gourmet
17-11-2006, 11:51
http://www.referendumelettorale.org/referendum00/
Referendum sulla legge elettorale: motivi istituzionali e pratici
di Giovanni Guzzetta
1. L’ipotesi tecnica di un referendum sulla legge elettorale
Com’è noto, la nuova disciplina elettorale di Camera e Senato (così come introdotta con l. legge n. 270 del 2005) è costruita intorno alla scelta fondamentale del sistema proporzionale. Questo è, tuttavia, corretto in un duplice modo. Sono introdotte delle soglie di sbarramento (differenziate a seconda che un partito sia o meno coalizzato ad altri) ed è previsto un premio di maggioranza per la lista o la coalizione di liste che abbia ottenuto il maggior numero di seggi, senza conseguire però, in base al solo calcolo proporzionale, una maggioranza assoluta.
La legislazione elettorale disegna, a tal proposito, una doppia categoria di potenziali beneficiari del premio: singole liste o coalizioni di liste. Essa, dunque, contempla e disciplina l’ipotesi (certo improbabile) che una singola lista ottenga la maggioranza relativa dei seggi e che dunque il premio sia assegnato ad essa e non ad una coalizione di liste (che, in ipotesi, abbia ottenuto un minore consenso).
La circostanza che beneficiarie del premio di maggioranza possano essere alternativamente “liste” o “coalizioni di liste” offre la possibilità di un intervento abrogativo mirato ad espungere le disposizioni che si riferiscono a queste ultime.
Detto in altri termini, se si abrogasse la disciplina sulla facoltà di collegamento tra liste, il premio di maggioranza sarebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi.
Da colpire sarebbe pertanto la disposizione che consente il collegamento (cfr. art. 14-bis D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361) nonché quelle che stabiliscono l’assegnazione dei seggi e del premio alle “coalizioni di liste” (cfr. art. 83, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e 16 s. D.Lgs. 20-12-1993 n. 533).
Resterebbero comunque in vigore le norme sull’indicazione del “capo della forza politica” e sul programma elettorale (art. 14-bis comma 3, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361). Inoltre, si applicherebbero le soglie di sbarramento attualmente previste per le singole liste (4 % alla Camera e 8 % al Senato). I partiti minori (purchè raggiungano la soglia del 4 % già prevista dal Mattarellum) avrebbero comunque una rappresentanza alla Camera, attraverso la quale godere di un diritto di tribuna.
Alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale, non sembra che, sul piano dell’ammissibilità, possano esservi inconvenienti di sorta. L’abrogazione delle norme che prevedono il collegamento tra le liste apparirebbe senz’altro ispirata da una chiara finalità unitaria ed il relativo quesito risulterebbe omogeneo.
Quanto poi alla normativa di risulta essa sarebbe autosufficiente, in quanto è la legge stessa a prevedere, già da ora, la possibilità che il premio di maggioranza possa essere attribuito ad una singola lista, piuttosto che ad una coalizione di liste. L’intervento, dunque, non potrebbe forse nemmeno considerarsi, a rigori, “manipolativo”.
2. Gli effetti politico-istituzionali del referendum
Il sistema elettorale che verrebbe fuori da una simile abrogazione spingerebbe verosimilmente gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase preelettorale, l’unificazione della rappresentanza in un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, uno una prospettiva tendenzialmente bipartitica.
Conseguentemente si eliminarebbe la frammentazione infracoalizionale, la quale ha causato, già con il Mattarellum, una deleteria schizofrenia tra identità unitaria (di coalizione) e identità parziali e conflittuali (di partito) all’interno di essa. Circostanza accentuata ancora di più dalla attuale legge, la quale cancella formalmente la “coalizione” sulla scheda (trasformandola, di fatto, in un cartello elettorale) e lascia figurare solo i singoli partiti.
Tutt’al contrario l’obbligo di singole liste unitarie, capovolgerebbe il baricentro politico degli schieramenti, dando visibilità esclusivamente all’aggregazione complessiva. Le singole componenti, non solo non sarebbero rilevabili in quanto tali attraverso simboli separati, ma non sarebbero nemmeno “censibili” al momento del voto. Il che farebbe venir meno gran parte della “legittimazione all’interdizione” di cui esse oggi godono nelle relazioni interne all’alleanza grazie alla quota di consenso relativo, che la legge elettorale consente formalmente di certificare.
Una volta rese indistinguibili le quotazioni dell’una e dell’altra componente, sarebbe politicamente assai più difficile legittimare, durante la legislatura, divaricazioni di linea politica in nome dell’identità parziale.
