EarendilSI
05-04-2007, 08:28
«Oggi sono andata a trovarlo e ho abbracciato un uomo che di Mario non aveva più niente. Nessuna vita, nessun entusiasmo, nessun carattere. Mi ha detto: “Torno presto, basta che io gli dica (ai magistrati, ndr) quello che vogliono che io dica e posso tornare”. Non mi ha dato il tempo di rispondergli che no, non deve accollarsi colpe non sue, che lui ha dalla sua la forza della ragione e della verità... Mi ha interrotta con uno sguardo che era una smorfia di rassegnazione che non dimenticherò mai; mi ha detto che se continua a credere a queste favole lo tengono dentro per due anni e lui non ce la fa! Purtroppo è vero. Mi sono resa conto oggi che lui non ce la farà. La ragione e la verità non gli danno alcuna forza. Sono anzi la sua debolezza».
E poi: «Hanno ucciso Mario. Il mio Mario non c'è più. Sono riusciti a spegnere quel fuoco che bruciava dentro lui. La sua lucidità, la sua intelligenza, la capacità di analisi, la genialità che lo distinguevano non ci sono più. Oggi ho visto un omino piccolo, fragile, debole, impaurito, sconfitto... Te lo scrivo piangendo dal dolore e dalla rabbia: avrei preferito che fosse morto piuttosto che vederlo annientato in questo modo. Non deve piegarsi. Piuttosto si spezzi ma non deve mollare! Come fare? Anche se oggi so che l'uomo che amavo non c'è più, in onore di ciò che era voglio fare qualsiasi cosa per salvare quello che di lui rimane. Questa lettera è un delirio. Scusami. Giorgia».
È un pezzo difficilissimo quello che sto scrivendo sia perché mi investe come cittadino, come rappresentante dei cittadini e come essere umano; sia perché per scriverlo devo usare senza esserne autorizzato una lettera privata che mi è stata inviata in via confidenziale: una e-mail di Giorgia D., che ho conosciuto come la ragazza di Mario Scaramella, che adesso vive all’estero ma che ieri l’altro è venuta in Italia. È riuscita a vedere l’uomo che ha amato come un detenuto e un rottame umano all’ospedale Santo Spirito dove era stato portato d’urgenza dal vicino carcere di «Regina Coeli» in cui si trova in isolamento dalla notte di Natale del 2006, dopo oltre 100 giorni di carcere senza processo e senza condanna.
Sono stato combattuto a lungo fra il rispetto per un documento privato e l’interesse pubblico. E ho deciso, in tutta coscienza, di rendere pubblico ciò che questa donna disperata e sbalordita mi ha scritto. Spero che capirà e che mi perdonerà, ma le sue parole sono autentici macigni che infrangono il vetro del non detto, dell’ignoto su quella procedura medioevale italiana per cui un accusato (calunnia nei confronti di un ex capitano del Kgb, per di più clandestino in Italia, e poi di una ipotesi di traffico di armi) viene scaraventato in galera e tenuto lì a marcire finché, per usare le parole dello stesso detenuto Scaramella, «non dica esattamente quello che vogliono che io dica: solo allora potrò tornare a casa».
Ecco come Giorgia D. inizia la sua drammatica lettera: «Ieri (martedì 3 aprile, ndr) aspettavo la telefonata settimanale di Mario a casa dei figli per fargli una sorpresa, dato che non sapeva che sarei tornata in Italia per Pasqua. Ma la sorpresa l'ha fatta lui a me. La telefonata era in ritardo di due ore rispetto all’orario concordato con il carcere ma nessuno si è preoccupato di avvertire il padre di Mario che qualcosa era successo. Così il padre di Mario ha chiamato Regina Coeli ad ha appreso che nel pomeriggio era stato ricoverato in ospedale per un non meglio specificato “attacco di cuore”».
Io posso aggiungere che dal padre di Mario, terrorizzato all’idea che i magistrati possano accusarlo di voler «speculare» sul dramma del figlio ricoverato, avevo saputo che il malore era ormai uno dei tanti che si erano succeduti con tachicardie, collassi, pressione alta, perdita di conoscenza, ingrossamento della tiroide e della prostata e perdita di capelli. Qualcuno ha ricordato la sua esposizione al Polonio 210 quando si trovò nel famoso Sushi Bar di Piccadilly Circus dove incontrò Alexander Litvinenko già avvelenato. Come mi disse Oleg Gordievsky in casa sua il 7 gennaio scorso: «Mario e Alexander si abbracciarono e baciarono due volte sulle guance “alla maniera italiana”, Questo spiega l’immediata e forte contaminazione da Polonio per Scaramella, simile a quella della moglie di Alexander, Marina, che però poi sono gradualmente scomparse». Ma ieri i sanitari dell’ospedale «Sandro Pertini», dove nel frattempo Scaramella era stato trasferito, hanno escluso analisi sugli effetti di una contaminazione.
