Boss87
17-03-2007, 14:54
Volevo postare il diario del mio ultimo viaggio.. E' un po' lungo però :) Cmq eccolo, se può interessare a qualcuno.
Ah, dimenticavo.. Sul mio blog, http://www.nicolacasini.com/blog/?page_id=11 , ci sono anche molte foto del viaggio se qualcuno volesse dare un'occhiata.
20/02/2007, ore 10.00. Milano.
Ed eccoci, in partenza. Sono all’aereoporto di Malpensa, dopo due giorni di faticate per arrivarvi. Siamo dovuti passare ieri mattina da Genova, al Consolato Russo, per ritirare il passaporto ed il visto che ci permetterà di entrare nella terra di Tostoj. San Pietroburgo è la nostra meta finale; visiteremo però, prima di arrivarvi, le capitali baltiche di Vilnius, Riga e Tallinn. Il nostro volo è diretto proprio lì: volo Lithuanian Airlines Milano Malpensa - Vilnius. Non vedo l’ora. L’imbarco è tra quaranta minuti circa; fortunatamente nell’area internazionale, tra un negozio di Valentino ed uno di Gucci, c’è un HotSpot Vodafone. E meno male. Siamo arrivati ieri nel primo pomeriggio a Milano Centrale; un giretto in centro, un film in un cinema per passare qualche ora e poi in aereoporto, dove siamo arrivati a mezzanotte circa. Abbiamo dormito qui. Non è stata un gran dormita, ma, che dire, se non si fanno a questa età le pazzie quando le faremo?
Tornando a prima; arriveremo a Vilnius alle 15 circa, ora locale. Il tempo di ritirare i bagagli ed andare in hotel per una bella doccia (che ci vuole proprio) ed inizieremo a girellare per la città. Spero di poter postare qualche foto stasera dall’albergo; sempre se potrò connettermi. Che dire, il morale è alle stelle.
IL VIAGGIO E’ FINALMENTE INIZIATO!
(Ed Andrea non si è ancora svegliato :asd: ed è disperatamente in cerca di un labello)
Vilnius.
(con il sorriso sulle labbra)
90km fuori Vilnius, 21/02/2007, ore 15.50.
Che dire. C’è fin troppo da dire. Tralascerò tutta la trafila check-in, gates, colazione, duty free all’aereoporto, tanto è identica per qualunque viaggio. L’avventura inizia sulle piste di Malpensa, mentre la navetta ci sta portando dal gate all’aereo. Intorno a noi Boing 737 e 777, AirBus vari, qualche Lear e qualche 747. L’autobus si ferma. Noi guardiamo davanti a noi, increduli. Un aereo minuscolo, bianco verde e rosa, a ELICHE. Cavolo, sul sito della Lithuanian Airlines c’era scritto che stavano sostituendo tutto il parco aereo con dei 737, per mandare in pensione quei ferri vecchi dei.. Ah, ecco. Noi abbiamo beccato proprio quello non ancora andato in pensione. Un fiammante Saab 2000 (si, è un aereo, non un coupé). Saliamo, mentre ridacchio con Ruta e Andrea. Ah, già, non ve l’ho spiegato. Torniamo indietro di 10 minuti.
Sono in fila all’imbarco, e questo non inizia, nonostante sia già in ritardo di 10 minuti buoni. Impreco (non bestemmio però) sotto voce tra me e me. La ragazza al mio fianco mi sorride. E così iniziamo a chiacchierare. Lei è lituana di Vilnius, si chiama Ruta, ed è un’universitaria che studia Legge e che sta tornando a casa dopo un Erasmus di 6 mesi. Quando me lo dice ha le lacrime agli occhi; probabilmente le piaceva stare in Italia. Comunque, è simpatica ed conosce l’Italiano ad un livello sorprendente per averlo imparato in soli 6 mesi! E poi è molto carina e gentile. Continuiamo a chiacchierare sulla navetta e fin sull’aereo, dove però ha un posto piuttosto distante da noi. Peccato.
Saliamo, mentre ridacchio con Ruta e Andrea. Ah, già, non ve l’ho spiegato. Torniamo indietro di 10 minuti. L’aereo è davvero minuscolo. Devo piegarmi per camminare, perchè sarà alto al massimo un metro ed ottanta. I cassetti portaoggetti sono minuscoli, praticamente inesistenti. Vi entra al massimo il mio cappotto, così la ventiquattrore la metto tra le mie gambe. Pessima idea: non c’è spazio neanche per lei, figuriamoci per me. Siamo stipati come sardine. Vabbè. Finalmente si decolla e ci dirigiamo, alla fantomatica velocità di 635 km/h in direzione di Vilnius. Partenza ore 11.20, arrivo ore 14.55, che poi saranno le 15.30 (maledetto vento). Le nuvole basse ci coprono la vista della città finchè non siamo proprio sopra la pista; in quaranta secondi siamo a terra. Mi copro con guanti e sciarpa, cappotto e maglione, mentre trattengo il fiato pronto per il muro di gelo che mi accoglierà quando scenderò dalla scaletta, mentre la hostess (molto carina tra le altre cose) mi guarda con compassione.. Ed il muro di freddo non c’è. Intendiamoci, non era una temperatura caraibica, ma mi aspettavo almeno almeno 10 gradi in meno. E’ -3. La pista è coperta di neve, e le nuvole sopra di noi iniziano subito ad infarinarci i vestiti con fiocchi piccoli e secchi. L’aereoporto di Vilnius è molto piccolo: in 5 minuti (CINQUE) abbiamo già ritirato i bagagli e ci stiamo dirigendo fuori, dove trovare un taxi. Montiamo sul taxi, e dico al conducente di portarmi al Congress Hotel. Fortunatamente avevo cambiato una cinquantina di euro in aereo, poichè avevo pagato il pranzo ed il resto me l’hanno dato in Lita (ndr: 1 Lita = 3.45 Euro). Prezzo della corsa: 57 Lita (eccheccazzo, meno male che nelle guide c’è scritto che non costano un tubo. Poi, effettivamente, abbiamo appreso che i taxi all’aereoporto hanno tariffa doppia).
Arriviamo davanti all’albergo: davvero non male. Un 4 stelle formato da un vecchio palazzo in stile baltico appena ristrutturato, affiancato da un’ala in vetro e acciaio che ospita la reception ed il ristorante. Prendiamo le chiavi ed andiamo in camera. Appena posate le valige la stanchezza si fa sentire: mi butto sotto la doccia e mi rado, mentre Andrea si stende un poco. Una volta fatto tutto è il suo turno: ne approfitto per riposarmi un po’, dato che la schiena mi tormenta dalla notte in aereoporto.
Dopo neanche un’ora siamo pronti per uscire: dato che la temperatura era abbastanza mite, non ci vestiamo così pesantemente, tralasciando anche le calzamaglie e le maglie termiche. Per prima cosa facciamo il punto co il gps della posizione dell’albergo: saremo così in grado di ritrovarlo in qualunque situazione. Per prima cosa diamo uno sguardo al fiume sul quale si affaccia l’hotel. Taglia la città a metà. Da un lato la parte nuova: grattacieli, centri commerciali e casinò. Dando uno sguardo alla cartina torniamo indietro e ci avviamo verso la “città vecchia”: la prospettiva Gedimino (l’arteria principale della città, dove si affacciano tutti i negozi più importanti e le ambasciate) è a due passi. Innanzi tutto girovaghiamo nei negozi: Andrea ha bisogno di un paio di guanti e di un labello, io di un cappello. Non troviamo niente. I prezzi sono sensibilmente più bassi che da noi: data la fame (il pasto in aereo non è che fosse granchè) ci fermiamo a mangiare un hamburger in un onnipresente McDonalds. Un hamburger costa 3 lita (60 cent circa). Rimaniamo un po’ sorpresi. Continuando a girovagare ci rendiamo conto che tutto costa poco, tranne la roba importata: soprattutto i vestiti. Nelle butique di Gucci, Chanel, D&G, Armani i prezzi sono gli stessi che abbiamo visto in Montenapoleone il giorno precedente; anzi, qualcosina in più..
Continuando a girovagare, andiamo anche nella parte nuova. Facciamo tappa in un centro commerciale, e poi ci dirigiamo di nuovo nella città vecchia: è davvero notevole. Sarà la notte, saranno i lampioni che si riflettono sulla neve che ricopre la città, ovattandola, ma Vilnius è architetturalmente molto bella. Sia i monumenti che le normali abitazioni. Dato che non era tardi, ma eravamo provati dalla stanchezza e dalla mancanza di sonno, ci dirigiamo a mangiare qualcosa in un ristorante consigliatoci in una guida e da Ruta: il Jili Faimas. Entriamo e siamo sgomenti: senza contare la bellezza delle ragazze che servono ai tavoli, il locale è completamente in legno, su due piani, attraverso i quali si snoda un albero enorme. Vi sono dei grandi acquari marini con razze e piccoli pesci simili a squali; le ragazze sono in costume. Chi da coniglietta, chi da principessa, chi da zingara. E’ davvero un bell’ambiente. Mangiamo una crema di salmone, e di secondo del salmone alla griglia lardellato e speziato; Andrea invece della carne speziata in salsa di mirtilli. Davvero davvero buoni. Una buona pinta di birra, scura per me e chiara per lui, ed un dolce. La spesa è irrisoria, non arriviamo a 18 euro in due. Pienamente soddisfatti usciamo dal locale, ma il clima ci riserva un’amara sorpresa: un muro di gelo ci si para davanti. Sta nevicando, e la neve ci sferza sospinta da una brezza tesa; la temperatura è scesa a circa 15 gradi sotto lo zero. Non siamo vestiti poi così pesantemente, e così sentiamo il gelo entrarci fin nelle ossa. Nelle guance e negli orecchi piccole lame appuntite ci pungolano; non ce l’aspettavamo. Dato che non era consigliabile passare fuori almeno un paio d’ore prima di andare a ballare, ci rechiamo in un locale consigliato in un opuscolo trovato in albergo: il Paparazzi bar, un posticino fashion che incontra subito le mie simpatie. I cocktail sono talmente tanti che è difficile scegliere; opto per un sempre verde Stranger in Town, molto adatto alla situazione. Mentre facciamo due chiacchiere sulla partita di champions sul plasma, il tempo scorre veloce; alle undici e mezza ci rechiamo così al Brodvejus, una discoteca a cinquanta metri dal ristorante in cui abbiamo cenato. Ce l’avevano descritta come una delle migliori di Vilnius, ma l’ambiente ci delude molto. Poca gente, molta della quale in balia dei fumi dell’alcool. Ci sono alcune ragazze veramente notevoli; il problema è che non parlano mezza parola d’ìnglese, ed il lituano è così ostico da imparare.. Così, dopo un’ora passata a bevucchiare vodka-redbull (che abbiamo dovuto spiegare alla cameriera perchè, a quanto pare, nelle discoteche non preparano cocktail ma solo liquori puri) ci dirigiamo verso l’altra discoteca quotata nelle guide, tale Prospecto, sulla prospettiva Gedimino. La troviamo senza difficoltà, ed è solo a qualche centinaio di metri dall’albergo. Una volta pagata l’entrata (pochi euro) ci si para davanti tutt’altro tipo di locale; tutto in oro e rosso, arredato in stile ottocentesco, strapieno di gente. Lo stesso genere del Paparazzi; molto ricercato. Ci buttiamo in pista dopo una bevuta e, quando il dj passa una canzone remixata di Zucchero, capiamo l’arcano: è di proprietà di 3 ragazzi italiani, che conosciamo subito dopo. Veramente un posto da consigliare. Alle due passate, vinti dalla stanchezza, torniamo in albergo, con la neve che ci sferza nei nostri cappotti; ci buttiamo sul letto e dormiamo come bambini.
La mattina dopo la dedichiamo alla visita della città vecchia, dopo una bella colazione; il freddo è intenso, tra i -15 ed i -20, ma questa volta ci siamo vestiti in modo più intelligente. Visitiamo chiese, viuzze che sembrano uscite dalla scenografia di un film in costume, negozi vari. Acquistiamo qualche cosa; personalmente una barca a vela in ambra, molto fine, che ha ancora un prezzo umano. Ci muoviamo quindi verso la chiesa russa ortodossa di San Giacomo, proseguendo per la cattedrale, per i Gates of Down e per il castello. Il tutto, incorniciato da quella cortina di neve che ricopre sofficemente tutto e tutti. Rimango colpito dalle chiese ortodosse; hanno colori che nelle cattoliche non si vedono mai, quali il celeste acqua ed il verde, ed i riti sono molto più affascinanti, sia nello svolgersi sia nei canti. Ogni pochi secondi i credenti, davvero tanti, si fanno il segno della croce e si inchinano; rimaniamo un po’ incantati ammirando il coraggio di costoro nel credere.
RUta ha avuto un impegno in università, così non può venire a pranzo con noi; ci dirigiamo di nuovo sulla Gedimino, ed andiamo a pranzo in un Double Coffee (locale tipico dei paesi baltici, dove oltre a mangiare bene ed a poco prezzo omelette e toast, il caffè e le macchie per l’espresso sono italiane). Mangiamo un omelette di erbe e salmone, e poi torniamo in albergo, dove avevamo lasciato le valige. Ci facciamo chiamare un taxi, che ci porta in pochi minuti alla stazione internazionale del bus; dopo circa mezz’ora, davanti a noi, alla piattaforma 19, si ferma il pulman granturismo della EcoLines che ci porterà a Riga.
