PDA

View Full Version : Strage di Via D'Amelio; si indagano i servizi segreti deviati


LUVІ
17-07-2007, 15:13
http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/cronaca/borsellino/borsellino/borsellino.html

CRONACA InviaStampaL'ufficio requirente di Caltanissetta riapre l'inchiesta sulla strage del 19 luglio 1992
Secondo gli inquirenti apparati deviati del settore informativo avrebbero avuto un ruolo nell'attentato
Borsellino, per la strage di via D'Amelio
la procura indaga sui servizi segreti

ROMA - La procura della Repubblica di Caltanissetta indaga sul probabile coinvolgimento di apparati deviati dei servizi segreti nella strage di via d'Amelio in cui morì il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. La notizia è stata confermata all'agenzia di stampa ANSA da ambienti qualificati.

Il procuratore aggiunto, Renato Di Natale, coordina l'inchiesta sui mandanti occulti della strage avvenuta il 19 luglio 1992. Secondo l'ipotesi degli inquirenti ci potrebbe essere la mano di qualcuno degli apparati deviati dei servizi segreti che ha forse avuto un ruolo nell'attentato.

Questa pista di indagine, che in un primo momento era stata accantonata ed archiviata, è stata ripresa nei mesi scorsi dagli investigatori in seguito a nuovi input d'indagine.

I magistrati stanno valutando una serie di documenti acquisiti dalla procura di Palermo e che riguardano il telecomando che potrebbe essere stato utilizzato dagli attentatori. A questo apparecchio è collegato un imprenditore palermitano. I processi che si sono svolti in passato hanno solo condannato gli esecutori materiali della strage, ma nulla si è mai saputo su chi ha premuto il pulsante che ha fatto saltare in aria Borsellino e gli agenti di scorta.

Un altro elemento sul quale è puntata l'attenzione degli inquirenti, è "la presenza anomala" di un agente di polizia in via d'Amelio subito dopo l'esplosione. Si tratta di un poliziotto - già identificato dai magistrati - che prima della strage era in servizio a Palermo, ma venne trasferito a Firenze alcuni mesi prima di luglio dopo che i colleghi avevano scoperto da una intercettazione che aveva riferito "all'esterno" i nomi dei poliziotti di una squadra investigativa che indagava a San Lorenzo su un traffico di droga.

(17 luglio 2007)

dantes76
17-07-2007, 15:21
io di quell'attentato ho i ricordi di alcuni giornali... si sapeva dell'arrivo, sia del tritolo e degli uomini che dovevano uccidere borsellino...
che stato a minchia e di minchie...:rolleyes:

ALBIZZIE
17-07-2007, 15:23
ma a forza di deviare i deviati con deviazioni, ci sono possibilità di tornare sulla giusta carrregiata?

LUVІ
18-07-2007, 12:09
Up

Ser21
18-07-2007, 15:12
Sono passati 20 anni da quando iniziò tutto questo schifo,nel frattempo PM sono stati uccisi,leggi sono state cambiati,membri di ogni tipo di organo nazionale sn stati levati di mezzo,è stato fatto di tutto...per peggiorare la situazione in cui ci trovavbamo 20 anni fa...
Da allora è tutto peggiorato,tutti impuniti e liberi,con metà italia che pensa che queste persone siano innocenti e perseguitate.
A distanza di 20 anni questa italia è peggiorata sensibilimente.
Non ci sn stati processi o inchieste che abbiano avuto il potere di mandare alle sbarre i risponsabili,tutto il possibile è stato fatto per lasciare impunite queste persone.
Ora ci troviamo governati da 900 personaggi che tramite le connivenze e le amicizie si sn protette a vicenda per infangare ogni sospetto riguardo stragi,corruzione,connivenza,associazione e altro...le mafie prosperano come prima,i corruttori corrompono più di prima e i cittadini (metà) votano questi personaggi senza il minimo senso di incertezza,ma anzi,sicuri di far parte di quell'italia che vive secondo la legalità.
Noi,quelli che nn credono a queste persone,che di fronte a leggi ad personam,contro personam,per gli amici,per i mafiosi,per i legali,per gli accusatori e per i difensori,si indignano,non possiamo fare altro che essere coscenti di questi problemi e di questo andazzo...nel ricordo di due persone che hanno rimesso tutto per combattere questo marciume innato in questo paese.

