sempreio
18-12-2006, 13:09
È disposta a tutto, anche a infiltrarsi nelle case chiuse travestita da prostituta: così è riuscita a liberare quasi 100 ragazze, ma non sua figlia, rapita dalla mafia dei bordelli. La madre coraggio argentina però non molla. E denuncia: «Qui ci sono anche italiane».
«Nonna, quando torna la mamma? Dal 3 aprile 2002 Sara Susana Del Valle Trimarco de Verón si sente ripetere la domanda dalla nipotina Micaela, 7 anni appena. Quel giorno a San Miguel de Tucuman, 1.193 chilometri a nord di Buenos Aires, un commando della mafia che controlla la prostituzione sequestrò sua figlia, Maria de los Angeles Verón, «Marita», 23 anni, madre della piccola Michela.
Da allora Susana, nonna minuta ma indomita di 52 anni, discendente da emigrati napoletani, ha cercato ovunque in Argentina. E ha fatto di tutto per trovarla: si è perfino travestita da prostituta per raccogliere informazioni nei bordelli. «Hanno tentato di uccidermi due volte, mi minacciano continuamente, ma non mi fermeranno» dice a Panorama.
La madre coraggio argentina vive in una casa con giardinetto nel centro di San Miguel, in calle Thames, insieme con il marito Juan, impiegato al ministero della Sanità. Il rapimento della figlia lo ha schiantato: è caduto in depressione e l'anno scorso è stato colpito da un ictus, da cui si è ripreso. La piccola Micaela sa solo quello che le ha raccontato la nonna: «La tua mamma se la sono portata via i "ladrones": un giorno io la libererò e torneremo a vivere felici».
Nella sua stanzetta la piccina ha messo due angioletti di fianco alla foto della madre: «Li ho messi lì perché la proteggano dovunque sia» sospira. Suo padre David, senza lavoro fisso, va a trovarla ogni tanto, ma non partecipa alla ricerca della compagna, con cui conviveva fino al sequestro.
La piaga di giovani donne rapite, riempite di botte e droga per convincerle a lavorare nei bordelli (permessi dalla legge se le donne si dicono consenzienti), dilaga in Argentina: una commissione parlamentare ha registrato almeno 300 casi. Secondo stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Argentina si può comprare una schiava del sesso pagandola tra i 150 e i 5 mila pesos (40-1.250 euro). E il quotidiano Clarín denuncia: «Nel nostro paese la tratta delle donne non è considerata reato».
«Fino a quando rapirono Marita la mia vita era tranquilla» ricorda Susana. «Ero un'impiegata statale, mia figlia conviveva con David, era iscritta all'università e gestiva un piccolo supermercato che andava discretamente».
L'odissea è cominciata quando un gruppo di delinquenti che la pedinava da tempo ferma la giovane per strada (era circa mezzogiorno), la stordisce e la butta in un'auto. Quando la famiglia non la vede tornare, capisce che è successo qualcosa di grave: Marita telefonava sempre in caso di ritardo. I Verón cominciano subito a cercarla negli ospedali. Denunciano la scomparsa alla polizia.
«Poi una telefonata anonima avverte mio marito che nostra figlia è stata rapita e venduta per 2.500 pesos» (640 euro) racconta questa madre coraggio con la voce che ancora tradisce l'emozione e la rabbia. «Quel giorno inizia anche il mio viaggio nell'inferno della prostituzione». Non si ferma davanti a nulla, si finge lei stessa prostituta: nome d'arte Mariela.
La famiglia Verón comincia le ricerche per conto proprio: non si può permettere un investigatore privato e la polizia locale sembra non darsi un gran daffare per trovare la sequestrata. L'indagine è difficile, le bande spostano continuamente le prostitute: l'Argentina è un paese federale e, quando si cambia stato, tutto si arena.