Che dire della città quindi? Come dice un nostro “compagno di viaggio” Vilnius è un posto leggero, e se dovessi darle un colore sceglierei il verde chiaro delle chiese ortodosse. Così sono i sorrisi delle ragazze, leggeri; così è la cordialità della gente, l’aria pulita, fresca e silenziosa. La cosa che più colpisce è il modo di fare, la semplicità dei gesti, l’eleganza delle movenze, la spontaneità del sorriso. L’essere cercati con lo sguardo. Questa è Vilnius.
Riga.
(Pulkvedim Neviens Neraksta)
50km fuori Riga, 23/02/2007, ore 02.30.
Siamo arrivati a Riga alle sette del pomeriggio, quando era già buio ed il vento gelido sferzava sulle nostre guance.
La Lettonia è un paese indipendente dal 1991, e da allora convivono, non sempre senza tensioni, le due principali etnie che compongono il paese, i lettoni ed i russi. La popolazione dicende da differenti ceppi, quali, oltre ai due sopracitati, polacchi, ucraini, ebrei, lituani, vecchi tedesci e bielorussi. Per questo motivo le ragazze lettoni sono spesso di rara bellezza: si possono incontrare biondi con occhi azzurri ma la pelle scura e brune con occhi chiari e la pelle bianca come il latte. Riga è situata sul Baltico alla foce del fiume Dongana e, contanto quasi 750′000 abitanti, è la più grande città delle repubbliche baltiche, nonché uno dei principali centri politici, economici e culturali della regione. Riga si può dividere idealmente tra Città Vecchia e Città Nuova: la prima è molto carina, ben tenuta e facile da girare a piedi, date le sue modeste dimensioni; il centro storico di Riga è stato inserito dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni dell’umanità, in virtù dei suoi edifici Art Nouveau (o, meglio, Jugendstil, vista l’influenza tedesca) e per l’architettura in legno dell’XIX secolo. Che Riga fosse una città dell’unione sovietica fino a quindici anni fa non si vede proprio: nessun casermone, nessun edificio decadente, neanche quelle distese di cantieri aperti che spesso si notano nelle città che vogliono cambiare aspetto in fretta dopo un periodo da dimenticare.
Appena scesi dal pulman quasi ci manca il respiro: -27 e l’ottantacinque percento di umidità. Dato che dalla guida l’albergo non è distante, proviamo a farcela a piedi: in dieci minuti arriviamo, anche se semiassiderati. L’Hotel Riga è un bel quattro stelle nella città vecchia, situato in un palazzo ottocentesco. E’ davvero molto grande. Dopo aver sbrigato le pratiche del check-in con le stupende ragazze alla reception andiamo in camera: davvero molto accogliente, anche se un poco troppo calda. Decidiamo subito di andare a mangiare qualcosa: ci incamminiamo quindi, tra il freddo polare e cercando di non spaccarci qualche vertebra cadendo sui lastroni di ghiaccio che ornano i sanpietrini, verso l’Alus Seta, un pub con buffet consigliatoci dalla guida. Alla fine spendiamo pochissimo: neanche sei euro per antipasto, secondo, dolce e mezzo litro di birra scura. Nel menu, come ovvio da queste parti, non mancano salmone fresco ed affumicato, oltre a vari tipi di carne speziata che aiutano a riscaldare lo stomaco. Dopo un’oretta passata chiacchierando e festeggiando la caduta del governo Prodi appena appresa da miriadi di messaggi di amici, ci dirigiamo verso quello che diverrà il nostro simbolo personale di questa città: il Pulkvedim Neviens Neraksta, un pub in Peldu Iela davvero carino, dove si beve davvero bene. Letteralmente, vuol dire “Nessuno scrive al Colonnello”. E così, via di Black Russian (ottimo) e di Old Pascal, un rhum mai visto e del quale ignoro la provenienza, davvero buono e dai 73 (SETTANTATRE) gradi. E’ quasi mezzanotte, ma la notte è giovane; ci incamminiamo così in direzione de La Rocca, la discoteca più famosa di Riga, situata in fondo a Brivibas Iela, nella città nuova; dopo quattro chilometri a piedi passati imprecando contro quel qualcuno che ha deciso di far alzare il vento con quasi -30 di temperatura, vi arriviamo.. e la troviamo chiusa.Dopo una ventina buona di minuti di imprecazioni non ripetibili tra persone per bene, torniamo indietro, in direzione di un’altra discoteca che ci avevano consigliato, l’Essential, dietro Elizabetes Iela, in Skola Iela. Dopo poco però la stanchezza ci vince: fermiamo un taxi e quei quattro chilometri per tornare indietro ce li risparmiamo. Paghiamo l’entrata (circa 4€) e, una volta lasciati i cappotti al guardaroba, andiamo nella zona del bar: il posto è molto moderno, la fauna femminile è notevolissima (roba da torcicollo) e la musica non male; il problema è che, essendo un giorno feriale, è quasi vuota. Così verso le 3 torniamo in albergo, distante solo 10 minuti. Il problema è stato attraversare la città vecchia: decine di pr ci fermavano, insistendo fino a diventare irritanti, perchè andassimo in questo o quel nightclub. Una volta liberatici di questi elementi, saliamo in camera, dove ci buttiamo sul letto, stravolti.
La mattina sveglia alle 9, colazione abbondante e poi in strada, a vedere la città: per prima cosa facciamo tappa al mercato della città. In prossimità della stazione, è molto caratteristica se non altro per una birra ed una fetta di salmone arrosto; il mercato si trova all’interno di una serie di capannoni la cui costruzione risale alla IIWW quando questi venivano utilizzati per la costruzione dei dirigibili Zeppelin, il che può dare un’idea della loro dimensione. Ogni capannone è destinato ad una tipologia diversa di prodotti: vi è quello della carne, quello del pesce, quello dei vestiti etc.
Torniamo quindi nella città vecchia, per ammirare di giorno il labirinto di viuzze: ci sono circa 150 monumenti storici ed architettonici, alcuni risalenti al XIII secolo. Camminiamo facciamo shopping (anche per riscaldarci per qualche minuto nei negozi di souvenir, data l’aria gelida che soffia fuori), tra cui qualche bottiglia di Black Balsam, il liquore d’erbe tipico della città (buonissimo come digestivo o come cocktail mischiandolo con vodka liscia e ghiaccio). Visitiamo dunque il monumento alla Libertà, punto di divisione tra la città vecchia e la nuova, e ci fermiamo a mangiare qualcosa al McDonalds proprio lì davanti. Intorno al monumento vi è un piccolo parco che segue un ruscello; camminiamo un po’ sulle acque ghiacciate, facendo foto in questo posto idilliaco, silenzioso e solitario. Tornando nella città vecchia, andiamo a visitare la cattedrale di San Pietro e la cattedrale del Duomo: quest’ultima è la più grande del baltico, ed è 190×45 metri, e si affaccia sulla piazza principale della città, Doma Laukums.
Si fa quindi tardo pomeriggio e, dopo una merenda in un Double Coffee, ci dirigiamo verso lo SkyLine Bar, un locale situato al ventiduesimo piano di un hotel nella città nuova, dal quale si può vedere tutta la città fino al Baltico. La vista è mozzafiato: il sole scende lentamente fino ad eclissarsi, mentre noi ammiriamo le luci della città sorseggiando Cosmopolitan e Negroni.
Sono le otto: mangiamo un panino in un fast food (il secondo ristorante consigliatoci non accettava le carte di credito, e non volevamo cambiare soldi solo per qualche ora) e ci dirigiamo di nuovo al Pulkvedim, dove passiamo qualche ora scaldandoci con Vodka Redbull. Il locale è un po’ più pieno della sera prima, e faccio amicizia con quattro lettoni un po’ ubriachi e con una ragazza, con la quale scambio due chiacchiere. Si è fatto tardi: torniamo all’albergo, facciamo il check-out e, con i bagagli un po’ più pesanti per le bottiglie di Black Balsam, torniamo alla Stazione Internazionale dei Bus, dove alle una e quaranta abbiamo il Gran Turismo per Tallinn. Questa volta non siamo così fortunati: ci son più viaggiatori, il pulman è vecchio e scomodo e, udite udite, NON C’E’ RISCALDAMENTO, con venticinque gradi sottozero. Dentro ce n’erano -4. Solo un appunto: la condensa sui vetri del respiro dei passeggeri si è congelata DENTRO il pulman, così i finestrini sono ricoperti DALL’INTERNO da 3 o 4 millimetri di ghiaccio. Spero che la situazione migliori.
Cerco di dormire un po’: buonanotte.
Tallinn.
(Nimega e Nimeta)
100km fuori Riga, 24/02/2007, ore 01.25.
E finalmente ci siamo. Siamo in viaggio, sul gran turismo, in direzione di San Pietroburgo. Vi arriveremo domattina: ma fatemi prima parlare di Tallinn.
Tallinn è la capitale dell’Estonia, repubblica baltica dell’Ex Unione Sovietica. Questo accostamento è ancora oggi visibile nei sobborghi della capitale, dove grossi casermoni ospitano centinaia di famiglie, o verso l’interno del paese (da me visto solo dal finestrino del pulman) dove esistono ancora reperti bellici delle occupazioni sovietiche, unite a grande povertà. Il paese si sta però risollevando grazie ad i grossi capitali stranieri provenienti da Svezia e Finlandia che hanno creato uno stato satellite capace di assimilare subito tutti i lati positivi e l’ottima organizzazione dei due regni. Un esempio di questo è dato dalla fitta rete di collegamenti commerciali e marittimi tra Helsinki e Tallinn; chi decide di visitare la città anseatica partendo dalla Finlandia troverà una grande offerta di compagnie che solcano il golfo ininterrottamente dalle 8 del mattino sino alle 22, ed altre che offrono servizi notturni completi di trasporto auto e cabina con partenze notturne che arrivano sino in Svezia e Germania.
La città è circondata da un corso anulare che circonda la città vecchia, il Rannamae Tee, che funge da porta verso la parte più antica e suggestiva di Tallinn. Tutti i monumenti più interessanti sono posti lungo un’unica direttrice e questo fa si che la Città vecchia possa essere visitata anche in un solo giorno. Dal Rannamae Tee potete inoltrarvi verso il centro verso la Pikk Tanav, una delle strade più importanti, sede di numerose ambasciate e particolari negozi di souvenir. Nella via potrete ammirare i monumenti più importanti come la chiesa di Sant’Olaf e, all’altezza del numero civico ‘71, le “tre sorelle”, un complesso architettonico formato da tre case, simbolo della città. Al termine della strada arriverete ben presto nella piazza del municipio, non prima di aver visitato un piccolo vicolo sulla sinistra nel quale vi è un’esposizione di artigianato. Ed è qui che inizia la nostra visita, nella piazza del Municipio. E’ qui infatti che ci lascia il taxi, preso dalla Stazione Internazionale degli Autobus. La temperatura è di circa -19 alle 9 del mattino. Innanzi tutto ci guardiamo intorno: sembra di essere sul set di un film in costume. Tutto è rimasto come nell’ottocento, tutto sembra essere uscito da una favola. Prima di iniziare la visita però, abbiamo due commissioni da svolgere: la prima è una sosta negli onnipresenti Double Coffee. Una bella colazione calda, che ci ristora dopo la notte al freddo nel pulman, e qualche tazza di caffè bollente: una benedizione. Il secondo problema sono le valige: non abbiamo prenotato un albergo perchè la notte partiremo per San Pietroburgo, quindi non sappiamo dove lasciarle. Tra le altre cose, appena usciti dal Double Coffee, la mia valigia si distrugge, perdendo completamente la maniglia del trolley. Bestemmie condite ad imprecazioni rivolte al freddo, all’Estonia ed a qualunque divinità mi venisse in mente, cristiane comprese. Risolviamo presto anche il quest’ultimo problema (anche se fatico come un capretto a portare la valigia a mano lungo le salite che portano alla città vecchia) lasciandole in un grazioso hotel in pieno centro: il receptionist ci fa la cortesia di tenercele fino alla sera. Non avremmo mai finito di ringraziarlo. Usciamo dall’hotel, e ci dirigiamo verso la cattedrale di Sant’Olaf: io ridacchio mentre i cittadini locali guardano stralunati Andrea con Rayban, cartina in mano, cappello di Amsterdam mentre parla italiano. Il tutto a -20. La chiesa è molto bella, ma siamo lontani dalla maestosità delle cattedrali di Riga. Ci incamminiamo quindi verso la città vecchia e la sua fortezza, abbarbicata sulla cima della collina che sovrasta la capitale: dopo una lunga camminata ci troviamo davanti ad un’altra chiesa ortodossa, questa molto più bella ma chiusa ad i visitatori, ed ad una piazzetta circondata da antichi palazzi. Lungo le mura vi sono una mezza dozzina di terrazze dalle quali ammirare dall’alto la città: la vista è mozzafiato, con le guglie delle chiese in controluce ed il baltico di sfondo, congelato anch’esso. Sia per interesse sia per sfuggire al freddo gelido, visitiamo qualche negozio di souvenir: una ragazza di una bellezza strabiliante, e veramente gentilissima, mi spiega come calcolare il valore dell’ambra, basandosi su imperfezioni, intrusioni e colore. Comprerò un paio di orecchini, un regalo da portare a casa.
