View Full Version : Conoscere l'Induismo
giannola
04-09-2006, 19:28
Religione tradizionale dell'India, praticata da oltre 700 milioni di fedeli.
Con il termine "induismo" si indica convenzionalmente l'intera esperienza religiosa degli indiani nel suo svolgimento storico, fin dalle origini, fissate approssimativamente intorno al 1500 a.C.; l'accezione scientifica del termine, tuttavia, denota come "induismo" soltanto la religione che, praticata dal VI secolo a.C., costituisce l'evoluzione di due fasi anteriori dette rispettivamente "vedismo", dal nome dei libri sacri, i Veda, e "brahmanesimo", dal nome degli appartenenti alla casta sacerdotale, i brahmani.
L'induismo è definibile come una religione politeistica caratterizzata non solo dalla molteplicità delle figure divine, ma anche dal fatto che i fedeli si distinguono per la loro devozione a un Dio particolare. Tra gli innumerevoli dei, che sono adorati in templi a volte stupendi e immersi nella giungla, i più importanti sono Brahma, il dio creatore dell’universo, Visnu, il dio che conserva nell’essere il mondo, e Shiva, il dio che dissolve tutto.
I libri sacri, i Veda, sono venerati da una tradizione che impone di custodirne scrupolosamente l'integrità testuale ma sono stati soppiantati nella loro funzione didattica da un'altra collezione di antichi scritti detta Smrti.
Gli induisti credono nella reincarnazione: se un uomo si comporta male in questa vita, dopo la morte, la sua anima torna a vivere in un altro corpo per espiare i peccati commessi : solo chi onora gli dei e si comporta con carità verso gli altri uomini raggiunge la pace eterna. Infatti gli induisti credono che gli dei, in cambio di preghiere e di sacrifici, facciano dono agli uomini del sukhavati, il paradiso di felicità.
L'induismo è noto per la rigida divisione della società in classi, - varna - alle quali si appartiene per nascita senza alcuna possibilità di sfuggire alle severe norme di una concezione gerarchica.
giannola
04-09-2006, 19:29
L''induismo si è definito cosi' in relazione all'Occidente e al cristianesimo con i grandi movimenti di riforma dei XIX secolo, il Brahmo Samaj, fondato nel 1828 da Raja Rani Mohan Roy (1772-1833), e l'Arya Samaj, fondato nel 1875 da Swarni Dayananda Sarasvati (1824-1883).
Pure molto diversi fra loro, entrambi presentano l'induismo come monoteismo. Altri maestri si pongono il problema di portare l'induismo in Occidente, superando il punto di vista secondo cui si tratta di una religione per i soli indiani. La rinascita spirituale dell'induismo di fronte alla sfida dei missionari cristiani nel XIX secolo - e la successiva «contro-missione» in Occidente - è rappresentata particolarmente da Ramakrishna e dal suo discepolo Vivekananda, il «san Paolo dell'induismo».
Sulla scia di Vivekananda, moltissimi maestri indiani sono venuti in Occidente, e un catalogo anche succinto dovrebbe comprendere centinaia di nomi.
Le origini storiche sono difficilmente databili, antichissime, e non mancano studiosi - archeologi e antropologi in particolare - i quali datano tracce della civiltà dell'Indo a prima del 6000 a.C. (una datazione che altri specialisti considerano acritica, postulando una sostanziale omogenia fra induismo e civiltà vallinde). Secondo questa versione, la civiltà indica arcaica e le diverse popolazioni che abitavano l'India dell'epoca, seguivano vari culti che nel tempo si sarebbero amalgamati, evolvendosi nelle forme vediche e agamiche delle pratiche religiose indù. E' bene sottolineare che gli studiosi hanno applicato diversi parametri per suddividere l'evoluzione dell'induismo nelle varie epoche storiche (per esempio, in base ai testi di riferimento o al rituale, e così via).