Le prime segnalazioni portano al limitrofo stato della Rioja: Susana partecipa anche a un'irruzione della polizia, ma della figlia nessuna traccia. Finché un poliziotto dal cuore tenero le lascia fotocopiare l'agendina sequestrata a uno sfruttatore di alto livello: ci sono gli indirizzi di decine di bordelli sparsi in tutto il paese.
Mentre continua a fare la nonna e la moglie che assiste il marito minato dalla depressione, mentre concede interviste a giornali e tv, mentre apre un sito internet con le foto della figlia, Susana non molla la caccia sul campo: «Per tre volte mi sono finta prostituta, l'ultima l'anno scorso. Mi mettevo una parrucca bionda, minigonna, tacchi a spillo, e mi fingevo una maîtresse che voleva comprare o vendere donne nei bordelli».
Ogni volta portava con sé la foto della figlia. Finché una prostituta le dà la dritta di dove può trovare Marita: un bordello chiamato Desafio, oggi La Isla. Però il giudice che riceve la denuncia al mattino ordina l'irruzione solo la sera. E della figlia non c'è più traccia. «Una parte della polizia è corrotta e vende informazioni agli sfruttatori» accusa Susana. «Ecco perché faccio la detective solitaria, o insieme ad altre madri nelle mie condizioni».
Marita non l'ha più trovata, però ha contribuito a liberare 96 ragazze, partecipando a 92 operazioni di polizia. Molte prostitute assicurano di aver visto Marita. Come Anahi, 26 anni, liberata nel 2002 e rifugiatasi a casa Verón per due mesi. Un'altra le ha confidato che la figlia è stata portata in Spagna nel 2004, in provincia di Burgos. Lei è corsa a denunciare il fatto a Buenos Aires, il ministero della Giustizia ha attivato l'Interpol ed effettivamente sono state trovate 12 argentine portate a forza nei bordelli di oltre Atlantico.
Ma ancora una volta Marita non è tra quelle. «Penso che mia figlia sia continuamente spostata per tutta l'Argentina, ma non mollo. So di battermi contro organizzazioni molto potenti e con ramificazioni internazionali: ho anche informazioni secondo cui la mafia della tratta delle bianche ha portato a prostituirsi in Argentina anche alcune donne sequestrate in Italia» dice Verón.
In questi quattro anni e mezzo di ricerche Susana ha dovuto lasciare il lavoro, vendere il negozio, la casa della figlia e l'unica auto che possedeva. Oggi vive con il magro stipendio del marito: 890 pesos, 230 euro al mese. Lo stato e il comune non le passano sussidi e la polizia non le offre una scorta, nonostante le minacce di morte per telefono e per email.
Ora, dopo i suoi incontri con il presidente dell'Argentina Néstor Kirchner e con il ministro della Giustizia, riceve ogni tanto un rimborso per le spese e, soprattutto, ha ottenuto che il suo caso sia seguito dalla Gendarmeria nacional (l'equivalente dei carabinieri italiani, di cui si fida e con cui collabora). Anche una star della musica latina come Ricky Martin ha offerto denaro e collaborazione per costituire una fondazione internazionale che combatta la tratta delle bianche. Il nome è già stato scelto: Vida y libertad.
Susana ha una certezza: «Ritroverò mia figlia». E un sogno: «Voglio il passaporto italiano, che mi spetta perché mio nonno arrivò da Napoli quando aveva 11 anni. E, una volta ritrovata Marita, vorrei visitare con lei, mio marito e la mia nipotina la città da cui partirono i miei avi, riscoprire le mie radici. Abbiamo tanto bisogno di staccarci per un po' da questo paese».
