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View Full Version : Gli US costituiscono il nuovo Unified combatant command per l’Africa


easyand
24-02-2007, 23:43
La notizia è di qualche giorno fa, più precisamente del 6 febbraio scorso; il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha annunciato la propria decisione di creare, su indicazione del dipartimento alla Difesa, un nuovo Unified combatant command per l’Africa (Africom).
Gli Unified combatant command, istituiti sulla base di un documento noto come Unified command plan (Ucp), sono strutture interforze che impiegano al loro interno personale delle quattro forze armate degli Stati uniti: Army, Navy, Air Force, Marine Corps. Sempre l’Ucp stabilisce le aree geografiche di responsabilità o le funzioni da assolvere, assegna i compiti e le responsabilità, indica la struttura delle forze, definisce l’ambito di autorità dei comandanti e le relazioni di comando esistenti ai vari livelli.

Si tratta, in altri termini, di un documento della massima importanza, che viene costantemente aggiornato dal Chairman joint chief of staff (Cjcs), il capo di stato maggiore delle forze armate americane, in ragione dell’evolversi della situazione e dei mutamenti nel campo della sicurezza; un’importanza confermata dal fatto che, dopo essere stato sottoposto al segretario alla Difesa, esso deve essere comunque approvato dal presidente degli Stati Uniti, cioè dal comandante in capo (Commander-in-chief) delle forze armate.

Esistono due tipi di Unified combatant command, quelli con responsabilità su determinate aree geografiche e quelli con responsabilità funzionali. Nella prima categoria troviamo: Northern command (Northcom), istituito nel 2002 a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre, con competenza sull’America del nord e su parte di quella centrale; Southern command (Southcom), su buona parte dell’America centrale e tutta quella meridionale; European command (Eucom), che copre l’Europa occidentale e quella orientale (compresa la Russia) oltre ad una parte del Medio Oriente e dell’Africa; Central command (Centcom), con competenza sulle restanti parti del Medio Oriente e dell’Africa nonché sull’Asia centrale; Pacific command (Pacom) che con competenza sull’intera area del Pacifico e i Paesi dell’estremo oriente che su di esso si affacciano.

Accanto a questi ne troviamo altri tre che operano, invece, su base funzionale: Strategic command (Stratcom) che controlla il deterrente nucleare strategico e le operazioni nello spazio e nel campo delle informazioni; Transportation command (Transcom) che gestisce tutti gli assetti per le esigenze di trasporto delle forze armate; Special operations command (Socom) che riunisce tutte le componenti delle forze speciali. In una posizione particolare si trova, infine il Joint forces command (Jfcom) che da un lato ha responsabilità sull’area del nord Atlantico, ma al tempo stesso svolge anche la funzione di sperimentare dottrine e tattiche in ambiti interforze.

Dall’analisi di questi elementi risulta evidente come proprio tra i comandi regionali esistesse il serio problema che la responsabilità sul continente africano risultava divisa fra tre comandi diversi: Centcom (Egitto, Eritrea, Etiopia, Djibouti, Kenya, Somalia, Sudan); Pacom (per Madagascar e Seychelles); Eucom per ciò che restava dell’Africa. Una situazione oggettivamente complicata che necessitava, quindi, di una radicale rivisitazione.

Con il nuovo comando, invece, le operazioni sull’intero continente africano (ad eccezione dell’Egitto che rimarrà nell’ambito del Centcom) e le isole circostanti ricadranno sull’Africom. La struttura dell’Africom stesso è incentrata in questa fase iniziale su di un transition team basato a Stoccarda e guidato dal contrammiraglio Robert Moeller. Il team ha il compito di sviluppare tutti quei dettagli non ancora completamente definiti, quali le dimensioni della struttura di comando, la sua dislocazione che potrebbe essere anche in Africa, i costi dell’operazione o ancora come le truppe opereranno e si alterneranno. Questa struttura ridotta servirà comunque a conferire ad Africom la capacità operativa iniziale già nel corso di quest’anno; quella finale, con gli organici al completo, dovrebbe arrivare nel 2008.

