dantes76
17-10-2006, 08:22
UN DURO COLPO
di Paul Krugman traduzione italiana di Aldo Carpanelli
Pubblicato il 14/05/2004 su “New York Times”
[Il titolo originale, “A Crude Shock”, proponeva un gioco di parole intraducibile che può essere spiegato riportando il fatto che in inglese “crude” significa contemporaneamente “petrolio greggio” e “duro, brutale”; anche “shock” ha una miriade di significati, per cui il doppio senso ne risultava fortemente enfatizzato - N.d.T.]
Fino ad ora, la crisi petrolifera mondiale attuale non sembra per nulla alle crisi del 1973 o del 1979. Questa è la ragione per la quale fa tanta paura.
Le crisi degli anni ‘70 cominciarono con grandi interruzioni delle forniture: l’embargo petrolifero arabo successivo alla guerra arabo-israeliana del 1973, e la rivoluzione iraniana del 1979. Questa volta, nonostante il caos in Iraq, non è ancora nulla di simile... per ora. Ciononostante, a causa della crescente domanda indotta dai sempre maggiori consumi cinesi, il mercato petrolifero mondiale è già teso come una corda di violino, e i prezzi del greggio sono di dodici dollari al barile superiori di quanto non fossero un anno fa. Che accadrebbe se qualcosa dovesse veramente andare male?
Consentitemi di metterla diversamente: l’ultima volta che i prezzi sono stati così alti, in corrispondenza della Guerra del Golfo del 1991, c’era un notevole margine di produzione nel mondo, per cui c’erano gli spazi per affrontare una importante interruzione delle forniture qualora si fossero verificate. Questa volta non è così.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) stima i margini della produzione petrolifera mondiale in circa 2,5 milioni di barili al giorno, quasi interamente nella regione del Golfo Persico. Essa predice anche che la domanda globale di petrolio nel 2004 sarà, in media, di 2 milioni di barili al di sopra di quella del 2003. Ora, immaginate cosa accadrebbe se si verificassero ancor più attacchi ben riusciti agli oleodotti iracheni da parte dei guerriglieri o, non sia mai, una qualche instabilità in Arabia Saudita. Nei fatti, anche senza una interruzione delle forniture, è difficile immaginare da dove verrebbe il petrolio necessario per soddisfare una domanda in crescita.
Ma, un momento: le leggi fondamentali dell’economia dicono che i mercati sono in grado di far fronte agevolmente ad una domanda che eccede l’offerta. I prezzi salgono, i produttori sono incentivati a produrre di più mentre i consumatori sono incentivati a consumare di meno, e il mercato ritorna ad una condizione di equilibrio. Non sarà anche il caso del petrolio?
Certo, sarà così. La domanda è quanto tempo ci vorrà e di quanto saliranno i prezzi nel frattempo.
Per rendervi conto del problema, pensate alla benzina. Prezzi della benzina elevati portano ad automobili che consumano meno carburante: nel 1990, il veicolo americano medio percorreva il 40% di strada in meno per ogni litro di benzina rispetto al 1973. Ma sostituire le vecchie automobili con altre nuove, richiede anni [e, aggiungo io, costruire quelle auto richiede energia, ancor più energia di quanta se ne sprechi tenendosi le vecchie auto meno efficienti fino alla fine del loro periodo naturale di esercizio - N.d.T.]. Nella fase iniziale della sua reazione a una diminuzione delle forniture di benzina, la gente deve risparmiare carburante guidando di meno, cosa che fanno solo di fronte a prezzi molto, molto alti. Per questo, ci ritroveremo ad avere prezzi molto, molto alti.
Aumentare la capacità produttiva richiede tempi ancora più lunghi che sostituire le vecchie auto. Inoltre, la scoperta di nuovi giacimenti importanti è diventata sempre più rara (sebbene nell’ultima colonna sull’argomento abbia dimenticato due grandi giacimenti del Kazakhistan, uno scoperto nel 1979 e l’altro nel 2000).