Riportiamo alcune ipotesi:
PRIMA IPOTESI
Secondo alcuni la storia dell'Induismo più antico viene suddivisa in due fasi:
la fase vedica (ca. 1500 - 900 a.C.), caratterizzata dalla pratica dei sacrifici e dal culto di un numero molto elevato di divinità - tra cui spiccano il potente Indra e il dio del fuoco Agni,
la fase post-vedica o brahmanica (ca. 900 - 400 a.C.), in cui sia il sacrificio, sia molte delle divinità vediche perdono importanza, e compare il dio creatore Prajapati (identificato con il brahman, l'assoluto).
SECONDA IPOTESI
Una seconda possibile suddivisione potrebbe essere proposta in quattro periodi:
Il primo è detto vedico, dai Veda («vera o sacra conoscenza»), suddivisi in quattro raccolte (Rig Veda, Sama Veda, Yajur Veda, Atharva Veda)(Veda degli inni, Veda delle melodie, Veda delle formule sacrificali, Veda delle formule magiche); testi sacri redatti in un periodo approssimativo compreso fra il 3000 e il 400 a.C. e canonizzati come increati ed eterni, auto-rivelazione dell'energia divina Brahman.
Il periodo vedico si suddivide a sua volta in: età dei Samhita («raccolta degli inni»), dei Brahmana (composizioni sacerdotali di ritualistica) e delle Upanishad (parte speculativa-filosofica).
E' opinione comune che il Rig Veda sia il più antico fra i testi vedici, dimostrata dal fatto che nelle altre raccolte vi sono porzioni più o meno ampie dei suoi 1.028 inni di preghiera con piccole addizioni e lievi alterazioni.
Il secondo periodo, durante la dinastia dell'impero Maurya (c. 560-200 a.C.), è l'età dei Sutra, o Kalpa Sutra, all'interno del quale si inseriscono i Vedanta (sei trattati supplementari ai Veda per la corretta celebrazione del rituale, in cui si trattano la corretta pronuncia, la metrica, l'etimologia, la grammatica, l'astronomia e le norme per la cerimonia).
Il terzo periodo, risalente al 200 a.C -300 d.C . - fino alla fine della dinastia Gupta -, è quello Itihasa («Così invero fù», o poemi di carattere popolare leggendario, fra cui il Ramayana.
Il quarto periodo, a partire dal 300-650 d C., è l'epoca dei Purana (raccolte di storie dei tempi antichi, che tradizionalmente trattano cinque argomenti: creazione dell'universo; sua distruzione e ricreazione; genealogia degli dei; regni e varie epoche del mondo; storia delle grandi dinastie solare e lunare, degli Agama («ciò che è stato tramandato»; testi che contengono ínsegnamenti tradizionali non-vedici della tradizione Saiva) e dei Tantra («fili intessuti su un telaio»; termine riferito a vari testi di carattere sia religioso sia laico, di tradizione sia hindu sia jaina e buddhista,religioni nate in India verso il 500 a.C.).
TERZA IPOTESI
Il Periodo Vedico che approssimativamente inizia nel 2500 a.C. e dura fino al 600 a.C., il tempo corrispondente alla nascita dei Buddha. E' l'epoca delle grandi scritture hindu, la Shruti, ciò che è stato udito dagli rshi, i veggenti, i quali hanno tramandato la loro visione interiore del Reale.
E' il Dharshan la visione-Rivelazione induista che si ritrova messa in parole nei testi Veda.
Nei Veda troviamo esperienze diversificate che, con i nostri termini, potremmo chiamare, politeismo, panteismo, monismo.
Il Secondo periodo è quello epico che intercorre tra il 600 a.C. e il 200 d. C.. I costumi sociali, le pratiche religiose e la legislazione assumono una struttura che diventa la base della società hindu. I due grandi poemi epici, il Mahabharata e il Ramayana, costituiscono un intreccio di storia, mitologia e pensiero religioso-filosofico. Anche la Bhagavadgita, che è stata definita il testo "evangelico" dell'induismo, risale a quest'epoca. Emergono le dottrine destinate a trasformarsi in grandi sistemi filosofici ortodossi ed eterodossi, come il buddhismo e lo jainismo. In questi secoli il pensiero hindu raggiunge i massirni livelli di creatività e di apertura mentale alle diverse interpretazioni dei reale. Radhakrishnan, filosofo e presidente dell'India (negli anni sessanta), ha scritto che mai come in quest'epoca si sono intrecciati magia e scienza, scetticismo e fede, lìcenziosità ed ascesi. Eppure attraverso questi contrasti la ricerca della verità ha potuto proseguire ed aprirsi a nuovi sviluppi.
