Adric
24-10-2006, 05:57
Lunedì 23 Ottobre 2006
La decisione del sindaco Emili che l’estate scorsa vietò Jovanotti
Rieti, una strada a Pavolini: insorge la sinistra
La giunta ricorda il gerarca fascista: «Forti i suoi legami con la nostra montagna»
di PAOLO RICCI BITTI
RIETI - Rieti? Indietro a destra. Non fosse bastato il Monte Giano e quella scritta DUX del 1939 vasta otto campi da calcio e visibile da Roma specie dopo il restauro voluto dalla Giunta Storace ora è il Terminillo a prestare palina e marmorea targa ad Alessandro Pavolini, che avrà una strada intitolata a suo nome in quanto «intellettuale toscano» e fra gli artefici del lancio turistico di quella che Mussolini in persona volle che fosse la Montagna di Roma. A deliberarlo all’unanimità è stata, un po’ in sordina, la Giunta cittadina di centro destra guidata da Giuseppe Emili (An) su proposta dell’assessore Chicco Costini, presidente provinciale del partito e fedelissimo di Gianni Alemanno. Così, con l’ingegnere che al Terminillo costruì la funivia e la guida locale che su quelle piste insegnò a sciare a tutti i Mussolini, si è trovata una strada (l’ormai ex via dei Ginepri) e una motivazione (intellettuale toscano, appunto) anche per uno dei gerarchi più violenti e intransigenti del Regime: dopo aver perfezionato sul modello tedesco la macchina della propaganda col Ministero della Cultura Popolare (guidato dal 1939 al 1943). seguì fino in fondo Mussolini nell’avventura senza ritorno della Repubblica Sociale quale generale comandante delle Brigate nere.
Per carità, il legame di Pavolini col Terminillo fu assai meno cruento e soprattutto più labile: aveva casa, lassù, dove peraltro sembra si trovasse il 25 luglio del ’43 mentre a Roma altri gerarchi sfiduciavano Mussolini aprendo l’ultima parentesi del regime in Italia che si sarebbe chiusa anche per lo stesso gerarca Pavolini nell’aprile del ’45 a Dongo. Punto. Dev’essere per questo che il sindaco Emili ripete che «è irrilevante che fosse un gerarca fascista, la scelta di una strada per lui è frutto del legame che aveva con la nostra montagna». Immediata in città è scattata la protesta del centro sinistra - Ds, Rifondazione, Sinistra giovanile, Giovani comunisti - come pure della sezione provinciale e regionale dell’Anpi. Distratta invece, finora, la Provincia, anch’essa di centro sinsistra.
«E’ incredibile che si parli di queste cose in un territorio dove ogni anno commemoriamo gli eccidi nazi-fascisti di Leonessa, del Tancia, di Poggio Bustone e delle Fosse reatine», dice indignato Aladino Lombardi, segretario dell’associazione nazionale partigiani del Lazio che si prepara a verificare la legittimità dell’intitolazione anche alla luce della legge Mancino del 1993.
Una mossa, quella del sindaco Emili (che l’estate scorsa scalò le cronache nazionali con il suo ”no” al concerto di Jovanotti, «lesivo della salute dei giovani») che non ha eguali in Italia: all’Aquila c’è sì una contestatissima via Adelchi Serena, pure lui ministro nel Ventennio e personalità di spicco nel Regime, ma fu tra coloro che anche politicamente al Duce sopravvisse e come lui, anzi di più, il ministro Araldo Di Crollanza a Bari, più volte senatore nel Movimento sociale. Ed entrambi ecco ciò che più va sottolineato furono podestà nello loro città che da loro ricevettero concrete attenzioni soprattutto in fatto di opere pubbliche. Rieti però, in quanto a podestà, ha già più che dato: Alberto Mario Marcucci, il più rappresentativo dei tre avuti nel Ventennio, ha ottenuto un ”largo” in città nel 1980 ed ora, con l’ultima infornata, anche una via sul Terminillo, accanto a via Pavolini.
