T3d
18-06-2007, 14:57
http://www.aprileonline.info/3514/scatole-da-rompere
Scatole da rompere
Nane Cantatore, 11 giugno 2007
Finanza - Presentato un progetto di legge contro le cosiddette scatole cinesi, che permettono a pochi azionisti con buone relazioni di controllare importanti aziende, e che costituiscono una delle principali storture del mercato reale
Venerdì scorso è stato depositato dal senatore ulivista Luigi Zanda un disegno di legge il cui scopo dovrebbe essere quello di ostacolare il fenomeno delle "scatole cinesi", vale a dire uno dei giochetti preferiti del nostro capitalismo alle cozze. Con questo sistema, se si detiene la quota di controllo di una società (quota che può ben essere di molto inferiore al 50 per cento), magari non quotata in Borsa e le cui altre quote siano in mano amica, poi è facile controllarne un'altra, sempre con una quota non elevatissima, e avanti così, fino a dominare, con una percentuale reale decisamente ridotta ed esborsi molto bassi, aziende enormi e quotate sul cosiddetto mercato aperto.
Gli esempi abbondano, e forse non del tutto a caso abbondano tra le grandi privatizzazioni degli ultimi anni, in cui il solito parco buoi dei piccoli azionisti ha comprato la gran massa delle azioni, mentre pochi investitori dai nomi altisonanti hanno assunto il controllo di realtà strategiche nei settori vitali dell'economia, dalle telecomunicazioni alle infrastrutture, passando per l'energia e i servizi. Se poi alle scatole cinesi si aggiunge il sistema dei patti di sindacato, per cui i detentori di quote rilevanti si mettono d'accordo tra loro e votano insieme, spartendosi tutte le cariche più importanti, il gioco è fatto: il fantomatico libero mercato si rivela un sistema che permette a pochi, con pochi soldi, di controllare cosa succede agli investimenti di molti. Ma non è finita qui: dato che chi comanda sono i consiglieri di amministrazione, i quali vengono lautamente compensati per i loro sforzi, e che grazie alla loro posizione privilegiata possono fare ancora più lauti affari, ecco che basta scambiarsi questi consiglieri, che siedono alle poltrone di comando di diverse società intrecciate tra loro, per far sì che ogni decisione sia presa tra amici e che ogni affare sia concluso con soddisfazione dei presenti e alla faccia degli assenti.
Siamo, in altre parole, al di là del deficit di democrazia strutturale in una società basata sui rapporti di produzione capitalistici: se è in qualche modo accettabile, e previsto, che il proprietario di un'azienda ne decida le sorti al di là della volontà dei lavoratori, il presupposto su cui questa logica si fondi è la sovranità del denaro, vale a dire il principio per cui la proprietà è il fondamento del diritto. Come si vede, in questo caso si falsano gli stessi rapporti di proprietà, e si mette a nudo la sostanziale mendacia di questo assunto, visto che alla fine non è vero che chi possiede di più ha davvero più voce in capitolo. Che questo sistema sia sostanzialmente marcio lo dimostra la storia del capitalismo italiano, fatto di salotti, scandali e inciuci più che di idee e strategie; che la situazione sia ormai insostenibile, nello stesso interesse di investitori e azionisti, è ormai palese.
Per queste ragioni, non stupisce notare che il disegno di legge gode di un certo consenso bipartisan, come mostrano le dichiarazioni entusiastiche dell'Udc Bruno Tabacci, uno dei politici più capaci dell'ex maggioranza; non stupisce nemmeno notare che si sa poco del contenuto effettivo della proposta, e forse non solo per il suo carattere fortemente tecnico. Di fatto, si tratta di un provvedimento che può avere due sbocchi: o si tratterà di una cosa davvero seria e incisiva, e allora ci si potrà aspettare uno sproposito di critiche e allarmi per l'ingerenza della politica nel mercato, oppure si tratterà della solita operazione blanda e facilmente aggirabile, per cui si sprecheranno gli elogi alla modernizzazione e alla trasparenza.