Questo periodo è caratterizzato anche dai Sutra. Il termine significa "aforisma" (massima, sentenza), il "filo" che lega le diverse cose tra loro. I Sutra sono composizioni scritte dalle scuole sacerdotali in stile aforistico tra il 200 a.C. circa e il 300 d.C. Vengono pure redatti alcuni tra i Purana più rilevanti, che contengono miti, leggende, dottrine filosofiche prodotte in forma popolare e divulgative e riti.Ciò che colpisce il lettore di questi libri e della religione che essi descrivono è il rapporto tra il sacrificio rituale e l'ordine cosmico:il sacrificio vedico è il centro e ombelico del mondo, da esso dipende il rinnovamento dell'universo e vi sono coinvolti cielo e terra, gli dei e gli uomini. L'accento è posto sull'azione sacra , che è sacrificale e liturgica. Ai Veda succedono le Upanishad, termine che significa "sedere più vicino" al guru (maestro). Chi si siede vicino è il discepolo. L'uno ha scelto l'altro e la scelta è reciproca. Quel rapporto aiuta ad esplicitare l'esperienza della ricerca dell'ASSOLUTO, che spesso è l'esperienza dell'identità dell'anima col divino.Nelle Upanishad l'accento è posto sulla contemplazione, l'interiorità, la speculazione, l'intuizione mistica.
Il Terzo periodo è contraddistinto dai sistemì filosofici, i Darshana (=punti di vista) che, come appare dall'etimologia, sono una visione prospettica del mondo. La scuola più nota è quella dello Yoga (aggiogamento).Questo segmento di storia va dal 300 al 700 dell'era cristiana. L'antico filone upanishadico non è smentito, ma si arricchisce. In occidente si parla di sistemi,tuttavia va ricordato che essi non sono mai pura speculazione filosofica, ma sono teologia, spiritualità, cammino esistenziale di salvezza.
Il Quarto periodo va dal 700 al 1400 e comprende le grandi costruzioni filosofiche e scuole di vita iniziate o sviluppate da maestri come Shankara, Ramannja, Mariliva e Nimbarka.
L'India del sud si distingue per il misticismo della bhakti, la devozione amorosa. I movimenti devozionisti nascono sullo sfondo delle divisioni delle varie Dharshana: Shivaismo, vishnuismo, shaktismo e tantrismo assumono forme varie e danno connotazioni distintive alle grandi correnti religiose.
Dal 1400 al 1750 sorgono vasti commentari a carattere popolare. La religiosità popolare diventa il substrato che caratterizza tutto il mondo hindu nei suoi diversi aspetti. Comunicazione, interazione, compartecipazione della natura e senso gerarchico dei reale sembrano essere due note fondamentali dell'induismo popolare di quest'epoca, che sussiste anche oggi.
A partire dal 1750 sorgono movimenti religiosi di riforma, sotto la spinta e l'influsso dell'occidente. Il rinnovamento è religioso, sociale e politico. Vanno ricordati il Brahmoo Samaj, l'Arya Samaj, Ramakrishna, Vivekananda, Rabindranath Tagore, Mahatma Gandhì, Shri Aurobindo, Ramana Maharshi (Meditazione Trascendentale).
giannola
04-09-2006, 19:30
L'Induismo una tra le più grandi religioni del mondo, antica di circa 4000 anni, non è frutto di un fondatore storico, ma dell'evoluzione graduale e della ricerca personale di molti saggi e maestri vissuti in India lungo i secoli. In realtà gli indù ortodossi non lo considerano un nome che lo identificano e preferiscono l'appellativo sanscrito Sanatanadharma, ossia la religione eterna che abbraccia sia il pensiero religioso-filosofico che la pratica comportamentale.