Problema più del postino che degli storici, certo. Sta di fatto che Firenze, dove nacque, si è ben guardata dall’intitolargli alcunché, come d’altronde ha fatto Cremona con Roberto Farinacci o Ravenna con Ettore Muti. A Rieti, meglio, sul Terminillo, c’è posto per tutti e l’unico a destra a dolersi di via Pavolini sembra essere l’ex sindaco Antonio Cicchetti, capogruppo di An alla Regione. «Perché lui e non direttamente Mussolini? In fondo fu lui a inventarsi il Terminillo».
(ha collaborato A.Lancia)
(Il Messaggero)
Lunedì 23 Ottobre 2006
«Non revisionismo, ma farsa»
Lo storico Gentile: «Risibile definire quel fascista un intellettuale»
di ALESSANDRA LANCIA
RIETI «Una strada sul Terminillo intitolata ad Alessandro Pavolini intellettuale toscano ? Ma allora perché non a Benito Mussolini intellettuale romagnolo e vero ideatore della Montagna di Roma?».
Rinuncia al commento e opta per una battuta, Emilio Gentile: ordinario di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma (dove ha diviso studi, libri e persino la stanza con il maestro Renzo De Felice, reatino d’origine, che infatti in città ha già una via intitolata al suo nome) ha dedicato gran parte dei suoi libri all’analisi del rapporto tra l’anima totalitaria e quella autoritaria del Fascismo.
E Alessandro Pavolini, della prima, era senz’altro una delle espressioni meglio riuscite con la sua carica di intransingenza e di violenza che lo portò dai vertici del Regime - ministro della Cultura Popolare dal 1939 al 1943 - e poi a quelli della Repubblica Sociale.
«Faccio una fatica enorme a calarmi in questi contesti: qui d’altronde non si fa nemmeno del revisionismo, qui siamo proprio alla farsa.
La stessa definizione scelta per intitolargli una strada, intellettuale toscano, è per lo meno risibile: il padre lo fu senz’altro e dei più autorevoli, lui fu un mediocrissimo scrittore di nessun valore.
E poi ripeto, se imbocchiamo questa pista perché non dedicare una via a Benito Mussolini intellettuale romagnolo, oppure a Beria assistente sociale?».
(Il Messaggero)
La decisione del sindaco Emili che l’estate scorsa vietò Jovanotti
Rieti, una strada a Pavolini: insorge la sinistra
La giunta ricorda il gerarca fascista: «Forti i suoi legami con la nostra montagna»
di PAOLO RICCI BITTI
RIETI - Rieti? Indietro a destra. Non fosse bastato il Monte Giano e quella scritta DUX del 1939 vasta otto campi da calcio e visibile da Roma specie dopo il restauro voluto dalla Giunta Storace ora è il Terminillo a prestare palina e marmorea targa ad Alessandro Pavolini, che avrà una strada intitolata a suo nome in quanto «intellettuale toscano» e fra gli artefici del lancio turistico di quella che Mussolini in persona volle che fosse la Montagna di Roma. A deliberarlo all’unanimità è stata, un po’ in sordina, la Giunta cittadina di centro destra guidata da Giuseppe Emili (An) su proposta dell’assessore Chicco Costini, presidente provinciale del partito e fedelissimo di Gianni Alemanno. Così, con l’ingegnere che al Terminillo costruì la funivia e la guida locale che su quelle piste insegnò a sciare a tutti i Mussolini, si è trovata una strada (l’ormai ex via dei Ginepri) e una motivazione (intellettuale toscano, appunto) anche per uno dei gerarchi più violenti e intransigenti del Regime: dopo aver perfezionato sul modello tedesco la macchina della propaganda col Ministero della Cultura Popolare (guidato dal 1939 al 1943). seguì fino in fondo Mussolini nell’avventura senza ritorno della Repubblica Sociale quale generale comandante delle Brigate nere.
