gretas
13-03-2007, 23:00
di Fabrizio Gatti
Sprechi. Promozioni. Indennità. Così all'ospedale di Roma i costi lievitano. E mancano le cure per i malati
Il caso è di quelli difficili, da codice rosso. Sono le 18,22 di lunedì 27 novembre, tre mesi fa. La signora G. arriva al pronto soccorso del Policlinico Umberto I. Una dottoressa la visita e annota: "Paziente di 67 anni, giunge dall'ospedale San Giovanni accompagnata dall'anestesista, intubata, sedata... Giunge con diagnosi di infarto miocardico acuto anteriore, shock cardiogeno, tamponamento cardiaco e rottura di cuore...". Le condizioni sono gravi. Ma si può ancora intervenire. Del resto questo è il Dea: il più grande pronto soccorso di Roma, nel più grande ospedale universitario d'Italia. E, come è stato ripetuto in queste settimane, luogo di eccellenze e di riconosciute professionalità. Quella sera in servizio c'è uno dei massimi esperti del Dipartimento di scienze cardiovascolari e respiratorie, il professor Stefano De Castro. Ed è lui a firmare l'esito dell'ecocardiogramma. La sua non è solo una consulenza clinica. È il più pesante e autorevole atto d'accusa contro chi in questi anni ha nascosto l'evidenza. Sprechi. Furbizie. Promozioni a pioggia. Delibere fuori norma. E costi fuori controllo. Ecco come l'Università La Sapienza ha lasciato distruggere quello che doveva essere il modello di sanità pubblica in Italia. E come ha bruciato in spese farmaceutiche, indennità e compensi acrobatici i soldi destinati all'assistenza dei cittadini. Dal 2000 a oggi almeno 80 milioni l'anno sono stati sottratti al servizio sanitario, secondo dati consegnati in questi giorni alla commissione d'inchiesta del Senato. Più i miliardi in lire consumati negli anni Novanta. Grazie all'abilità di una parte del mondo accademico nell'apparire sempre dalla parte della legge, come ha confermato di recente una sentenza della Corte dei conti. Questo viaggio non porta ai corridoi del Policlinico. Porta dritto alle pagine di una sconfitta della buona amministrazione. Perché adesso l'Università è pronta a sedersi accanto al ministero della Salute e alla Regione Lazio per gestire i finanziamenti e i piani di ristrutturazione.
Bisogna partire dal 27 novembre. È tutto scritto nella cartella clinica di quella sera. Il professor De Castro comincia così: "Non è assolutamente possibile e concepibile che all'interno del Dea vi sia un'apparecchiatura desueta che non consente la visualizzazione ottimale delle pareti ventricolari essendo, tra l'altro, sprovvista di seconda armonica". Negli ecografi la 'seconda armonica' è indispensabile per una buona visione tridimensionale del cuore. E non è la prima volta che il pronto soccorso deve fare diagnosi con strumenti ciechi: "Si ribadisce come già avvenuto precedentemente che perdurando una tale situazione", scrive De Castro, "si mettono a rischio gli operatori sanitari di non poter effettuare diagnosi appropriate, talvolta con impatto notevole sulla salute ed evoluzione clinica del paziente, con livelli di criticità assoluti". Il professore non riesce a valutare l'ipotesi di rottura di cuore: "Non è possibile stabilire se vi sia soluzione di continuo per le ragioni sopra menzionate". Poco dopo un altro medico del Dea, il dottor Piero Moretti, sulla base di quell'esame incompleto conclude la diagnosi: "Assenza di versamento pericardico. Non segni di rottura di cuore. Non indicazione cardiochirurgica". Insomma, il caso non è dei più gravi. La stessa notte, all'1 e 30, la signora G. va in arresto cardiocircolatorio. Dal ricovero sono passate sette ore. Alle 2.02 l'ultima osservazione: "Nessuna ripresa dell'attività cardiaca. Si sospendono le manovre rianimatorie e si constata il decesso". Qualcuno avverte i familiari e chissà cosa racconta, perché in fondo alla cartella clinica c'è anche scritto: "I parenti rifiutano il riscontro autoptico".
Il retroscena pazzesco è che al Policlinico ci sono almeno 80 macchine per ecografia. E molte di queste restano chiuse negli studi dei baroni dell'Università. Così l'unità di terapia intensiva coronarica del pronto soccorso e i malati devono accontentarsi di un'apparecchiatura desueta. La questione degli ecografi è una delle prove dello spreco. Il Policlinico Umberto I esegue ogni anno circa 80 mila ecografie. Più o meno metà per i ricoverati e metà per i pazienti esterni. Sono mille ecografie per ogni ecografo. Considerando 250 giorni di lavoro l'anno, fa una media di quattro ecografie al giorno. Poiché il tempo di durata tipico di un'ecografia è mezz'ora, il risultato è questo: ogni macchina, che costa ai cittadini tra i 24 mila e i 200 mila euro, lavora solo due ore al giorno per cinque giorni la settimana. Ovviamente è la media, perché gli ecografi del Dea di sicuro restano accesi molto di più. Quindi, ci sono macchine che funzionano addirittura meno.