Scendiamo quindi dalla città vecchia, tornando verso la piazza del municipio: ci fermiamo alla Beer Haus, un locale dove poter mangiare, consigliatoci. Si trova proprio di fronte all’albergo al quale abbiamo lasciato le valige, il Mercant’s House Hotel. Mangiamo abbastanza bene, in stile molto crucco, con crauti e carne, patate e peperoni, il tutto condito da un litrozzo di buona birra scura. Spendiamo un po’ di più della media: circa 20€ a testa. Non troppo se rapportato all’Italia, ma fuori da ogni schema considerando i prezzi locali. Il pomeriggio continuiamo a girellare: ma la città vecchia è piccola, e la città nuova non è così bella da meritare una visita approfondita. Dato il freddo ci infiliamo prima in un bowling e poi a fare una buona partita a biliardo. Usciti da qui, ci dirigiamo dentro un moderno centro commerciale che avevamo visto all’andata: oltre ad i negozi facciamo un po’ si sano gnocca-watching, constatando che le Lettoni sono mediamente migliori delle Estoni. Una curiosità sulle estoni: in tutto il baltico ed in Russia, hanno la reputazione di essere le più ottuse ragazze del mondo, oltre ad essere poco intelligente. Ci sono barzellette sulle estoni; un po’ come con i carabinieri in Italia. E, almeno per la mia esperienza, non me la sento di dire che sia solo una leggenda metropolitana; son davvero dure! Ogni volta che dovevamo interloquire con loro in un negozio od in un locale era un problema. Dopo la visita al centro commerciale ci dirigiamo di nuovo verso la città vecchia, in cerca di due pub caratteristici che abbiamo trovato su di una guida: il Nimega ed il Nimeta, letteralmente il “Pub senza Nome” ed il “Pub con Nome”. Chiedete di farvi spiegare il significato dalle estoni e vi farete delle grasse risate: per loro è la cosa più divertente del mondo. Nel primo si può anche mangiare qualcosa, ed è davvero carino anche dentro: il secondo è un po’ squalliduccio, più piccolo e nel quale non si può mangiare. Dopo una rapida occhiata, ci dirigiamo nel primo. Considerando il fatto di essere in un pub, il cibo è notevole: per me delle patate con dei bocconcini di maiale, prima messi in infusione con delle spezie, e dopo cotti sulla griglia. Davvero squisiti. La birra scura, inoltre, è quasi ai livelli della Beer Haus. Facendo amicizia e battibeccando con le Estoni ottuse, oltre ad imbucarci in un compleanno nel quale ci offrono da bere, le ore passano, ed a circa mezzanotte ci dirigiamo a prendere le valige in albergo, ed a prendere un taxi per tornare nella stazione internazionale. Qui il pulman ci aspetta: modernissimo, a due piani, e quasi completamente vuoto. Fantastico. Partiamo in orario, in direzione della Madre Russia: tra qualche ora arriveremo alla frontiera.
A presto.
San Pietroburgo
(I’m a stranger in St. Petersburg)
International Riga Airport, 27/02/2007, ore 03.50.
Eccoci. La vacanza volge al termine.
Sono all’aereoporto di Riga, dove abbiamo fatto scalo con il volo della Air Baltic San Pietroburgo-Milano. Sono in area internazionale. La zona è deserta, i negozi sono chiusi. Sono disteso su di una poltroncina, portatile alla mano, a guardare la neve che cade fuori dalla vetrata. E’ estremamente rilassante. Nonostante abbia dormito un’oretta in aereo e niente più non sono stanco, e gli occhi reggono abbastanza. Spero di dormire comunque un po’ nel volo per Milano, che imbarcheranno tra un’oretta. Arriveremo in Italia alle 10.35 se tutto va bene. Ma, andiamo con ordine. Il pulman ci ha lasciati alla stazione internazionale dei bus di San Pietroburgo, un po’ fuori dal centro. E’ mattina, sono circa le 8, ed il freddo ci coglie subito, appena scesi dal gran turismo. Ci guardiamo intorno: un taxi. Ci fiondiamo verso di questo, superando in velocità una donnetta sicuramente più abituata di noi al gelo (o, almeno, cerchiamo di crederlo per non sentirci in colpa). Il viaggio è stato stancante: soprattutto per il totale sadismo degli agenti di frontiera. Ci hanno svegliato in malo modo alle 4 del mattino, facendoci scendere dal bus e facendoci prendere le valige. E fin qui tutto ok; fuori la temperatura era di -31. E qui un po’ meno ok. Ci dicono di aspettare davanti ad una porta a vetri; al suo interno vedo delle sedie nuovissime: una sala d’aspetto. Mi dirigo verso la porta, quando un soldato in uniforme mi blocca, con tanto di mitra imbracciato. Provo a chiedergli di entrare in inglese, perchè ho freddo: mi risponde in russo, scuotendo la testa. Il sadismo consiste in questo: far aspettare la gente fuori fino a che non è il suo turno, per poi farla entrare, una alla volta, facendogli attraversare la sala d’aspetto VUOTA. Si deve aspettare fuori. Mentre inizio a maledire lentamente l’agente e tutta la sua progenie (mantenendo comunque il sorriso sulle labbra, per non contraddirlo), il tempo passa. Fortunatamente non siamo molti, ed in una ventina di minuti è il mio turno. Vi chiederete: perchè non hai insistito? Per prima cosa lui aveva un mitra. In secondo luogo, in TUTTE le guide che ho letto, c’è scritto di non contraddire mai un soldato della frontiera russa. MAI E POI MAI. Ed il mio presentimento si è avverato poco dopo; le guardie erano due. Per velocizzare la conta dei passeggeri del bus, hanno diviso la lista dei passeggeri in due cartelle, ed ognuno ha contato la propria. Ad un certo punto vedo un ragazzo giovane, con il quale avevo parlato poco prima, iniziare a discutere. Il problema era questo: premesso che era finlandese e con regolare visto, non appariva sulla lista passeggeri. Ha provato per almeno dieci minuti a convincere il soldato a ricontrollarla, perchè doveva esserci un errore (alla frontiera estone risultava nella lista), ma il soldato si è rifiutato. Il ragazzo è stato portato via da altri due militari, e non l’ho più visto. Parlando in seguito con l’autista, che spiccicava qualche parolina di inglese, ho scoperto che, dividendosi la lista passeggeri, il suo nome era rimasto “nel mezzo”, né nell’una né nell’altra. Dato che i militari si erano rifiutati di ricontrollare, sarebbe stato riportato alla frontiera estone. Dentro di me ribollivo, ma non potevo farci niente. Una volta finiti i controlli dei passaporti e dei bagagli, siamo di nuovo rimontati in bus e, lasciandoci alle spalle quella minuscola dogana in mezzo al niente, ci siamo addormentati, svegliati ogni tanto dagli scossoni della strada.
Prendiamo quindi il taxi, e, una volta spiegato al nostro autista dov’era il nostro hotel (circa 15 minuti di discussione con cartina alla mano) partiamo. La città, dai finestrini sporchi di neve, sembra stupenda. Guglie d’oro, chiese ortodosse, vie lunghe chilometri, edifici maestosi. Piccoli canali, gelati, che attraversano la città. La corsa dura dai 5 ai 10 minuti: arriviamo all’hotel. Amara sorpresa: il tizio vuole 800 rubli. Quando avevamo chiesto quanto voleva, alla stazione, aveva detto eighteen. Non eighty. E si, ne sono sicuro. Precisazione: 800 rubli sono circa 23€, ovvero il triplo delle tariffe italiane. Sono incazzato come una iena, ma alla fine sono solo 20€ e siamo stanchi morti, quindi paghiamo e ce ne andiamo dentro l’hotel. L’albergo si chiama Andersen Hotel, moderno 4 stelle a circa un chilometro dalla Neva, e a due fermate della metro dalla prospettiva Nevsky. Centralissimo quindi. Nuovo nuovo (è stato costruito 3 anni fa), è davvero confortevole, ed il personale giovane, gentile e sorridente. Mi piace. Come sospettavo, le nostre camere non saranno pronte prima delle dieci: ci invitano quindi ad andare a fare colazione nel frattempo, al buffet dell’hotel (anche se non era compresa, dato che la prenotazione non comprendeva la notte appena trascorsa). Con l’umore un pochino sollevato facciamo una bella colazione continentale a base di uova, bacon, salsicce e qualunque cosa salata da mettere sotto i denti. Non ci eravamo resi conto di quanto eravamo affamati. Alle dieci meno venti ci vengono a chiamare: la camera è pronta. Il facchino ci porta i bagagli, ed appena entrati ci buttiamo sul letto. Siamo stanchi morti, così rimettiamo la sveglia a mezzogiorno, per dormire un paio d’ore.
Dopo il sonno ristoratore ed una bella doccia calda, ci vestiamo un po’ più pesantemente e ci buttiamo in strada, cartina alla mano e guida in tasca. PANICO. Le strade, le fermate della metro, TUTTO è scritto in cirillico. E fin qui direte: che ti aspettavi, sei in Russia. Si, ho capito, ma allora perchè la cartina che ci hanno dato in albergo è scritta in INGLESE?? Non ci capiamo niente. Fortunatamente troviamo un’altra guida in un Punto Informazioni, la quale, invece, è in russo. D’ora in avanti, per cercare vie o musei o qualunque altra cosa, guardavamo nella cartina inglese dov’erano, la sovrapponevamo alla russa, e guardavamo su questa il nome in cirillico. Un processo un po’ lungo ma efficace. Ci dirigiamo quindi verso la metro, e scendiamo sulla neva. prima stazione. Ci guardiamo intorno: è un paesaggio incantato. Camminiamo in un parco, neanche tanto piccolo, che la costeggia. Fiancheggiamo un enorme edificio a mattoni rossi, davanti al quale vi sono numerosi cannoni, carri armati e blindati di ogli genere: scopriamo essere il museo della guerra. Camminiamo ancora. In lontananza vediamo un enorme edificio, simile ad un pantheon, con davanti due colonne di almeno 30 metri con delle ancore d’oro appese. Il molo dell’Ammiragliato. Cristo, è tutto così enorme. Il sole si riflette nella Neva ghiacciata, ferendoci gli occhi, mentre camminiamo senza parlare e guardandoci intorno, stupiti da tanta magnificenza. E’ davvero uno spettacolo da mozzare il fiato. Il palazzo d’Inverno, in tutto il suo splendore, ci ammicca dall’altra sponda della Neva: ma, nonostante fossimo tentati, abbiamo rimandato il tutto al giorno successivo. Guardando la guida, cerchiamo qualche museo importante nella zona, aperto il sabato, in modo da unire l’utile ed il dilettevole con un paio d’ore al calduccio. La scelta si rivelerà perfetta: il museo di Antropologia, che contiene il museo “degli orrori” di Pietro il Grande. Ci dirigiamo quindi verso di questo, posizionato dietro l’ammiragliato. La coda non è così lunga come sembrerebbe da fuori, ed alla fine in un quarto d’ora siamo dentro. Un’altro quarto d’ora per i biglietti, ed altri 10 minuti per il guardaroba. Il biglietto costa 100 rubli: neanche 3€. Entriamo. Innanzi tutto ci stupiamo di tutti i giovani che ci sono, nonostante sia sabato pomeriggio: come avrò modo di sapere da una ragazza incontrata in coda, tra i giovani della San Pietroburgo-Bene è comune andare a musei o mostre nel week end, per poi proseguire la serata con il solito connubio aperitivo-cena-discoteca. Davvero ammirevole. Lo facessero anche in Italia, dove i musei sono quasi vuoti! La prima parte è abbastanza comune. Ricostruzioni di capanne, frecce, lance. Diorami molto belli, ma niente di non già visto. Il museo, poi, non è tenuto benissimo, anzi.. E’ alquanto fatiscente. Entriamo quindi nella cosiddetta “sala degli orrori”: fu voluta da Pietro il Grande, il quale, da illuminato qual’era, volle un museo sulla genetica e sui “mostri”. Vi si trovano quindi feti di siamesi, scheletri di bambini con malformazioni, gazzelle con due teste imbalsamate. Uno spettacolo! (da non visitare se in dolce attesa). Oltre ad esser squisitamente macabro, è davvero interessante. Finito il giro del museo (3€ spesi veramente bene) ci ricopriamo ben bene, dopo una tazza di caffè lungo molto zuccherato e bollente, e torniamo in giro. Tappa obbligata: prospettiva Nevsky. Magnifica. Immensa. Maestosa. Piena di gnocca. Rimaniamo colpiti da tanta maestosità, mentre camminiamo in un pezzo di storia. Ai lati vi sono musei d’alta moda, librerie, centri commerciali, locali. E’ davvero pieno di locali. Facciamo un po’ di shopping, cambiamo qualche rublo ad un change (il meno possibile, con i cambi ci spennano, preferiamo pagare con la carta, nonostante non sia accettata dappertutto). Una libreria ben fornita, qualche negozio di souvenir, il centro commerciale più grande della città, con boutique di Dolce&Gabbana & Co. Caviale, gioielli, sigari, vodka. Davvero notevole. Per curiosità visito un armeria: mi propongono un Ak-47 autentico, usato, a 650€ circa. Il commesso mi spiega a gesti che è bloccato il tiro a raffica, perchè illegale, ma è utilizzabile solo il colpo singolo. Come l’hanno bloccato? Ceralacca sul selettore. No comment.
Dopo una bella camminata (la Nevsky è circa 4km) si è fatto tardi, così torniamo in metro in direzione dell’albergo. Dato che non abbiamo tanto tempo ci fermiamo a mangiare qualcosa nel KFC all’uscita della metro: pollo frittoooooooooo. Davvero buono. Dopo aver mangiato una tonnellata di ali di pollo a testa, Andrea mi da una chiara dimostrazione del suo futuro da eretico: tira una bestemmia molto articolata e fantasiosa ad un volume tale da far girare mezzo locale quando gli cade il vassoio con un centinaio di ossa spolpate, mentre io mi sganascio dalle risate. Una gentile signorina che lavora lì accorre atterrita, si getta per terra ed inizia a raccogliere le ossa, impaurita da Andrea che continua ad imprecare. Una scena davvero memorabile! Torniamo quindi in hotel. Doccia, tv [Fantozzi doppiato in russo! (osservazione sui doppiaggi russi: non sono come i nostri. Assolutamente. Il doppiaggio consiste in una voce completamente atona che legge le battute SOPRA l’audio originale, voci originali incluse. Mio Dio.)] e via, a vestirsi.