Certo nessuno può escludere – successivamente al voto - una diaspora parlamentare, una disgregazione delle componenti, ma rispetto a questo problema ed al principio del libero mandato parlamentare non c’è nessuna legge elettorale che tenga, trattandosi semmai di intervenire sul piano dei regolamenti parlamentari. Non si può però dubitare che il costo politico di comportamenti disgregativi nella maggioranza diventerebbe, con il sistema prospettato, decisamente molto alto. Anche perché la “capacità di aggregazione” potrebbe diventare una “dote” premiata dagli elettori nella competizione elettorale tra coalizioni.
D’altra parte, la previsione di un’assegnazione dei seggi comunque proporzionale, consentirebbe ai partiti che non vogliano concorrere per il premio di maggioranza, ma aspirino solo a godere di un “diritto di tribuna”, di presentarsi autonomamente con il proprio simbolo e di ottenere seggi in proporzione al proprio consenso (purché superino la soglia di sbarramento).
Il premio, infatti, si giustifica solo con la pretesa di conquistare la maggioranza di governo e richiederebbe pertanto il raggiungimento di una preventiva omogeneità politico-programmatica testimoniata dalla presentazione di un’unica lista, un unico programma e un unico candidato Premier.
Nessuno si nasconde la circostanza che si tratterebbe pur sempre di un sistema condizionato dall’origine “referendaria” della disciplina e dalla ristrettezza dei margini di intervento abrogativo, alla luce della giurisprudenza costituzionale. Non si potrebbe ad esempio eliminare la previsione di circoscrizioni amplissime e di liste bloccate, che solo procedure di selezione sul modello delle primarie all’interno degli schieramenti potrebbero, forse, mitigare.
Certo, ancora una volta, le strategie riformiste non potranno prescindere dalla variabile politica, costituita, innanzitutto, dalle scelte dei partiti, cui spetta, in prima battuta, la selezione delle politiche istituzionali. Ma se è vero quanto si diceva all’inizio sulle difficoltà decennali di coagulare maggioranze parlamentari intorno a soluzioni condivise e durature, soluzioni “di riserva” possono costituire un utile stimolo e, all’occorrenza, un utile strumento.
D’altra parte, anche sul piano degli esiti, la soluzione normativa che si configurerebbe costituisce comunque un significativo passo avanti rispetto alla legislazione attuale. L’eliminazione di composite e rissose coalizioni imporrebbe al sistema politico una sterzata esattamente opposta a quella che si sta determinando. Piuttosto che l’inarrestabile frammentazione in liste e listine, che oggi vanificano – grazie a norme bizantine e ipocrite - qualsiasi soglia di sbarramento, il nuovo sistema imporrebbe una notevole semplificazione, lasciando comunque un diritto di tribuna alle forze che non intendano correre per il governo, purché abbiano un consenso significativo (il 4 % alla Camera). Le formazioni che vogliono concorrere per il premio di maggioranza dovrebbero, invece, rinunziare a quel virus di instabilità che si riassume nell’attuale contraddizione di coalizioni in cui si corre insieme per il premio e ci si combatte per sottrarre consenso agli alleati. Solo liste unitarie potrebbero candidarsi alla guida del Paese. Il bipolarismo, inveratosi nel tendenziale bipartitismo, ne guadagnerebbe in chiarezza e responsabilità .
3. Un referendum per colpire le candidature multiple e la conseguente cooptazione oligarchica della classe politica.
Un secondo quesito referendario mira a colpire un altro aspetto della deriva notabilare e oligarchica impressa dalla legge elettorale. In particolare attacca quella peculiare e odiosa forma di cooptazione che consegue alle possibilità generalizzata e illimitata di candidature multiple consentite dall’attuale legge. L’eletto in più circoscrizioni (il “plurieletto”) è infatti signore del destino di tutti gli altri candidati la cui elezione dipende dalla propria opzione. Questo fenomeno, unico per dimensioni nel panorama comparato, coinvolge circa 1/3 dei parlamentari. Una cifra enorme. L’elemento più grave è che induce inevitabilmente atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità alla subordinazione dei cooptandi, atteggiamenti che danneggiano fortemente la dignità e la natura della funzione parlamentare.
Per questa ragione è auspicabile l’eliminazione – sempre mediante referendum - della facoltà di candidature multiple sia alla Camera che al Senato.
Né, d’altra parte convince l’argomento che la presentazione in più circoscrizioni servirebbe a nazionalizzare la competizione ed a rafforzare la leadership. Tony Blair e molti altri leaders europei si presentano diligentemente in un singolo collegio e non per questo è carente di leadership.