Questo nuovo comando nasce, quindi, per rispondere a diverse esigenze che possono essere riassunte dalle, sia pur vaghe e generiche, dichiarazioni ufficiali: sovrintendere alle attività di cooperazione nel campo della sicurezza, costruire capacità di sviluppare rapporti di partnership, fornire supporto alle missioni non militari e, se necessario, condurre operazioni militari sull’intero continente africano.

In termini più pratici, l’obiettivo è rappresentato dal conferire maggiore organicità agli sforzi finora condotti dagli Stati Uniti in questa regione del mondo; sforzi non certo marginali, visto che le iniziative messe in campo sono piuttosto numerose. In particolare si segnala l’operazione Enduring Freedom / Trans-Sahara (Oef-Ts), parte della ben più vasta Trans-Sahara counter-terrorism iniziative (Tscti), condotta finora da Eucom e che dapprima ha interessato Ciad, Mali, Mauritania e Niger e poi Algeria, Ghana, Marocco, Nigeria, Tunisia e Senegal.

L’operazione mira a incrementare le capacità delle forze di sicurezza di questi Paesi attraverso un addestramento mirato, la fornitura di equipaggiamenti e un maggiore scambio di informazioni con lo scopo di garantire una maggiore efficienza nella rilevazione e nella risposta a varie minacce, prima fra tutte quella del terrorismo. Accanto a questa iniziativa specifica vengono comunque mantenuti contatti anche con l’Unione Africana (Ua) e con la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) con compiti di assistenza a queste organizzazioni, al fine di migliorane la capacità di mettere in campo dei contingenti da utilizzare nell’ambito di Peace support operations (Pso) da condurre in Africa.

Proprio quello della formazione e addestramento di reparti da utilizzare in tale tipo di missioni rappresenta uno degli interventi più importanti. Per un Occidente alle prese con i molti impegni già contratti, e con una certa indolenza, può diventare una risorsa importante disporre di truppe in grado di intervenire in quegli scenari di crisi che in Africa non mancano di certo; dalla tremenda e troppo spesso dimenticata, tragedia nel Darfur fino ai recenti sviluppi della situazione in Somalia. Situazioni nelle quali forze dell’Ua operano già o dovrebbero operare tra breve ma che in passato e più di una volta hanno dimostrato di non possedere quella efficacia che sarebbe invece necessaria. E da questo punto di vista il lavoro da compiere è sicuramente ancora molto.

Spetta invece a Centcom la gestione dell’altro importante fronte di operazioni: il corno d’Africa. Una presenza che si traduce nel dispiegamento della Combined joint task force - horn of Africa a Djibouti. Posto in una posizione strategica, questo dispositivo ha assunto nel giro di pochi anni una importanza crescente, testimoniata dal ruolo avuto nelle vicende somale. Un ruolo che, ufficialmente, si è limitato ad alcuni interventi diretti, con attacchi a presunte basi di al-Qaeda in territorio somalo e ad attività di addestramento a favore dell’esercito etiopico, ma che non è certo difficile immaginare che possa essere stato più ampio.

Quindi una sfida, che nel suo insieme risulta a dir poco importante e complessa. Ma in questo senso gli Stati Uniti non sembrerebbero intenzionati a ripetere gli errori del passato, quando in presenza di situazioni simili non si sono mossi con la dovuta tempestività e con la necessaria efficacia, con il risultato che da pericoli potenziali questi si sono trasformati in un qualcosa di reale. Prevenire il più possibile l’insorgere di nuove minacce o intervenire prima che sia troppo tardi: questa è la direzione da seguire, tanto semplice nella sua enunciazione teorica quanto difficile nella sua applicazione pratica.

Ma se queste sono per gli Usa le ragioni ufficiali, c’è da segnalare un altro aspetto più nascosto ma non meno importante: contrastare la crescente penetrazione - per il momento solo commerciale - della Cina in questo continente. Il gigante asiatico, alla ricerca di soluzioni al proprio crescente fabbisogno energetico e di uno sbocco alla propria industria, guarda con sempre maggiore interesse e con il tradizionale pragmatismo alle opportunità che offre il continente africano. Contrastare tempestivamente l’espansionismo cinese anche in questa zona del mondo non può certo essere considerato come un dettaglio trascurabile.

