Approda la Nave della legalità con giovani dalla Sicilia e da tutta Italia
I ragazzi in corteo dal porto di Palermo verso l'aula bunker del maxi processo
Palermo, migliaia di studenti per Falcone
"C'è bisogno di memoria e di coraggio"
Maria Falcone: "L'Italia aspetta ancora la verità sui mandanti"
PALERMO - Sono quasi tremila. Sono giovani siciliani e di ogni parte d'Italia. Sono arrivati con la Nave della legalità per la mostrare il loro appoggio alla manifestazione organizzata dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e dal ministero della Pubblica Istruzione in occasione del quindicesimo anniversario della strage di Capaci. Ad aprire il lungo serpentone lo striscione dell'istituto Duca degli Abruzzi, il gonfalone del Comune Occimiano (Alessandria), e il cartellone della scuola media Giovanni e Francesca Falcone di Roma.
Saranno anche loro a parlare nell'aula bunker, il luogo dove si svolse il maxiprocesso. Parleranno della battaglia contro Cosa nostra e dell'importanza dell'educazione alla legalità. Lo faranno insieme al presidente del Senato Franco Marini, al ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e al procratore nazionale Antimafia Pietro Grasso. Il ministro Fioroni presenterà i risultati del rapporto del Comitato nazionale "Scuola e legalità".
Ma i giovani si stanno muovendo in nome della memoria anche verso Corleone. Un altro corteo formato da studenti e docenti, accompagnati dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e da Manfredi Borsellino, sta andando verso Corleone sui luoghi dell'arresto di Bernardo Provenzano. Sulla strada che porta al rifugio del boss "recentemente ribattizzata via 11 Aprile 2006, cattura di Bernardo Provenzano - mafioso, saranno stese le "lenzuola della legalità" realizzate dalle scuole, mentre per le vie del paese le scuole corleonesi organizzeranno una "festa della legalità" e i ragazzi saranno raggiunti dal ministro Fioroni e da Maria Falcone.
Nel pomeriggio l'appuntamento è per tutti alle 16 all'Ucciardone per partecipare al corteo che avrà come meta l'"Albero Falcone", in via Notarbartolo, di fronte all'abitazione del magistrato. Alle 17,58, il momento della strage, si osserverà il silenzio e il raccoglimento in memoria delle vittime.
La giornata si concluderà alle 21, a piazza Politeama, con il concerto gratuito, "Mille note contro la mafia" al quale parteciparenno tra gli altri Carmen Consoli e Daniele Silvestri.
(23 maggio 2007)
http://www.fondazionefalcone.it
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9c/Plaque_Falcone-Borsellino.gif/250px-Plaque_Falcone-Borsellino.gif
Si spetta e spera...
:cry:
Coapzpa
Il viaggio con Manù, che aveva quattro mesi quando il padre venne ucciso.
«Poteva cambiare tutto, ma lo Stato si è fermato»
«A Palermo con mio figlio 15 anni dopo La gente mi evita, teme la mafia»
Rosaria Schifani, vedova di un agente della scorta di Falcone: i giudici? Litigano come allora
PALERMO — Quindici anni dopo la strage di Capaci, è tornata a Palermo
Rosaria. Con il suo Manù che aveva appena quattro mesi quando restò orfano. La giovane vedova, sempre ricordata per quell'acuto dolente rivolto ai mafiosi, «Vi perdono, ma inginocchiatevi», ha scrutato per cinque giorni la città dove il marito Vito Schifani morì dilaniato con altri due colleghi per proteggere Giovanni Falcone. Eccola con Manù in centro, in vacanza come una turista, fra Politeama e Teatro Massimo dove nessuno la riconosce. A passeggio nella borgata dove nacque, a Vergine Maria, con il ragazzo che lei ha fatto crescere in Toscana.
E Manù ha scoperto solo adesso con inquietudine i vicoli, le casette basse fra lungomare e cimitero dei Rotoli, gli angoli abbelliti, ma anche il disastro della vicina Arenella, la spazzatura agli angoli, le costruzioni abusive. Con gli occhi di un ragazzo stupito, disorientato davanti alla città ritrovata: «Mamma perché Palermo è così bella e così brutta?». Rosaria ha ricostruito la sua vita lontano da Vergine Maria e dall'Uditore, il quartiere dei genitori. Ma ha voluto accompagnare Manù nella città da dove l'aveva portato via. Ha ripercorso le strade dell'infanzia, ha rivisto parenti, incrociato conoscenti.
Un viaggio, un calvario. La prima posta è la casa natia, due ulivi, il mare di fronte. Una donna s'avvicina, incerta. «Sei la figlia di Lina?». «Ho colto affetto. Ma è scattato subito un rifiuto», spiega Rosaria turbata su queste viuzze a due passi dal cimitero. Le case dei vivi a ridosso delle tombe. Le case sulla costa dominate da croci e gentilizie che scivolano sul pendio. Morte e vita impastate. «Gli uomini non si avvicinano. Contorti come i vicoli. Hanno paura, incontrandomi, fermandosi e parlando, di dare l'impressione di pensarla come me. E allora tanti fingono di non vedermi: meglio non averci a che fare. E gli sguardi mi attraversano come fossi trasparente. Ma non dovrebbe essere il contrario? Dovrei essere io a non volere avere a che fare con loro». Manù osserva e chiede: «Si vergognano di te, mamma?».