Cribbio, è sabato sera! Mi metto il mio completo di Armani e ci incamminiamo verso la metro, in direzione della Nevsky. Obiettivo: il Magrib, la discoteca più fashion di St. Petersburg. Una volta arrivati questa si conferma come descritta sulle guide: piena di russe alla moda, dove gli abiti italiani sono un must. Mai visto tanto ben di Dio in un solo luogo: e non soltanto per i vestiti! Sembra una sfilata, comprese le modelle. Cavolo, la ragazza più brutta del locale era ampiamente sopra la media italiana. Verso le una il locale si riempie: anche la musica è davvero carina, una buona house tendente al techno, che non sfigurerebbe al Seven od in Canniccia. I baristi sono davvero ottimi, acrobatici, e fanno cocktail da favola. Mentre sorseggio un vodka-redbull mentre faccio due chiacchiere con una biondina davvero divina, conosco un gruppetto di Italiani, già a San Pietroburgo da qualche giorno: mi daranno delle dritte fondamentali, come vedremo nei giorni successivi. Davvero simpatici. Continuo la mia discussione con la biondina, mentre Andrea balla scatenato insieme ad una moretta; poi la musica si spegne, ed appare sul palco un presentatore: c’è un concorso quella sera, Miss e Mister Panténe Russia 2007. Mamma mia ragazzi, manca poco mi cedevano le coronarie. E’ stata davvero una bella serata. “Salutata” la biondina alle quattro usciamo; la metro però chiude a mezzanotte. E, sinceramente, la voglia di prendere un taxi ci passa quando ci chiedono quasi 40€ per 4 minuti. Così mettiamo in atto quanto suggerito dagli italiani, ma letto anche in alcune guide: mi metto sul marciapiede ed alzo un dito. In venti secondi netti ho 4 auto davanti, con i guidatori che avrebbero steso i tappeti rossi se li avessero avuti. Ora vi spiego: la maggioranza dei russi sono poveri. Ma poveri davvero. Quindi, dopo magari 10 ore in fabbrica al giorno, la notte fanno la spola in auto per le vie della città, a caricare turisti e cittadini e portandoli a destinazione per una manciata di rubli. Una via di mezzo tra tassisti abusivi ed autostop. Di conseguenza i taxi hanno meno lavoro, e di conseguenza alzano le tariffe. Conseguentemente la gente prende meno taxi e ricorre a queste auto-fantasma; ed il circolo vizioso ricomincia. All’inizio eravamo titubanti, preoccupati della nostra sicurezza, ma sia gli stranieri incontrati sia gli abitanti del luogo (comprese le signorine alla reception del nostro albergo) ci hanno detto che sono sicurissimi. Un po’ preoccupati quindi contrattiamo con un russo con i baffi a manubrio e dall’aria simpatica, che ci fa montare nella sua Lada anni ‘60 (avevo paura cadesse in pezzi dalla ruggine). Ci porta in hotel per un ventesimo di quanto richiesto dal taxi ufficiale, e quando gli diamo 30 rubli (1€) in più perchè non avevamo spiccioli, quasi piange per la felicità. Sorridendo, andiamo a letto, dove ci addormentiamo come sassi dopo la nostra prima giornata in Russia.
La mattina dopo sveglia alle 9 e mezzo, non abbastanza presto né abbastanza tardi da perderci la colazione. Dopo di questa usciamo: è davvero freddo. Prendiamo la metro, e scendiamo nella Nevsky, la fermata più vicina all’Hermitage, nel quale ci dirigiamo. Il palazzo d’Inverno è davvero imponente, e bello da lasciare il fiato. L’Hermitage, infatti, è formato da 5 edifici, uno più grande dell’altro: il palazzo d’Inverno, il piccolo Hermitage, il grande Hermitage, il teatro dell’Opera ed un’altra sede distaccata vicino, a quanto ho capito, al “museo degli orrori”. Dopo una fila di una mezz’ora, entriamo. Esibendo il nostro tesserino universitario l’entrata è gratuita, paghiamo solamente l’equivalente di 2€ per poter scattare foto. E’ tutto tenuto benissimo, sicurezza ad ogni angolo ed una pulizia maniacale: niente a che vedere con l’altro museo. Visitiamo le sale. La nostra mascella cade a terra al varcare della prima porta. Oro. Malachite. Opere d’arte. Architettura. Ogni sala è un paradiso, ogni parete un sogno. Canova. Leonardo da Vinci. Tiziano. Artisti di tutto il mondo, incorniciati da lampadari alti 2 metri e candelabri d’oro massiccio. E’ difficile da descrivere; le foto parlano da sole. Ora, l’hermitage è davvero enorme: 1085 sale circa. Noi abbiamo visitato in circa 4 ore solo metà del solo palazzo d’Inverno, la parte principale quindi. Servirebbe una settimana per vederlo tutto in modo più oculato. Ancora estasiati da tanta bellezza, e dopo aver comprato un colbacco, costeggiamo la Neva fino al palazzo d’Estate ed i giardini d’Estate, gelati, dove diamo uno sguardo al monumento al milite ignoto. Bellissimo anche questo complesso, ma niente a che vedere con quello d’Inverno. Ultima tappa per la giornata: la chiesa sul Sangue Versato. Colorata, piccola (in una città come San Pietroburgo “piccolo” è relativo, diciamo grande come metà Duomo di Milano, quindi poi non tanto piccola), nobile, in una traversa della Nevsky, in riva ad un canale. E’ davvero suggestiva. Foto di rito e torniamo in albergo. La nostra mente ancora intrappolata nelle sale dell’Hermitage. Dopo un riposino tardo-pomeridiano ci vestiamo in tenuta “discoteca”, e prendiamo la metro per tornare di nuovo sulla Nevsky. Beh, dobbiamo assolutamente mangiare qualche specialità russa. Cerchiamo quindi un ristorante che accetti la Visa e che faccia specialità del luogo: lo troviamo nel Black Cat, un ristorante in un sotterraneo in un vicolo della Nevsky al quale non dareste due lire. Il locale invece è davvero carino, abbastanza intimo e dal servizio eccezionale. Anche la cucina è molto buona: per quanto mi riguarda ho assaggiato 2 tipi di ravioli, alla “siberiana” ed alla “georgiana”. Sono dei ravioli piuttosto grandi, ripieni di carne speziata, da mangiare con del formaggio fresco e cremoso di capra. Sono la specialità russa per eccellenza: e devo dire che sono davvero ottimi. Poi accade l’incredibile: il cantante che ci sta allietando la serata si mette a cantare Celentano. Celentano?!?!?? Si, Celentano. E, magicamente, tutti i Russi presenti i sala cantano il ritornello come un coro. Noi siamo basiti. Scopriremo che Celentano ed Umberto Tozzi sono venerati in Russia più che in Italia, e nei negozi di cd (che, tra le altre cose, costano circa 3€ l’uno, maledetta SIAE) si trovano tranquillamente raccolte di Pooh, Pupo, Battisti e chi ne ha più ne metta.
Sogghignando usciamo dal ristorante, non proprio a buon mercato per gli standard russi ma un affare per quelli italiani, e ci mettiamo in cerca del Toca, una discoteca frequentata da studenti, diciamo “più alla mano” del Magrib che, a quanto ci hanno detto, è vuoto di Domenica. Chiusa. E’ quasi mezzanotte e siamo stanchi: prendiamo quindi l’ultima corsa della metro per l’albergo. Una curiosità sulla metro di San Pietroburgo: è la più profonda del mondo. In alcuni punti arriva a 180 metri sotto terra. Questo perchè era stata pensata anche come rifugio antiatomico. I treni sono ravvicinatissimi: solitamente ne passa uno ogni minuto e mezzo, massimo due. Tornati in albergo mettiamo su un film, Fight Club per l’esattezza, sul mio portatile. Ci addormentiamo, esausti, prima della fine. Solita sveglia alle 9 e mezza. Solita colazione. Così inizia la nostra ultima giornata a San Pietroburgo. Abbiamo camminato veramente tanto. Per prima cosa, siamo andati alla Fortezza di Pietro e Paolo, situata su di un’isoletta sulla Neva. Qui ha sede anche la ex prigione politica: oggi museo. Sono passati di qui Troskij & Co. L’architettura di questi nuovi edifici stona con il resto della città: cemento, forme squadrate. Un periodo da dimenticare. Ci dirigiamo di nuovo in direzione del molo dell’Ammiragliato e dell’Hermitage: attraversiamo la Neva a piedi. Si, a piedi. La Neva è completamente congelata, e sul ghiaccio è caduta la neve. Quindi è diventata un’enorme distesa di neve fresca. Ci divertiamo a guardare i salmoni congelati sotto i nostri piedi, ed a vedere l’acqua che scorre sotto di noi. Arrivati sull’altra sponda decidiamo di fare un po’ di sano shopping: il centro commerciale visitato il primo giorno. Souvenirs, caviale, SIGARETTE. Marlboro Light a 9€ a stecca. Decidiamo così di sfidare la Finanza all’aereoporto e ne facciamo scorta. Passiamo la giornata vagabondando per vie e viuzze, tra la Cattedrale di Sant’Isacco e la Nevsky, comprando cianfrusaglie, ammirando le ragazze, scaldandoci un po’ in qualche negozio. Compriamo le cartoline: ormai, a quanto mi dicono, non sembro neanche più un turista; il freddo oramai non mi fa paura, e lo sento davvero molto meno (mi sarò abituato?). Con il mio colbacco in bella vista alcuni addirittura mi rivolgono la parola in Russo e rimangono sorpresi quando rispondo in Inglese. La giornata passa veloce, e si fa tardi. Dopo uno spuntino in un fast food (a pranzo avevamo mangiato qualcosa in un self service presso l’Hermitage) andiamo in albergo, dove ci aspetta l’arduo compito di fare le valige. Farvi entrare tutto è un’impresa: ma dopo qualche ora ce la facciamo, e siamo pronti per la partenza. Saldiamo il conto con l’albergo, pagando il Visa Support e l’invio delle cartoline con la carta di Credito, e ci facciamo spiegare ben bene come raggiungere facilmente l’aereoporto.
Mentre aspettiamo un poco (sono le 11, non ha senso andare adesso, il volo parte alle 3.55) facciamo amicizia con una ragazza russa che lavora al negozietto di souvenirs dentro l’albergo, che ci racconta di esser venuta in Italia lo scorso anno in vacanza studio, e che voleva tornarci anche quest’anno. Simpaticissima e solare, tra le altre cose prende in giro Andrea per il suo inglese-viareggino-linguasconosciuta, e questo mi fa ridere a crepapelle. A mezzanotte andiamo a prendere l’ultima corsa della metro, valige alla mano (nel senso che la parte trolley mi si è distrutta a Tallinn, e che quindi mi tocca portarla a spalla). Una volta scesi alla fermata indicata cerchiamo un taxi od una delle simpatiche macchinette abusive disposta a portarci al Pulkovo 2 International Airport. Circa un quarto d’ora di taxi. Pagata l’esigua somma al guidatore andiamo dentro, non prima però di aver superato la super-zelante sicurezza.
L’aereoporto, modernissimo, è deserto. Una volta soddisfatti i nostri bisogno primari (principalmente bere) ci addormentiamo spaparanzati sulle poltroncine in sala d’aspetto, anche troppo tranquilla. Suonata la sveglia un’oretta prima dell’imbarco, facciamo il check-in e ci dirigiamo al gate: in aereo siamo in 5; un Fokker 40 dell’Air Baltic. Mi stendo su 3 seggiolini affiancati, mi faccio portare una coperta ed un cuscino dalla hostess (veramente notevole) con la quale faccio due chiacchiere, e mi addormento come un bambino. Mai fatto un viaggio tanto rilassante in aereo. Atterriamo a Riga dopo un paio d’ore. Ed ora sono qui, in area internazionale, a scrivere su questa esperienza magnifica. Mi sto bevendo una tazza di caffè caldo, e continuo a guardare la neve che cade fuori. Adesso mi aspettano altre 4 ore di aereo, e poi 4 di treno. Dopo di che sarò a casa.
Che dire. San Pietroburgo è una città ancora immersa nelle favole ottocentesche. Architetturalmente è perfetta, divina, maestosa, solo, forse, leggermente dispersiva. Si colloca comunque tra le città più belle che abbia mai visto e, fidatevi, ne ho viste tante. Nonostante siano passati più di quindici anni si notano ancora le dicotomie tra est ed ovest: i casermoni di cemento in periferia saranno difficili da cancellare. Ma la cosa che più mi ha colpito, in male naturalmente, è l’estrema divisione tra classi sociali. Sulla Nevsky vedi una limousine dietro l’altra, intervallate da Mercedes classe S e da BMW Serie 7, ed appena giri l’angolo un bambino di 6 anni o poco più, vestito di stracci e tremante dal freddo, ti bacia le scarpe e piange per la contentezza quando gli doni 2 rubli (6 centesimi). Una Lamborghini scarica la figona di turno davanti ad un McDonalds, dove vedi ragazzi che cercano tra i vassoi lasciati ai tavoli per mangiare una patatina od un pezzo di insalata caduto. La notte, nei vicoli, le ragazze ti fermano non per chiederti soldi, ma per chiederti da mangiare. Se tu non le fermi sono disposte a spogliarsi (probabilmente qualche turista se ne è approfittato), con la pelle bluastra per il freddo, per un tozzo di pane. E se compri loro un cheesburgher (40 centesimi) scoppiano in lacrime e ti abbracciano. Così è San Pietroburgo. Una città potenzialmente perfetta, ma che ha ancora da crescere in dignità.