Gli ingegneri petroliferi continuano a spremere sempre più petrolio dai giacimenti conosciuti ma sembra improbabile che si riverifichi quanto accadde dopo il 1973, quando ci fu una grande crescita della produzione da parte dei Paesi non aderenti all’OPEC.
Quindi, i prezzi del petrolio rimarranno elevati e potrebbero crescere ancora di più anche in assenza di altre cattive notizie dal Medio Oriente. E se queste cattive notizie arrivassero, ci troveremmo di fronte ad una vera crisi, una crisi che potrebbe portare a una quantità di danni economici. Ogni 10 dollari di crescita del prezzo al barile del petrolio corrisponde a 70 miliardi di dollari in più di tasse imposte ai consumatori americani, sotto forma di perdite dovute ai processi inflattivi. L’impennata dei prezzi alla produzione dell’ultimo mese è stato un assaggio di ciò che accadrà se i prezzi restano alti. Ad ogni modo, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, i prezzi scesero raggiunsero circa i 60 dollari al barile, rapportati al valore attuale della valuta.
Uno shock petrolifero, potrebbe veramente portare a una stagflazione [una combinazione di inflazione e disoccupazione crescente] sullo stile di quella degli anni ‘70? Be’, ci sono molti fattori incoraggianti, motivi per i quali siamo molto meno vulnerabili oggi di quanto fossimo durante la scorsa generazione. Nonostante la diffusione dei SUV [quelle gigantesche quanto inutili automobili fuoristrada così in voga anche qui da noi - N.d.T.], gli Stati Uniti consumano solo la metà circa di petrolio per ogni dollaro di PIL rispetto al 1973. Inoltre, negli anni ‘70, l’economia era predisposta ad un’impennata dell’inflazione: dato che i contratti di lavoro venivano adeguati all’andamento del costo della vita e l’inflazione precedente, gli aumenti del prezzo del petrolio alimentarono rapidamente una ripida spirale dei prezzi. È meno probabile che una cosa simile accada oggi.
Nonostante questo, se si verifica una importante interruzione nelle forniture, il mondo dovrà andare avanti con meno petrolio, e il solo modo in cui potrà farlo nel breve periodo è un rallentamento dell’economia. Una recessione indotta dalla carenza di petrolio non sembra per nulla lontana.
Complessivamente, è un momento inopportuno per mettere in atto una politica estera che prometta una trasformazione radicale della situazione in Medio Oriente, figuriamoci per condurre la questione in modo così raffazzonato.
http://www.aspoitalia.net/documenti/carpanelli/html/colpo.htm
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Austerity in Italia
Domenica 2 dicembre 1973. Una data difficile da dimenticare per noi italiani intorno ai quaranta che risvegliandoci quella mattina e tuffandoci, come tutti i giorni, sulla generosa colazione preparata dalla mamma avvertivamo nell'aria qualcosa di diverso dal solito.
Dove erano finiti il fastidioso fragore dei clacson azionati da automobilisti nervosi e il rombare delle marmitte, sempre pronte a dar voce allo sfogo di un acceleratore premuto con impazienza, mentre si attendeva che il semaforo diventasse verde? Che pace inusitata per chi viveva in pieno centro città! Per noi ragazzini di allora era semplicemente un risveglio differente, ma per gli adulti, quel giorno segnava l'inizio di un periodo non particolarmente felice perché tutte le certezze di una possibile ripresa economica del paese a breve termine naufragavano, inghiottite dal quel silenzio irreale: era cominciata "l'austerity".
Il governo Rumor aveva anticipato quelle misure restrittive che, adottate anche in buona parte dell'Europa, in breve tempo, avrebbero cambiato la vita degli italiani, ma la strana assenza del rumore del traffico, che ci circondava in quella fredda domenica di dicembre, era il segnale tangibile della loro messa in atto, del punto di non ritorno.
