello Hogard, aveva pubblicato un dura difesa dell’operazione e il comandante, il generale Jean-Claude Lafourcade, aveva convocato la stampa, per rintuzzare le accuse. Ai tempi, solo l’ex presidente Veléry Giscard d’Estaing aveva osato schierarsi contro l’intervento, giudicato non come neutrale ma semplicemente come un aiuto a chi aveva pianificato e commesso il genocidio.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/09_Settembre/01/ruanda_francesi_strage.shtml