Ah, dimenticavo.. Sul mio blog, http://www.nicolacasini.com/blog/?page_id=11 , ci sono anche molte foto del viaggio se qualcuno volesse dare un'occhiata.
20/02/2007, ore 10.00. Milano.
Ed eccoci, in partenza. Sono all’aereoporto di Malpensa, dopo due giorni di faticate per arrivarvi. Siamo dovuti passare ieri mattina da Genova, al Consolato Russo, per ritirare il passaporto ed il visto che ci permetterà di entrare nella terra di Tostoj. San Pietroburgo è la nostra meta finale; visiteremo però, prima di arrivarvi, le capitali baltiche di Vilnius, Riga e Tallinn. Il nostro volo è diretto proprio lì: volo Lithuanian Airlines Milano Malpensa - Vilnius. Non vedo l’ora. L’imbarco è tra quaranta minuti circa; fortunatamente nell’area internazionale, tra un negozio di Valentino ed uno di Gucci, c’è un HotSpot Vodafone. E meno male. Siamo arrivati ieri nel primo pomeriggio a Milano Centrale; un giretto in centro, un film in un cinema per passare qualche ora e poi in aereoporto, dove siamo arrivati a mezzanotte circa. Abbiamo dormito qui. Non è stata un gran dormita, ma, che dire, se non si fanno a questa età le pazzie quando le faremo?
Tornando a prima; arriveremo a Vilnius alle 15 circa, ora locale. Il tempo di ritirare i bagagli ed andare in hotel per una bella doccia (che ci vuole proprio) ed inizieremo a girellare per la città. Spero di poter postare qualche foto stasera dall’albergo; sempre se potrò connettermi. Che dire, il morale è alle stelle.
IL VIAGGIO E’ FINALMENTE INIZIATO!
(Ed Andrea non si è ancora svegliato :asd: ed è disperatamente in cerca di un labello)
Vilnius.
(con il sorriso sulle labbra)
90km fuori Vilnius, 21/02/2007, ore 15.50.
Che dire. C’è fin troppo da dire. Tralascerò tutta la trafila check-in, gates, colazione, duty free all’aereoporto, tanto è identica per qualunque viaggio. L’avventura inizia sulle piste di Malpensa, mentre la navetta ci sta portando dal gate all’aereo. Intorno a noi Boing 737 e 777, AirBus vari, qualche Lear e qualche 747. L’autobus si ferma. Noi guardiamo davanti a noi, increduli. Un aereo minuscolo, bianco verde e rosa, a ELICHE. Cavolo, sul sito della Lithuanian Airlines c’era scritto che stavano sostituendo tutto il parco aereo con dei 737, per mandare in pensione quei ferri vecchi dei.. Ah, ecco. Noi abbiamo beccato proprio quello non ancora andato in pensione. Un fiammante Saab 2000 (si, è un aereo, non un coupé). Saliamo, mentre ridacchio con Ruta e Andrea. Ah, già, non ve l’ho spiegato. Torniamo indietro di 10 minuti.
Sono in fila all’imbarco, e questo non inizia, nonostante sia già in ritardo di 10 minuti buoni. Impreco (non bestemmio però) sotto voce tra me e me. La ragazza al mio fianco mi sorride. E così iniziamo a chiacchierare. Lei è lituana di Vilnius, si chiama Ruta, ed è un’universitaria che studia Legge e che sta tornando a casa dopo un Erasmus di 6 mesi. Quando me lo dice ha le lacrime agli occhi; probabilmente le piaceva stare in Italia. Comunque, è simpatica ed conosce l’Italiano ad un livello sorprendente per averlo imparato in soli 6 mesi! E poi è molto carina e gentile. Continuiamo a chiacchierare sulla navetta e fin sull’aereo, dove però ha un posto piuttosto distante da noi. Peccato.
Saliamo, mentre ridacchio con Ruta e Andrea. Ah, già, non ve l’ho spiegato. Torniamo indietro di 10 minuti. L’aereo è davvero minuscolo. Devo piegarmi per camminare, perchè sarà alto al massimo un metro ed ottanta. I cassetti portaoggetti sono minuscoli, praticamente inesistenti. Vi entra al massimo il mio cappotto, così la ventiquattrore la metto tra le mie gambe. Pessima idea: non c’è spazio neanche per lei, figuriamoci per me. Siamo stipati come sardine. Vabbè. Finalmente si decolla e ci dirigiamo, alla fantomatica velocità di 635 km/h in direzione di Vilnius. Partenza ore 11.20, arrivo ore 14.55, che poi saranno le 15.30 (maledetto vento). Le nuvole basse ci coprono la vista della città finchè non siamo proprio sopra la pista; in quaranta secondi siamo a terra. Mi copro con guanti e sciarpa, cappotto e maglione, mentre trattengo il fiato pronto per il muro di gelo che mi accoglierà quando scenderò dalla scaletta, mentre la hostess (molto carina tra le altre cose) mi guarda con compassione.. Ed il muro di freddo non c’è. Intendiamoci, non era una temperatura caraibica, ma mi aspettavo almeno almeno 10 gradi in meno. E’ -3. La pista è coperta di neve, e le nuvole sopra di noi iniziano subito ad infarinarci i vestiti con fiocchi piccoli e secchi. L’aereoporto di Vilnius è molto piccolo: in 5 minuti (CINQUE) abbiamo già ritirato i bagagli e ci stiamo dirigendo fuori, dove trovare un taxi. Montiamo sul taxi, e dico al conducente di portarmi al Congress Hotel. Fortunatamente avevo cambiato una cinquantina di euro in aereo, poichè avevo pagato il pranzo ed il resto me l’hanno dato in Lita (ndr: 1 Lita = 3.45 Euro). Prezzo della corsa: 57 Lita (eccheccazzo, meno male che nelle guide c’è scritto che non costano un tubo. Poi, effettivamente, abbiamo appreso che i taxi all’aereoporto hanno tariffa doppia).
Arriviamo davanti all’albergo: davvero non male. Un 4 stelle formato da un vecchio palazzo in stile baltico appena ristrutturato, affiancato da un’ala in vetro e acciaio che ospita la reception ed il ristorante. Prendiamo le chiavi ed andiamo in camera. Appena posate le valige la stanchezza si fa sentire: mi butto sotto la doccia e mi rado, mentre Andrea si stende un poco. Una volta fatto tutto è il suo turno: ne approfitto per riposarmi un po’, dato che la schiena mi tormenta dalla notte in aereoporto.
Dopo neanche un’ora siamo pronti per uscire: dato che la temperatura era abbastanza mite, non ci vestiamo così pesantemente, tralasciando anche le calzamaglie e le maglie termiche. Per prima cosa facciamo il punto co il gps della posizione dell’albergo: saremo così in grado di ritrovarlo in qualunque situazione. Per prima cosa diamo uno sguardo al fiume sul quale si affaccia l’hotel. Taglia la città a metà. Da un lato la parte nuova: grattacieli, centri commerciali e casinò. Dando uno sguardo alla cartina torniamo indietro e ci avviamo verso la “città vecchia”: la prospettiva Gedimino (l’arteria principale della città, dove si affacciano tutti i negozi più importanti e le ambasciate) è a due passi. Innanzi tutto girovaghiamo nei negozi: Andrea ha bisogno di un paio di guanti e di un labello, io di un cappello. Non troviamo niente. I prezzi sono sensibilmente più bassi che da noi: data la fame (il pasto in aereo non è che fosse granchè) ci fermiamo a mangiare un hamburger in un onnipresente McDonalds. Un hamburger costa 3 lita (60 cent circa). Rimaniamo un po’ sorpresi. Continuando a girovagare ci rendiamo conto che tutto costa poco, tranne la roba importata: soprattutto i vestiti. Nelle butique di Gucci, Chanel, D&G, Armani i prezzi sono gli stessi che abbiamo visto in Montenapoleone il giorno precedente; anzi, qualcosina in più..
Continuando a girovagare, andiamo anche nella parte nuova. Facciamo tappa in un centro commerciale, e poi ci dirigiamo di nuovo nella città vecchia: è davvero notevole. Sarà la notte, saranno i lampioni che si riflettono sulla neve che ricopre la città, ovattandola, ma Vilnius è architetturalmente molto bella. Sia i monumenti che le normali abitazioni. Dato che non era tardi, ma eravamo provati dalla stanchezza e dalla mancanza di sonno, ci dirigiamo a mangiare qualcosa in un ristorante consigliatoci in una guida e da Ruta: il Jili Faimas. Entriamo e siamo sgomenti: senza contare la bellezza delle ragazze che servono ai tavoli, il locale è completamente in legno, su due piani, attraverso i quali si snoda un albero enorme. Vi sono dei grandi acquari marini con razze e piccoli pesci simili a squali; le ragazze sono in costume. Chi da coniglietta, chi da principessa, chi da zingara. E’ davvero un bell’ambiente. Mangiamo una crema di salmone, e di secondo del salmone alla griglia lardellato e speziato; Andrea invece della carne speziata in salsa di mirtilli. Davvero davvero buoni. Una buona pinta di birra, scura per me e chiara per lui, ed un dolce. La spesa è irrisoria, non arriviamo a 18 euro in due. Pienamente soddisfatti usciamo dal locale, ma il clima ci riserva un’amara sorpresa: un muro di gelo ci si para davanti. Sta nevicando, e la neve ci sferza sospinta da una brezza tesa; la temperatura è scesa a circa 15 gradi sotto lo zero. Non siamo vestiti poi così pesantemente, e così sentiamo il gelo entrarci fin nelle ossa. Nelle guance e negli orecchi piccole lame appuntite ci pungolano; non ce l’aspettavamo. Dato che non era consigliabile passare fuori almeno un paio d’ore prima di andare a ballare, ci rechiamo in un locale consigliato in un opuscolo trovato in albergo: il Paparazzi bar, un posticino fashion che incontra subito le mie simpatie. I cocktail sono talmente tanti che è difficile scegliere; opto per un sempre verde Stranger in Town, molto adatto alla situazione. Mentre facciamo due chiacchiere sulla partita di champions sul plasma, il tempo scorre veloce; alle undici e mezza ci rechiamo così al Brodvejus, una discoteca a cinquanta metri dal ristorante in cui abbiamo cenato. Ce l’avevano descritta come una delle migliori di Vilnius, ma l’ambiente ci delude molto. Poca gente, molta della quale in balia dei fumi dell’alcool. Ci sono alcune ragazze veramente notevoli; il problema è che non parlano mezza parola d’ìnglese, ed il lituano è così ostico da imparare.. Così, dopo un’ora passata a bevucchiare vodka-redbull (che abbiamo dovuto spiegare alla cameriera perchè, a quanto pare, nelle discoteche non preparano cocktail ma solo liquori puri) ci dirigiamo verso l’altra discoteca quotata nelle guide, tale Prospecto, sulla prospettiva Gedimino. La troviamo senza difficoltà, ed è solo a qualche centinaio di metri dall’albergo. Una volta pagata l’entrata (pochi euro) ci si para davanti tutt’altro tipo di locale; tutto in oro e rosso, arredato in stile ottocentesco, strapieno di gente. Lo stesso genere del Paparazzi; molto ricercato. Ci buttiamo in pista dopo una bevuta e, quando il dj passa una canzone remixata di Zucchero, capiamo l’arcano: è di proprietà di 3 ragazzi italiani, che conosciamo subito dopo. Veramente un posto da consigliare. Alle due passate, vinti dalla stanchezza, torniamo in albergo, con la neve che ci sferza nei nostri cappotti; ci buttiamo sul letto e dormiamo come bambini.
La mattina dopo la dedichiamo alla visita della città vecchia, dopo una bella colazione; il freddo è intenso, tra i -15 ed i -20, ma questa volta ci siamo vestiti in modo più intelligente. Visitiamo chiese, viuzze che sembrano uscite dalla scenografia di un film in costume, negozi vari. Acquistiamo qualche cosa; personalmente una barca a vela in ambra, molto fine, che ha ancora un prezzo umano. Ci muoviamo quindi verso la chiesa russa ortodossa di San Giacomo, proseguendo per la cattedrale, per i Gates of Down e per il castello. Il tutto, incorniciato da quella cortina di neve che ricopre sofficemente tutto e tutti. Rimango colpito dalle chiese ortodosse; hanno colori che nelle cattoliche non si vedono mai, quali il celeste acqua ed il verde, ed i riti sono molto più affascinanti, sia nello svolgersi sia nei canti. Ogni pochi secondi i credenti, davvero tanti, si fanno il segno della croce e si inchinano; rimaniamo un po’ incantati ammirando il coraggio di costoro nel credere.
RUta ha avuto un impegno in università, così non può venire a pranzo con noi; ci dirigiamo di nuovo sulla Gedimino, ed andiamo a pranzo in un Double Coffee (locale tipico dei paesi baltici, dove oltre a mangiare bene ed a poco prezzo omelette e toast, il caffè e le macchie per l’espresso sono italiane). Mangiamo un omelette di erbe e salmone, e poi torniamo in albergo, dove avevamo lasciato le valige. Ci facciamo chiamare un taxi, che ci porta in pochi minuti alla stazione internazionale del bus; dopo circa mezz’ora, davanti a noi, alla piattaforma 19, si ferma il pulman granturismo della EcoLines che ci porterà a Riga.
Che dire della città quindi? Come dice un nostro “compagno di viaggio” Vilnius è un posto leggero, e se dovessi darle un colore sceglierei il verde chiaro delle chiese ortodosse. Così sono i sorrisi delle ragazze, leggeri; così è la cordialità della gente, l’aria pulita, fresca e silenziosa. La cosa che più colpisce è il modo di fare, la semplicità dei gesti, l’eleganza delle movenze, la spontaneità del sorriso. L’essere cercati con lo sguardo. Questa è Vilnius.