La crisi petrolifera, in seguito alla guerra del Kippur, stava quindi rivoluzionando le abitudini degli italiani. Il prezzo del petrolio saliva alle stelle e bisognava centellinare il prezioso oro nero e le altre forme d'energia in tutte le maniere possibili; ecco quindi che le macchine messe in naftalina una volta a settimana consentivano un risparmio di ben 50 milioni di litri di benzina per volta; la riduzione dell'illuminazione stradale, compresi gli addobbi natalizi, la chiusura dei bar entro la mezzanotte e la sospensione dei programmi Rai alle 23 generavano ulteriori risparmi energetici; si cominciava a ventilare la possibilità di trovare fonti alternative d'energia quale lo sfruttamento di quella solare, tramite appositi pannelli, o la ben più pericolosa energia nucleare attraverso uno studio sul possibile sviluppo di centrali atomiche. Mentre il governo cercava una soluzione che ci rendesse sempre meno dipendenti dal petrolio, gli italiani, avvezzi a fare buon viso a cattiva sorte, riciclavano mezzi di trasporto prematuramente messi a riposo. Le biciclette ebbero il loro momento di massima gloria in quelle domeniche silenziose riappropriandosi dei centri cittadini e sfilando, con gioioso sberleffo, in mezzo alle macchine, per una volta immobili, nelle loro aree di parcheggio.
Certo che, in quelle domeniche, l'aria di Milano, Roma, Napoli e Bari, come quella di qualsiasi altra città italiana, diventava un po' più respirabile; i bambini uscivano in strada senza timore di essere investiti e s'inventavano un campo da pallone nei grandi viali grigi fino il giorno prima territorio d'incontrastato dominio delle macchine e degli autobus e, a poco a poco, strani mezzi di locomozione, quali improbabili tandem o biciclette a quattro ruote, monopattini piuttosto che calessi a pedali, s'impossessavano dell'asfalto cittadino. Era il segnale che il popolo italiano non si stava abbattendo a fronte di un'economia sull'orlo del tracollo, ma riusciva, dopo i primi momenti d'ambientamento, ad accettare quello che di positivo, di tangibile e immediato l'austerity riusciva a donarci: una riduzione dell'inquinamento e le città, seppur per una volta la settimana, ritornate a misura d'uomo.
Gli altri giorni, però, erano sicuramente più tristi: le macchine circolavano, quasi timorose, ma la benzina aumentava indiscriminatamente, le luci erano fioche, il natale poco sentito, la tv silenziosa prima del tempo, i bar sprangati senza alcun'eccezione; imperava tra la gente la sfiducia nelle istituzioni, dilagava la paura di muoversi di fronte alla delinquenza comune e si guardava con grande apprensione l'escalation del terrorismo.Periodo triste dunque, figlio di quel progresso indubbio, ma che lasciava troppi conti da pagare e, in ogni caso, a pagare erano sempre gli stessi. Nel 1974 si reintegrò l'uso della macchina a targhe alterne e, passo dopo passo, tutto tornò come prima; l'emergenza pura, almeno sotto il profilo strettamente energetico, era finita.
Curioso che tutto ciò fu fatto allora "semplicemente" per una crisi petrolifera e non perché l'inquinamento sconsiderato stava modificando l'ambiente; qualcosa andava sicuramente rivisto, ad esempio monitorando gli scarichi inquinanti delle fabbriche in cielo e in mare ed invece ben pochi sembravano rendersi conto dell'importanza del problema; quindi se la crisi energetica ha portato un pochino di sollievo ai nostri polmoni martoriati da smog, diossina e quant'altro e se la stessa crisi ha permesso la riscoperta delle città, il riappropriarsi del piacere di una passeggiata al riparo dai pericoli di una viabilità caotica, il ripristino di mezzi di locomozione ingiustamente considerati obsoleti, ben venga l'austerity indipendentemente dalle motivazioni che hanno causato l'adozione del drastico provvedimento.