Grazie Paolo e Grazie Giovanni,anche se sembrerà ad un esterno che il vostro impegno sia stato vano,per chi conosce i fatti e ha una coscenza,sa che la vostra dedizione nn rimarrà a marcire assieme alla nostra utopia di vedere puniti certi soggetti.Siete stati un esempio di integrità e lealtà,cosa che in questo paese necessita fortemente.Un faro nella vita di chi ha come modelli e ideali persone comuni,normali ma che amavano fare il loro mestiere correttamente e con dedizione.

8310
18-07-2007, 15:51
Che terribili ricordi dell'attentato a Borsellino....è successo a 500 m in linea d'aria da casa mia :( "Fortunatamente" (si fa per dire ovviamente) quel giorno eravamo a Roma... :(

Ser21
19-07-2007, 11:00
Un insolito articolo del giornale sull'amico Borsellino....che magone allo stomaco a leggere certe cose...tristezza profonda...


Borsellino, il giudice senza paura


di Filippo Facci - giovedì 19 luglio 2007, 10:23

I primi tam tam dicevano che avevano fatto saltare Giuseppe Ayala, il giudice appena eletto deputato repubblicano. I suoi figli già lo piangevano, anche perché altra spiegazione non c'era: in quella zona, a due passi da via Autonomia Siciliana e a trecento metri da via Mariano D'Amelio, c'era lui e non altri. Invece Ayala era per strada che camminava verso quel portone annerito. Vide due cadaveri, poi un terzo. Neanche lui sapeva che la madre di Paolo abitava lì. Brandelli umani, rottami di lamiera, poi inciampò in qualcosa. Guardò per terra e riconobbe quel naso grifagno, quei denti, un tozzo scuro. Era inciampato in un pezzo del suo amico Paolo Borsellino.

19 LUGLIO 1992

Forse Giuseppe Ayala ha scontato abbastanza la colpa d'essere rimasto vivo. A 15 anni dalla morte di Falcone e Borsellino forse si può anche dire che la sua amicizia, con entrambi, era vera e forte: Ayala era pur sempre il giudice istruttore di quel maxiprocesso che aveva dato alla mafia un colpo da cui non si sarebbe ripresa più. Certo, andare in aula con le firme di Falcone e Borsellino in calce all'accusa significava avere le spalle ben coperte. Borsellino, poi, era uno che compilava con pazienza certosina dei quadernetti dove annotava tutto: nome dell'imputato, circostanze che lo riguardavano, pagine processuali in cui era citato. Allora i computer non c'erano, il computer era lui.

Quando Ayala lasciò il palazzo di Giustizia perché si era candidato al Parlamento, il dialogo con Borsellino fu surreale: «Non ti posso votare»; «Perché?»; «Sono monarchico, la Repubblica non fa per me. Tu sei repubblicano e io non ti voto». Tutto ovviamente sul filo dell'ironia, come per gli sfottò legati al passato di Borsellino da simpatizzante del Fuan: «Lo chiamavo camerata Borsellino», ha raccontato Ayala nel libro La guerra dei giusti. «Ci rideva su, io entravo sguainando il braccio destro e lui rispondeva allo stesso modo». Amico vero di Borsellino del resto era Guido Lo Porto, deputato missino, oppure Giuseppe Tricoli, il professore di Storia con cui Borsellino passò l'ultimo giorno della sua vita. Anche la madre di Paolo Borsellino era un bel tipetto: quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia, vietò ai figli di accettare doni dagli americani

Poi, d'accordo, c'era Falcone. Erano nati entrambi alla Magione, alle spalle della Kalsa, nel vecchio cuore di Palermo. Avevano giocato e studiato insieme, i loro ricordi riaffioravano con battute e freddure che sancivano un'amicizia d'acciaio.

