gretas
16-03-2007, 16:21
di Vittorio Malagutti
Il profondo rosso.
La tela tessuta da Guido Rossi. Le banche.
Le avances straniere.
E Tronchetti costretto nell'angolo.
Protagonisti e retroscena della nuova battaglia sulle telecomunicazioni
L'ultima volta che Marco Tronchetti Provera, messo alle strette, decise di smarcarsi rovesciando il tavolo del poker fu a settembre dell'anno scorso. Consegnò alla stampa il maldestro piano di Angelo Rovati, all'epoca consigliere del premier Romano Prodi, per nazionalizzare la rete fissa di Telecom Italia. Il gran clamore che ne venne fuori riuscì a far passare in secondo piano l'esito fallimentare delle trattative con Rupert Murdoch. In quei giorni perfino le clamorose dimissioni di Tronchetti dalla poltrona di presidente di Telecom vennero lette e interpretate come l'estremo gesto di autodifesa di un industriale deluso e amareggiato.
Sono passati sei mesi e siamo daccapo. L'avvocato Guido Rossi, fustigatore dei conflitti d'interessi e teorico della public company, sta interpretando in modo originale il ruolo di numero uno del colosso delle telecomunicazioni. Non è un semplice traghettatore, un professionista di grido chiamato a reggere il timone in nome e per conto dell'azionista di riferimento. In questi mesi Rossi ha tessuto una tela tutta sua. E Tronchetti, temendo di restare imbrigliato, si è infine deciso a fare uno scatto. Ad alzare la voce, un'altra volta dopo il ribaltone di settembre. Sono bastate due righe nel comunicato stampa diffuso da Pirelli lunedì 12 marzo, al termine del consiglio di amministrazione chiamato a esaminare i conti 2006 in profondo rosso (1.048 milioni di perdite). La partecipazione in Telecom è in vendita. Si valutano offerte per quel 18 per cento custodito nella holding Olimpia. Questo, in sostanza, il messaggio recapitato ai mercati dall'ex presidente. Niente che il pubblico di analisti e investitori non sapesse o immaginasse già da tempo. Ma l'effetto annuncio, e la definitiva conferma, per la prima volta messa nero su bianco, che l'avventura di Pirelli nelle telecomunicazioni è giunta ormai al capolinea, hanno innescato una reazione a catena. Le Borse, com'era prevedibile, hanno risposto a suon di rialzi. La sola ipotetica possibilità che il gruppo milanese possa metter fine al salasso telefonico, costato lacrime, sangue e 3 miliardi di perdite ai suoi azionisti, basta e avanza per spiegare l'ondata di acquisti che ha travolto il titolo del gruppo milanese. Ma la partita decisiva si sta svolgendo dietro le quinte. Ed è in questa direzione che punta dritto il siluro lanciato da Tronchetti con l'annuncio di lunedì scorso. Se davvero Rossi sta giocando una partita in proprio, nel tentativo di organizzare una cordata di istituzioni finanziarie (banche e fondazioni) come nuovi soci di riferimento del gruppo telefonico, allora questi presunti cavalieri bianchi adesso non potranno fare a meno di bussare alla Pirelli. Se non altro per scoprire l'eventuale bluff di un'offerta alternativa proveniente da oltre frontiera.
Non per niente sembrano tornate d'attualità le avances del magnate russo Vladimir Evtushenkov, patron della holding Afk Sistema, un colosso con quasi 8 miliardi di dollari di giro d'affari. E così, nel nome della salvaguardia dell'italianità di un'azienda strategica per il sistema Paese, la quota di Tronchetti torna al centro dell'interesse politico e la cordata targata Rossi diventa una diga contro le mire dei presunti pretendenti stranieri, tra cui vanno annoverati anche gli indiani del gruppo Hinduja, senza escludere un ritorno di fiamma degli spagnoli di Telefonica. Stando alle indiscrezioni di questi giorni, l'avvocato milanese si sarebbe mosso con la copertura politica del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Corsi e ricorsi storici. Nel 1999 fu proprio l'esplicito appoggio dell'allora presidente del Consiglio diessino a tirare la volata della razza padana di Roberto Colaninno e Chicco Gnutti nella scalata alla Telecom da poco privatizzata. L'avventura degli scalatori durò lo spazio di un paio di anni e si concluse con guadagni colossali per loro e per i loro amici. Nell'agosto del 2001 entrò in scena Tronchetti che al prezzo di 7,2 miliardi, fin da allora giudicato troppo generoso, si aggiudicò gli ex telefoni di Stato. Quelle azioni pagate 4,17 euro ciascuna adesso faticano a superare quota 2,2. E nel frattempo sono venuti al pettine i nodi di un'acquisizione temeraria. Per sostenere le proprie finanze, il socio di controllo ha prelevato risorse dalle casse di Telecom sotto forma di dividendi, tarpando di fatto lo sviluppo dell'azienda. I debiti sono fermi a 37 miliardi, una cifra ben lontana dai 33 miliardi che erano l'obiettivo dichiarato del management da raggiungere entro la fine del 2006. E gli utili non crescono più: l'anno scorso i profitti netti, circa 3 miliardi di euro, sono calati del 6,3 per cento rispetto al 2005.