Mauro Costa
http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=43
di Paul Krugman traduzione italiana di Aldo Carpanelli
Pubblicato il 14/05/2004 su “New York Times”
[Il titolo originale, “A Crude Shock”, proponeva un gioco di parole intraducibile che può essere spiegato riportando il fatto che in inglese “crude” significa contemporaneamente “petrolio greggio” e “duro, brutale”; anche “shock” ha una miriade di significati, per cui il doppio senso ne risultava fortemente enfatizzato - N.d.T.]
Fino ad ora, la crisi petrolifera mondiale attuale non sembra per nulla alle crisi del 1973 o del 1979. Questa è la ragione per la quale fa tanta paura.
Le crisi degli anni ‘70 cominciarono con grandi interruzioni delle forniture: l’embargo petrolifero arabo successivo alla guerra arabo-israeliana del 1973, e la rivoluzione iraniana del 1979. Questa volta, nonostante il caos in Iraq, non è ancora nulla di simile... per ora. Ciononostante, a causa della crescente domanda indotta dai sempre maggiori consumi cinesi, il mercato petrolifero mondiale è già teso come una corda di violino, e i prezzi del greggio sono di dodici dollari al barile superiori di quanto non fossero un anno fa. Che accadrebbe se qualcosa dovesse veramente andare male?
Consentitemi di metterla diversamente: l’ultima volta che i prezzi sono stati così alti, in corrispondenza della Guerra del Golfo del 1991, c’era un notevole margine di produzione nel mondo, per cui c’erano gli spazi per affrontare una importante interruzione delle forniture qualora si fossero verificate. Questa volta non è così.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) stima i margini della produzione petrolifera mondiale in circa 2,5 milioni di barili al giorno, quasi interamente nella regione del Golfo Persico. Essa predice anche che la domanda globale di petrolio nel 2004 sarà, in media, di 2 milioni di barili al di sopra di quella del 2003. Ora, immaginate cosa accadrebbe se si verificassero ancor più attacchi ben riusciti agli oleodotti iracheni da parte dei guerriglieri o, non sia mai, una qualche instabilità in Arabia Saudita. Nei fatti, anche senza una interruzione delle forniture, è difficile immaginare da dove verrebbe il petrolio necessario per soddisfare una domanda in crescita.
Ma, un momento: le leggi fondamentali dell’economia dicono che i mercati sono in grado di far fronte agevolmente ad una domanda che eccede l’offerta. I prezzi salgono, i produttori sono incentivati a produrre di più mentre i consumatori sono incentivati a consumare di meno, e il mercato ritorna ad una condizione di equilibrio. Non sarà anche il caso del petrolio?
Certo, sarà così. La domanda è quanto tempo ci vorrà e di quanto saliranno i prezzi nel frattempo.
Per rendervi conto del problema, pensate alla benzina. Prezzi della benzina elevati portano ad automobili che consumano meno carburante: nel 1990, il veicolo americano medio percorreva il 40% di strada in meno per ogni litro di benzina rispetto al 1973. Ma sostituire le vecchie automobili con altre nuove, richiede anni [e, aggiungo io, costruire quelle auto richiede energia, ancor più energia di quanta se ne sprechi tenendosi le vecchie auto meno efficienti fino alla fine del loro periodo naturale di esercizio - N.d.T.]. Nella fase iniziale della sua reazione a una diminuzione delle forniture di benzina, la gente deve risparmiare carburante guidando di meno, cosa che fanno solo di fronte a prezzi molto, molto alti. Per questo, ci ritroveremo ad avere prezzi molto, molto alti.
Aumentare la capacità produttiva richiede tempi ancora più lunghi che sostituire le vecchie auto. Inoltre, la scoperta di nuovi giacimenti importanti è diventata sempre più rara (sebbene nell’ultima colonna sull’argomento abbia dimenticato due grandi giacimenti del Kazakhistan, uno scoperto nel 1979 e l’altro nel 2000).