Anche se appare troppo presto trarre delle conclusioni e anche se la nascita di un comando come Africom non può certo rappresentare da sola una svolta risolutiva, ciò nondimeno resta l’augurio che questa e altre iniziative possano portare a un risveglio di interesse nei confronti un continente troppo a lungo dimenticato e in preda - salvo rare eccezioni - alla povertà, alla fame, alle malattie nonché a guerre e conflitti di ogni tipo. Tutti elementi in grado di generare insicurezza e instabilità.

Perché quelle crisi e quella disperazione che oggi ci sembrano così lontane in futuro potrebbero rivelarsi drammaticamente vicine, sotto forma di flussi migratori ancor più intensi e incontrollabili di quelli attuali, di reclutamento di manovalanza per i vari movimenti terroristici e/o criminali, degrado o sfruttamento ambientale (tale da incidere a sua volta sui cambiamenti climatici) o difficoltà nel reperimento di quelle fonti energetiche destinate a diventare un bene sempre più prezioso.

La strada per risolvere i tanti problemi di questo continente è, sicuramente, ancora lunga. Saranno necessari, ad ogni modo, una maggiore attenzione, iniziative politiche efficaci, aiuti economici mirati e una maggiore volontà da parte dell’intero Occidente di assumersi responsabilità e rischi ben maggiori di quelli fino a oggi assunti. Un invito da estendere, in particolare, a una Europa che non brilla certo per attivismo in un’Africa pure così vicina.

dantes76
25-02-2007, 00:33
quante parole inutili( come al solito) per dire che si deve contrastare l'avanzata cinese in africa...



Qualche dato utile,


13 febbraio 2007

Tra Cina e Africa una partnership a tutto campo
di Piero Sinatti

Il terzo viaggio del presidente cinese Hu Jintao in Africa, dove - dal 30 gennaio al 10 febbraio - ha visitato Camerun, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia, Sud Africa, Mozambico e Seychelles, ha riproposto il tema della strategia di Pechino in quel Continente, dopo che già lo scorso novembre aveva segnato un ulteriore successo con la partecipazione a Pechino dei massimi rappresentanti di 47 paesi su 53 al Forum Cina Africa per la Cooperazione (FOCAC).

La Cooperazione Pragmatica

È una strategia che significa fare affari win-win, reciprocamente vantaggiosi, in cui Pechino applica i principi di “non ingerenza” e di “assenza di precondizioni” nella concessione di crediti, prestiti e aiuti, e nella realizzazione di progetti comuni. A differenza degli Occidentali, i cinesi non li vincolano ai parametri imperniati - secondo il FMI e la Banca Mondiale - sulla trasparenza negli affari, nei contratti, nei bilanci. E neppure al rispetto da parte africana dei diritti civili e umani o dei processi di democratizzazione. Anzi, quando questi siano violati sistematicamente (nei casi di Zimbabwe e Sudan), Pechino si oppone in sede ONU a condanne e a sanzioni nei loro confronti. A Pechino, pragmaticamente, interessa la partecipazione allo sfruttamento delle materie prime africane, segnatamente il petrolio. Seguito dai minerali indispensabili al suo impressionante sviluppo economico (rame, ferro, platino, cobalto, uranio, diamanti) e dal legname.
Ora, su diritti umani e civili, democrazia, correttezza degli affari, la Cina – monopartitica, autoritaria, segnata da pratiche non trasparenti negli affari - si trova in sintonia con i partner africani. E questo sicuramente la avvantaggia nella competizione con gli Occidentali per il controllo delle materie prime e dei mercati del Continente Nero.La Cina, ormai terzo partner dell’Africa, si avvicina sempre più agli europei in declino e agli americani in ascesa. Mentre sullo sfondo si stanno delineando i tentativi della Russia di entrare nel Great Game africano.