Così finisce la lettera e ogni commento è superfluo. Anzi, ogni commento sarebbe necessario e anzi indispensabile. Come appare indispensabile rendere chiaro e noto che questo capitano Alexander Talik, il calunniato, è uno che ha lavorato nell’ex Unione Sovietica alle dipendenze di quello che una volta si chiamava IX Direttorato del Kgb e che adesso ha assunto la denominazione PSB, cioè servizio per la sicurezza presidenziale. Il fatto è che in quel servizio hanno lavorato, insieme a lui, anche due noti gentiluomini: Andrei Lugovoy e Dimitri Kovtun, entrambi indagati in Gran Bretagna come gli assassini materiali di Litvinenko. Inoltre sappiamo che lo stesso Talik, furioso per aver letto un anno fa una intervista alla Novosti di Litvinenko in cui veniva descritto come un terrorista e un trafficante di armi, disse per telefono alla convivente: «Questo stronzo dobbiamo metterlo a tacere. Voglio sapere dove abita esattamente e tutto il resto: ho parecchi amici generali a Mosca ed ho mandato qualcuno per dir loro quello che penso». Secondo Scotland Yard il delitto Litvinenko cominciò ad essere studiato ed attuato, con lente manovre di avvicinamento, poco più d’un anno fa, a febbraio, e portato a compimento quel primo di novembre in cui era stato accertato che Mario Scaramella avrebbe incontrato la vittima predestinata, così da essere colto con le mani nel sacco come possibile avvelenatore, scaraventato sulle prime pagine e sulle news di tutto il mondo e distrutto.
L’operazione iniziata il 1° novembre si concluse tre settimane dopo con la morte di Litvinenko e l’inizio della esposizione al ludibrio di Scaramella. Poi seguirono a ruota, in una successione precisa da vera macchina da guerra, le interviste riconosciute poi dagli intervistati Limarev, Gordievsky e Bukovsky come false o manipolate di Repubblica, e lo scatenamento della caccia all’uomo, in questo caso contro il presidente della Mitrokhin, le cui intercettazioni sono state distribuite illegalmente a selezionati giornalisti. L’ultimo atto fu l’arresto di Scaramella sotto l’aereo che lo riportava da Londra la notte di Natale e l’ultimissimo è quello che Giorgia D. descrive in modo così disperato: quell’uomo non è più lo stesso, dice di essere pronto a sottoscrivere qualsiasi documento, qualsiasi accusa contro se stesso o contro altri, pur di poter recuperare la sua libertà e la sua vita.
Il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi ha rilasciato una dura dichiarazione a questo proposito, il senatore Lucio Malan è intervenuto in Senato più volte chiedendo, come abbiamo fatto anche noi, al governo di uscire allo scoperto, specialmente al ministro di Grazia e giustizia che dichiarò «Guzzanti è indifendibile», di dire che cosa esattamente sta succedendo a questa vicenda che comincia ad emanare un pessimo odore. Io non so se Scaramella sia o no responsabile delle accuse che gli sono state rivolte. Vedremo il processo, vedremo le prove, vedremo le carte e i testimoni. Se è colpevole pagherà. Ma finora il cittadino Scaramella Mario, incensurato, ex collaboratore del Parlamento della Repubblica Italiana, è vittima di un sistema e di una pratica giudiziaria di cui ci vergogniamo e che ci è persino impossibile spiegare ai colleghi giornalisti stranieri che si informano su questo caso, sepolto in Italia dalle manovre delle più oscure (ma poi non tanto) retrovie della politica.
Paolo Guzzanti
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=168941
Che Scaramella sia proprio il Belzebù che ci descrivono alcuni giornali e telegiornali qui in Italia oppure ci sarà qualcosa sotto...?
Che Scaramella sia proprio il Belzebù che ci descrivono alcuni giornali e telegiornali qui in Italia oppure ci sarà qualcosa sotto...?
Il Polonio delle Libertà
di Marco Travaglio
Per carità, può darsi che un giorno dovremo ringraziare il duo Guzzanti-Scaramella per aver risolto la strage di Bologna, il caso Moro e l’attentato a papa Wojtyla in un colpo solo. Per il momento, però, è più probabile che un giorno scopriremo che l’ormai leggendario superconsulente della Mitrokhin faceva il posteggiatore a Napoli insieme ad Apicella. L’abilità di talent scout come Bellachioma e i suoi cari nel regalare piedistalli a personaggi consimili è inesauribile. Prendiamo Scaramella.