Susana continua la sua lotta e cerca di non farsi spaventare. Anche se i trafficanti di donne hanno alzato il tiro: poco prima del colloquio con Panorama le sono arrivate quattro email: «Sequestreremo anche tua nipote e le faremo fare la prostituta proprio come stiamo facendo con sua madre».
mi viene una tristezza a leggere ste cose e anche qui in europa ce ne freghiamo, lasciamo che questa gentaglia schiavizzi ragazzine :( al massimo gli diamo qualche anno di carcere mentre queste povere ragazze non so quante malattie si prendono
«Nonna, quando torna la mamma? Dal 3 aprile 2002 Sara Susana Del Valle Trimarco de Verón si sente ripetere la domanda dalla nipotina Micaela, 7 anni appena. Quel giorno a San Miguel de Tucuman, 1.193 chilometri a nord di Buenos Aires, un commando della mafia che controlla la prostituzione sequestrò sua figlia, Maria de los Angeles Verón, «Marita», 23 anni, madre della piccola Michela.
Da allora Susana, nonna minuta ma indomita di 52 anni, discendente da emigrati napoletani, ha cercato ovunque in Argentina. E ha fatto di tutto per trovarla: si è perfino travestita da prostituta per raccogliere informazioni nei bordelli. «Hanno tentato di uccidermi due volte, mi minacciano continuamente, ma non mi fermeranno» dice a Panorama.
La madre coraggio argentina vive in una casa con giardinetto nel centro di San Miguel, in calle Thames, insieme con il marito Juan, impiegato al ministero della Sanità. Il rapimento della figlia lo ha schiantato: è caduto in depressione e l'anno scorso è stato colpito da un ictus, da cui si è ripreso. La piccola Micaela sa solo quello che le ha raccontato la nonna: «La tua mamma se la sono portata via i "ladrones": un giorno io la libererò e torneremo a vivere felici».
Nella sua stanzetta la piccina ha messo due angioletti di fianco alla foto della madre: «Li ho messi lì perché la proteggano dovunque sia» sospira. Suo padre David, senza lavoro fisso, va a trovarla ogni tanto, ma non partecipa alla ricerca della compagna, con cui conviveva fino al sequestro.
La piaga di giovani donne rapite, riempite di botte e droga per convincerle a lavorare nei bordelli (permessi dalla legge se le donne si dicono consenzienti), dilaga in Argentina: una commissione parlamentare ha registrato almeno 300 casi. Secondo stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Argentina si può comprare una schiava del sesso pagandola tra i 150 e i 5 mila pesos (40-1.250 euro). E il quotidiano Clarín denuncia: «Nel nostro paese la tratta delle donne non è considerata reato».
«Fino a quando rapirono Marita la mia vita era tranquilla» ricorda Susana. «Ero un'impiegata statale, mia figlia conviveva con David, era iscritta all'università e gestiva un piccolo supermercato che andava discretamente».
L'odissea è cominciata quando un gruppo di delinquenti che la pedinava da tempo ferma la giovane per strada (era circa mezzogiorno), la stordisce e la butta in un'auto. Quando la famiglia non la vede tornare, capisce che è successo qualcosa di grave: Marita telefonava sempre in caso di ritardo. I Verón cominciano subito a cercarla negli ospedali. Denunciano la scomparsa alla polizia.
«Poi una telefonata anonima avverte mio marito che nostra figlia è stata rapita e venduta per 2.500 pesos» (640 euro) racconta questa madre coraggio con la voce che ancora tradisce l'emozione e la rabbia. «Quel giorno inizia anche il mio viaggio nell'inferno della prostituzione». Non si ferma davanti a nulla, si finge lei stessa prostituta: nome d'arte Mariela.
La famiglia Verón comincia le ricerche per conto proprio: non si può permettere un investigatore privato e la polizia locale sembra non darsi un gran daffare per trovare la sequestrata. L'indagine è difficile, le bande spostano continuamente le prostitute: l'Argentina è un paese federale e, quando si cambia stato, tutto si arena.
Le prime segnalazioni portano al limitrofo stato della Rioja: Susana partecipa anche a un'irruzione della polizia, ma della figlia nessuna traccia. Finché un poliziotto dal cuore tenero le lascia fotocopiare l'agendina sequestrata a uno sfruttatore di alto livello: ci sono gli indirizzi di decine di bordelli sparsi in tutto il paese.