Alcune cifre

L’interscambio Cina-Africa è salito dai 10 miliardi di dollari del 2000 ai 39,7 del 2005. Con previsione di 100 miliardi nel 2010. Nel 2006 Pechino ha cancellato 1,38 miliardi di dollari di debiti a favore di 31 paesi. Ulteriori tagli e/o cancellazioni sono stati decisi a favore dei alcuni paesi visitati da Hu (Liberia, Camerun, Zambia e Mozambico). Il novembre scorso la Cina ha promesso di stanziare 5 miliardi di dollari per prestiti e crediti da offrire nel 2007 ai partner africani, da raddoppiare nel 2010. Un altro punto a favore della Cina sono gli interventi in settori che gli Occidentali hanno trascurato negli ultimi decenni. Nelle infrastrutture (ferrovie, strade, ponti, dighe); nell’edilizia pubblica (scuole, stadi, teatri, edifici governativi) e abitativa; nella formazione in Cina di molte migliaia di quadri tecnici, ingegneri, medici, delle banche, insegnanti; in vasti programmi di assistenza sanitaria, con costruzioni di ospedali e ambulatori (soprattutto pediatrici); nell’invio di personale sanitario, medicinali; in campagne contro la malaria. Dal 2000 al 2006 Pechino ha inviato in Africa 15 mila tra medici, paramedici, infermieri, biologi. Ha costruito 30 ospedali. Sono stati assistiti 120 milioni di pazienti. Ha formato 18 mila quadri specializzati e ha partecipato a 720 progetti (sanità e istruzione).

Il presente ha un cuore antico

Questo tipo di interventi risale ai secondi anni Cinquanta e ai due decenni successivi del secolo scorso, quando la Cina di Mao aspirava alla leadership dei processi di liberazione anticoloniale e antimperialista. Anche allora inviava medici, ingegneri e tecnici. Costruiva grandi ferrovie, come la Lusaka (Zambia) - Dar es Salama (Tanzania). E inviava armi a movimenti e paesi del “fronte anti-imperialista”. Pechino riscuote i dividendi di questa cooperazione politico-ideologica, anche ora che è passata alla cooperazione pragmatica, con al centro l’economia. Tuttavia, come ha sottolineato Hu nel suo discorso all’Università di Pretoria, la Cina anche ora tiene a differenziarsi dai concorrenti occidentali, presentandosi come “il più grande paese in via di sviluppo che coopera con l’Africa, il continente con il più alto numero di paesi in via di sviluppo”. E come il paese “che non ha mai imposto la sua volontà e pratiche inique ad altri paesi e non lo farà mai”. Questo piace a quelle élite africane che cercano di sottrarsi all’influenza degli ex-colonizzatori bianchi, ma soprattutto alle “precondizioni” che gli Occidentali pretenderebbero di imporre loro.

È tutto oro quel che luccica?

Tuttavia, si fanno strada diffidenza, critiche, persino allarmi e proteste. Nello Zambia (grande produttore mondiale di rame), Hu ha dovuto cancellare alcune visite, in cui si temevano proteste o degli operai di una grande industria tessile controllata da una società cinese per cattive condizioni di lavoro, bassi salari, massicci licenziamenti; o dei minatori della grande miniera di rame di Chambisi, anch’essa controllata dai cinesi, dove due anni fa un’esplosione provocò 50 morti. Il Sud Africa – primo partner africano della Cina – ha dovuto limitare, su pressioni di imprenditori e sindacati, l’import di beni di consumo (soprattutto del tessile, della plastica), per lo più a basso prezzo e di povera qualità di cui la Cina inonda l’Africa, rischiando di mettere in ginocchio non solo le industrie africane degli stessi settori, ma anche lo stesso piccolo commercio africano al dettaglio, in cui si moltiplica la presenza di venditori cinesi. Infine, in alcune città (come Luanda) e nelle zone economiche la cui formazione (tre o cinque) è stata annunciata da Hu nasceranno vere e proprie china-town. Separate. I cinesi non amerebbero – sembra - mescolarsi con i locali.

Il neocolonialismo cinese

I critici parlano di “neocolonialismo” cinese. L’Africa esporta materie prime e importa beni cinesi per lo più di bassa qualità. Inoltre si riversa in Africa un’immigrazione consistente di forza di lavoro qualificata (ufficialmente si contano circa 100mila cinesi), ma anche di piccoli operatori. Senza trasferimento di know how ai locali. Né con grandi vantaggi occupazionali. Tuttavia, la Cina gode ancora di un larghissimo credito. È vista da molti come generoso donatore, che fronteggia anch’essa non pochi problemi di sottosviluppo e povertà. Se non come modello di sviluppo. Hu nel suo viaggio ha annunciato programmi di cooperazione tesi a rafforzare l’agricoltura, l’industria leggera (specie alimentare e farmaceutica), le telecomunicazioni, il turismo (specie in Mozambico, dove provvederà anche a migliorare il governo delle acque).