Domenica chi leggeva la sua intervista a Guzzanti, sul Giornale, gli dava pochi giorni di vita: «Sono stato avvelenato con una dose di polonio 210 cinque volte superiore a quella mortale». Poi i sanitari hanno smentito sia l’avvelenamento, sia la dose, sia il pericolo di vita, tant’è che ieri il nostro ha lasciato tutto giulivo l’ospedale dicendo di sentirsi «benissimo». Tre giorni fa possedeva «un dossier su politici e giornalisti italiani legati al Kgb» e intendeva pubblicarlo «prima di morire». Due giorni fa diceva di non avere alcun dossier. Poche ore dopo riconfermava di avere un dossier in dvd, ma «non attinente al mio mandato per la commissione». Dunque ha mentito spudoratamente almeno una volta. In piena campagna elettorale 2006, Mario rivela a un amico americano, tale Perry (Mason?), di aver saputo dall’ex spione sovietico, Oleg Gordievskij, che Prodi è «un agente del Kgb». Poi però dice a Guzzanti che Gordievskij non può dir nulla in materia, «perché non è accaduto», cioè non è vero niente. Ma Guzzanti informa Berlusconi, precisando però che, se Prodi li denuncia, non hanno alcuna prova. Ma quello squisito garantista di Bellachioma * secondo Guzzanti - risponde che va bene lo stesso: «Intanto lo costringiamo a difendersi». Mario dice a Perry che Berlusconi «sta organizzando la sua campagna su questo». Poi però nemmeno Bellachioma - che dice di non conoscerlo - prende sul serio la frottola di Prodi agente sovietico: forse è troppo grossa anche per un pubblico di bocca buona come il suo. Lo stesso Sismi * confida Mario al giudice Cordova, anche lui consulente della commissione * sa che «Gordievskij non sa nulla dell’Italia» e «si lamenta che ho fatto pressioni su questo generale» (il Sismi però si guarda bene dal lanciare l’allarme sui traffici scaramelliani). Scaramella passa all’incasso e chiede ai berluscones, dopo tanto agitarsi, una ricompensa: gli offrono «un posto in Parlamento», ma lui aspira a ben altro: «Un posto migliore, fuori dall’Italia, in un’organizzazione internazionale… in meno di una settimana conoscerò la loro proposta». Oggi Guzzanti dice di aver dubitato fin dall’inizio di Scaramella. Si dipinge come un presidente prudentissimo: il 5 aprile riceve da Mario un dvd esplosivo, ma rifiuta addirittura di vederlo, perché «in campagna elettorale la commissione Mitrokhin non è stata nominata mai, neanche per sbaglio». Strano. Perché il 1° aprile Guzzanti dichiara al Giornale di cui è vicedirettore che Prodi «è sotto accusa per aver consentito e approvato la manipolazione del dossier Mitrokhin». Il 2 aprile inscena al teatro Rossini uno spassoso monologo su Prodi e l’affaire Mitrokhin. Il 6 aprile il Giornale pubblica l’ennesima puntata delle esplosive rivelazioni di Guzzanti: «Durante il rapimento Moro, Prodi ebbe la disinformazione su via Gradoli dall’ufficiale del Kgb Felix Konopikhin: lo affermano due ex ufficiali sovietici… pronti a testimoniare, ma di cui non intendo fare i nomi per ovvi motivi di sicurezza… Altri due ex ufficiali del Kgb indicano una connessione tra Prodi e il Kgb dalla metà degli anni 70», e cioè «Alexander Litvinenko e Oleg Gordievskij». Quest’ultimo «udì i suoi colleghi che operavano con lui in Scandinavia dire: Prodi è un uomo nostro, del Kgb». Il tutto - confida Guzzanti al suo Giornale - «è contenuto in una relazione di Cordova e Scaramella giacente presso l’ufficio protocollo della commissione in attesa di riscontri diretti. Tali riscontri ora esistono». Lo stesso giorno, in stereofonia, lo stesso Guzzanti pubblica su Panorama della stessa famiglia Berlusconi un altro articolo dal titolo appena appena accennato: «Chi ha paura del dossier Mitrokhin? In 80 pagine tutte le verità sul rapimento Moro, l’attentato al Papa e le leggi calpestate da Dini, Prodi e D’Alema».
(08 Dicembre 2006)
Prima parte :
Incredibile ascesa del commissario Scaramella
di Claudio Gatti
Il 31 dicembre, nel suo blog personale, l'ex presidente della Commissione Mitrokhin, il senatore di Forza Italia Paolo Guzzanti, ha augurato a tutti «un 2007 dirompente nella vittoria della verità sulle fabbricazioni».«Il Sole 24 Ore» ha trascorso un mese alla ricerca dei fatti e (possibilmente) della verità su Mario Scaramella. Conclusione:Paolo Guzzanti è solo l'ultima di una lunga serie di persone che per 18 anni gli hanno permessodi girare il mondo spacciandosi per quello che non è mai stato, cioè commissario, magistrato antimafia, professore universitario, responsabile di un'organizzazione intergovernativa ed esperto di intelligence sovietica. A difesa di Guzzanti si può solo dire che l'elenco è lungo. Ma era altrettanto lunga laserie di campanelli d'allarme che avrebbe dovuto far capire a Guzzanti e agli altri che si trattava di un individuo da cui stare alla larga. Arrestato il 24 dicembre,oggi il Tribunale del riesame deciderà se concedere a Scaramella la scarcerazione mentre il Csm apre un fasciolo (l'ex consulente è giudice onorario a Ischia) e la Procura di Bologna indaga per reati di calunnia.
Ambientalista agguerrito
L'ascesa di Mario Scaramella, combattente ambientale, iniziò molto presto. Nel marzo del 1989,a soli 19 anni,fondò i Nuclei agenti di sicurezza civile, o Nasc, un microgruppo di9 componenti legato a un'organizzazione ambientalista di destra, il Gruppo di ricerca ecologica. Pochi mesi dopo,il 12 settembre '89,firmò un protocollo d'intesa con l'assessorato all'Ambiente della Provincia di Napoli. Ma il colpo grosso lo fece quando ottenne una lettera dell'Alto commissariato antimafia in cui si raccomandava alla prefettura il rilascio del porto d'armi per gli operatori dei Nasc al servizio del "commissario Scaramella". A firmare quella lettera fu Luciana Villa, un'amica di famiglia dirigente del ministero dell'Interno.