Gli ingegneri petroliferi continuano a spremere sempre più petrolio dai giacimenti conosciuti ma sembra improbabile che si riverifichi quanto accadde dopo il 1973, quando ci fu una grande crescita della produzione da parte dei Paesi non aderenti all’OPEC.
Quindi, i prezzi del petrolio rimarranno elevati e potrebbero crescere ancora di più anche in assenza di altre cattive notizie dal Medio Oriente. E se queste cattive notizie arrivassero, ci troveremmo di fronte ad una vera crisi, una crisi che potrebbe portare a una quantità di danni economici. Ogni 10 dollari di crescita del prezzo al barile del petrolio corrisponde a 70 miliardi di dollari in più di tasse imposte ai consumatori americani, sotto forma di perdite dovute ai processi inflattivi. L’impennata dei prezzi alla produzione dell’ultimo mese è stato un assaggio di ciò che accadrà se i prezzi restano alti. Ad ogni modo, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, i prezzi scesero raggiunsero circa i 60 dollari al barile, rapportati al valore attuale della valuta.
Uno shock petrolifero, potrebbe veramente portare a una stagflazione [una combinazione di inflazione e disoccupazione crescente] sullo stile di quella degli anni ‘70? Be’, ci sono molti fattori incoraggianti, motivi per i quali siamo molto meno vulnerabili oggi di quanto fossimo durante la scorsa generazione. Nonostante la diffusione dei SUV [quelle gigantesche quanto inutili automobili fuoristrada così in voga anche qui da noi - N.d.T.], gli Stati Uniti consumano solo la metà circa di petrolio per ogni dollaro di PIL rispetto al 1973. Inoltre, negli anni ‘70, l’economia era predisposta ad un’impennata dell’inflazione: dato che i contratti di lavoro venivano adeguati all’andamento del costo della vita e l’inflazione precedente, gli aumenti del prezzo del petrolio alimentarono rapidamente una ripida spirale dei prezzi. È meno probabile che una cosa simile accada oggi.
Nonostante questo, se si verifica una importante interruzione nelle forniture, il mondo dovrà andare avanti con meno petrolio, e il solo modo in cui potrà farlo nel breve periodo è un rallentamento dell’economia. Una recessione indotta dalla carenza di petrolio non sembra per nulla lontana.
Complessivamente, è un momento inopportuno per mettere in atto una politica estera che prometta una trasformazione radicale della situazione in Medio Oriente, figuriamoci per condurre la questione in modo così raffazzonato.
http://www.aspoitalia.net/documenti/carpanelli/html/colpo.htm
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Austerity in Italia
Domenica 2 dicembre 1973. Una data difficile da dimenticare per noi italiani intorno ai quaranta che risvegliandoci quella mattina e tuffandoci, come tutti i giorni, sulla generosa colazione preparata dalla mamma avvertivamo nell'aria qualcosa di diverso dal solito.
Dove erano finiti il fastidioso fragore dei clacson azionati da automobilisti nervosi e il rombare delle marmitte, sempre pronte a dar voce allo sfogo di un acceleratore premuto con impazienza, mentre si attendeva che il semaforo diventasse verde? Che pace inusitata per chi viveva in pieno centro città! Per noi ragazzini di allora era semplicemente un risveglio differente, ma per gli adulti, quel giorno segnava l'inizio di un periodo non particolarmente felice perché tutte le certezze di una possibile ripresa economica del paese a breve termine naufragavano, inghiottite dal quel silenzio irreale: era cominciata "l'austerity".
Il governo Rumor aveva anticipato quelle misure restrittive che, adottate anche in buona parte dell'Europa, in breve tempo, avrebbero cambiato la vita degli italiani, ma la strana assenza del rumore del traffico, che ci circondava in quella fredda domenica di dicembre, era il segnale tangibile della loro messa in atto, del punto di non ritorno.