Per carità, il legame di Pavolini col Terminillo fu assai meno cruento e soprattutto più labile: aveva casa, lassù, dove peraltro sembra si trovasse il 25 luglio del ’43 mentre a Roma altri gerarchi sfiduciavano Mussolini aprendo l’ultima parentesi del regime in Italia che si sarebbe chiusa anche per lo stesso gerarca Pavolini nell’aprile del ’45 a Dongo. Punto. Dev’essere per questo che il sindaco Emili ripete che «è irrilevante che fosse un gerarca fascista, la scelta di una strada per lui è frutto del legame che aveva con la nostra montagna». Immediata in città è scattata la protesta del centro sinistra - Ds, Rifondazione, Sinistra giovanile, Giovani comunisti - come pure della sezione provinciale e regionale dell’Anpi. Distratta invece, finora, la Provincia, anch’essa di centro sinsistra.
«E’ incredibile che si parli di queste cose in un territorio dove ogni anno commemoriamo gli eccidi nazi-fascisti di Leonessa, del Tancia, di Poggio Bustone e delle Fosse reatine», dice indignato Aladino Lombardi, segretario dell’associazione nazionale partigiani del Lazio che si prepara a verificare la legittimità dell’intitolazione anche alla luce della legge Mancino del 1993.
Una mossa, quella del sindaco Emili (che l’estate scorsa scalò le cronache nazionali con il suo ”no” al concerto di Jovanotti, «lesivo della salute dei giovani») che non ha eguali in Italia: all’Aquila c’è sì una contestatissima via Adelchi Serena, pure lui ministro nel Ventennio e personalità di spicco nel Regime, ma fu tra coloro che anche politicamente al Duce sopravvisse e come lui, anzi di più, il ministro Araldo Di Crollanza a Bari, più volte senatore nel Movimento sociale. Ed entrambi ecco ciò che più va sottolineato furono podestà nello loro città che da loro ricevettero concrete attenzioni soprattutto in fatto di opere pubbliche. Rieti però, in quanto a podestà, ha già più che dato: Alberto Mario Marcucci, il più rappresentativo dei tre avuti nel Ventennio, ha ottenuto un ”largo” in città nel 1980 ed ora, con l’ultima infornata, anche una via sul Terminillo, accanto a via Pavolini.
Problema più del postino che degli storici, certo. Sta di fatto che Firenze, dove nacque, si è ben guardata dall’intitolargli alcunché, come d’altronde ha fatto Cremona con Roberto Farinacci o Ravenna con Ettore Muti. A Rieti, meglio, sul Terminillo, c’è posto per tutti e l’unico a destra a dolersi di via Pavolini sembra essere l’ex sindaco Antonio Cicchetti, capogruppo di An alla Regione. «Perché lui e non direttamente Mussolini? In fondo fu lui a inventarsi il Terminillo».
(ha collaborato A.Lancia)
(Il Messaggero)
Lunedì 23 Ottobre 2006
«Non revisionismo, ma farsa»
Lo storico Gentile: «Risibile definire quel fascista un intellettuale»
di ALESSANDRA LANCIA
RIETI «Una strada sul Terminillo intitolata ad Alessandro Pavolini intellettuale toscano ? Ma allora perché non a Benito Mussolini intellettuale romagnolo e vero ideatore della Montagna di Roma?».
Rinuncia al commento e opta per una battuta, Emilio Gentile: ordinario di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma (dove ha diviso studi, libri e persino la stanza con il maestro Renzo De Felice, reatino d’origine, che infatti in città ha già una via intitolata al suo nome) ha dedicato gran parte dei suoi libri all’analisi del rapporto tra l’anima totalitaria e quella autoritaria del Fascismo.
E Alessandro Pavolini, della prima, era senz’altro una delle espressioni meglio riuscite con la sua carica di intransingenza e di violenza che lo portò dai vertici del Regime - ministro della Cultura Popolare dal 1939 al 1943 - e poi a quelli della Repubblica Sociale.
«Faccio una fatica enorme a calarmi in questi contesti: qui d’altronde non si fa nemmeno del revisionismo, qui siamo proprio alla farsa.
La stessa definizione scelta per intitolargli una strada, intellettuale toscano, è per lo meno risibile: il padre lo fu senz’altro e dei più autorevoli, lui fu un mediocrissimo scrittore di nessun valore.
E poi ripeto, se imbocchiamo questa pista perché non dedicare una via a Benito Mussolini intellettuale romagnolo, oppure a Beria assistente sociale?».
(Il Messaggero)