Dopodiché,agitando a distanza il tesserino di guardia itticovenatoria provinciale, il "commissario Scaramella" si presentò a due sostituti della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l'assistenza della polizia giudiziaria nelle sue attività di sequestro.Con l'appoggio dei funzionari a lui affidati, Scaramella fu protagonista di un'attività frenetica di sequestri. «Può sembrare incredibile, ma con il suo nucleo fece il bello e il cattivo tempo nelle province di Napoli e di Caserta dall'89 a metà del '91», ricorda Rosaria Capacchione, la cronista del Mattino che all'epoca scrisse una straordinaria serie di articoli.«Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino un ippodromo clandestino del boss Nuvoletta».
A porre fine alle bravate dei Nasc fu un brigadiere dei carabinieri insospettito dal fatto che,al momento della firma dei verbali,Scaramella trovava il modo di defilarsi. Nel luglio del '91,fu messo sotto processo per usurpazione di titolo e di pubbliche funzioni. La sentenza di condanna fu depositata il 31 dicembre 1994, dopo un procedimento in cui vennero chiamati a testimoniare sia i due sostituti ingannati che l'Alto commissario antimafia Domenico Sica.
In quell'occasione si manifestò un fenomeno che avrebbe accompagnato la carriera di Scaramella: la presa di distanza di chi gli aveva dato legittimità. Ecco che cosa scrive l'allora pretore Roberto de Falco nella sua sentenza: «Larghe zone d'ombra sono rimaste, anche in conseguenza della retromarcia... da parte di molti organi istituzionali che avevano appoggiato lo Scaramella e i Nasc... retromarcia evidenziata dal contenuto chiaramente minimizzatore, se non reticente, di molte delle deposizioni dei pubblici funzionari escussi in dibattimento».
La condanna venne poi annullata in appello con una motivazione definita oggi da de Falco «in punto di diritto»:fu stabilito che quello di "commissario" era un termine atecnico e che Scaramella lo aveva usato in quanto presidente di una commissione dei Nasc.
Scaramella scopre l'America
Gli eventi giudiziari costrinsero Scaramella a chiudere i Nasc. Ma non lo scoraggiarono. Avendo terreno bruciato vicino casa, guardò oltre i confini nazionali, puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell'Atlantico.
Nacque così lo Special research monitoring center ( Srmc), entità virtuale che dichiarava collegamenti con centri spaziali e universitari americani ma non aveva neppure una vera e propria sede.Con esso irruppe sulla scena Filippo Marino, un ex ufficiale dell'esercito italiano esperto in materia di sicurezza che aveva fatto corsi di addestramento all'uso delle armi al gruppo di Scaramella. Marino si era trasferito a San Francisco nei primi anni 90.Lì aveva conosciuto Periklis Papadopoulos, un ricercatore di origine greca che lavorava per la Eloret,una società di ricerca spaziale subappaltatrice della Nasa. Per Scaramella era la chiave di volta per riacquistare legittimità.
Grazie ai suoi collegamenti internazionali, decise di cimentarsi nel campo delle consulenze peritali. Trovò subito incarichi presso la procura di Verona e di Reggio Calabria. Ad affidargli la consulenza a Reggio fu il sostituto Francesco Neri, ex braccio destro di Agostino Cordova a Palmi, che all'epoca conduceva un'indagine su navi sospettate di essere state affondate per smaltire scorie radioattive. Emerse una perizia allarmistica in cui vennero indicati decine di affondamenti sospetti nel Mediterraneo. La ricerca di questi relitti poteva essere un business di miliardi. Scaramella ricostruì la vicenda in un'intervista all'Espresso: «Era il 1996, quando i magistrati calabresi mi contattarono per una delicata missione.Volevano individuare una delle navi affondate nel Mediterraneo sospettate di trasportare rifiuti radioattivi, dunque attivai i miei contatti». Scaramella si riferiva alla Eloret. «Era una struttura perfetta per le nostre esigenze,ma troppo esposta per accettare l'incarico »,spiegò.La sua proposta fu di utilizzare l'Srmc, presentato come rappresentante della Eloret in Italia.
Il piano dell'Srmc prevedeva un esborso di 1 miliardo e 400 milioni di lire.Il procedimento venne poi trasferito alsostituto procuratore antimafia Alberto Cisterna che, insospettito, bloccò tutto.«Se non erro la perizia di Scaramella ipotizzava l'esistenza di correnti sottomarine dell'ordine di centinaia di chilometri orari che avrebbero potuto impedire il ritrovamento dei relitti »,ricorda oggi Cisterna. «Poiché nel Mediterraneo le correnti sottomarine possono arrivare al massimo ai 10 nodi, quell'asserzione contribuì a suscitare in me gravi perplessità su tutta l'attività peritale svolta, perplessità segnalate anche in sede di audizione parlamentare».
L'Environmental Crime
Gli allarmi di Cisterna non bastarono a frenare l'attività di Scaramella. Anzi lo spinsero a irrobustire il proprio curriculum internazionale. Ecco allora il salto definitivo: l'organismo intergovernativo. Nel marzo del 1997,assieme al fido Marino, Scaramella fondò l'Environmental Crime Prevention Program, il Programma per la prevenzione del crimine ambientale. Veniva spacciato per un organismo di diritto internazionale ma era una scatola vuota che non risulta essere stata registrata in alcun Paese del mondo.