Ha trovato la casa delle vacanze su Internet, a due passi da Villa Igiea. «Bellissima», gioisce dal balconcino sul mare e sui pizzi della Tonnara Florio. Ma si rabbuia subito, mentre due ragazzotti schizzano in moto senza caschi: «La spiaggia, una distesa sterrata. Il mare bagna polvere e immondizia. Dov'è il Comune? Hanno fatto le elezioni e hanno un sindaco. Ma c'è un netturbino? Un vigile urbano che si occupi delle norme da rispettare? La facciata di Palermo finalmente appare vivibile nel centro della città. Qualcosa è stata fatta, si vede. Ma un sindaco non deve lavorare sul bello, deve occuparsi del brutto. Chiedo scusa, ma non mi sembra che Palermo sia andata avanti».
Tornerebbe Rosaria a vivere qui? «Manco morta. A Palermo sento odore di mafia, l'arroganza del quartiere, della politica ridotta ad affare, del parcheggiatore abusivo, dei commercianti meravigliati quando chiedo lo scontrino. Da sola ci starei. Per sfidare quei maledetti che condizionano pure il respiro dei nostri parenti. Qui prevale il doppio. La costa sembra bella ed è brutta per le costruzioni che la assediano. Le case sembrano brutte, ma dentro sono belle. Per nascondere, per confondere, per scansare invidie. Prevale il contrasto. Guardo e mi rattristo. Qui non cambia niente».
E' l'amara sensazione che l'accompagna attraversando la città, indicando a Manù l'Albero Falcone, arenandosi nel traffico intorno al Palazzo di Giustizia.
Da lontano ha pensato che potesse cambiare qualcosa? «Poteva cambiare tutto. Ma lo Stato si è fermato. I magistrati hanno ripreso a litigare fra loro. Divisi fra amici di Grasso e amici di Caselli. Ancora? Basta. Come ai tempi di Falcone. Senza mai riconoscere i meriti di chi lavora davvero. Sono contenta per tante inchieste che hanno fatto scoprire dei traditori pure all'interno dell'apparato investigativo. Ma non basta. Lo Stato s'è fermato troppe volte. Perché lo Stato ha paura di guardarsi dentro».
E' un atto d'accusa con il quale evoca una stagione investigativa: «Sciolsero il Gruppo Stragi quando ancora stavano lavorando sui mandanti occulti di Capaci e via D'Amelio. E' come se lo Stato avesse voluto interrompere quel lavoro. Quanti libri sono usciti su quelle ed altre inchieste. I magistrati diventano scrittori. Ma non ci dicono fino in fondo in quali misteri si sono impantanati. A cominciare dalla cassaforte vuota di Riina, dal databank di Falcone con la memoria cancellata, dalla borsa fatta sparire dalla macchina di Borsellino con l'agenda dentro».
Un consiglio? «Per Provenzano e compagnia non parlate di cicoria, vizi e vezzi. Non create e non amplificate il mito. Abbiamo di fronte solo assassini».
Chi è Provenzano? «Un signore che, col suo misticismo, prende in giro anche Dio».
Se potesse parlargli? «Una domanda ce l'ho. Perché furono fatte le stragi? Questo voglio sapere, visto che la giustizia arriva e si ferma solo a voi boss. Ma la mafia è mafia quando si associa a qualcosa che si muove in altri ambienti. No, forse è meglio un altro tono: se può fare quest'atto di carità, signor Provenzano, parli per favore. So che forse è utopia. Capisco che potrebbe temere di essere avvelenato in carcere, com'è successo altre volte in Italia, ma faccia la carità a questo popolo senza verità. Si liberi signor Provenzano e muoia almeno senza questo peso. Ti scade l'affitto, Bernardo Provenzano. Sei anche tu di passaggio. Liberati dal male, liberaci con la verità».
L'inquietudine maggiore? «Il mistero delle stragi a Palermo. Perché non a Roma, dove Falcone era un bersaglio facile? A che cosa doveva servire il segnale di Palermo? Bisogna scoprire le complicità alte, visto che tutto accadde mentre si stava eleggendo il Presidente della Repubblica».
Chi potrebbe convincere Provenzano a parlare? «I suoi figli. Ho notato una differenza con quelli di Riina. Una diversità segnata forse dal ruolo della donna. "I miei ragazzi non devono delinquere", avrà detto la madre. Mentre la moglie di Riina, sorella di Bagarella, non mi pare che abbia fatto lo stesso. Ecco perché oggi mi interessa di più la famiglia Provenzano. Ai suoi figli parlerei: aiutate vostro padre a confessare. Tu, figlio di Provenzano che insegni a scuola, insegna a tuo padre a cambiare».
Rosaria insiste quindi su pentimento e perdono? Si può ancora ripetere quel «perdono, ma inginocchiatevi»? «Intanto, chi lo vuole deve chiederlo. E agire. Inginocchiarsi significa parlare, raccontare, pentirsi davvero, non solo fare un patto con lo Stato. Perché con quei patti sono emerse solo mezze verità. Non basta. Serve solo la verità, anche se cruda. Non controfigure della verità nascosta occultando il contenuto di una cassaforte, cancellando e facendo sparire agende».
Prevale il pessimismo? «Ricordo l'incontro con la vedova di Pio La Torre, guardinga. Mi spiegò che eravamo vittime non di "segreti di Stato", ma di "delitti di Stato"».
Che immagine porta via Manù di questa Sicilia? «Gli ho spiegato che, oltre ai boss con la coppola, in questo Paese troppi conviviamo con i mafiosi diventando ciechi. Io no, non posso farlo. Per Manù, cresciuto accanto a un uomo straordinario che chiama papà. Un uomo dello Stato, come lo era il mio Vito. Lo racconto perché perfino un vicino qui mi ha redarguito, agghiacciante: "Te lo sei portato appresso lo sbirro? La prossima volta, da sola". Specchio di una mentalità che se ne infischia della società civile, pietrificata, immutabile, nonostante ogni tragedia, ogni anniversario». E Rosaria riparte.
Felice Cavallaro
22 maggio 2007
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