I MOMENTI DIFFICILI

12 marzo 1992. Quando si incontrarono il 12 marzo 1992, Falcone e Borsellino e Ayala, erano certi che stava cambiando tutto. L'omicidio di Salvo Lima, la conferma delle sentenze del maxiprocesso, quell'istruttoria che quasi li aveva schiantati: «Dal gennaio al novembre del 1985 non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno dal mio bunker senza finestre. O meglio: ne uscii perché dopo l'omicidio del commissario Cassarà io e Falcone fummo chiamati dal questore che ci disse che lo stesso giorno dovevamo esseri segregati in un'isola deserta con le nostre famiglie: perché se questa ordinanza non la facevamo noi, se ci avessero ammazzati, non la faceva nessuno perché nessuno era in grado di metterci mano. Siccome io protestai, dicendo che questa decisione non doveva essere attuata immediatamente, perché Falcone è senza figli, ma io avevo famiglia e dovevo regolarmi le mie faccende, mi fu risposto in malo modo che i miei doveri erano verso lo Stato e non verso la mia famiglia».

L'ESILIO

«Sta di fatto che riuscii a ottenere 24 ore di proroga, ma dopo 24 ore scaricarono me, Falcone e le rispettive famiglie in quest'isola. Tra parentesi, io non amo dirlo, ma lo devo dire: tutta questa vicenda ha provocato una grave malattia a mia figlia, l'anoressia psicogena, e mi scese sotto i 30 chili. Siamo stati buttati all'Asinara a lavorare per un mese e alla fine ci hanno presentato il conto, ho ancora la ricevuta». Parole di Paolo Borsellino al Csm in data 31 luglio 1988.

Il periodo era orribile. Falcone era stato attaccato da Leoluca Orlando e dovette discolparsi davanti al Csm dalle accuse di «tenere nei cassetti» alcune inchieste scottanti. L'Unità e Il Giornale scrivevano articoli durissimi. Dopo che Falcone aveva accettato l'invito di Claudio Martelli a dirigere gli Affari penali, non bastasse, Borsellino era stato primo firmatario di un documento contro la superprocura di Falcone: «Gli diceva: la superprocura è fatta su misura per te, chiunque altro dovesse prenderla in mano sarebbe un'altra cosa», ha raccontato Rita Borsellino nel libro Falcone e Borsellino di Giommaria Monti.

Sempre in quel marzo 1992 Giuseppe Ayala chiese ai due amici se volevano intervenire a un incontro elettorale per sostenerlo.

Appuntamento alle 18 a Palazzo Butera, Palermo. Falcone entrò un po' in ritardo e si sedette vicino a Borsellino, gli sussurrò qualcosa all'orecchio. E quell'espressione di serena complicità, bloccata per sempre, è la foto che tutti ricordiamo.

CAPACI

23 maggio 1992. Falcone saltò in aria con tutta la scorta ma lo show televisivo del sabato sera, sulla Rai, andò puntualmente in onda tre ore dopo la strage. Dirà Giovanni Brusca nel libro Ho ucciso Giovanni Falcone scritto con Saverio Lodato: «Andreotti per ripulire la sua immagine ci provocò danni immensi: Salvo Lima e Ignazio Salvo sono stati uccisi per questo. Si doveva fare il nuovo presidente della Repubblica e si parlava di Andreotti. Noi volevamo che l'attentato avvenisse prima della nomina in modo che lui non venisse eletto».

Dirà Ayala: «Molti si chiedono come mai la mafia, abituata a fare sempre un calcolo fra costi e ricavi, non abbia potuto immaginare che, ucciso Falcone, lo Stato non avrebbe risposto. Ma si dimentica che, dopo la strage di Capaci, non accadde assolutamente nulla».

Paolo Borsellino non fu più lo stesso uomo. I suoi ritmi si fecero ancora più convulsi: sveglia alle cinque di mattino, spostamenti furtivi, tre pacchetti di Dunhill Special Light al giorno. Perse il suo humour proverbiale, restava silente per ore intere. Borsellino lasciò Marsala e tornò a Palermo per riprendere il posto di procuratore aggiunto che era stato di Falcone, ma in base a un principio di anzianità gli fu impedito di occuparsi della mafia palermitana e lo relegarono alla provincia di Trapani. Ogni volta che un collaboratore della giustizia chiedeva di parlare solo con Borsellino ecco che a palazzo tornavano i mugugni di sempre. Quando il pentito Gaspare Mutolo chiese espressamente di lui, i vertici della procura cercarono di impedire il contatto: Borsellino per spuntarla dovette minacciare le dimissioni.

