von Clausewitz
24-09-2006, 23:57
Dal CORRIERE della SERA del 18 settembre 2006 un'intervista di Ennio Caretto a Bernard Lewis sulla guerra al fondamentalismo islamico, il grassetto è una mia nota per rimarcare un passaggio:
WASHINGTON — «Sono appena rientrato da un convegno a New York. È difficile commentare le parole del Papa e le reazioni. Ma mi sembra che sia un altro episodio dello scontro di civiltà in corso oggi, un termine che io ho sempre usato in un senso molto ristretto, perché, in realtà, è uno scontro di religioni, quella cristiana e quella islamica». Al telefono dalla sua casa a Princeton, la città che ospita l'università di Albert Einstein e del presidente Woodrow Wilson, Bernard Lewis, il maestro del pensiero conservatore a cui più s'ispira la politica estera di George W. Bush, aggiunge che «per capire ciò che sta accadendo occorre inquadrare gli eventi attuali in questo millenario conflitto religioso».
A New York il grande storico, che a novant'anni presiede ancora la Facoltà di studi del Vicino Oriente, ha discusso della guerra al terrorismo, sul cui esito si è detto «molto meno ottimista di quanto fui sull'esito della seconda guerra mondiale». Al Corriere
invece cita una serie di suoi recenti interventi sul cristianesimo e sull'islamismo. Il suo auspicio (ma non la sua conclusione) è che a poco a poco il secondo possa modificarsi. Lewis, nato in Inghilterra, dal '74 in America, teme che se ciò non avvenisse, e se il terrorismo non fosse sconfitto, l'Europa verrebbe sopraffatta.
A che cosa è dovuto lo scontro di religioni?
«Alle somiglianze tra la dottrina cristiana e la dottrina islamica, non alle loro diversità. Entrambe sono convinte non solo di essere depositarie della verità ma anche che la loro verità escluda quella delle altre religioni. E ritengono che sia loro dovere propagare il loro messaggio di Dio nel resto del mondo, a differenza, ad esempio, dell'induismo e del giudaismo».
Quindi dietro l'episodio del Papa c'è qualcosa di più ampio?
«Sì. Un altro episodio, quello degli attacchi alla Danimarca per le vignette contro Maometto, mi spinse a documentarmi. Gli attacchi avvennero con oltre quattro mesi di ritardo e furono ovviamente pre-organizzati. Ma la Sharia, il diritto islamico, punisce chi offende Maometto solo se è un musulmano, non se è uno straniero in un Paese non musulmano. Che cosa significa? Che per l'Islam la Danimarca e l'Europa fanno parte del suo territorio?».
Ma allora non c'è anche uno scontro di civiltà?
«Di recente ho spiegato che si parla di scontro di civiltà perché noi vediamo noi stessi, cioè l'Occidente, sotto una luce politica, culturale, sociale, strategica, non religiosa. Noi siamo nazioni che si dividono in religioni. Ma l'identità dell'Islam è religiosa e basta. La sua religione si divide in nazioni».
L'Islam potrebbe cambiare?
«Al suo interno si verificano fenomeni di cui non siamo in grado di valutare la portata. Uno studioso egiziano, ad esempio, ha scritto un libro intitolato "L'ateismo nell'Islam". Naturalmente, parlava dell'Islam come di una cultura, una civiltà, della separazione Stato-Chiesa. Nell'Islam questa separazione è sempre stata derisa come un rimedio cristiano a una malattia cristiana. Ma oggi forse qualcuno comincia a ripensarci».
Come si può combattere il radicalismo islamico?
«A New York ho detto d'esser d'accordo con il leader israeliano Natan Sharansky, un ex dissidente sovietico. Per sconfiggerlo bisogna portare la libertà e la democrazia in Medio Oriente. Se non lo faremo ci distruggerà. La tesi che gli arabi non sono adatti alla democrazia si basa soltanto sull'ignoranza della loro storia e sul disprezzo del loro presente e del loro futuro».
Quale storia, in particolare?
«La storia araba, persiana, turca. Contiene le basi per la nascita di democrazie in Medio Oriente dove, non dimentichiamolo, esistono anche forze moderate. Ricordo una lettera al re di Francia del suo ambasciatore a Istanbul nel 1786. Lamentava che il potente Sultano non potesse decidere nulla da solo, a differenza del monarca, ma dovesse consultarsi prima con gli altri».
Lei dubita della vittoria sul terrorismo?
«Fui più ottimista all'inizio della seconda guerra mondiale quando l'Inghilterra era ancora sola contro il nazismo, Stalin era ancora alleato a Hitler, e l'America era ancora neutrale. Anche nei giorni più neri del conflitto non dubitai che alla fine avremmo trionfato. Adesso non ne sono così certo».
