<Straker>
05-02-2007, 18:08
...speriamo di no :mbe:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=2356&ID_sezione=&sezione=5/2/2007
Piccolo centro
FEDERICO GEREMICCA
Non troppi giorni fa, in un’intervista a La Stampa, Massimo D’Alema illustrò una tesi che al momento apparve ai più strampalata, se non peregrina. Perché - si chiedeva - tanta insistenza da parte dell’opposizione e dei media sul conflitto riformisti-radicali che, a dire dei critici, paralizzerebbe l’azione del governo? Si rispose così: «Siccome sono un ragazzo che conosce le cose, dico: si tratta di una campagna che punta a determinare la crisi del governo per aprire un altro scenario politico, di tipo neocentrista».
Nemmeno un paio di settimane, ed eccolo qui spiattellato - anzi: rivendicato - il disegno a cui forse alludeva il vicepremier: «Le manovre neocentriste - ha annunciato ieri Pierferdinando Casini in una intervista a la Repubblica - sono diventate un dovere». Lasciamo stare, per il momento, il tipo di accoglienza che i principali destinatari del messaggio dell’ex presidente della Camera hanno riservato alla sortita (freddo Rutelli, prudentemente silenzioso l’amico Mastella). E guardiamo, invece, all’obiettivo che Casini propone e allo strumento da utilizzare per raggiungerlo. L’obiettivo resta lo stesso da ormai quasi tre lustri a questa parte, da quando - cioè - venne sciolta la Dc: «Mettere assieme i moderati». E anche la via attraverso la quale perseguirlo, non è precisamente inedita: «Serve una nuova legge elettorale. Questo bipolarismo non è più un valore...». C’è molto di già visto, insomma, nell’affondo del presidente dell’Udc. E anche molto di discutibile, in verità: sia a proposito dell’obiettivo proposto che dello strumento immaginato.
«Unire i moderati» - così genericamente e confusamente intesi - sembra, per esempio, più uno slogan, un artificio semantico, che la fotografia di una condizione politica sulla quale lavorare davvero. Per stare solo ai partiti in causa (Udc, Udeur, Margherita e forse l’Italia dei valori di Di Pietro) viene da chiedersi come sia pensabile «unire» - per dirne una - Salvatore Cuffaro e Leoluca Orlando (nemici giurati: il primo alla sbarra per favoreggiamento alla mafia, il secondo paladino dell’antimafia); oppure personalità come Carlo Giovanardi e Paolo Gentiloni, considerando - per dirne solo un’altra - che il primo imputa al secondo di voler attentare alle tv e alle proprietà di Silvio Berlusconi. Si potrebbe continuare, ma può bastare: considerato che gli esempi servivano solo ad annotare come anche per la categoria politica dei «moderati» non possano più valere semplificazioni spesso fuorvianti. Non basta più dirsi «centristi» o appunto «moderati», insomma, perché questo significhi automaticamente poter unirsi; così come, del resto, non basta dirsi di «sinistra» per scegliere di militare in uno stesso partito.
Quanto allo strumento per «mettere assieme i moderati», il discorso è ancor più scivoloso. Il fatto che il bipolarismo non sia «più un valore», intanto, è certamente affermazione discutibile: e in ogni caso, ammesso anche che il postulato fosse solo parzialmente vero, l’esperienza dell’ultimo decennio dice che occorrerebbe adoperarsi per rilanciarlo, piuttosto che per affossarlo. Stabilità, alternanza e responsabilità degli esecutivi (a tutti i livelli) sono conquiste - valori, appunto - ai quali sarebbe suicida rinunciare: soprattutto se a vantaggio dei meccanismi, delle regole e della paralizzante palude politica che nella Prima Repubblica ha trasformato la vita dei cinquanta e passa governi succedutisi in un’agonia fin dal primo vagito. Davvero non si capisce chi possa trarre vantaggio da una simile marcia indietro: a parte, naturalmente, il legittimo desiderio di Pierferdinando Casini di trasformare la sua «opposizione diversa» in qualcosa di diverso ancora.
C’è da chiedersi, dunque, non tanto perché l’ex presidente della Camera decida di rompere gli indugi e uscire allo scoperto, quanto - piuttosto - perché la sua proposta, al di là delle dichiarazioni ufficiali, trovi inconfessabili consensi sia dall’una parte che dall’altra. C’entra, naturalmente, l’evidente crisi di leadership di Silvio Berlusconi, che fa intravedere a molti spazi politici inimmaginabili fino a prima della sconfitta elettorale. Ma c’entra anche - in tutta evidenza e nonostante le profezie del vicepremier D’Alema - la scarsa tenuta e l’eterogeneità dell’attuale maggioranza di governo. Che, una volta di più, farebbe bene ad aver chiaro di non essere affatto insostituibile: anche a legislatura in corso. E nulla ci sarebbe di male, naturalmente: se non fosse che le alternative - al momento - appaiono assai peggiori.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=2356&ID_sezione=&sezione=5/2/2007
Piccolo centro
FEDERICO GEREMICCA
Non troppi giorni fa, in un’intervista a La Stampa, Massimo D’Alema illustrò una tesi che al momento apparve ai più strampalata, se non peregrina. Perché - si chiedeva - tanta insistenza da parte dell’opposizione e dei media sul conflitto riformisti-radicali che, a dire dei critici, paralizzerebbe l’azione del governo? Si rispose così: «Siccome sono un ragazzo che conosce le cose, dico: si tratta di una campagna che punta a determinare la crisi del governo per aprire un altro scenario politico, di tipo neocentrista».