UN MESE DOPO CAPACI

25 giugno 1992. Quel giorno, a poco più di un mese da Capaci, Borsellino intervenne a un dibattito nel cortile della Biblioteca di Palermo: «Ho letto giorni fa di un'affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione. Oggi ci accorgiamo di come in effetti il Paese, lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il primo gennaio 1988, se non forse l'anno prima, quando uscì l'articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava me come protagonista dell'antimafia».

Quell'articolo di Sciascia: tanto perfetto quanto ambiguo negli esempi che proponeva. Se da una parte additava il professionista antimafia per eccellenza, Leoluca Orlando, il riferimento a Borsellino fu una sciocchezza che Sciascia riconobbe troppo tardi. «Quando arrivò l'articolo di Sciascia sull'antimafia», ha raccontato Rita Borsellino, «per lui fu davvero una sofferenza enorme e più intima delle altre. Amava moltissimo Sciascia. Diceva: ho imparato a ragionare di mafia a partire dai suoi libri. Sapeva di non meritare un giudizio del genere. Poi con Sciascia si incontrarono a Marsala, andarono a pranzo insieme, si chiarirono».

19 LUGLIO 1992

«Paolo non amava parlare molto dei suoi disagi», ha raccontato ancora Rita Borsellino. «Era raro che della sua solitudine parlasse in famiglia, perché quando ci incontravamo c'era sempre nostra madre, e lui davanti a mamma non parlava. Quando dovette partire per l'Asinara per scrivere la requisitoria del maxiprocesso, le disse: ci portano in un posto, non posso dirti dove, non posso dirti quando, non potrò comunicare con te».

LA PAURA DI MORIRE

«Sono una persona come tante altre», aveva detto una volta Borsellino. «Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno».

Morì sotto la casa della madre. Oltre a lui morirono gli agenti Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta: l'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo. La bomba venne radiocomandata a distanza ma ancora oggi non si è fatta chiarezza su come venne organizzata la strage, nonostante Borsellino avesse saputo che un carico di esplosivi era arrivato a Palermo appositamente per lui. Una sua agendina rossa non venne mai ritrovata. Una giovane ragazza che accanto a Borsellino aveva consentito d'incastrare decine di mafiosi, Rita Atria, si suicidò una settimana dopo. Quando la salma fu riportata a Partanna, nella valle del Belice, il paese l'accolse con disprezzo. Aveva 18 anni. Gli amici dicevano che lei non aveva paura di nulla. Anche di Paolo Borsellino dicevano che non avesse paura di nulla.

12 novembre 1984. Ma non era vero. Dopo la cattura di Buscetta, nel 1984, Falcone e Borsellino e Ayala furono costretti ad andare in Brasile: «Non farò dieci ore di viaggio neppure con la camicia di forza», aveva detto Paolo. Le fece. E al ritorno, nel decollo da Rio, si scatenò un temporale terrificante. L'aereo traballava. Paolo guardava gli amici che lo rassicuravano: tutto normale, normalissimo. Al secondo fulmine si girò ancora verso di loro: tutto normalissimo. E così altre due volte, sinché l'aereo sobbalzò come un pullman che correva sulle pietre e un boato spaventoso fece tremare tutto l'abitacolo, e lui con lo sguardo incazzoso: «Questo pure normale è?».