In ogni caso, se un certo scetticismo è sempre consigliabile, resta il fatto che una reale riforma del sistema capitalistico italiano è davvero necessaria, e ben più impellente di quella del sistema previdenziale, o del controllo della spesa pubblica. Sarebbe il caso di tenerlo ben presente, e di esercitare una vigilanza democratica che è sempre più opportuna.
speriamo bene
Scatole da rompere
Nane Cantatore, 11 giugno 2007
Finanza - Presentato un progetto di legge contro le cosiddette scatole cinesi, che permettono a pochi azionisti con buone relazioni di controllare importanti aziende, e che costituiscono una delle principali storture del mercato reale
Venerdì scorso è stato depositato dal senatore ulivista Luigi Zanda un disegno di legge il cui scopo dovrebbe essere quello di ostacolare il fenomeno delle "scatole cinesi", vale a dire uno dei giochetti preferiti del nostro capitalismo alle cozze. Con questo sistema, se si detiene la quota di controllo di una società (quota che può ben essere di molto inferiore al 50 per cento), magari non quotata in Borsa e le cui altre quote siano in mano amica, poi è facile controllarne un'altra, sempre con una quota non elevatissima, e avanti così, fino a dominare, con una percentuale reale decisamente ridotta ed esborsi molto bassi, aziende enormi e quotate sul cosiddetto mercato aperto.
Gli esempi abbondano, e forse non del tutto a caso abbondano tra le grandi privatizzazioni degli ultimi anni, in cui il solito parco buoi dei piccoli azionisti ha comprato la gran massa delle azioni, mentre pochi investitori dai nomi altisonanti hanno assunto il controllo di realtà strategiche nei settori vitali dell'economia, dalle telecomunicazioni alle infrastrutture, passando per l'energia e i servizi. Se poi alle scatole cinesi si aggiunge il sistema dei patti di sindacato, per cui i detentori di quote rilevanti si mettono d'accordo tra loro e votano insieme, spartendosi tutte le cariche più importanti, il gioco è fatto: il fantomatico libero mercato si rivela un sistema che permette a pochi, con pochi soldi, di controllare cosa succede agli investimenti di molti. Ma non è finita qui: dato che chi comanda sono i consiglieri di amministrazione, i quali vengono lautamente compensati per i loro sforzi, e che grazie alla loro posizione privilegiata possono fare ancora più lauti affari, ecco che basta scambiarsi questi consiglieri, che siedono alle poltrone di comando di diverse società intrecciate tra loro, per far sì che ogni decisione sia presa tra amici e che ogni affare sia concluso con soddisfazione dei presenti e alla faccia degli assenti.
Siamo, in altre parole, al di là del deficit di democrazia strutturale in una società basata sui rapporti di produzione capitalistici: se è in qualche modo accettabile, e previsto, che il proprietario di un'azienda ne decida le sorti al di là della volontà dei lavoratori, il presupposto su cui questa logica si fondi è la sovranità del denaro, vale a dire il principio per cui la proprietà è il fondamento del diritto. Come si vede, in questo caso si falsano gli stessi rapporti di proprietà, e si mette a nudo la sostanziale mendacia di questo assunto, visto che alla fine non è vero che chi possiede di più ha davvero più voce in capitolo. Che questo sistema sia sostanzialmente marcio lo dimostra la storia del capitalismo italiano, fatto di salotti, scandali e inciuci più che di idee e strategie; che la situazione sia ormai insostenibile, nello stesso interesse di investitori e azionisti, è ormai palese.
Per queste ragioni, non stupisce notare che il disegno di legge gode di un certo consenso bipartisan, come mostrano le dichiarazioni entusiastiche dell'Udc Bruno Tabacci, uno dei politici più capaci dell'ex maggioranza; non stupisce nemmeno notare che si sa poco del contenuto effettivo della proposta, e forse non solo per il suo carattere fortemente tecnico. Di fatto, si tratta di un provvedimento che può avere due sbocchi: o si tratterà di una cosa davvero seria e incisiva, e allora ci si potrà aspettare uno sproposito di critiche e allarmi per l'ingerenza della politica nel mercato, oppure si tratterà della solita operazione blanda e facilmente aggirabile, per cui si sprecheranno gli elogi alla modernizzazione e alla trasparenza.
In ogni caso, se un certo scetticismo è sempre consigliabile, resta il fatto che una reale riforma del sistema capitalistico italiano è davvero necessaria, e ben più impellente di quella del sistema previdenziale, o del controllo della spesa pubblica. Sarebbe il caso di tenerlo ben presente, e di esercitare una vigilanza democratica che è sempre più opportuna.
speriamo bene