Mentre continua a fare la nonna e la moglie che assiste il marito minato dalla depressione, mentre concede interviste a giornali e tv, mentre apre un sito internet con le foto della figlia, Susana non molla la caccia sul campo: «Per tre volte mi sono finta prostituta, l'ultima l'anno scorso. Mi mettevo una parrucca bionda, minigonna, tacchi a spillo, e mi fingevo una maîtresse che voleva comprare o vendere donne nei bordelli».
Ogni volta portava con sé la foto della figlia. Finché una prostituta le dà la dritta di dove può trovare Marita: un bordello chiamato Desafio, oggi La Isla. Però il giudice che riceve la denuncia al mattino ordina l'irruzione solo la sera. E della figlia non c'è più traccia. «Una parte della polizia è corrotta e vende informazioni agli sfruttatori» accusa Susana. «Ecco perché faccio la detective solitaria, o insieme ad altre madri nelle mie condizioni».
Marita non l'ha più trovata, però ha contribuito a liberare 96 ragazze, partecipando a 92 operazioni di polizia. Molte prostitute assicurano di aver visto Marita. Come Anahi, 26 anni, liberata nel 2002 e rifugiatasi a casa Verón per due mesi. Un'altra le ha confidato che la figlia è stata portata in Spagna nel 2004, in provincia di Burgos. Lei è corsa a denunciare il fatto a Buenos Aires, il ministero della Giustizia ha attivato l'Interpol ed effettivamente sono state trovate 12 argentine portate a forza nei bordelli di oltre Atlantico.
Ma ancora una volta Marita non è tra quelle. «Penso che mia figlia sia continuamente spostata per tutta l'Argentina, ma non mollo. So di battermi contro organizzazioni molto potenti e con ramificazioni internazionali: ho anche informazioni secondo cui la mafia della tratta delle bianche ha portato a prostituirsi in Argentina anche alcune donne sequestrate in Italia» dice Verón.
In questi quattro anni e mezzo di ricerche Susana ha dovuto lasciare il lavoro, vendere il negozio, la casa della figlia e l'unica auto che possedeva. Oggi vive con il magro stipendio del marito: 890 pesos, 230 euro al mese. Lo stato e il comune non le passano sussidi e la polizia non le offre una scorta, nonostante le minacce di morte per telefono e per email.
Ora, dopo i suoi incontri con il presidente dell'Argentina Néstor Kirchner e con il ministro della Giustizia, riceve ogni tanto un rimborso per le spese e, soprattutto, ha ottenuto che il suo caso sia seguito dalla Gendarmeria nacional (l'equivalente dei carabinieri italiani, di cui si fida e con cui collabora). Anche una star della musica latina come Ricky Martin ha offerto denaro e collaborazione per costituire una fondazione internazionale che combatta la tratta delle bianche. Il nome è già stato scelto: Vida y libertad.
Susana ha una certezza: «Ritroverò mia figlia». E un sogno: «Voglio il passaporto italiano, che mi spetta perché mio nonno arrivò da Napoli quando aveva 11 anni. E, una volta ritrovata Marita, vorrei visitare con lei, mio marito e la mia nipotina la città da cui partirono i miei avi, riscoprire le mie radici. Abbiamo tanto bisogno di staccarci per un po' da questo paese».
Susana continua la sua lotta e cerca di non farsi spaventare. Anche se i trafficanti di donne hanno alzato il tiro: poco prima del colloquio con Panorama le sono arrivate quattro email: «Sequestreremo anche tua nipote e le faremo fare la prostituta proprio come stiamo facendo con sua madre».
mi viene una tristezza a leggere ste cose e anche qui in europa ce ne freghiamo, lasciamo che questa gentaglia schiavizzi ragazzine :( al massimo gli diamo qualche anno di carcere mentre queste povere ragazze non so quante malattie si prendono