:(

gigio2005
19-07-2007, 11:05
la cosa vergognosa e' che tutti i giornali italiani si sono dimenticati dell'anniversario...

certo e' piu' importante il tubo che esplode a manhattan


:help:

Ser21
19-07-2007, 11:49
il manifesto del 18 Luglio 2007
Via D'Amelio, indagine sui misteri
A Caltanissetta si riaprono i fascicoli per fare luce sul ruolo dei servizi segreti nella strage che costò la vita a Borsellino e la sua scorta. A partire da una presenza anomala
Massimo Giannetti
Palermo


Un telecomando, quello che potrebbe essere stato utilizzato per far saltare l'autobomba piazzata in via d'Amelio, e una presenza anomala, quella di un poliziotto notoriamente «spione», individuato nel luogo della strage subito dopo l'inferno di quella domenica pomeriggio del 19 luglio del 1992. Sono questi i due nuovi elementi che hanno indotto la procura di Caltanissetta a riaprire l'indagine sull'attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta. Una nuova indagine - dopo svariati processi e poche verità - che punta dritto ai servizi segreti deviati, che secondo il procuratore aggiunto Renato Di Natale, titolare dell'inchiesta, avrebbero avuto un ruolo nell'assassinio del magistrato antimafia.
In realtà, questo dei presunti mandanti occulti della strage di quindici anni fa, è un capitolo già aperto ma subito chiuso in passato, archiviato forse troppo frettolosamente dalla stessa procura di Caltanissetta. L'input per la riapertura dell'indagine è partito da Palermo, dai magistrati della dda che nelle settimane scorse hanno girato la nuova documentazione ai colleghi nisseni che potrebbe, forse, chiarire parte dei misteri ai quali, proprio due giorni fa, faceva riferimento, in una durissima lettera aperta, lo stesso fratello del giudice assassinato. Salvatore Borsellino (intervista qui sotto), chiama in causa, tra l'altro, parecchi personaggi istituzionali che sarebbero coinvolti, a diverso titolo, in quella che il procuratore Antonio Ingroia definisce «una delle vicende più oscure della nostra repubblica». I tre processi che hanno portato alla condanna degli esecutori materiali (tutti mafiosi) non hanno mai chiarito chi avesse azionato il telecomando collegato all'auto imbottita di tritolo (ma il tritolo potrebbe essere stato piazzato anche dentro un cassonetto della spazzatura) parcheggiata sotto l'abitazione della mamma del giudice Borsellino. Ora quell'aggeggio - secondo l'indagine appena avviata - potrebbe essere stato individuato e sarebbe «collegato ad un imprenditore palermitano». In passato si è parlato spesso della postazione da cui potrebbe essere stato premuto il pulsante stragista: il castello Utveggio sul Monte Pellegrino, proprio sopra via D'Amelio, oggi sede di un centro studi regionale (il Cerisdi) che in quegli anni, in base a quanto emerso nei processi, sarebbe stato sede di appoggio dei servizi segreti italiani. Chi c'era quel giorno nel castello? L'altro grosso punto interrogativo è, come si diceva, la presenza anomala in una via d'Amelio devastata dall'esplosione di un agente di polizia - sarebbe già stato identificato dai magistrati - che nei mesi precedenti la strage era stato trasferito a Firenze perché da un'intercettazione telefonica era emersa una sua «soffiata all'esterno» dei nomi di alcuni agenti impegnati in un'indagine sul traffico di droga a Palermo nel quartiere San Lorenzo, controllato dal boss Salvatore Lo Piccolo, accreditato come uno dei possibili successori di Bernardo Provenzano al vertice di Cosa nostra. Perché il poliziotto trasferito quel 19 luglio si trovava sul luogo della strage? E' quanto dovrà ora chiarire la nuova indagine. Ma i misteri della strage rimasta senza mandanti sono tanti altri: tra questi la famosa agenda rossa che Borsellino portava sempre con sé in una borsa e che quel giorno, diversamente dalla borsa contenente altri oggetti, non fu mai ritrovata. Tra le altre domande senza risposta ce ne sono almeno un altro paio che non lasciano in pace i familiari del magistrato ucciso (anche Rita Borsellino ieri si è associata alle denunce del fratello Salvatore): chi avvertì la mafia che quella domenica Paolo Borsellino sarebbe andato con certezza dalla madre in via d'Amelio? Perché pochi giorni prima di essere ucciso fu convocato con urgenza al Viminale (avrebbe incontrato l'allora capo della polizia Parisi, il capo del Sisde Contrada - condannato per mafia - e il ministro dell'interno Mancino), proprio mentre stava conducendo un importante interrogatorio? Quest'ultimo mistero avveniva mentre a Palermo avanzava la cosiddetta trattativa tra lo stato e Cosa nostra. Trattativa che a Borsellino proprio non piaceva, e questa sua opposizione, essendo ormai nota e dunque diventata scomoda, è forse stata la causa della sua morte.