Essa si presenta non come una religione semplice, dettata dall'alto da una divinità, per cui non presentano tale figura, ma come un mosaico religioso composto da numerose sette e scuole appartenenti ad ogni livello di sviluppo, sia a livello più semplice sia a livello sublime, riuscendo ad adattarsi ad ogni categoria di uomini .
Il fulcro dell’insegnamento induista potrebbe essere visto in un codice elementare di condotta cui si deve aggiungere l’amore verso tutte le creature, la generosità, indifferenza per ciò che è apparenza.
Una loro credenza secondo la quale la divinità trascendente interviene direttamente ed attivamente nella vita e nella storia dei popoli ha permesso loro di appropriarsi di divinità a loro estranee. Questa divinità si incarna in esseri detti avatara (discesa), alcuni dei quali si conoscono come Krishna, Buddha, Gandhi..
Shiva è conosciuto come il principe degli Yogin (esperti di Yoga) e signore degli animali; le numerose divinità femminili legate alla vegetazione furono assorbite dalla teologia shivita con il nome di matrika (mamme) e di sakti (donna, moglie). Tale aspetto è presente nei Veda (libri sacri dell’induismo) come conseguenza dell’opera di assimilazione di elementi estranei alla propria religione celeste.
La parola sanscrita che indica casta è varuna che indica anche colore,e, quindi assume una connotazione razziale.
La vita dell’uomo sulla terra può essere sintetizzata con tre parole:
samsare, Kama, Karma.
Kama ha il significato di desiderio, cioè di un amore non ancora posseduto. Secondo l’Upanishad-Brhadaranyaka il desiderio dell’uomo spinge a compiere determinate azioni, ed uno agisce in base a ciò che desidera, e l’uomo è ciò che agisce.
Al kama segue il Karma o azione, che può essere buona o cattiva; a seconda di essa l’uomo sarà buono in misura maggiore o minore, con la conseguenza dell’esistenza in una determinata casta o la conseguenza reincarnazione in una casta inferiore o superiore. Solo chi è veramente saggio e totalmente puro si libera dalla legge del Karma e ritorna all’Assoluto per non fare più ritorno al mondo nel ciclo del samsara.
Il samsara è una sorta di viscosità che lega ed impantana lo spirito umano al maya, a ciò che è apparenza in quanto emanazione di Brahman. Per disgrazia propria l’uomo si lascia sedurre dal maya (mondo dell’illusione che ottenebra la mente dell’uomo. E’ l mondo dell’uomo dopo che questo si è allontanato da Brahman), vincolandosi ad esso, ed il samsara non rappresenta altro che il legame soggettivo, umano con il maya. L’uomo riuscirà a raggiungere la salvezza solo quando spezzerà i fili che lo legano al maya
L’indù possiede varie vie per arrivare alla via della salvezza: le opere; la conoscenza fonte della filosofia indù; donazione totale alla divinità o bhakti. Ciascuna di questa via corrisponde ad ognuna delle tre caste: la via dello studio ai bramini; la via delle opere agli ksatriya.
L’etica indù possiede due note essenziali: a) compimento delle azioni in spirito di totale distacco dal mondo, ovvero senza samsara, liberi dal maya; 2) sforzo di adeguatamento dei doveri etici alle diverse circostanze concrete di ciascuno. Oltre i doveri di virtù specifici di ogni casta ve ne sono alcuni comuni a tutti gli uomini: la non-violenza, cioè non danneggiare nessun essere vivente, sia o no razionale; il dominio di sé; la sincerità; l’osservanza delle prescrizioni rituali. Solo così si può raggiungere il dharma, la legge morale, l’ordine sociale e cosmico.