L'Ecpp nasce già... nato, con la «II Conferenza Plenaria» che si tiene a Napoli. La prima conferenza non risulta essere mai stata fatta. Probabilmente perché la migliore strada per convincere qualcuno a farsi coinvolgere era di presentare un programma intergovernativo già esistente. Dovendo creare una parvenza d'internazionalità, Scaramella decise di nominare tre special assistants, che in un comunicato presentò come «John Graham Taylor (Uk), Christian Trentolà (France) and Phillip Marino (Germany)». Il primo era un inesperto collaboratore di nazionalità inglese. Il secondo un giovane napoletano di madre francese il cui cognome era in realtà scritto senza accento finale. Il terzo, il suo socio Filippo Marino.
Con alle spalle null'altro che una sigla,Scaramella iniziò a tessere la sua tela. Nel dicembre 1998, l'Ecpp fece domanda per ottenere lo statodi "osservatore"presso la London Convention, organismo legato all'International Maritime Organization.Gli fu concessa quella qualifica in modo prima provvisorio e poi definitivo senza farsi scrupolo di verificare l'effettiva natura e consistenza dell'organizzazione. Scaramella e i suoi vennero così invitati a partecipare alle riunioni annuali della Convenzione, un riconoscimento puntualmente pubblicizzato.
Un ulteriore tassello nell'opera di legittimazione dell'Ecpp venne dalla Nato. Con stupefacente sfrontatezza, Scaramella chiese fondi e sponsorizzazione dello Science Program della Nato per una conferenza sulla sicurezza ambientale da svolgersi in Lituania in collaborazione col Governo locale. Ottenne il tutto e fu così coorganizzatore del workshop della Nato. Quando abbiamo chiesto all'attuale direttore del programma Nato, Chris De Wispelaere, come possa essere successo, la sua risposta è stata: «La sua proposta evidentemente fu ritenuta valida ».
Un'operazione simile venne condotta nei confronti del Segretariato della Convenzione di Basilea per la difesa dell'ambiente, organismo sotto l'egida dell'Onu di base a Ginevra. In questo caso,Scaramella riuscì addirittura a firmare un accordo di collaborazione. Anche qui, nessuno si prese mai la briga di verificare nulla. Era bastata l'autocertificazione dell'Ecpp che citava la «IV Conferenza Plenaria»,che risultava essersi tenuta a New York negli uffici dell'agenzia dell'ambiente americana,l'Epa.
A fargli avere la disponibilità di quegli uffici nel novembre del 2000 era stato Michael Penders, un funzionario dell'ufficio legale dell'Epa che di lì a pochi mesi avrebbe lasciato l'amministrazione statale per fondare una propria società di consulenza e quindi era interessato a crearsi una rete di contatti internazionali. Adesso Penders minimizza: «Gli demmo un ufficio per un'ora». Ma un'ora era quanto bastava a Scaramella.E comunque lo stesso Penders aderì all'organizzazione. «Ho solo accettato di dare supporto al gruppo di lavoro legale», si giustifica.
Il ruolo di professore
Ma come poteva un funzionariodi un importante ente statale Usa associarsi a uno Scaramella? «Lo avevo incontrato al convegno della Nato in Lituania. Mi era sembrato un giovane e dinamico professore di legge che aveva messo insieme una rete di scienziati»,risponde Penders. Aveva poi giovato il fatto che Scaramella aveva detto di essere anche un " magistrato antimafia". Professore universitario? Magistrato antimafia?In entrambi i casi la carica era inventata. Sulla base però di un infinitesimale granello di verità. Il 6 giugno 2001, con la benedizione del presidente del Tribunalee del Consiglio giudiziario di Napoli,e una delibera dell'Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura, Scaramella riuscì in effetti a diventare giudice onorario di tribunale. Si trattava di una carica onoraria, che non aveva nulla a che vedere con la lotta alla mafia. Ma gli era bastata per costruire il solito castello di carta.
Anche sul fronte universitario,riuscì a procurarsi delle pezze d'appoggio.Aveva iniziato nel 1998 con il Dipartimento di scienze internazionalistiche dell'Università Federico II di Napoli. «Fui avvicinato dallo Scaramella, che mi disse di essere alla guida di un'Unità criminologica ambientale e mi chiese di stabilire un rapporto di collaborazione. Mi disse di avere contatti importanti, aggiungendo di essere cugino di due miei ex studenti, Stefano e Sergio Rastrelli, figli dell'ex presidente della Regione Campania,Antonio Rastrelli», ricorda il professor Luigi Sico, all'epoca responsabile del Dipartimento. «Redigemmo una convenzionequadro che dava aldipartimento il compito di fornire personale per corsi di formazione. Una parte della retta dei corsi era destinata a finanziareil Dipartimentoe l'Università.Ma la convenzione non trovò alcuna applicazione perché da Scaramella non ci pervenne mai alcuna richiesta».
Non ancora soddisfatto, Scaramella si fece avanti anche con il Dipartimento di scienza e ingegneria dello spazio (Disis) della Federico II. «Vantò contatti importantissimi nel mondo politicoscientifico internazionale, dicendo tra l'altro di essere professore a Stanford e adducendoche l'Ecpp aveva ricevuto un mandato dai ministri dell'Ambiente dei Paesi membri», ricorda il professor Paolo Oliviero, che poco dopo divenne direttore del dipartimento. Sembrava una proposta valida e con una delibera del 19 giugno 2000 il dipartimento decise «di istituire un programma denominato Centro di Politica spaziale ».Il punto 3 della delibera diceva che «le modalità operative del Centro saranno definite con un apposito regolamento del Dipartimento» e il punto 4 che «la sede del Centro sarà presso il Dipartimento stesso ».Anche questa volta era una dichiarazione di intenti a cui sarebbero dovuti seguire accordi operativi. Anche questa volta a Scaramella bastò.E scomparve.