Referendum sulla legge elettorale: motivi istituzionali e pratici
di Giovanni Guzzetta
1. L’ipotesi tecnica di un referendum sulla legge elettorale
Com’è noto, la nuova disciplina elettorale di Camera e Senato (così come introdotta con l. legge n. 270 del 2005) è costruita intorno alla scelta fondamentale del sistema proporzionale. Questo è, tuttavia, corretto in un duplice modo. Sono introdotte delle soglie di sbarramento (differenziate a seconda che un partito sia o meno coalizzato ad altri) ed è previsto un premio di maggioranza per la lista o la coalizione di liste che abbia ottenuto il maggior numero di seggi, senza conseguire però, in base al solo calcolo proporzionale, una maggioranza assoluta.
La legislazione elettorale disegna, a tal proposito, una doppia categoria di potenziali beneficiari del premio: singole liste o coalizioni di liste. Essa, dunque, contempla e disciplina l’ipotesi (certo improbabile) che una singola lista ottenga la maggioranza relativa dei seggi e che dunque il premio sia assegnato ad essa e non ad una coalizione di liste (che, in ipotesi, abbia ottenuto un minore consenso).
La circostanza che beneficiarie del premio di maggioranza possano essere alternativamente “liste” o “coalizioni di liste” offre la possibilità di un intervento abrogativo mirato ad espungere le disposizioni che si riferiscono a queste ultime.
Detto in altri termini, se si abrogasse la disciplina sulla facoltà di collegamento tra liste, il premio di maggioranza sarebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi.
Da colpire sarebbe pertanto la disposizione che consente il collegamento (cfr. art. 14-bis D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361) nonché quelle che stabiliscono l’assegnazione dei seggi e del premio alle “coalizioni di liste” (cfr. art. 83, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e 16 s. D.Lgs. 20-12-1993 n. 533).
Resterebbero comunque in vigore le norme sull’indicazione del “capo della forza politica” e sul programma elettorale (art. 14-bis comma 3, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361). Inoltre, si applicherebbero le soglie di sbarramento attualmente previste per le singole liste (4 % alla Camera e 8 % al Senato). I partiti minori (purchè raggiungano la soglia del 4 % già prevista dal Mattarellum) avrebbero comunque una rappresentanza alla Camera, attraverso la quale godere di un diritto di tribuna.
Alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale, non sembra che, sul piano dell’ammissibilità, possano esservi inconvenienti di sorta. L’abrogazione delle norme che prevedono il collegamento tra le liste apparirebbe senz’altro ispirata da una chiara finalità unitaria ed il relativo quesito risulterebbe omogeneo.
Quanto poi alla normativa di risulta essa sarebbe autosufficiente, in quanto è la legge stessa a prevedere, già da ora, la possibilità che il premio di maggioranza possa essere attribuito ad una singola lista, piuttosto che ad una coalizione di liste. L’intervento, dunque, non potrebbe forse nemmeno considerarsi, a rigori, “manipolativo”.
2. Gli effetti politico-istituzionali del referendum
Il sistema elettorale che verrebbe fuori da una simile abrogazione spingerebbe verosimilmente gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase preelettorale, l’unificazione della rappresentanza in un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, uno una prospettiva tendenzialmente bipartitica.
Conseguentemente si eliminarebbe la frammentazione infracoalizionale, la quale ha causato, già con il Mattarellum, una deleteria schizofrenia tra identità unitaria (di coalizione) e identità parziali e conflittuali (di partito) all’interno di essa. Circostanza accentuata ancora di più dalla attuale legge, la quale cancella formalmente la “coalizione” sulla scheda (trasformandola, di fatto, in un cartello elettorale) e lascia figurare solo i singoli partiti.
Tutt’al contrario l’obbligo di singole liste unitarie, capovolgerebbe il baricentro politico degli schieramenti, dando visibilità esclusivamente all’aggregazione complessiva. Le singole componenti, non solo non sarebbero rilevabili in quanto tali attraverso simboli separati, ma non sarebbero nemmeno “censibili” al momento del voto. Il che farebbe venir meno gran parte della “legittimazione all’interdizione” di cui esse oggi godono nelle relazioni interne all’alleanza grazie alla quota di consenso relativo, che la legge elettorale consente formalmente di certificare.
Una volta rese indistinguibili le quotazioni dell’una e dell’altra componente, sarebbe politicamente assai più difficile legittimare, durante la legislatura, divaricazioni di linea politica in nome dell’identità parziale.