La credenza nella trasmigrazione delle anime è così diffusa e permea tutta la realtà induista che, spesso, viene vissuta più come una realtà evidente che come un oggetto di fede. Da questa concezione nasce la passività di fronte alla discriminazione delle caste. Ogni anima si reincarna come spinta dal peso d’inerzia del karma e riceve esattamente la ricompensa o il castigo adeguato; pertanto non si può di ingiustizia o di discriminazione nella suddivisione in caste.
Al contrario ogni reincarnazione è: - una esigenza di giustizia; - una espiazione delle mancanze anteriori; - una progressiva purificazione. In questa concezione si può vedere anche una soluzione accettabile ai problemi relativi all’origine del male e dei mali, nonché a quello dell’innocente che paga colpe apparentemente non sue, o, al contrario, del malvagio cui arride ogni fortuna.
Le varie scuole concordano su alcuni punti fondamentali. Questi sono:
Il ciclo della rinascita (samsara): alla morte, ogni creatura rinasce in un altro corpo, vegetale, animale, o umano. Lo scorrere delle esistenze, ovvero la successione delle rinascite, è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi con l'aiuto di determinate tecniche, come lo yoga e la meditazione. La liberazione - o moksha - consiste nella scoperta dell'identità del nucleo più profondo di sé (atman), con il brahman, che è l'assoluto, l'Uno indivisibile che pervade tutto l'universo.
Il rispetto della vita: l'anima dell'individuo può rinascere anche in forme animali e vegetali. Ne deriva che gli induisti tendono a manifestare un grande rispetto per ogni tipo di essere vivente (ad esempio, molti di essi sono vegetariani).
Il karma ("azione"): in base a questo concetto, la condizione in cui un determinato individuo nasce nella vita successiva dipende dalle azioni che ha compiuto in quella precedente. In altre parole, ogni azione che l'individuo compie nella vita attuale avrà delle ripercussioni nelle sue vite future.
La divisione della società in gruppi sociali (varna: "colore"): i brahmani (brahmana), i guerrieri (kshatriya), i produttori (vaishya) e i servitori (shudra), oltre ai fuoricasta che si situavano al di fuori del sistema. Successivamente, la società si è articolata in una gran quantità (dalle 2000 alle 3000) di caste (jati) e sottocaste. L'appartenenza a una casta piuttosto che a un'altra dipende dal karma dell'individuo, e dunque dalla sua condotta nelle esistenze precedenti. Chi nasce all'interno di una certa casta deve essere consapevole dei doveri e delle conseguenze della propria condizione (ad esempio ci si può sposare o sedere alla stessa tavola solo con membri della propria casta): un adempimento dei propri doveri castali è necessario per ottenere una rinascita migliore. Va peraltro aggiunto che la Costituzione dell'India moderna vieta ogni discriminazione in base all'appartenenza castale sebbene, nella pratica, il sistema delle caste continui a essere applicato.
SRUTI
Sruti significa « audizione, cíò che è ascoltato» e sottolinea sia l'intuizione mistica degli rshi che costituisce l'evento rivelatorio vero e proprio e la trasmissione diretta, orale, da individuo a individuo, «ascoltata attraverso le orecchie e attraverso il cuore».
In origine, il termine era riferito ai seguenti testi: Veda, Samhita, Brahmana. Successivamente, il termine sruti è stato esteso anche alle Upanishad, la parte più squisitamente speculativa.
La supercoscienza raggiunta dagli rshi , i veggenti antichi ,permetteva loro di mettere in parole la loro superconoscenza.Quelle parole, scritte nei testi sacri sono Rivelazione.
SMRITI
C' è la Smriti, cioè il ricordo , la memoria, la tradizione.
Una peculiarità fondamentale dell'induismo è la sua visione atemporale, e quindi i periodi presi in esame non rispecchiano una rigida suddivisione cronologica, bensì una coesistenza e un intrecciarsi continuo.