Il suo nome riemerse un anno dopo,il 14 luglio 2001, quando il Dipartimento ricevette una lettera dei carabinieri,che«per urgenti indagini di polizia giudiziaria» chiedevano se Scaramella«è in possesso del titolo di ricercatore e formatore in politica spaziale presso codesta Università »e«se è,ovvero è stato,direttore del Centro di Politica spaziale ».Le risposte furono entrambe negative. Passò poi un altro anno prima che Oliviero risentisse il nome di Scaramella. Questa volta a farglielo fu una professoressa universitaria colombiana, che il 27 marzo 2002 lo andò a trovare all'Università per mostrargli un attestato appena ricevuto. Si trattava di un diploma su carta pergamenata del «Centro di politica spaziale del Dipartimento di scienza e ingegneria dello spazio». Era firmato dal direttore del centro, il professor Mario Scaramella.
«Se ricordo bene mi disse di averlo pagato », dice Olivero, che a quel punto, dopo aver avuto l'indirizzo, decise di recarsi di persona negli uffici del Centro spaziale di Scaramella. «Era al primo piano sottoscaladel palazzo del Cinema delle Palme, in Via Vetriera a Chiaia n.12», ricorda il professore. «Fuori del portone, sulla placca del campanello,trovai appiccicati due piccoli stemmi dell'Università». Oliviero scrisse una lettera di denuncia al rettore, mettendosi a disposizione dell'ufficio legale dell'Università.
Ma il 4 ottobre successivo,ricevette l'invito ufficiale a un convegno che Scaramella stava organizzando al Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), diretto da un altro professore di ingegneria dell'Università di Napoli, Sergio Vetrella. Oliviero si preoccupò ovviamente di avvertire il collega della trappola. In un'email mandata in copia all'intero Dipartimento il 23 ottobre 2002, scrisse:«Caro Sergio, ho avuto notizia di un workshop su tecnologie spaziali...organizzato da tale Mario Scaramella presso il Cira a nome di un fantomatico Centro di politica spaziale del Disis. Ti ricordo che noi,come Dipartimento, non ci siamo mai sognati di costituire tale centro... Non abbiamo mai visionato le credenziali dello Scaramella, né delle sue iniziative.Dette iniziative devono intendersi del tutto arbitrarie e, comunque, mai autorizzate né da me né tanto meno dal Disis. Paolo Oliviero».
Una decina di giorni dopo, il Cira diffuse un comunicato annunciando il convegno in cui si diceva: «Organizzatore dell'evento è l'Ecpp, rappresentato in Italia dal professor Mario Scaramella, segretario generale dell'Ente e direttore del Centro di politica spaziale dell'Università Federico II». Il convegno, a cui partecipò una folta delegazione russa oltre i soliti noti come Papadopoulos e Penders, si svolse senza intoppi di sorta per Scaramella. Anzi,fu il coronamento delle sue attività nel settore spaziale. Tant'é che prese sempre più a presentarsi come direttoredel Centro spaziale della Federico II.
Lo fece anche in un'intervista sul Mattino il 3 febbraio 2003 che destò di nuovo l'attenzione di Oliviero. «Il 4 febbraio decisi di telefonargli per diffidarlo a continuare a usare quel nome », ricorda. Il giorno dopo ricevette un lunghissimo fax di scuse e giustificazioni: «Gentile professore Oliviero, le scrivo per chiedere scusa a lei e ai suoi colleghi del dipartimento se nell'intervista pubblicata dal Mattino ho menzionato tra i miei titoli quello di direttore del Centro di politica spaziale e se con questo atto ho causato qualche disturbo».
Dove trovava i soldi?
Diplomi, attestati e corsi professionali condotti a seconda delle occasioni da Ecpp, Srmc, Centrodi politica spaziale eUnità criminalogica ambientale non soloservivano a soddisfare giovani neolaureati che gli davano una mano come Christian Trentolao Carmine Minopol , i quali potevano menzionarli nei propri curricula. Erano anche una potenziale fonte di finanziamento.Quel che è certo è che il curriculum messo online da Minopoli fa riferimento a corsi di formazione professionale "patrocinati dalla Regione Campania" svolti tra il 1994 e il 1998.
Scaramella trovò altri finanziamenti pubblici presso alcuni parchi nazionali. Come quello del Gargano che, il 27 giugno 2002, con una delibera dell'allora presidente Matteo Fusilli affidò l'incarico di demolizione di manufatti abusivi a Scaramella. Il contratto fu formalmente assegnato alla Eccp, definita«organizzazione intergovernativa di diritto pubblico con sede a WashingtonDc e rappresentanza a Via Vetriera a Chiaie n.12, Napoli».Insomma il solito sottoscala del Cinema Delle Palme. Rappresentante legale dell'organizzazione: Giorgia Dionisio, all'epoca compagna di Scaramella,in veste di "special assistant secretary general dell'Ecpp".