I motivi dei suoi dubbi, termina Bernard Lewis, sono molteplici: l'incapacità dell'amministrazione Bush di definire chi sia il nemico, l'opposizione interna al suo ricorso a leggi speciali, e il freno rappresentato dal multilateralismo.
WASHINGTON — «Sono appena rientrato da un convegno a New York. È difficile commentare le parole del Papa e le reazioni. Ma mi sembra che sia un altro episodio dello scontro di civiltà in corso oggi, un termine che io ho sempre usato in un senso molto ristretto, perché, in realtà, è uno scontro di religioni, quella cristiana e quella islamica». Al telefono dalla sua casa a Princeton, la città che ospita l'università di Albert Einstein e del presidente Woodrow Wilson, Bernard Lewis, il maestro del pensiero conservatore a cui più s'ispira la politica estera di George W. Bush, aggiunge che «per capire ciò che sta accadendo occorre inquadrare gli eventi attuali in questo millenario conflitto religioso».
A New York il grande storico, che a novant'anni presiede ancora la Facoltà di studi del Vicino Oriente, ha discusso della guerra al terrorismo, sul cui esito si è detto «molto meno ottimista di quanto fui sull'esito della seconda guerra mondiale». Al Corriere
invece cita una serie di suoi recenti interventi sul cristianesimo e sull'islamismo. Il suo auspicio (ma non la sua conclusione) è che a poco a poco il secondo possa modificarsi. Lewis, nato in Inghilterra, dal '74 in America, teme che se ciò non avvenisse, e se il terrorismo non fosse sconfitto, l'Europa verrebbe sopraffatta.
A che cosa è dovuto lo scontro di religioni?
«Alle somiglianze tra la dottrina cristiana e la dottrina islamica, non alle loro diversità. Entrambe sono convinte non solo di essere depositarie della verità ma anche che la loro verità escluda quella delle altre religioni. E ritengono che sia loro dovere propagare il loro messaggio di Dio nel resto del mondo, a differenza, ad esempio, dell'induismo e del giudaismo».
Quindi dietro l'episodio del Papa c'è qualcosa di più ampio?
«Sì. Un altro episodio, quello degli attacchi alla Danimarca per le vignette contro Maometto, mi spinse a documentarmi. Gli attacchi avvennero con oltre quattro mesi di ritardo e furono ovviamente pre-organizzati. Ma la Sharia, il diritto islamico, punisce chi offende Maometto solo se è un musulmano, non se è uno straniero in un Paese non musulmano. Che cosa significa? Che per l'Islam la Danimarca e l'Europa fanno parte del suo territorio?».
Ma allora non c'è anche uno scontro di civiltà?
«Di recente ho spiegato che si parla di scontro di civiltà perché noi vediamo noi stessi, cioè l'Occidente, sotto una luce politica, culturale, sociale, strategica, non religiosa. Noi siamo nazioni che si dividono in religioni. Ma l'identità dell'Islam è religiosa e basta. La sua religione si divide in nazioni».
L'Islam potrebbe cambiare?
«Al suo interno si verificano fenomeni di cui non siamo in grado di valutare la portata. Uno studioso egiziano, ad esempio, ha scritto un libro intitolato "L'ateismo nell'Islam". Naturalmente, parlava dell'Islam come di una cultura, una civiltà, della separazione Stato-Chiesa. Nell'Islam questa separazione è sempre stata derisa come un rimedio cristiano a una malattia cristiana. Ma oggi forse qualcuno comincia a ripensarci».
Come si può combattere il radicalismo islamico?
«A New York ho detto d'esser d'accordo con il leader israeliano Natan Sharansky, un ex dissidente sovietico. Per sconfiggerlo bisogna portare la libertà e la democrazia in Medio Oriente. Se non lo faremo ci distruggerà. La tesi che gli arabi non sono adatti alla democrazia si basa soltanto sull'ignoranza della loro storia e sul disprezzo del loro presente e del loro futuro».
Quale storia, in particolare?
«La storia araba, persiana, turca. Contiene le basi per la nascita di democrazie in Medio Oriente dove, non dimentichiamolo, esistono anche forze moderate. Ricordo una lettera al re di Francia del suo ambasciatore a Istanbul nel 1786. Lamentava che il potente Sultano non potesse decidere nulla da solo, a differenza del monarca, ma dovesse consultarsi prima con gli altri».
Lei dubita della vittoria sul terrorismo?
«Fui più ottimista all'inizio della seconda guerra mondiale quando l'Inghilterra era ancora sola contro il nazismo, Stalin era ancora alleato a Hitler, e l'America era ancora neutrale. Anche nei giorni più neri del conflitto non dubitai che alla fine avremmo trionfato. Adesso non ne sono così certo».
I motivi dei suoi dubbi, termina Bernard Lewis, sono molteplici: l'incapacità dell'amministrazione Bush di definire chi sia il nemico, l'opposizione interna al suo ricorso a leggi speciali, e il freno rappresentato dal multilateralismo.