Infatti, il carattere di astoricità così affine alla cultura indiana è determinato da fattori quali
- la lunga trasmissione orale,
- la concezione tipica indiana dell'eternità dei Veda,
- la totale mancanza di rilievo data agli autori dei testi.
come mai ti rendi promotore di tali conoscenze ?
giannola
04-09-2006, 23:11
L’India è stata terra di lenta e progressiva infiltrazione da parte delle popolazioni indoeuropee (poste al di là del Caucaso e del Danubio); il che spiega perché non si trovano reperti archeologici che attestino tracce di violenti devastazioni. Sono sempre gli ariani (popolazioni indoeuropee) a vincere le battaglie o a prevalere nei contatti con i dasya (popolazioni autoctone; nei libri Veda si descrivono come coloro che hanno la pelle nera).
Si arriva, così, alla suddivisione in arya (etimologicamente nobile), quindi, ariani, indoeuropei, comprendenti le caste superiori ed i "non ariani". Di quest’ultimo gruppo fanno parte i sudra, i quali diedero origine ad una quarta casta composta da uomini liberi, ma privi di pieni diritti cittadini e politico religiosi; ne facevano parte anche i parya, i senza casta, gli intoccabili (attualmente sono circa 80 milioni). Di rango ancora più basso sono gli adhiwasi (gli aborigeni), posti non solo al di fuori delle caste ma anche di tutto il sistema indù.
Il raggrupparsi in professioni è stata una delle cause che ha portato gli ariani a dividersi in tre caste superiori, riflesso delle tre funzioni tipiche di ogni società: a) il potere spirituale, i bramini o sacerdoti ai quali aspetta il compito dei riti sacrificali, lo studio, l’insegnamento, la raccolta delle offerte private; b) potere temporale: i ksatriya o nobili e guerrieri, incaricati di proteggere le persone e di resistere agli invasori, di esercitare la carità e di evitare l’attaccamento alle comodità ed ai piaceri dei sensi; c)produzione dei beni economici: i vaisya, ai quali compete l’agricoltura, la pastorizia ed il commercio con esclusione di quelle professioni e di quei compiti che sono propri degli intoccabili (il becchino, lo spazzino, il lavandaio, tutte attività contaminatrici).
Al di sotto delle caste troviamo le sottocaste che in India assommano a più di tremila. La casta, quindi, è un gruppo corporativo chiuso, ereditario, con usi e costumi propri riguardo al cibo ed al matrimonio che deve essere endogamico, cioè contratto con quelli della propria casta; con ornamenti, abbigliamento, segni distintivi particolari allo scopo di evitare ogni contatto indebito ed il conseguente contagio socio-religioso.
Attualmente la credenza nelle caste non investe l’India, almeno a livello di costituzione, ma a livello di credenze, specialmente nei villaggi. L’anima si incarna in un corpo e ciascuno nasce in una determinata casta secondo il comportamento tenuto nelle vite precedenti. In questa casta vi rimarrà sino alla morte; se ad esempio un padrone desse la libertà ad un sudra (schiavo) questo rimarrà sempre un servo, in quanto la servitù è inerente alla sua stessa natura. Ognuno è obbligato a compiere con la massima perfezione possibile i doveri della propria casta; solo così il suo spirito potrà ascendere alla casta superiore sino a che, totalmente puro, non raggiungerà l’unione definitiva e felice con Brahman. In caso contrario, si reincarnerà in caste inferiori, come pure in animali.
Solitamente la mentalità occidentale ci porta a credere che più una casta è superiore, più vi sono dei diritti; gli indiani, al contrario, ritengono che più si è in alto nella gerarchia, più si è tenuti a compiere determinate azioni, ad osservare obblighi che ad altri non spettano, ma ai quali compete l’osservanza di quelli propri della casta di appartenenza.
Si è induisti per il fatto di essere nati da genitori induisti e come tali si è considerati anche se molte delle sue dottrine e delle sue pratiche non vengono più accettate.
giannola
04-09-2006, 23:11
INTRODUZIONE
I testi dell'Induismo formano un complesso eccezionalmente ampio e importante, anche se, secondo la tradizione, si è conservata solo una minima parte di tutto il materiale originario. Queste scritture ci sono state trasmesse come suddivise in scuole, chiamate tradizionalmente "rami", inizialmente quattro di numero in corrispondenza con la quadruplice funzione degli officianti incaricati delle cerimonie, e poi scisse in "rami" ulteriori in relazione agli insegnamenti particolari attraverso i quali si sono avuti lo sviluppo progressivo della pratica religiosa e la sua diffusione in tutta l'India.