Ser21
19-07-2007, 11:55
il manifesto del 18 Luglio 2007
Ci fu un patto con Cosa nostra Paolo ucciso perché contrario
Salvatore Borsellino: dopo Capaci mio fratello entrò in contrasto con i servizi
Alfredo Pecoraro
Palermo


«Mio fratello è stato ucciso dai servizi segreti. Da lì è partito l'ordine. Lo hanno fatto saltare in aria in via D'Amelio quando hanno capito che Paolo era diventato un pericolo per quella parte dello stato che aveva deciso di trattare con Cosa nostra. Lui era contrario, per questo l'hanno eliminato». Salvatore Borsellino è convinto della sua verità. La urla con forza, senza remore. «Dopo la strage Falcone, lo stato era in ginocchio e a Paolo fu chiesto di partecipare alla trattativa con Cosa nostra. Ma era chiaro da che parte stava. E quando capirono che poteva rivelare quegli accordi segreti, fu dato l'ordine di uccidere».

Ha le prove?
Erano nell'agenda rossa che Paolo portava sempre con sé e che è sparita. Ma nei piani alti c'è chi conosce la verità.

Si riferisce a Nicola Mancino, destinatario della sua lettera aperta con la quale lo invita a raccontare il contenuto del colloquio che ha avuto con suo fratello Paolo 48 ore prima della strage?
Gli ho chiesto di rendere pubblici i contenuti di quell'incontro, ma continua a sostenere che non c'è mai stato. Ma Paolo l'aveva annotato nell'agenda grigia, e quella non è andata perduta. Mi dispiace che Mancino abbia risposto in perfetto stile democristiano. Ma lui sa qual è la verità.

Perché è così sicuro della sua ricostruzione?
Perché dopo avere ucciso Giovanni Falcone, Cosa nostra non avrebbe avuto alcun interesse a proseguire l'azione militare. Aveva già assestato un duro colpo allo stato ed era il momento di scendere a patti. Uccidere un altro magistrato avrebbe accesso ancora di più, come è poi successo, le coscienze della parte sana delle istituzioni.

Invece?
Paolo non scese a compromessi e non poteva farlo nel nome del suo amico Giovanni. Sapevano che quel rifiuto era pesante. Che Paolo avrebbe svelato quella scellerata trattativa nel momento opportuno, come aveva fatto in tante altre occasioni.
E la mafia che ruolo ha avuto?
Ha eseguito l'ordine giunto dall'alto.

Il ruolo che potrebbero avere avuto i servizi segreti fa parte dell'inchiesta che la procura di Caltanissetta sta portando avanti sui mandati occulti della strage?
Certo, è strano che la notizia dell'indagine sia uscita il giorno dopo la mia lettera aperta. Quando l'ho saputo è stata come una fulminazione divina. Un regalo che ha voluto fare mio fratello Paolo.

Ha fiducia nei magistrati di Caltanissetta?
Il problema è che l'indagine, se fatta bene, porterà inevitabilmente ai piani alti. E non credo che lo permetteranno. Se mi guardo indietro vedo nero: troppo forte l'apparato contro cui ci si deve scontrare. Ma ci voglio credere, altrimenti non mi resta nulla.

Confida sul fatto che ci sia in carica un governo di centrosinistra, con molti esponenti impegnati nell'antimafia?
Lasciamo perdere. Io sono un uomo di sinistra, ho votato per l'Unione ma, purtroppo, questo governo è peggio di quello precedente.

Si è fatto vivo qualcuno delle istituzioni o della politica dopo la sua lettera aperta?
No, ma ho avuto la solidarietà della famiglia di mio fratello.