La crisi petrolifera, in seguito alla guerra del Kippur, stava quindi rivoluzionando le abitudini degli italiani. Il prezzo del petrolio saliva alle stelle e bisognava centellinare il prezioso oro nero e le altre forme d'energia in tutte le maniere possibili; ecco quindi che le macchine messe in naftalina una volta a settimana consentivano un risparmio di ben 50 milioni di litri di benzina per volta; la riduzione dell'illuminazione stradale, compresi gli addobbi natalizi, la chiusura dei bar entro la mezzanotte e la sospensione dei programmi Rai alle 23 generavano ulteriori risparmi energetici; si cominciava a ventilare la possibilità di trovare fonti alternative d'energia quale lo sfruttamento di quella solare, tramite appositi pannelli, o la ben più pericolosa energia nucleare attraverso uno studio sul possibile sviluppo di centrali atomiche. Mentre il governo cercava una soluzione che ci rendesse sempre meno dipendenti dal petrolio, gli italiani, avvezzi a fare buon viso a cattiva sorte, riciclavano mezzi di trasporto prematuramente messi a riposo. Le biciclette ebbero il loro momento di massima gloria in quelle domeniche silenziose riappropriandosi dei centri cittadini e sfilando, con gioioso sberleffo, in mezzo alle macchine, per una volta immobili, nelle loro aree di parcheggio.
Certo che, in quelle domeniche, l'aria di Milano, Roma, Napoli e Bari, come quella di qualsiasi altra città italiana, diventava un po' più respirabile; i bambini uscivano in strada senza timore di essere investiti e s'inventavano un campo da pallone nei grandi viali grigi fino il giorno prima territorio d'incontrastato dominio delle macchine e degli autobus e, a poco a poco, strani mezzi di locomozione, quali improbabili tandem o biciclette a quattro ruote, monopattini piuttosto che calessi a pedali, s'impossessavano dell'asfalto cittadino. Era il segnale che il popolo italiano non si stava abbattendo a fronte di un'economia sull'orlo del tracollo, ma riusciva, dopo i primi momenti d'ambientamento, ad accettare quello che di positivo, di tangibile e immediato l'austerity riusciva a donarci: una riduzione dell'inquinamento e le città, seppur per una volta la settimana, ritornate a misura d'uomo.
Gli altri giorni, però, erano sicuramente più tristi: le macchine circolavano, quasi timorose, ma la benzina aumentava indiscriminatamente, le luci erano fioche, il natale poco sentito, la tv silenziosa prima del tempo, i bar sprangati senza alcun'eccezione; imperava tra la gente la sfiducia nelle istituzioni, dilagava la paura di muoversi di fronte alla delinquenza comune e si guardava con grande apprensione l'escalation del terrorismo.Periodo triste dunque, figlio di quel progresso indubbio, ma che lasciava troppi conti da pagare e, in ogni caso, a pagare erano sempre gli stessi. Nel 1974 si reintegrò l'uso della macchina a targhe alterne e, passo dopo passo, tutto tornò come prima; l'emergenza pura, almeno sotto il profilo strettamente energetico, era finita.
Curioso che tutto ciò fu fatto allora "semplicemente" per una crisi petrolifera e non perché l'inquinamento sconsiderato stava modificando l'ambiente; qualcosa andava sicuramente rivisto, ad esempio monitorando gli scarichi inquinanti delle fabbriche in cielo e in mare ed invece ben pochi sembravano rendersi conto dell'importanza del problema; quindi se la crisi energetica ha portato un pochino di sollievo ai nostri polmoni martoriati da smog, diossina e quant'altro e se la stessa crisi ha permesso la riscoperta delle città, il riappropriarsi del piacere di una passeggiata al riparo dai pericoli di una viabilità caotica, il ripristino di mezzi di locomozione ingiustamente considerati obsoleti, ben venga l'austerity indipendentemente dalle motivazioni che hanno causato l'adozione del drastico provvedimento.
Mauro Costa
http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=43