Nel 2002 risultano essere stati fatti tre pagamenti, rispettivamente di 51.645, 43.336 e 268.764 euro.Ma come si poteva pagare un organismo che non esisteva e non era mai stato registrato formalmente in alcun Paese? No problem: i versamenti furono fatti sul conto corrente 27/36249 di una filiale del Banco di Napoli. Intestatario del conto: Mario Scaramella.
Nel 2003,venne poi firmata una nuova convenzione, per altri 500mila euro che però venne revocata nel giugno 2004 dal nuovo presidente del Parco, lo scrupolosissimo avvocato Domenico Gatta,e dal suo consiglio direttivo. Altro committente di Scaramella fu l'Ente Parco nazionale del Vesuvio. Ecco cosa ci ha scritto Matteo Rinaldi,direttore di quel parco dal novembre scorso: «L'Ente ha stipulato con la Ecpp due convenzioni per attività di demolizione di manufatti abusivi e ripristino ambientale in data 25/03/2003 e 2/12/2003... Per gli atti redatti dall'Ente Parco i firmatari delle convenzioni hanno eletto domicilio in Via Vetriera a Chiara 12/d. La ragione sociale della società è: Organizzazione intergovernativa di diritto pubblico per la prevenzione dei crimini ambientali con sede in Washington. È stato corrisposto all'Ecpp un compenso di 860.824,34 euro». Rinaldi ha specificato che nel caso della prima convenzione l'Ecpp è stata " rappresentata"dal suo«segretario generale, dottor Pavel Suian», mentre la seconda da Giorgia Dionisio (assieme a un altro collaboratore di Scaramella, tale Livio Ricciardi).
Suian era un ex diplomatico romeno che all'epoca era consigliere legale del Segretariato della Convenzione diBasilea, uno degliorganismi associatisi a Scaramella. Contattato dal Sole24 Ore, il Segretariato ha spiegato che «se Suian avesse effettivamente firmato quel contratto sarebbe stato in violazione delle norme dell'Onu » La strategia di Scaramella risulta a questo punto chiara: utilizzare ogni singolo contatto o evento per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici. Ma se è riuscito a farla franca fino al 24 dicembre scorso, giorno del suo arresto, è stato per l'ingenuità, la passività e la connivenza di persone che adesso fanno a gara nel minimizzare il proprio contributo.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Attualita/2007/01/gatti_inchiesta_scaramella_1_110107.shtml?uuid=6c616d92-a145-11db-b281-00000e251029
E seconda :
La resistibile ascesa di Mario Scaramella
di Claudio Gatti
Per 18 anni Mario Scaramella si è presentato presso giornali, procure, organi nazionali e internazionali spacciandosi per professore universitario con cattedre a Napoli, Londra, Stanford, San José e Bogotà oltre che segretario generale di un'importante organizzazione intergovernativa, l'Ecpp. Non era né l'uno né l'altro e nella prima parte della nostra inchiesta abbiamo raccontato com'è riuscito a passarla liscia per oltre un decennio. Ma come ha fatto poi a traslocare dal campo della criminalità ambientale a quello dell'intelligence sovietica, diventando consulente della Commissione parlamentare Mitrokhin? Come mai il presidente di quella commissione, il senatore di Forza Italia Paolo Guzzanti, ha deciso di affidargli una serie di compiti estremamente delicati come quello di acquisire documenti ed effettuare ricerche presso istituzioni e organismi dell'ex Unione Sovietica, e addirittura di cercare «collegamenti tra l'intelligence sovietica, il terrorismo islamico e altre strutture eversive straniere»?
Si potrebbe essere tentati di rispondere cinicamente che in questa vicenda l'incredibile si è spesso rivelato possibile. Ma c'è una spiegazione più pedestre (e puntuale): la sua candidatura fu sponsorizzata da Lorenzo Matassa, magistrato distaccato a tempo pieno presso la Commissione Mitrokhin. Abbiamo perciò girato a lui la domanda: «Nel 2002 avevo incontrato Scaramella al convegno del Cira (il Centro italiano di ricerche aerospaziali che aveva ospitato un incontro organizzato da Scaramella, nonostante un'email di avvertimento che lo descriveva come un millantatore, ndr). In quell'occasione ebbi modo di intuire che aveva diretti rapporti anche con alti rappresentanti di pubbliche istituzioni russe. Ricordai quest'ultima circostanza circa un anno dopo allorché, presso la commissione Mitrokhin, si manifestò la necessità di acquisire la sentenza di condanna per tradimento irrogata nei confronti del defezionista del Kgb (Mitrokhin, ndr); per questo motivo prospettai al presidente Guzzanti la possibilità di utilizzare i contatti istituzionali del professor Scaramella in Russia».
Quando abbiamo chiesto che cosa c'entri il mondo spaziale con il Kgb, Matassa si è limitato a dire che i contatti di Scaramella al Cira «saranno stati dei militari, vicini al Cremlino... e poi comunque non ci sono "serviziologhi"».
Viktor Zaslavsky, storico russo da anni residente in Italia e membro sia della Commissine stragi che della Mitrokhin, non è d'accordo. «Innanzitutto il collegamento tra il mondo spaziale e il Kgb manca di presupposti logici - osserva - e poi non è vero che non esistono esperti». A lui, unico consulente russo della Mitrokhin, non fu comunque chiesto un parere sulla scelta. In realtà non gli fu chiesto mai nulla. «All'inizio presentai un piano. L'idea era di andare negli archivi russi, trovare documenti e analizzarli, anche perché i documenti esistono e si potevano trovare. Ma la Commissione non aveva alcun interesse a trovarli, e il mio piano non fu mai approvato. Da allora nessuno mi chiese più nulla», aggiunge.