Certo nessuno può escludere – successivamente al voto - una diaspora parlamentare, una disgregazione delle componenti, ma rispetto a questo problema ed al principio del libero mandato parlamentare non c’è nessuna legge elettorale che tenga, trattandosi semmai di intervenire sul piano dei regolamenti parlamentari. Non si può però dubitare che il costo politico di comportamenti disgregativi nella maggioranza diventerebbe, con il sistema prospettato, decisamente molto alto. Anche perché la “capacità di aggregazione” potrebbe diventare una “dote” premiata dagli elettori nella competizione elettorale tra coalizioni.
D’altra parte, la previsione di un’assegnazione dei seggi comunque proporzionale, consentirebbe ai partiti che non vogliano concorrere per il premio di maggioranza, ma aspirino solo a godere di un “diritto di tribuna”, di presentarsi autonomamente con il proprio simbolo e di ottenere seggi in proporzione al proprio consenso (purché superino la soglia di sbarramento).
Il premio, infatti, si giustifica solo con la pretesa di conquistare la maggioranza di governo e richiederebbe pertanto il raggiungimento di una preventiva omogeneità politico-programmatica testimoniata dalla presentazione di un’unica lista, un unico programma e un unico candidato Premier.
Nessuno si nasconde la circostanza che si tratterebbe pur sempre di un sistema condizionato dall’origine “referendaria” della disciplina e dalla ristrettezza dei margini di intervento abrogativo, alla luce della giurisprudenza costituzionale. Non si potrebbe ad esempio eliminare la previsione di circoscrizioni amplissime e di liste bloccate, che solo procedure di selezione sul modello delle primarie all’interno degli schieramenti potrebbero, forse, mitigare.
Certo, ancora una volta, le strategie riformiste non potranno prescindere dalla variabile politica, costituita, innanzitutto, dalle scelte dei partiti, cui spetta, in prima battuta, la selezione delle politiche istituzionali. Ma se è vero quanto si diceva all’inizio sulle difficoltà decennali di coagulare maggioranze parlamentari intorno a soluzioni condivise e durature, soluzioni “di riserva” possono costituire un utile stimolo e, all’occorrenza, un utile strumento.
D’altra parte, anche sul piano degli esiti, la soluzione normativa che si configurerebbe costituisce comunque un significativo passo avanti rispetto alla legislazione attuale. L’eliminazione di composite e rissose coalizioni imporrebbe al sistema politico una sterzata esattamente opposta a quella che si sta determinando. Piuttosto che l’inarrestabile frammentazione in liste e listine, che oggi vanificano – grazie a norme bizantine e ipocrite - qualsiasi soglia di sbarramento, il nuovo sistema imporrebbe una notevole semplificazione, lasciando comunque un diritto di tribuna alle forze che non intendano correre per il governo, purché abbiano un consenso significativo (il 4 % alla Camera). Le formazioni che vogliono concorrere per il premio di maggioranza dovrebbero, invece, rinunziare a quel virus di instabilità che si riassume nell’attuale contraddizione di coalizioni in cui si corre insieme per il premio e ci si combatte per sottrarre consenso agli alleati. Solo liste unitarie potrebbero candidarsi alla guida del Paese. Il bipolarismo, inveratosi nel tendenziale bipartitismo, ne guadagnerebbe in chiarezza e responsabilità .
3. Un referendum per colpire le candidature multiple e la conseguente cooptazione oligarchica della classe politica.
Un secondo quesito referendario mira a colpire un altro aspetto della deriva notabilare e oligarchica impressa dalla legge elettorale. In particolare attacca quella peculiare e odiosa forma di cooptazione che consegue alle possibilità generalizzata e illimitata di candidature multiple consentite dall’attuale legge. L’eletto in più circoscrizioni (il “plurieletto”) è infatti signore del destino di tutti gli altri candidati la cui elezione dipende dalla propria opzione. Questo fenomeno, unico per dimensioni nel panorama comparato, coinvolge circa 1/3 dei parlamentari. Una cifra enorme. L’elemento più grave è che induce inevitabilmente atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità alla subordinazione dei cooptandi, atteggiamenti che danneggiano fortemente la dignità e la natura della funzione parlamentare.
Per questa ragione è auspicabile l’eliminazione – sempre mediante referendum - della facoltà di candidature multiple sia alla Camera che al Senato.
Né, d’altra parte convince l’argomento che la presentazione in più circoscrizioni servirebbe a nazionalizzare la competizione ed a rafforzare la leadership. Tony Blair e molti altri leaders europei si presentano diligentemente in un singolo collegio e non per questo è carente di leadership.