Il profondo rosso.
La tela tessuta da Guido Rossi. Le banche.
Le avances straniere.
E Tronchetti costretto nell'angolo.
Protagonisti e retroscena della nuova battaglia sulle telecomunicazioni
L'ultima volta che Marco Tronchetti Provera, messo alle strette, decise di smarcarsi rovesciando il tavolo del poker fu a settembre dell'anno scorso. Consegnò alla stampa il maldestro piano di Angelo Rovati, all'epoca consigliere del premier Romano Prodi, per nazionalizzare la rete fissa di Telecom Italia. Il gran clamore che ne venne fuori riuscì a far passare in secondo piano l'esito fallimentare delle trattative con Rupert Murdoch. In quei giorni perfino le clamorose dimissioni di Tronchetti dalla poltrona di presidente di Telecom vennero lette e interpretate come l'estremo gesto di autodifesa di un industriale deluso e amareggiato.
Sono passati sei mesi e siamo daccapo. L'avvocato Guido Rossi, fustigatore dei conflitti d'interessi e teorico della public company, sta interpretando in modo originale il ruolo di numero uno del colosso delle telecomunicazioni. Non è un semplice traghettatore, un professionista di grido chiamato a reggere il timone in nome e per conto dell'azionista di riferimento. In questi mesi Rossi ha tessuto una tela tutta sua. E Tronchetti, temendo di restare imbrigliato, si è infine deciso a fare uno scatto. Ad alzare la voce, un'altra volta dopo il ribaltone di settembre. Sono bastate due righe nel comunicato stampa diffuso da Pirelli lunedì 12 marzo, al termine del consiglio di amministrazione chiamato a esaminare i conti 2006 in profondo rosso (1.048 milioni di perdite). La partecipazione in Telecom è in vendita. Si valutano offerte per quel 18 per cento custodito nella holding Olimpia. Questo, in sostanza, il messaggio recapitato ai mercati dall'ex presidente. Niente che il pubblico di analisti e investitori non sapesse o immaginasse già da tempo. Ma l'effetto annuncio, e la definitiva conferma, per la prima volta messa nero su bianco, che l'avventura di Pirelli nelle telecomunicazioni è giunta ormai al capolinea, hanno innescato una reazione a catena. Le Borse, com'era prevedibile, hanno risposto a suon di rialzi. La sola ipotetica possibilità che il gruppo milanese possa metter fine al salasso telefonico, costato lacrime, sangue e 3 miliardi di perdite ai suoi azionisti, basta e avanza per spiegare l'ondata di acquisti che ha travolto il titolo del gruppo milanese. Ma la partita decisiva si sta svolgendo dietro le quinte. Ed è in questa direzione che punta dritto il siluro lanciato da Tronchetti con l'annuncio di lunedì scorso. Se davvero Rossi sta giocando una partita in proprio, nel tentativo di organizzare una cordata di istituzioni finanziarie (banche e fondazioni) come nuovi soci di riferimento del gruppo telefonico, allora questi presunti cavalieri bianchi adesso non potranno fare a meno di bussare alla Pirelli. Se non altro per scoprire l'eventuale bluff di un'offerta alternativa proveniente da oltre frontiera.
Non per niente sembrano tornate d'attualità le avances del magnate russo Vladimir Evtushenkov, patron della holding Afk Sistema, un colosso con quasi 8 miliardi di dollari di giro d'affari. E così, nel nome della salvaguardia dell'italianità di un'azienda strategica per il sistema Paese, la quota di Tronchetti torna al centro dell'interesse politico e la cordata targata Rossi diventa una diga contro le mire dei presunti pretendenti stranieri, tra cui vanno annoverati anche gli indiani del gruppo Hinduja, senza escludere un ritorno di fiamma degli spagnoli di Telefonica. Stando alle indiscrezioni di questi giorni, l'avvocato milanese si sarebbe mosso con la copertura politica del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Corsi e ricorsi storici. Nel 1999 fu proprio l'esplicito appoggio dell'allora presidente del Consiglio diessino a tirare la volata della razza padana di Roberto Colaninno e Chicco Gnutti nella scalata alla Telecom da poco privatizzata. L'avventura degli scalatori durò lo spazio di un paio di anni e si concluse con guadagni colossali per loro e per i loro amici. Nell'agosto del 2001 entrò in scena Tronchetti che al prezzo di 7,2 miliardi, fin da allora giudicato troppo generoso, si aggiudicò gli ex telefoni di Stato. Quelle azioni pagate 4,17 euro ciascuna adesso faticano a superare quota 2,2. E nel frattempo sono venuti al pettine i nodi di un'acquisizione temeraria. Per sostenere le proprie finanze, il socio di controllo ha prelevato risorse dalle casse di Telecom sotto forma di dividendi, tarpando di fatto lo sviluppo dell'azienda. I debiti sono fermi a 37 miliardi, una cifra ben lontana dai 33 miliardi che erano l'obiettivo dichiarato del management da raggiungere entro la fine del 2006. E gli utili non crescono più: l'anno scorso i profitti netti, circa 3 miliardi di euro, sono calati del 6,3 per cento rispetto al 2005.