«Diciamo pure che io sia stato preso in giro - ammette oggi Matassa - ma non sono stato io bensì un intero organismo parlamentare a conferire l'incarico a Scaramella. E all'unanimità». Che in questo non abbia torto lo dimostra il testo dell'intervento dell'onorevole diessino Valter Bielli nella seduta dell'11 dicembre 2003: «Nell'ambito dell'Ufficio di Presidenza integrato si è discusso... l'incarico da affidare al professor Scaramella... e in quella sede è stata manifestata una volontà unanime, dichiarandoci tutti d'accordo».
Il fatto che, nella Commissione Mitrokhin, Matassa non sia stato il solo a dare credito a Scaramella non giustifica però nessuno. «Scaramella si presentava molto bene, conosceva le lingue straniere e sapeva tenere lunghi discorsi. Ma non diceva nulla», osserva il professor Paolo Oliviero, che per anni ha denunciato menzogne e trucchi di Scaramella. «Io mi sono accorto che era un imbroglione proprio da quello. Perché non solo non era in regola con le carte o i titoli, ma neppure con la sostanza di quello che diceva».
Con Scaramella il professor Oliviero parlava di tecnologie spaziali da applicare alla protezione ambientale, ma la sua analisi vale anche in materia di Kgb. Un vero esperto avrebbe capito che annaspava nel buio. È anche per questo che tendiamo ad escludere quello che molti sospettano: che Scaramella sia stato un agente dei servizi. Italiani o stranieri.
Di quale utilità poteva essere per un servizio segreto? Né le conferenze internazionali né tantomeno i sequestri di edifici abusivi potevano interessare al Sismi o alla Cia. E poi, checché se ne dica, l'Ecpp non aveva affatto «cospicue risorse». Riusciva a tirare avanti con i fondi regionali o con quelli dei parchi nazionali. Insomma lo scenario spionistico sembra decisamente poco credibile.
C'è però da dire che un collegamento con il mondo dell'intelligence effettivamente esiste. Si chiama Filippo Marino, e porta dritto dritto alla Cia. Ex tenente dell'esercito italiano trasferitosi negli Usa nei primi anni 90, Marino è amico e socio di Scaramella sin dall'epoca dei Nasc. Nel corso del processo contro il "commissario" Scaramella, la difesa introdusse una "missiva" firmata da tale Marino e lui stesso ha ammesso di avere fatto corsi di addestramento all'uso delle armi al gruppo di Scaramella. Insieme hanno poi fondato sia l'Ecpp che lo Science research monitoring center o Srmc (perlomeno così dice la biografia di Marino pubblicata online da un suo ex datore di lavoro).
Da 15 anni Marino lavora anche nel campo della sicurezza negli Usa, a stretto contatto con persone legate alla Cia. Uno di questi è Lou Palumbo, per 22 anni alla Agency. Un altro è Robert Seldon Lady detto Bob, oggi ricercato dalla Procura di Milano per aver organizzato il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar nella sua veste di capo-centro Cia a Milano. Un terzo è Mark Read, che l'anno scorso ha venduto a Lady la propria ditta, la Read International.
A collegare Marino con questi signori sono innanzitutto alcune intercettazioni fatte dalla polizia italiana sul telefono del casale nell'astigiano che Lady si era comprato quando lavorava a Milano per la Cia. Il 2 giugno 2005, sua moglie Marta, parlando con la figlia, spiega che il marito «ha tanto lavoro da fare con Mark e con l'altro socio, Filippo», aggiungendo che i tre devono andare in Ecuador, Argentina e in altri Paesi latinoamericani.
Il successivo 13 giugno è lo stesso Bob Lady a chiamare la moglie: «Io andrò a Cordoba, in Argentina... e Filippo farà Quito... il 14 devo essere a Washington per un colloquio. ... Mi incontro con Filippo per discutere quello che diremo... e poi il 16 andiamo insieme a Washington (a una conferenza sulla sicurezza delle Olimpiadi a Torino e di Atene)».
Il 18 giugno c'è una nuova telefonata di Lady alla moglie in Italia in cui fa il resoconto degli incontri avuti in occasione della conferenza a Washington: «Secondo Mark, la mia parte è andata molto bene, ma quella di Filippo no... metteva i piedi sul tavolo, si comportava come se non gliene importasse, era noioso... Il 28 iniziano gli spettacoli di Disney World on Ice. Iniziano a Panama, dove andrà Mark. Io andrò a Buenos Aires e a Cordoba, Mark andrà a Santiago... Quito lo farà Filippo».
Dalle risposte che Marino dà nell'intervista al Sole-24 Ore pubblicata sotto, si capisce che è proprio lui il Filippo in questione. Marino ha anche ammesso di aver conosciuto Lady quando era ancora un funzionario della Cia a Milano. Ma che cosa c'entra tutto ciò con la vicenda di Scaramella? Apparentemente nulla.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Attualita/2007/01/gatti_inchiesta_scaramella_110107.shtml?uuid=8f6659ac-a144-11db-b281-00000e251029&DocRulesView=Libero
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