E sua sorella Rita?
Abbiamo la stessa idea, lei però è entrata in politica e usa un linguaggio diverso, troppo politico appunto. Io sono libero e dico tutto quello che penso, a volte anche in modo troppo schietto.

Sarà a Palermo per il 15esimo anniversario?
Ho lasciato Palermo 35 anni fa, e non ci tornerò più. Non riesco nemmeno a immaginare di stare accanto a politici che quindici anni fa piansero lacrime di coccodrillo e oggi commemorano Paolo. Rimarrò a Milano per stare accanto alla gente comune.

sempreio
19-07-2007, 12:19
il manifesto del 18 Luglio 2007
Ci fu un patto con Cosa nostra Paolo ucciso perché contrario
Salvatore Borsellino: dopo Capaci mio fratello entrò in contrasto con i servizi
Alfredo Pecoraro
Palermo


«Mio fratello è stato ucciso dai servizi segreti. Da lì è partito l'ordine. Lo hanno fatto saltare in aria in via D'Amelio quando hanno capito che Paolo era diventato un pericolo per quella parte dello stato che aveva deciso di trattare con Cosa nostra. Lui era contrario, per questo l'hanno eliminato». Salvatore Borsellino è convinto della sua verità. La urla con forza, senza remore. «Dopo la strage Falcone, lo stato era in ginocchio e a Paolo fu chiesto di partecipare alla trattativa con Cosa nostra. Ma era chiaro da che parte stava. E quando capirono che poteva rivelare quegli accordi segreti, fu dato l'ordine di uccidere».

Ha le prove?
Erano nell'agenda rossa che Paolo portava sempre con sé e che è sparita. Ma nei piani alti c'è chi conosce la verità.

Si riferisce a Nicola Mancino, destinatario della sua lettera aperta con la quale lo invita a raccontare il contenuto del colloquio che ha avuto con suo fratello Paolo 48 ore prima della strage?
Gli ho chiesto di rendere pubblici i contenuti di quell'incontro, ma continua a sostenere che non c'è mai stato. Ma Paolo l'aveva annotato nell'agenda grigia, e quella non è andata perduta. Mi dispiace che Mancino abbia risposto in perfetto stile democristiano. Ma lui sa qual è la verità.

Perché è così sicuro della sua ricostruzione?
Perché dopo avere ucciso Giovanni Falcone, Cosa nostra non avrebbe avuto alcun interesse a proseguire l'azione militare. Aveva già assestato un duro colpo allo stato ed era il momento di scendere a patti. Uccidere un altro magistrato avrebbe accesso ancora di più, come è poi successo, le coscienze della parte sana delle istituzioni.

Invece?
Paolo non scese a compromessi e non poteva farlo nel nome del suo amico Giovanni. Sapevano che quel rifiuto era pesante. Che Paolo avrebbe svelato quella scellerata trattativa nel momento opportuno, come aveva fatto in tante altre occasioni.
E la mafia che ruolo ha avuto?
Ha eseguito l'ordine giunto dall'alto.

Il ruolo che potrebbero avere avuto i servizi segreti fa parte dell'inchiesta che la procura di Caltanissetta sta portando avanti sui mandati occulti della strage?
Certo, è strano che la notizia dell'indagine sia uscita il giorno dopo la mia lettera aperta. Quando l'ho saputo è stata come una fulminazione divina. Un regalo che ha voluto fare mio fratello Paolo.

Ha fiducia nei magistrati di Caltanissetta?
Il problema è che l'indagine, se fatta bene, porterà inevitabilmente ai piani alti. E non credo che lo permetteranno. Se mi guardo indietro vedo nero: troppo forte l'apparato contro cui ci si deve scontrare. Ma ci voglio credere, altrimenti non mi resta nulla.

Confida sul fatto che ci sia in carica un governo di centrosinistra, con molti esponenti impegnati nell'antimafia?
Lasciamo perdere. Io sono un uomo di sinistra, ho votato per l'Unione ma, purtroppo, questo governo è peggio di quello precedente.

Si è fatto vivo qualcuno delle istituzioni o della politica dopo la sua lettera aperta?
No, ma ho avuto la solidarietà della famiglia di mio fratello.