Il petrolio africano

L’obiettivo primario della Cina è il petrolio africano. Il 25% del suo fabbisogno è fornito oltre che dai paesi del Golfo di Guinea (Guinea equatoriale, Congo Brazzaville, Nigeria, Gabon), dall’Angola e dal Sudan. L’Angola si è sostituito all’Arabia Saudita come primo fornitore di greggio della Cina, cui vende il 25% della sua produzione (1,4 milioni di barili al giorno nel 2006, destinati a diventare quest’anno 2,2). Qui la cinese Sinopec opera assieme all’angolana Sonangol. All’Angola Pechino ha destinato negli ultimi due anni crediti, sostenuti dal greggio, per oltre 3 miliardi di dollari. Ricostruisce la grande linea ferroviaria costiera che arriva fino al Congo. E costruisce aeroporti, ospedali, dighe, strade. In Nigeria si è consolidata la cooperazione tra le cinesi Petrochina e CNOOC (specializzata nell’offshore) e la nigeriana NNPC. Nel 2006 la Cina ha investito 2,3 miliardi di dollari in una joint venture sino-nigeriana per lo sfruttamento di un grande giacimento offshore, e 4 miliardi per licenze di perforazione e sfruttamento di altri quattro “blocchi” offshore. E ,come anche in Angola, è divenuta compete attivamente con le major occidentali.

Il ruolo centrale del Sudan

È stata la mèta più importante sotto il profilo energetico e quello politico, del viaggio di Hu. Il Sudan, di cui la Cina è l’unico grande partner commerciale, produce 300 mila barili al giorno, con l’obiettivo di passare quanto prima a 700 mila. L’80% del suo greggio va in Cina, presente in quel paese con CNPC e SINOPEC. Inoltre, costruisce un oleodotto di 1700 km che dovrebbe raggiungere Port Sudan, sul Mar Rosso, dove la China Petroleum Engineering sta costruendo un grande terminal. Parte del Sudan, specie la capitale Khartoum, vive un vero boom da iniezioni massicce di petrodollari. Finora Pechino non aveva dato alcun peso alle accuse rivolte al regime islamico di Omar al Bashir, considerato dagli osservatori internazionali il maggior responsabile del conflitto nella regione meridionale del Darfur. Qui, dal 2003, infuria una guerra civile che ha causato 200 mila morti e 2,5 milioni di profughi. I cinesi si sono finora opposti all’invio di un più consistente contingente di peacekeeper dell'ONU e dell’Unione Africana (UA) in Sudan e a sanzioni nei suoi confronti. Non solo: Pechino avrebbe fornito a Khartoum rilevanti quantitativi di armi, se non cooperato alla costruzione di una fabbrica di armi.
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La “non ingerenza” e l’ “incondizionata” prosecuzione degli affari in Sudan sono stati di fatto un segno di complicità. Ed ecco che Hu, in questo suo viaggio, raccolti gli appelli dell’UA, dell’ONU e della comunità internazionale, ha sollecitato il riluttante al Bashir a risolvere con mezzi politici la crisi del Darfur. Si tratta di una resipiscenza di Hu sui diritti umani ? Di un abbandono del principio del “pragmatismo” ? Non diremmo. Pechino deve tener conto da una parte della crescente ostilità verso Khartoum dei suoi partner dell’Africa Nera: nel Darfur la popolazione nera, cristiana e animista è la vittima dell’esercito sudanese e delle milizie islamiche. Dall’altra, del fatto che il conflitto tocca importanti aree del petrolio che interessano direttamente Pechino. Per esplorarle e sfruttarle al meglio, la stabilità e la pace sono condizioni indubbiamente migliori della guerra. Da qui è venuta la svolta di Hu. Il quale ha capito che non sempre cinismo fa rima con pragmatismo.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Esteri/2007/02/sinatti130207_cina-africa.shtml?uuid=45119d6e-bb73-11db-89ba-00000e25108c&type=Libero