Un fatto certo è che non ci sono giunte né tutte le scuole primitive, né tutti i rami secondari (così come neppure la totalità o l'integrità dei testi di uno stesso ramo), che sicuramente dovevano essere molti.
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SAMHITA - VEDA
I testi più importanti, e quindi più antichi, sono le quattro "raccolte" (Samhita) che costituiscono ciò che vengono chiamati i quattro Veda. La parola veda, che significa "sapere", si usa anche, in un senso più esteso, per indicare tutta o parte della letteratura successiva, fondata sull'uno o sull'altro delle quattro Samhita.
Queste sono:
Rig Veda, o "Veda dei versi da recitare"
il più antico documento della letteratura indiana. È una raccolta di 1.028 inni alle divinità, una specie di antologia ottenuta raccogliendo frammenti vari conservati dalle vecchie famiglie sacerdotali. La maggior parte di questi inni si riferiscono, più o meno direttamente, al sacrificio del soma, anche se alcuni hanno un legame molto vago o del tutto assente con il culto.
Yajur Veda, o "Veda delle formule"
ci è pervenuto in diverse recensioni: lo Yajur Veda Nero, composto dalle "formule" che accompagnano la liturgia e da elementi di un commentario in prosa, e lo Yajur Veda Bianco che comprende le sole formule.
Sama Veda, o "Veda dei versi da cantare"
è una raccolta di versi come il Rig Veda, da cui del resto proviene la maggior parte dei canti, arrangiati qui in vista dell'esecuzione del canto sacro e chiosati da annotazioni musicali.
Atharva Veda
una raccolta analoga a quella del Rig Veda, ma di carattere in parte magico e in parte speculativo. La tradizione spesso parla dei "tre Veda" o della "triplice scienza", dato che implicitamente considera l'Atharva come estranea all'alta dignità propria dei "tre Veda".
Esistono dunque quattro Veda: Rg, Yajur, Sama e Atharva. I primi tre concordano non soltanto nel nome, nella forma e nella lingua, ma anche nel contenuto. Di tutti, il più importante è il Rg-Veda. I canti ispirati che gli Ariani portarono con s‚ dalla loro patria originaria in India, come il bene più prezioso, si ritiene siano stati raccolti in risposta all'esigenza di preservarne l'integralità quando, nel loro nuovo paese, essi vennero in contatto con un gran numero di adoratori di altri dèi. Il Rg-Veda è appunto questa raccolta.
Il Sama-Veda è una raccolta puramente liturgica. La maggior parte di essa si trova già nel Rg-Veda e anche quegli inni che gli sono peculiari non contengono una loro propria lezione indipendente: essi sono stati adattati per essere cantati durante i sacrifici. Anche lo Yajur-Veda, come il Sama-Veda, assolve ad una funzione liturgica. Questa raccolta fu fatta per rispondere alle necessità di una religione cerimoniale.
Il Whitney scrive: "Nei primi tempi vedici il sacrificio era ancora, in genere, un libero atto di devozione, non affidato alle cure di un corpo privilegiato di sacerdoti n‚ regolato nei piccoli dettagli, ma lasciato al libero impulso di chi lo offriva, accompagnato da inni e canti del Rg e del Sama-Veda, in modo che la bocca dell'offerente non tacesse mentre le sue mani presentavano alla divinità il dono che il suo cuore dettava... Tuttavia, poichè‚ col passar del tempo il rituale andava assumendo un carattere sempre più formale divenendo alla fine una serie strettamente e minuziosamente regolare di singoli atti, non soltanto vennero stabiliti i versi che dovevano essere citati durante la cerimonia, ma vi si introdusse anche un corpo di espressioni, di formule verbali intese ad accompagnare ogni singolo atto dell'intera funzione per spiegarla, giustificarla, benedirla, darle un significato simbolico... Queste formule sacrificali ricevettero il nome di Yajus, dalla radice yaj sacrificare... Lo Yajur-Veda è composto da queste formule parte in prosa e parte in versi, sistemate nell'ordine in cui ci si doveva servire di esse durante il sacrificio".