E sua sorella Rita?
Abbiamo la stessa idea, lei però è entrata in politica e usa un linguaggio diverso, troppo politico appunto. Io sono libero e dico tutto quello che penso, a volte anche in modo troppo schietto.

Sarà a Palermo per il 15esimo anniversario?
Ho lasciato Palermo 35 anni fa, e non ci tornerò più. Non riesco nemmeno a immaginare di stare accanto a politici che quindici anni fa piansero lacrime di coccodrillo e oggi commemorano Paolo. Rimarrò a Milano per stare accanto alla gente comune.


che stato di merda

Dreammaker21
19-07-2007, 12:50
Fieri di essere italiani?

Oggi no.

Ser21
19-07-2007, 13:53
Fieri di essere italiani come Borsellino e Falcone si sentivano italiani.
Io in QUELL'Italia ci credo e grazie a persone come loro,continuerò a crederci.

Purtroppo,i fatti da 20 anni a questa parte umiliano sempre di più chi si sente un italiano vero....

johannes
19-07-2007, 13:55
onore a questi eroi Borsellino e Falcone. mi fa specie pensare che coloro che hanno legami con la mafia si siano candidati alla regione Sicilia. che vergogna...:(

Ser21
19-07-2007, 14:00
onore a questi eroi Borsellino e Falcone. mi fa specie pensare che coloro che hanno legami con la mafia si siano candidati alla regione Sicilia. che vergogna...:(

E che abbiano vinto la presidenza della regione Sicilia con una percentuale del 60% contro Rita Borsellino?

Dreammaker21
19-07-2007, 14:04
Fieri di essere italiani come Borsellino e Falcone si sentivano italiani.
Io in QUELL'Italia ci credo e grazie a persone come loro,continuerò a crederci.

Purtroppo,i fatti da 20 anni a questa parte umiliano sempre di più chi si sente un italiano vero....

Ovviamente.
Ma l'Italia è sempre più il paese dei criminali e di questa tendenza non vado orgoglioso.

Ser21
19-07-2007, 14:05
Ovviamente.
Ma l'Italia è sempre più il paese dei criminali e di questa tendenza non vado orgoglioso.

In tutti i paesi si creerebbe una situazione stile italia,guarda in colombia...peccato però che la regola vuole che se vige una democrazia,questi tumori vadano estirpati e nn lasciati li a marcire e a prendere le redini di un paese...

johannes
19-07-2007, 14:11
E che abbiano vinto la presidenza della regione Sicilia con una percentuale del 60% contro Rita Borsellino?

sì, e mi è dispiaciuto moltissimo. è una donna in gamba e il simbolo della lotta alla mafia.

Ser21
19-07-2007, 14:12
sì, e mi è dispiaciuto moltissimo. è una donna in gamba e il simbolo della lotta alla mafia.

Tommaso Buscetta: "La mafia ha vinto".

ronaldovieri
19-07-2007, 14:17
E che abbiano vinto la presidenza della regione Sicilia con una percentuale del 60% contro Rita Borsellino?

ma chi quell'animale che diede del mafioso a falcone?

Onisem
19-07-2007, 14:18
Basterebbe chiedere conto a chi ha fatto sparire la famosa agenda rossa. A chi ha allontanato la valigietta per circa 2 ore dal luogo della strage (pare fosse un ufficiale do Polizia). E poi salire, salire, salire...

Ser21
19-07-2007, 14:21
ma chi quell'animale che diede del mafioso a falcone?

esatto.Uno schifo.

Ser21
19-07-2007, 14:40
Basterebbe chiedere conto a chi ha fatto sparire la famosa agenda rossa. A chi ha allontanato la valigietta per circa 2 ore dal luogo della strage (pare fosse un ufficiale do Polizia). E poi salire, salire, salire...

ma de che stiamo a discutere...il capo del sisde era CONTRADA..BRUNO CONTRADA...cioè,ho detto tutto....

johannes
19-07-2007, 16:04
Tommaso Buscetta: "La mafia ha vinto".

eh, lo so....:(