Riga.
(Pulkvedim Neviens Neraksta)
50km fuori Riga, 23/02/2007, ore 02.30.
Siamo arrivati a Riga alle sette del pomeriggio, quando era già buio ed il vento gelido sferzava sulle nostre guance.
La Lettonia è un paese indipendente dal 1991, e da allora convivono, non sempre senza tensioni, le due principali etnie che compongono il paese, i lettoni ed i russi. La popolazione dicende da differenti ceppi, quali, oltre ai due sopracitati, polacchi, ucraini, ebrei, lituani, vecchi tedesci e bielorussi. Per questo motivo le ragazze lettoni sono spesso di rara bellezza: si possono incontrare biondi con occhi azzurri ma la pelle scura e brune con occhi chiari e la pelle bianca come il latte. Riga è situata sul Baltico alla foce del fiume Dongana e, contanto quasi 750′000 abitanti, è la più grande città delle repubbliche baltiche, nonché uno dei principali centri politici, economici e culturali della regione. Riga si può dividere idealmente tra Città Vecchia e Città Nuova: la prima è molto carina, ben tenuta e facile da girare a piedi, date le sue modeste dimensioni; il centro storico di Riga è stato inserito dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni dell’umanità, in virtù dei suoi edifici Art Nouveau (o, meglio, Jugendstil, vista l’influenza tedesca) e per l’architettura in legno dell’XIX secolo. Che Riga fosse una città dell’unione sovietica fino a quindici anni fa non si vede proprio: nessun casermone, nessun edificio decadente, neanche quelle distese di cantieri aperti che spesso si notano nelle città che vogliono cambiare aspetto in fretta dopo un periodo da dimenticare.
Appena scesi dal pulman quasi ci manca il respiro: -27 e l’ottantacinque percento di umidità. Dato che dalla guida l’albergo non è distante, proviamo a farcela a piedi: in dieci minuti arriviamo, anche se semiassiderati. L’Hotel Riga è un bel quattro stelle nella città vecchia, situato in un palazzo ottocentesco. E’ davvero molto grande. Dopo aver sbrigato le pratiche del check-in con le stupende ragazze alla reception andiamo in camera: davvero molto accogliente, anche se un poco troppo calda. Decidiamo subito di andare a mangiare qualcosa: ci incamminiamo quindi, tra il freddo polare e cercando di non spaccarci qualche vertebra cadendo sui lastroni di ghiaccio che ornano i sanpietrini, verso l’Alus Seta, un pub con buffet consigliatoci dalla guida. Alla fine spendiamo pochissimo: neanche sei euro per antipasto, secondo, dolce e mezzo litro di birra scura. Nel menu, come ovvio da queste parti, non mancano salmone fresco ed affumicato, oltre a vari tipi di carne speziata che aiutano a riscaldare lo stomaco. Dopo un’oretta passata chiacchierando e festeggiando la caduta del governo Prodi appena appresa da miriadi di messaggi di amici, ci dirigiamo verso quello che diverrà il nostro simbolo personale di questa città: il Pulkvedim Neviens Neraksta, un pub in Peldu Iela davvero carino, dove si beve davvero bene. Letteralmente, vuol dire “Nessuno scrive al Colonnello”. E così, via di Black Russian (ottimo) e di Old Pascal, un rhum mai visto e del quale ignoro la provenienza, davvero buono e dai 73 (SETTANTATRE) gradi. E’ quasi mezzanotte, ma la notte è giovane; ci incamminiamo così in direzione de La Rocca, la discoteca più famosa di Riga, situata in fondo a Brivibas Iela, nella città nuova; dopo quattro chilometri a piedi passati imprecando contro quel qualcuno che ha deciso di far alzare il vento con quasi -30 di temperatura, vi arriviamo.. e la troviamo chiusa.Dopo una ventina buona di minuti di imprecazioni non ripetibili tra persone per bene, torniamo indietro, in direzione di un’altra discoteca che ci avevano consigliato, l’Essential, dietro Elizabetes Iela, in Skola Iela. Dopo poco però la stanchezza ci vince: fermiamo un taxi e quei quattro chilometri per tornare indietro ce li risparmiamo. Paghiamo l’entrata (circa 4€) e, una volta lasciati i cappotti al guardaroba, andiamo nella zona del bar: il posto è molto moderno, la fauna femminile è notevolissima (roba da torcicollo) e la musica non male; il problema è che, essendo un giorno feriale, è quasi vuota. Così verso le 3 torniamo in albergo, distante solo 10 minuti. Il problema è stato attraversare la città vecchia: decine di pr ci fermavano, insistendo fino a diventare irritanti, perchè andassimo in questo o quel nightclub. Una volta liberatici di questi elementi, saliamo in camera, dove ci buttiamo sul letto, stravolti.
La mattina sveglia alle 9, colazione abbondante e poi in strada, a vedere la città: per prima cosa facciamo tappa al mercato della città. In prossimità della stazione, è molto caratteristica se non altro per una birra ed una fetta di salmone arrosto; il mercato si trova all’interno di una serie di capannoni la cui costruzione risale alla IIWW quando questi venivano utilizzati per la costruzione dei dirigibili Zeppelin, il che può dare un’idea della loro dimensione. Ogni capannone è destinato ad una tipologia diversa di prodotti: vi è quello della carne, quello del pesce, quello dei vestiti etc.
Torniamo quindi nella città vecchia, per ammirare di giorno il labirinto di viuzze: ci sono circa 150 monumenti storici ed architettonici, alcuni risalenti al XIII secolo. Camminiamo facciamo shopping (anche per riscaldarci per qualche minuto nei negozi di souvenir, data l’aria gelida che soffia fuori), tra cui qualche bottiglia di Black Balsam, il liquore d’erbe tipico della città (buonissimo come digestivo o come cocktail mischiandolo con vodka liscia e ghiaccio). Visitiamo dunque il monumento alla Libertà, punto di divisione tra la città vecchia e la nuova, e ci fermiamo a mangiare qualcosa al McDonalds proprio lì davanti. Intorno al monumento vi è un piccolo parco che segue un ruscello; camminiamo un po’ sulle acque ghiacciate, facendo foto in questo posto idilliaco, silenzioso e solitario. Tornando nella città vecchia, andiamo a visitare la cattedrale di San Pietro e la cattedrale del Duomo: quest’ultima è la più grande del baltico, ed è 190×45 metri, e si affaccia sulla piazza principale della città, Doma Laukums.
Si fa quindi tardo pomeriggio e, dopo una merenda in un Double Coffee, ci dirigiamo verso lo SkyLine Bar, un locale situato al ventiduesimo piano di un hotel nella città nuova, dal quale si può vedere tutta la città fino al Baltico. La vista è mozzafiato: il sole scende lentamente fino ad eclissarsi, mentre noi ammiriamo le luci della città sorseggiando Cosmopolitan e Negroni.
Sono le otto: mangiamo un panino in un fast food (il secondo ristorante consigliatoci non accettava le carte di credito, e non volevamo cambiare soldi solo per qualche ora) e ci dirigiamo di nuovo al Pulkvedim, dove passiamo qualche ora scaldandoci con Vodka Redbull. Il locale è un po’ più pieno della sera prima, e faccio amicizia con quattro lettoni un po’ ubriachi e con una ragazza, con la quale scambio due chiacchiere. Si è fatto tardi: torniamo all’albergo, facciamo il check-out e, con i bagagli un po’ più pesanti per le bottiglie di Black Balsam, torniamo alla Stazione Internazionale dei Bus, dove alle una e quaranta abbiamo il Gran Turismo per Tallinn. Questa volta non siamo così fortunati: ci son più viaggiatori, il pulman è vecchio e scomodo e, udite udite, NON C’E’ RISCALDAMENTO, con venticinque gradi sottozero. Dentro ce n’erano -4. Solo un appunto: la condensa sui vetri del respiro dei passeggeri si è congelata DENTRO il pulman, così i finestrini sono ricoperti DALL’INTERNO da 3 o 4 millimetri di ghiaccio. Spero che la situazione migliori.
Cerco di dormire un po’: buonanotte.
Tallinn.
(Nimega e Nimeta)
100km fuori Riga, 24/02/2007, ore 01.25.
E finalmente ci siamo. Siamo in viaggio, sul gran turismo, in direzione di San Pietroburgo. Vi arriveremo domattina: ma fatemi prima parlare di Tallinn.
Tallinn è la capitale dell’Estonia, repubblica baltica dell’Ex Unione Sovietica. Questo accostamento è ancora oggi visibile nei sobborghi della capitale, dove grossi casermoni ospitano centinaia di famiglie, o verso l’interno del paese (da me visto solo dal finestrino del pulman) dove esistono ancora reperti bellici delle occupazioni sovietiche, unite a grande povertà. Il paese si sta però risollevando grazie ad i grossi capitali stranieri provenienti da Svezia e Finlandia che hanno creato uno stato satellite capace di assimilare subito tutti i lati positivi e l’ottima organizzazione dei due regni. Un esempio di questo è dato dalla fitta rete di collegamenti commerciali e marittimi tra Helsinki e Tallinn; chi decide di visitare la città anseatica partendo dalla Finlandia troverà una grande offerta di compagnie che solcano il golfo ininterrottamente dalle 8 del mattino sino alle 22, ed altre che offrono servizi notturni completi di trasporto auto e cabina con partenze notturne che arrivano sino in Svezia e Germania.
La città è circondata da un corso anulare che circonda la città vecchia, il Rannamae Tee, che funge da porta verso la parte più antica e suggestiva di Tallinn. Tutti i monumenti più interessanti sono posti lungo un’unica direttrice e questo fa si che la Città vecchia possa essere visitata anche in un solo giorno. Dal Rannamae Tee potete inoltrarvi verso il centro verso la Pikk Tanav, una delle strade più importanti, sede di numerose ambasciate e particolari negozi di souvenir. Nella via potrete ammirare i monumenti più importanti come la chiesa di Sant’Olaf e, all’altezza del numero civico ‘71, le “tre sorelle”, un complesso architettonico formato da tre case, simbolo della città. Al termine della strada arriverete ben presto nella piazza del municipio, non prima di aver visitato un piccolo vicolo sulla sinistra nel quale vi è un’esposizione di artigianato. Ed è qui che inizia la nostra visita, nella piazza del Municipio. E’ qui infatti che ci lascia il taxi, preso dalla Stazione Internazionale degli Autobus. La temperatura è di circa -19 alle 9 del mattino. Innanzi tutto ci guardiamo intorno: sembra di essere sul set di un film in costume. Tutto è rimasto come nell’ottocento, tutto sembra essere uscito da una favola. Prima di iniziare la visita però, abbiamo due commissioni da svolgere: la prima è una sosta negli onnipresenti Double Coffee. Una bella colazione calda, che ci ristora dopo la notte al freddo nel pulman, e qualche tazza di caffè bollente: una benedizione. Il secondo problema sono le valige: non abbiamo prenotato un albergo perchè la notte partiremo per San Pietroburgo, quindi non sappiamo dove lasciarle. Tra le altre cose, appena usciti dal Double Coffee, la mia valigia si distrugge, perdendo completamente la maniglia del trolley. Bestemmie condite ad imprecazioni rivolte al freddo, all’Estonia ed a qualunque divinità mi venisse in mente, cristiane comprese. Risolviamo presto anche il quest’ultimo problema (anche se fatico come un capretto a portare la valigia a mano lungo le salite che portano alla città vecchia) lasciandole in un grazioso hotel in pieno centro: il receptionist ci fa la cortesia di tenercele fino alla sera. Non avremmo mai finito di ringraziarlo. Usciamo dall’hotel, e ci dirigiamo verso la cattedrale di Sant’Olaf: io ridacchio mentre i cittadini locali guardano stralunati Andrea con Rayban, cartina in mano, cappello di Amsterdam mentre parla italiano. Il tutto a -20. La chiesa è molto bella, ma siamo lontani dalla maestosità delle cattedrali di Riga. Ci incamminiamo quindi verso la città vecchia e la sua fortezza, abbarbicata sulla cima della collina che sovrasta la capitale: dopo una lunga camminata ci troviamo davanti ad un’altra chiesa ortodossa, questa molto più bella ma chiusa ad i visitatori, ed ad una piazzetta circondata da antichi palazzi. Lungo le mura vi sono una mezza dozzina di terrazze dalle quali ammirare dall’alto la città: la vista è mozzafiato, con le guglie delle chiese in controluce ed il baltico di sfondo, congelato anch’esso. Sia per interesse sia per sfuggire al freddo gelido, visitiamo qualche negozio di souvenir: una ragazza di una bellezza strabiliante, e veramente gentilissima, mi spiega come calcolare il valore dell’ambra, basandosi su imperfezioni, intrusioni e colore. Comprerò un paio di orecchini, un regalo da portare a casa.