Sprechi. Promozioni. Indennità. Così all'ospedale di Roma i costi lievitano. E mancano le cure per i malati
Il caso è di quelli difficili, da codice rosso. Sono le 18,22 di lunedì 27 novembre, tre mesi fa. La signora G. arriva al pronto soccorso del Policlinico Umberto I. Una dottoressa la visita e annota: "Paziente di 67 anni, giunge dall'ospedale San Giovanni accompagnata dall'anestesista, intubata, sedata... Giunge con diagnosi di infarto miocardico acuto anteriore, shock cardiogeno, tamponamento cardiaco e rottura di cuore...". Le condizioni sono gravi. Ma si può ancora intervenire. Del resto questo è il Dea: il più grande pronto soccorso di Roma, nel più grande ospedale universitario d'Italia. E, come è stato ripetuto in queste settimane, luogo di eccellenze e di riconosciute professionalità. Quella sera in servizio c'è uno dei massimi esperti del Dipartimento di scienze cardiovascolari e respiratorie, il professor Stefano De Castro. Ed è lui a firmare l'esito dell'ecocardiogramma. La sua non è solo una consulenza clinica. È il più pesante e autorevole atto d'accusa contro chi in questi anni ha nascosto l'evidenza. Sprechi. Furbizie. Promozioni a pioggia. Delibere fuori norma. E costi fuori controllo. Ecco come l'Università La Sapienza ha lasciato distruggere quello che doveva essere il modello di sanità pubblica in Italia. E come ha bruciato in spese farmaceutiche, indennità e compensi acrobatici i soldi destinati all'assistenza dei cittadini. Dal 2000 a oggi almeno 80 milioni l'anno sono stati sottratti al servizio sanitario, secondo dati consegnati in questi giorni alla commissione d'inchiesta del Senato. Più i miliardi in lire consumati negli anni Novanta. Grazie all'abilità di una parte del mondo accademico nell'apparire sempre dalla parte della legge, come ha confermato di recente una sentenza della Corte dei conti. Questo viaggio non porta ai corridoi del Policlinico. Porta dritto alle pagine di una sconfitta della buona amministrazione. Perché adesso l'Università è pronta a sedersi accanto al ministero della Salute e alla Regione Lazio per gestire i finanziamenti e i piani di ristrutturazione.
Bisogna partire dal 27 novembre. È tutto scritto nella cartella clinica di quella sera. Il professor De Castro comincia così: "Non è assolutamente possibile e concepibile che all'interno del Dea vi sia un'apparecchiatura desueta che non consente la visualizzazione ottimale delle pareti ventricolari essendo, tra l'altro, sprovvista di seconda armonica". Negli ecografi la 'seconda armonica' è indispensabile per una buona visione tridimensionale del cuore. E non è la prima volta che il pronto soccorso deve fare diagnosi con strumenti ciechi: "Si ribadisce come già avvenuto precedentemente che perdurando una tale situazione", scrive De Castro, "si mettono a rischio gli operatori sanitari di non poter effettuare diagnosi appropriate, talvolta con impatto notevole sulla salute ed evoluzione clinica del paziente, con livelli di criticità assoluti". Il professore non riesce a valutare l'ipotesi di rottura di cuore: "Non è possibile stabilire se vi sia soluzione di continuo per le ragioni sopra menzionate". Poco dopo un altro medico del Dea, il dottor Piero Moretti, sulla base di quell'esame incompleto conclude la diagnosi: "Assenza di versamento pericardico. Non segni di rottura di cuore. Non indicazione cardiochirurgica". Insomma, il caso non è dei più gravi. La stessa notte, all'1 e 30, la signora G. va in arresto cardiocircolatorio. Dal ricovero sono passate sette ore. Alle 2.02 l'ultima osservazione: "Nessuna ripresa dell'attività cardiaca. Si sospendono le manovre rianimatorie e si constata il decesso". Qualcuno avverte i familiari e chissà cosa racconta, perché in fondo alla cartella clinica c'è anche scritto: "I parenti rifiutano il riscontro autoptico".
Il retroscena pazzesco è che al Policlinico ci sono almeno 80 macchine per ecografia. E molte di queste restano chiuse negli studi dei baroni dell'Università. Così l'unità di terapia intensiva coronarica del pronto soccorso e i malati devono accontentarsi di un'apparecchiatura desueta. La questione degli ecografi è una delle prove dello spreco. Il Policlinico Umberto I esegue ogni anno circa 80 mila ecografie. Più o meno metà per i ricoverati e metà per i pazienti esterni. Sono mille ecografie per ogni ecografo. Considerando 250 giorni di lavoro l'anno, fa una media di quattro ecografie al giorno. Poiché il tempo di durata tipico di un'ecografia è mezz'ora, il risultato è questo: ogni macchina, che costa ai cittadini tra i 24 mila e i 200 mila euro, lavora solo due ore al giorno per cinque giorni la settimana. Ovviamente è la media, perché gli ecografi del Dea di sicuro restano accesi molto di più. Quindi, ci sono macchine che funzionano addirittura meno.