Nemmeno un paio di settimane, ed eccolo qui spiattellato - anzi: rivendicato - il disegno a cui forse alludeva il vicepremier: «Le manovre neocentriste - ha annunciato ieri Pierferdinando Casini in una intervista a la Repubblica - sono diventate un dovere». Lasciamo stare, per il momento, il tipo di accoglienza che i principali destinatari del messaggio dell’ex presidente della Camera hanno riservato alla sortita (freddo Rutelli, prudentemente silenzioso l’amico Mastella). E guardiamo, invece, all’obiettivo che Casini propone e allo strumento da utilizzare per raggiungerlo. L’obiettivo resta lo stesso da ormai quasi tre lustri a questa parte, da quando - cioè - venne sciolta la Dc: «Mettere assieme i moderati». E anche la via attraverso la quale perseguirlo, non è precisamente inedita: «Serve una nuova legge elettorale. Questo bipolarismo non è più un valore...». C’è molto di già visto, insomma, nell’affondo del presidente dell’Udc. E anche molto di discutibile, in verità: sia a proposito dell’obiettivo proposto che dello strumento immaginato.
«Unire i moderati» - così genericamente e confusamente intesi - sembra, per esempio, più uno slogan, un artificio semantico, che la fotografia di una condizione politica sulla quale lavorare davvero. Per stare solo ai partiti in causa (Udc, Udeur, Margherita e forse l’Italia dei valori di Di Pietro) viene da chiedersi come sia pensabile «unire» - per dirne una - Salvatore Cuffaro e Leoluca Orlando (nemici giurati: il primo alla sbarra per favoreggiamento alla mafia, il secondo paladino dell’antimafia); oppure personalità come Carlo Giovanardi e Paolo Gentiloni, considerando - per dirne solo un’altra - che il primo imputa al secondo di voler attentare alle tv e alle proprietà di Silvio Berlusconi. Si potrebbe continuare, ma può bastare: considerato che gli esempi servivano solo ad annotare come anche per la categoria politica dei «moderati» non possano più valere semplificazioni spesso fuorvianti. Non basta più dirsi «centristi» o appunto «moderati», insomma, perché questo significhi automaticamente poter unirsi; così come, del resto, non basta dirsi di «sinistra» per scegliere di militare in uno stesso partito.
Quanto allo strumento per «mettere assieme i moderati», il discorso è ancor più scivoloso. Il fatto che il bipolarismo non sia «più un valore», intanto, è certamente affermazione discutibile: e in ogni caso, ammesso anche che il postulato fosse solo parzialmente vero, l’esperienza dell’ultimo decennio dice che occorrerebbe adoperarsi per rilanciarlo, piuttosto che per affossarlo. Stabilità, alternanza e responsabilità degli esecutivi (a tutti i livelli) sono conquiste - valori, appunto - ai quali sarebbe suicida rinunciare: soprattutto se a vantaggio dei meccanismi, delle regole e della paralizzante palude politica che nella Prima Repubblica ha trasformato la vita dei cinquanta e passa governi succedutisi in un’agonia fin dal primo vagito. Davvero non si capisce chi possa trarre vantaggio da una simile marcia indietro: a parte, naturalmente, il legittimo desiderio di Pierferdinando Casini di trasformare la sua «opposizione diversa» in qualcosa di diverso ancora.
C’è da chiedersi, dunque, non tanto perché l’ex presidente della Camera decida di rompere gli indugi e uscire allo scoperto, quanto - piuttosto - perché la sua proposta, al di là delle dichiarazioni ufficiali, trovi inconfessabili consensi sia dall’una parte che dall’altra. C’entra, naturalmente, l’evidente crisi di leadership di Silvio Berlusconi, che fa intravedere a molti spazi politici inimmaginabili fino a prima della sconfitta elettorale. Ma c’entra anche - in tutta evidenza e nonostante le profezie del vicepremier D’Alema - la scarsa tenuta e l’eterogeneità dell’attuale maggioranza di governo. Che, una volta di più, farebbe bene ad aver chiaro di non essere affatto insostituibile: anche a legislatura in corso. E nulla ci sarebbe di male, naturalmente: se non fosse che le alternative - al momento - appaiono assai peggiori.