Scendiamo quindi dalla città vecchia, tornando verso la piazza del municipio: ci fermiamo alla Beer Haus, un locale dove poter mangiare, consigliatoci. Si trova proprio di fronte all’albergo al quale abbiamo lasciato le valige, il Mercant’s House Hotel. Mangiamo abbastanza bene, in stile molto crucco, con crauti e carne, patate e peperoni, il tutto condito da un litrozzo di buona birra scura. Spendiamo un po’ di più della media: circa 20€ a testa. Non troppo se rapportato all’Italia, ma fuori da ogni schema considerando i prezzi locali. Il pomeriggio continuiamo a girellare: ma la città vecchia è piccola, e la città nuova non è così bella da meritare una visita approfondita. Dato il freddo ci infiliamo prima in un bowling e poi a fare una buona partita a biliardo. Usciti da qui, ci dirigiamo dentro un moderno centro commerciale che avevamo visto all’andata: oltre ad i negozi facciamo un po’ si sano gnocca-watching, constatando che le Lettoni sono mediamente migliori delle Estoni. Una curiosità sulle estoni: in tutto il baltico ed in Russia, hanno la reputazione di essere le più ottuse ragazze del mondo, oltre ad essere poco intelligente. Ci sono barzellette sulle estoni; un po’ come con i carabinieri in Italia. E, almeno per la mia esperienza, non me la sento di dire che sia solo una leggenda metropolitana; son davvero dure! Ogni volta che dovevamo interloquire con loro in un negozio od in un locale era un problema. Dopo la visita al centro commerciale ci dirigiamo di nuovo verso la città vecchia, in cerca di due pub caratteristici che abbiamo trovato su di una guida: il Nimega ed il Nimeta, letteralmente il “Pub senza Nome” ed il “Pub con Nome”. Chiedete di farvi spiegare il significato dalle estoni e vi farete delle grasse risate: per loro è la cosa più divertente del mondo. Nel primo si può anche mangiare qualcosa, ed è davvero carino anche dentro: il secondo è un po’ squalliduccio, più piccolo e nel quale non si può mangiare. Dopo una rapida occhiata, ci dirigiamo nel primo. Considerando il fatto di essere in un pub, il cibo è notevole: per me delle patate con dei bocconcini di maiale, prima messi in infusione con delle spezie, e dopo cotti sulla griglia. Davvero squisiti. La birra scura, inoltre, è quasi ai livelli della Beer Haus. Facendo amicizia e battibeccando con le Estoni ottuse, oltre ad imbucarci in un compleanno nel quale ci offrono da bere, le ore passano, ed a circa mezzanotte ci dirigiamo a prendere le valige in albergo, ed a prendere un taxi per tornare nella stazione internazionale. Qui il pulman ci aspetta: modernissimo, a due piani, e quasi completamente vuoto. Fantastico. Partiamo in orario, in direzione della Madre Russia: tra qualche ora arriveremo alla frontiera.
A presto.
San Pietroburgo
(I’m a stranger in St. Petersburg)
International Riga Airport, 27/02/2007, ore 03.50.
Eccoci. La vacanza volge al termine.
Sono all’aereoporto di Riga, dove abbiamo fatto scalo con il volo della Air Baltic San Pietroburgo-Milano. Sono in area internazionale. La zona è deserta, i negozi sono chiusi. Sono disteso su di una poltroncina, portatile alla mano, a guardare la neve che cade fuori dalla vetrata. E’ estremamente rilassante. Nonostante abbia dormito un’oretta in aereo e niente più non sono stanco, e gli occhi reggono abbastanza. Spero di dormire comunque un po’ nel volo per Milano, che imbarcheranno tra un’oretta. Arriveremo in Italia alle 10.35 se tutto va bene. Ma, andiamo con ordine. Il pulman ci ha lasciati alla stazione internazionale dei bus di San Pietroburgo, un po’ fuori dal centro. E’ mattina, sono circa le 8, ed il freddo ci coglie subito, appena scesi dal gran turismo. Ci guardiamo intorno: un taxi. Ci fiondiamo verso di questo, superando in velocità una donnetta sicuramente più abituata di noi al gelo (o, almeno, cerchiamo di crederlo per non sentirci in colpa). Il viaggio è stato stancante: soprattutto per il totale sadismo degli agenti di frontiera. Ci hanno svegliato in malo modo alle 4 del mattino, facendoci scendere dal bus e facendoci prendere le valige. E fin qui tutto ok; fuori la temperatura era di -31. E qui un po’ meno ok. Ci dicono di aspettare davanti ad una porta a vetri; al suo interno vedo delle sedie nuovissime: una sala d’aspetto. Mi dirigo verso la porta, quando un soldato in uniforme mi blocca, con tanto di mitra imbracciato. Provo a chiedergli di entrare in inglese, perchè ho freddo: mi risponde in russo, scuotendo la testa. Il sadismo consiste in questo: far aspettare la gente fuori fino a che non è il suo turno, per poi farla entrare, una alla volta, facendogli attraversare la sala d’aspetto VUOTA. Si deve aspettare fuori. Mentre inizio a maledire lentamente l’agente e tutta la sua progenie (mantenendo comunque il sorriso sulle labbra, per non contraddirlo), il tempo passa. Fortunatamente non siamo molti, ed in una ventina di minuti è il mio turno. Vi chiederete: perchè non hai insistito? Per prima cosa lui aveva un mitra. In secondo luogo, in TUTTE le guide che ho letto, c’è scritto di non contraddire mai un soldato della frontiera russa. MAI E POI MAI. Ed il mio presentimento si è avverato poco dopo; le guardie erano due. Per velocizzare la conta dei passeggeri del bus, hanno diviso la lista dei passeggeri in due cartelle, ed ognuno ha contato la propria. Ad un certo punto vedo un ragazzo giovane, con il quale avevo parlato poco prima, iniziare a discutere. Il problema era questo: premesso che era finlandese e con regolare visto, non appariva sulla lista passeggeri. Ha provato per almeno dieci minuti a convincere il soldato a ricontrollarla, perchè doveva esserci un errore (alla frontiera estone risultava nella lista), ma il soldato si è rifiutato. Il ragazzo è stato portato via da altri due militari, e non l’ho più visto. Parlando in seguito con l’autista, che spiccicava qualche parolina di inglese, ho scoperto che, dividendosi la lista passeggeri, il suo nome era rimasto “nel mezzo”, né nell’una né nell’altra. Dato che i militari si erano rifiutati di ricontrollare, sarebbe stato riportato alla frontiera estone. Dentro di me ribollivo, ma non potevo farci niente. Una volta finiti i controlli dei passaporti e dei bagagli, siamo di nuovo rimontati in bus e, lasciandoci alle spalle quella minuscola dogana in mezzo al niente, ci siamo addormentati, svegliati ogni tanto dagli scossoni della strada.
Prendiamo quindi il taxi, e, una volta spiegato al nostro autista dov’era il nostro hotel (circa 15 minuti di discussione con cartina alla mano) partiamo. La città, dai finestrini sporchi di neve, sembra stupenda. Guglie d’oro, chiese ortodosse, vie lunghe chilometri, edifici maestosi. Piccoli canali, gelati, che attraversano la città. La corsa dura dai 5 ai 10 minuti: arriviamo all’hotel. Amara sorpresa: il tizio vuole 800 rubli. Quando avevamo chiesto quanto voleva, alla stazione, aveva detto eighteen. Non eighty. E si, ne sono sicuro. Precisazione: 800 rubli sono circa 23€, ovvero il triplo delle tariffe italiane. Sono incazzato come una iena, ma alla fine sono solo 20€ e siamo stanchi morti, quindi paghiamo e ce ne andiamo dentro l’hotel. L’albergo si chiama Andersen Hotel, moderno 4 stelle a circa un chilometro dalla Neva, e a due fermate della metro dalla prospettiva Nevsky. Centralissimo quindi. Nuovo nuovo (è stato costruito 3 anni fa), è davvero confortevole, ed il personale giovane, gentile e sorridente. Mi piace. Come sospettavo, le nostre camere non saranno pronte prima delle dieci: ci invitano quindi ad andare a fare colazione nel frattempo, al buffet dell’hotel (anche se non era compresa, dato che la prenotazione non comprendeva la notte appena trascorsa). Con l’umore un pochino sollevato facciamo una bella colazione continentale a base di uova, bacon, salsicce e qualunque cosa salata da mettere sotto i denti. Non ci eravamo resi conto di quanto eravamo affamati. Alle dieci meno venti ci vengono a chiamare: la camera è pronta. Il facchino ci porta i bagagli, ed appena entrati ci buttiamo sul letto. Siamo stanchi morti, così rimettiamo la sveglia a mezzogiorno, per dormire un paio d’ore.
Dopo il sonno ristoratore ed una bella doccia calda, ci vestiamo un po’ più pesantemente e ci buttiamo in strada, cartina alla mano e guida in tasca. PANICO. Le strade, le fermate della metro, TUTTO è scritto in cirillico. E fin qui direte: che ti aspettavi, sei in Russia. Si, ho capito, ma allora perchè la cartina che ci hanno dato in albergo è scritta in INGLESE?? Non ci capiamo niente. Fortunatamente troviamo un’altra guida in un Punto Informazioni, la quale, invece, è in russo. D’ora in avanti, per cercare vie o musei o qualunque altra cosa, guardavamo nella cartina inglese dov’erano, la sovrapponevamo alla russa, e guardavamo su questa il nome in cirillico. Un processo un po’ lungo ma efficace. Ci dirigiamo quindi verso la metro, e scendiamo sulla neva. prima stazione. Ci guardiamo intorno: è un paesaggio incantato. Camminiamo in un parco, neanche tanto piccolo, che la costeggia. Fiancheggiamo un enorme edificio a mattoni rossi, davanti al quale vi sono numerosi cannoni, carri armati e blindati di ogli genere: scopriamo essere il museo della guerra. Camminiamo ancora. In lontananza vediamo un enorme edificio, simile ad un pantheon, con davanti due colonne di almeno 30 metri con delle ancore d’oro appese. Il molo dell’Ammiragliato. Cristo, è tutto così enorme. Il sole si riflette nella Neva ghiacciata, ferendoci gli occhi, mentre camminiamo senza parlare e guardandoci intorno, stupiti da tanta magnificenza. E’ davvero uno spettacolo da mozzare il fiato. Il palazzo d’Inverno, in tutto il suo splendore, ci ammicca dall’altra sponda della Neva: ma, nonostante fossimo tentati, abbiamo rimandato il tutto al giorno successivo. Guardando la guida, cerchiamo qualche museo importante nella zona, aperto il sabato, in modo da unire l’utile ed il dilettevole con un paio d’ore al calduccio. La scelta si rivelerà perfetta: il museo di Antropologia, che contiene il museo “degli orrori” di Pietro il Grande. Ci dirigiamo quindi verso di questo, posizionato dietro l’ammiragliato. La coda non è così lunga come sembrerebbe da fuori, ed alla fine in un quarto d’ora siamo dentro. Un’altro quarto d’ora per i biglietti, ed altri 10 minuti per il guardaroba. Il biglietto costa 100 rubli: neanche 3€. Entriamo. Innanzi tutto ci stupiamo di tutti i giovani che ci sono, nonostante sia sabato pomeriggio: come avrò modo di sapere da una ragazza incontrata in coda, tra i giovani della San Pietroburgo-Bene è comune andare a musei o mostre nel week end, per poi proseguire la serata con il solito connubio aperitivo-cena-discoteca. Davvero ammirevole. Lo facessero anche in Italia, dove i musei sono quasi vuoti! La prima parte è abbastanza comune. Ricostruzioni di capanne, frecce, lance. Diorami molto belli, ma niente di non già visto. Il museo, poi, non è tenuto benissimo, anzi.. E’ alquanto fatiscente. Entriamo quindi nella cosiddetta “sala degli orrori”: fu voluta da Pietro il Grande, il quale, da illuminato qual’era, volle un museo sulla genetica e sui “mostri”. Vi si trovano quindi feti di siamesi, scheletri di bambini con malformazioni, gazzelle con due teste imbalsamate. Uno spettacolo! (da non visitare se in dolce attesa). Oltre ad esser squisitamente macabro, è davvero interessante. Finito il giro del museo (3€ spesi veramente bene) ci ricopriamo ben bene, dopo una tazza di caffè lungo molto zuccherato e bollente, e torniamo in giro. Tappa obbligata: prospettiva Nevsky. Magnifica. Immensa. Maestosa. Piena di gnocca. Rimaniamo colpiti da tanta maestosità, mentre camminiamo in un pezzo di storia. Ai lati vi sono musei d’alta moda, librerie, centri commerciali, locali. E’ davvero pieno di locali. Facciamo un po’ di shopping, cambiamo qualche rublo ad un change (il meno possibile, con i cambi ci spennano, preferiamo pagare con la carta, nonostante non sia accettata dappertutto). Una libreria ben fornita, qualche negozio di souvenir, il centro commerciale più grande della città, con boutique di Dolce&Gabbana & Co. Caviale, gioielli, sigari, vodka. Davvero notevole. Per curiosità visito un armeria: mi propongono un Ak-47 autentico, usato, a 650€ circa. Il commesso mi spiega a gesti che è bloccato il tiro a raffica, perchè illegale, ma è utilizzabile solo il colpo singolo. Come l’hanno bloccato? Ceralacca sul selettore. No comment.
Dopo una bella camminata (la Nevsky è circa 4km) si è fatto tardi, così torniamo in metro in direzione dell’albergo. Dato che non abbiamo tanto tempo ci fermiamo a mangiare qualcosa nel KFC all’uscita della metro: pollo frittoooooooooo. Davvero buono. Dopo aver mangiato una tonnellata di ali di pollo a testa, Andrea mi da una chiara dimostrazione del suo futuro da eretico: tira una bestemmia molto articolata e fantasiosa ad un volume tale da far girare mezzo locale quando gli cade il vassoio con un centinaio di ossa spolpate, mentre io mi sganascio dalle risate. Una gentile signorina che lavora lì accorre atterrita, si getta per terra ed inizia a raccogliere le ossa, impaurita da Andrea che continua ad imprecare. Una scena davvero memorabile! Torniamo quindi in hotel. Doccia, tv [Fantozzi doppiato in russo! (osservazione sui doppiaggi russi: non sono come i nostri. Assolutamente. Il doppiaggio consiste in una voce completamente atona che legge le battute SOPRA l’audio originale, voci originali incluse. Mio Dio.)] e via, a vestirsi.
Cribbio, è sabato sera! Mi metto il mio completo di Armani e ci incamminiamo verso la metro, in direzione della Nevsky. Obiettivo: il Magrib, la discoteca più fashion di St. Petersburg. Una volta arrivati questa si conferma come descritta sulle guide: piena di russe alla moda, dove gli abiti italiani sono un must. Mai visto tanto ben di Dio in un solo luogo: e non soltanto per i vestiti! Sembra una sfilata, comprese le modelle. Cavolo, la ragazza più brutta del locale era ampiamente sopra la media italiana. Verso le una il locale si riempie: anche la musica è davvero carina, una buona house tendente al techno, che non sfigurerebbe al Seven od in Canniccia. I baristi sono davvero ottimi, acrobatici, e fanno cocktail da favola. Mentre sorseggio un vodka-redbull mentre faccio due chiacchiere con una biondina davvero divina, conosco un gruppetto di Italiani, già a San Pietroburgo da qualche giorno: mi daranno delle dritte fondamentali, come vedremo nei giorni successivi. Davvero simpatici. Continuo la mia discussione con la biondina, mentre Andrea balla scatenato insieme ad una moretta; poi la musica si spegne, ed appare sul palco un presentatore: c’è un concorso quella sera, Miss e Mister Panténe Russia 2007. Mamma mia ragazzi, manca poco mi cedevano le coronarie. E’ stata davvero una bella serata. “Salutata” la biondina alle quattro usciamo; la metro però chiude a mezzanotte. E, sinceramente, la voglia di prendere un taxi ci passa quando ci chiedono quasi 40€ per 4 minuti. Così mettiamo in atto quanto suggerito dagli italiani, ma letto anche in alcune guide: mi metto sul marciapiede ed alzo un dito. In venti secondi netti ho 4 auto davanti, con i guidatori che avrebbero steso i tappeti rossi se li avessero avuti. Ora vi spiego: la maggioranza dei russi sono poveri. Ma poveri davvero. Quindi, dopo magari 10 ore in fabbrica al giorno, la notte fanno la spola in auto per le vie della città, a caricare turisti e cittadini e portandoli a destinazione per una manciata di rubli. Una via di mezzo tra tassisti abusivi ed autostop. Di conseguenza i taxi hanno meno lavoro, e di conseguenza alzano le tariffe. Conseguentemente la gente prende meno taxi e ricorre a queste auto-fantasma; ed il circolo vizioso ricomincia. All’inizio eravamo titubanti, preoccupati della nostra sicurezza, ma sia gli stranieri incontrati sia gli abitanti del luogo (comprese le signorine alla reception del nostro albergo) ci hanno detto che sono sicurissimi. Un po’ preoccupati quindi contrattiamo con un russo con i baffi a manubrio e dall’aria simpatica, che ci fa montare nella sua Lada anni ‘60 (avevo paura cadesse in pezzi dalla ruggine). Ci porta in hotel per un ventesimo di quanto richiesto dal taxi ufficiale, e quando gli diamo 30 rubli (1€) in più perchè non avevamo spiccioli, quasi piange per la felicità. Sorridendo, andiamo a letto, dove ci addormentiamo come sassi dopo la nostra prima giornata in Russia.
La mattina dopo sveglia alle 9 e mezzo, non abbastanza presto né abbastanza tardi da perderci la colazione. Dopo di questa usciamo: è davvero freddo. Prendiamo la metro, e scendiamo nella Nevsky, la fermata più vicina all’Hermitage, nel quale ci dirigiamo. Il palazzo d’Inverno è davvero imponente, e bello da lasciare il fiato. L’Hermitage, infatti, è formato da 5 edifici, uno più grande dell’altro: il palazzo d’Inverno, il piccolo Hermitage, il grande Hermitage, il teatro dell’Opera ed un’altra sede distaccata vicino, a quanto ho capito, al “museo degli orrori”. Dopo una fila di una mezz’ora, entriamo. Esibendo il nostro tesserino universitario l’entrata è gratuita, paghiamo solamente l’equivalente di 2€ per poter scattare foto. E’ tutto tenuto benissimo, sicurezza ad ogni angolo ed una pulizia maniacale: niente a che vedere con l’altro museo. Visitiamo le sale. La nostra mascella cade a terra al varcare della prima porta. Oro. Malachite. Opere d’arte. Architettura. Ogni sala è un paradiso, ogni parete un sogno. Canova. Leonardo da Vinci. Tiziano. Artisti di tutto il mondo, incorniciati da lampadari alti 2 metri e candelabri d’oro massiccio. E’ difficile da descrivere; le foto parlano da sole. Ora, l’hermitage è davvero enorme: 1085 sale circa. Noi abbiamo visitato in circa 4 ore solo metà del solo palazzo d’Inverno, la parte principale quindi. Servirebbe una settimana per vederlo tutto in modo più oculato. Ancora estasiati da tanta bellezza, e dopo aver comprato un colbacco, costeggiamo la Neva fino al palazzo d’Estate ed i giardini d’Estate, gelati, dove diamo uno sguardo al monumento al milite ignoto. Bellissimo anche questo complesso, ma niente a che vedere con quello d’Inverno. Ultima tappa per la giornata: la chiesa sul Sangue Versato. Colorata, piccola (in una città come San Pietroburgo “piccolo” è relativo, diciamo grande come metà Duomo di Milano, quindi poi non tanto piccola), nobile, in una traversa della Nevsky, in riva ad un canale. E’ davvero suggestiva. Foto di rito e torniamo in albergo. La nostra mente ancora intrappolata nelle sale dell’Hermitage. Dopo un riposino tardo-pomeridiano ci vestiamo in tenuta “discoteca”, e prendiamo la metro per tornare di nuovo sulla Nevsky. Beh, dobbiamo assolutamente mangiare qualche specialità russa. Cerchiamo quindi un ristorante che accetti la Visa e che faccia specialità del luogo: lo troviamo nel Black Cat, un ristorante in un sotterraneo in un vicolo della Nevsky al quale non dareste due lire. Il locale invece è davvero carino, abbastanza intimo e dal servizio eccezionale. Anche la cucina è molto buona: per quanto mi riguarda ho assaggiato 2 tipi di ravioli, alla “siberiana” ed alla “georgiana”. Sono dei ravioli piuttosto grandi, ripieni di carne speziata, da mangiare con del formaggio fresco e cremoso di capra. Sono la specialità russa per eccellenza: e devo dire che sono davvero ottimi. Poi accade l’incredibile: il cantante che ci sta allietando la serata si mette a cantare Celentano. Celentano?!?!?? Si, Celentano. E, magicamente, tutti i Russi presenti i sala cantano il ritornello come un coro. Noi siamo basiti. Scopriremo che Celentano ed Umberto Tozzi sono venerati in Russia più che in Italia, e nei negozi di cd (che, tra le altre cose, costano circa 3€ l’uno, maledetta SIAE) si trovano tranquillamente raccolte di Pooh, Pupo, Battisti e chi ne ha più ne metta.
Sogghignando usciamo dal ristorante, non proprio a buon mercato per gli standard russi ma un affare per quelli italiani, e ci mettiamo in cerca del Toca, una discoteca frequentata da studenti, diciamo “più alla mano” del Magrib che, a quanto ci hanno detto, è vuoto di Domenica. Chiusa. E’ quasi mezzanotte e siamo stanchi: prendiamo quindi l’ultima corsa della metro per l’albergo. Una curiosità sulla metro di San Pietroburgo: è la più profonda del mondo. In alcuni punti arriva a 180 metri sotto terra. Questo perchè era stata pensata anche come rifugio antiatomico. I treni sono ravvicinatissimi: solitamente ne passa uno ogni minuto e mezzo, massimo due. Tornati in albergo mettiamo su un film, Fight Club per l’esattezza, sul mio portatile. Ci addormentiamo, esausti, prima della fine. Solita sveglia alle 9 e mezza. Solita colazione. Così inizia la nostra ultima giornata a San Pietroburgo. Abbiamo camminato veramente tanto. Per prima cosa, siamo andati alla Fortezza di Pietro e Paolo, situata su di un’isoletta sulla Neva. Qui ha sede anche la ex prigione politica: oggi museo. Sono passati di qui Troskij & Co. L’architettura di questi nuovi edifici stona con il resto della città: cemento, forme squadrate. Un periodo da dimenticare. Ci dirigiamo di nuovo in direzione del molo dell’Ammiragliato e dell’Hermitage: attraversiamo la Neva a piedi. Si, a piedi. La Neva è completamente congelata, e sul ghiaccio è caduta la neve. Quindi è diventata un’enorme distesa di neve fresca. Ci divertiamo a guardare i salmoni congelati sotto i nostri piedi, ed a vedere l’acqua che scorre sotto di noi. Arrivati sull’altra sponda decidiamo di fare un po’ di sano shopping: il centro commerciale visitato il primo giorno. Souvenirs, caviale, SIGARETTE. Marlboro Light a 9€ a stecca. Decidiamo così di sfidare la Finanza all’aereoporto e ne facciamo scorta. Passiamo la giornata vagabondando per vie e viuzze, tra la Cattedrale di Sant’Isacco e la Nevsky, comprando cianfrusaglie, ammirando le ragazze, scaldandoci un po’ in qualche negozio. Compriamo le cartoline: ormai, a quanto mi dicono, non sembro neanche più un turista; il freddo oramai non mi fa paura, e lo sento davvero molto meno (mi sarò abituato?). Con il mio colbacco in bella vista alcuni addirittura mi rivolgono la parola in Russo e rimangono sorpresi quando rispondo in Inglese. La giornata passa veloce, e si fa tardi. Dopo uno spuntino in un fast food (a pranzo avevamo mangiato qualcosa in un self service presso l’Hermitage) andiamo in albergo, dove ci aspetta l’arduo compito di fare le valige. Farvi entrare tutto è un’impresa: ma dopo qualche ora ce la facciamo, e siamo pronti per la partenza. Saldiamo il conto con l’albergo, pagando il Visa Support e l’invio delle cartoline con la carta di Credito, e ci facciamo spiegare ben bene come raggiungere facilmente l’aereoporto.
Mentre aspettiamo un poco (sono le 11, non ha senso andare adesso, il volo parte alle 3.55) facciamo amicizia con una ragazza russa che lavora al negozietto di souvenirs dentro l’albergo, che ci racconta di esser venuta in Italia lo scorso anno in vacanza studio, e che voleva tornarci anche quest’anno. Simpaticissima e solare, tra le altre cose prende in giro Andrea per il suo inglese-viareggino-linguasconosciuta, e questo mi fa ridere a crepapelle. A mezzanotte andiamo a prendere l’ultima corsa della metro, valige alla mano (nel senso che la parte trolley mi si è distrutta a Tallinn, e che quindi mi tocca portarla a spalla). Una volta scesi alla fermata indicata cerchiamo un taxi od una delle simpatiche macchinette abusive disposta a portarci al Pulkovo 2 International Airport. Circa un quarto d’ora di taxi. Pagata l’esigua somma al guidatore andiamo dentro, non prima però di aver superato la super-zelante sicurezza.
L’aereoporto, modernissimo, è deserto. Una volta soddisfatti i nostri bisogno primari (principalmente bere) ci addormentiamo spaparanzati sulle poltroncine in sala d’aspetto, anche troppo tranquilla. Suonata la sveglia un’oretta prima dell’imbarco, facciamo il check-in e ci dirigiamo al gate: in aereo siamo in 5; un Fokker 40 dell’Air Baltic. Mi stendo su 3 seggiolini affiancati, mi faccio portare una coperta ed un cuscino dalla hostess (veramente notevole) con la quale faccio due chiacchiere, e mi addormento come un bambino. Mai fatto un viaggio tanto rilassante in aereo. Atterriamo a Riga dopo un paio d’ore. Ed ora sono qui, in area internazionale, a scrivere su questa esperienza magnifica. Mi sto bevendo una tazza di caffè caldo, e continuo a guardare la neve che cade fuori. Adesso mi aspettano altre 4 ore di aereo, e poi 4 di treno. Dopo di che sarò a casa.
Che dire. San Pietroburgo è una città ancora immersa nelle favole ottocentesche. Architetturalmente è perfetta, divina, maestosa, solo, forse, leggermente dispersiva. Si colloca comunque tra le città più belle che abbia mai visto e, fidatevi, ne ho viste tante. Nonostante siano passati più di quindici anni si notano ancora le dicotomie tra est ed ovest: i casermoni di cemento in periferia saranno difficili da cancellare. Ma la cosa che più mi ha colpito, in male naturalmente, è l’estrema divisione tra classi sociali. Sulla Nevsky vedi una limousine dietro l’altra, intervallate da Mercedes classe S e da BMW Serie 7, ed appena giri l’angolo un bambino di 6 anni o poco più, vestito di stracci e tremante dal freddo, ti bacia le scarpe e piange per la contentezza quando gli doni 2 rubli (6 centesimi). Una Lamborghini scarica la figona di turno davanti ad un McDonalds, dove vedi ragazzi che cercano tra i vassoi lasciati ai tavoli per mangiare una patatina od un pezzo di insalata caduto. La notte, nei vicoli, le ragazze ti fermano non per chiederti soldi, ma per chiederti da mangiare. Se tu non le fermi sono disposte a spogliarsi (probabilmente qualche turista se ne è approfittato), con la pelle bluastra per il freddo, per un tozzo di pane. E se compri loro un cheesburgher (40 centesimi) scoppiano in lacrime e ti abbracciano. Così è San Pietroburgo. Una città potenzialmente perfetta, ma che ha ancora da crescere in dignità.