Le raccolte del Sama-Veda e dello Yajur-Veda devono essere state compilate nell'intervallo di tempo tra la composizione del Rg-Veda e il periodo brahmanico, epoca in cui la religione ritualistica era ormai ben affermata. Per lungo tempo, l'Atharva-Veda non godette del prestigio di un vero Veda, sebbene per i nostri scopi sia secondo per importanza solo al Rg-Veda poich‚, come quest'ultimo, è una raccolta storica di contenuti indipendenti. Uno spirito diverso pervade questo Veda, che è il prodotto di una più tarda età di pensiero, e mostra il risultato dello spirito di compromesso adottato dagli Ariani vedici di fronte ai nuovi dŠi e spiriti di natura adorati dai popoli originari del paese che essi stavano lentamente sottomettendo.
Ciascun Veda consiste di tre parti denominate Mantra, Brahmana e Upanisad. La raccolta dei Mantra, o inni, è chiamata Samhita. I Brahmana contengono i precetti e i doveri religiosi. Le Upanisad e gli Aranyaka, che discutono problemi filosofici, sono le parti conclusive dei Brahmana. Le Upanisad contengono la base spirituale di tutto il successivo pensiero del Paese. Delle prime Upanisad, l'Aitareya e la Kausitaki appartengono al Rg-Veda, la Kena e la Chandogya al Sama-Veda, la Isa, la Taittiriya e la Brhadaranyaka allo Yajur-Veda, e la Prasna e la Mundaka all'Atharva-Veda.
Gli Aranyaka si collocano tra i Brahmana e le Upanisad e, come suggerisce il loro nome, costituiscono oggetto di meditazione per coloro che vivono nelle foreste. I Brahmana trattano il rituale che deve essere osservato dal capo famiglia, ma quando questi nella sua vecchiaia si ritira nella foresta è necessario qualcosa che sostituisca il rituale, e a ciò provvedono gli Aranyaka. Gli aspetti simbolici e spirituali del culto sacrificale sono oggetto di meditazione, e questa meditazione prende il posto dell'esecuzione del sacrificio. Gli Aranyaka rappresentano l'anello di congiunzione tra il rituale dei Brahmana e la filosofia delle Upanisad. Mentre gli inni sono la creazione dei poeti, i Brahmana sono l'opera dei sacerdoti, e le Upanisad le meditazioni dei filosofi.
La religione naturalistica degli inni, la religione ritualistica dei Brahmana e la religione spirituale delle Upanisad corrispondono molto da vicino alle tre grandi divisioni dello sviluppo religioso secondo la concezione hegeliana. Sebbene in un'epoca posteriore queste tre divisioni siano coesistite, non c'è dubbio che originariamente si svilupparono nel corso di epoche successive. Le Upanisad, se in un certo senso rappresentano la continuazione del culto vedico, in un altro senso costituiscono una risposta alla religione dei Brahmana.
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SRAHMANA
I Srahmana , commenti liturgici in prosa, talvolta assai vasti, raccolti in manuali speciali. Essi si ricollegano alle diverse Samhíta e si suddividono secondo le scuole.
Composti sicuramente nel territorio compreso fra i fiumì Gange e Yamuna essi riflettono la nuova condizione sociale nella quale i sacerdoti (brahmani/bramini), unici autorizzati a celebrare le cerimonie consolidano il proprio potere. Essi assurgono a un grado sovrumano e l'evento principale della vita religiosa: il benessere dell'uomo e la stessa esistenza del mondo dipendono dalla esecuzione precisa delle complesse cerimonie e dalla corretta recitazione delle formule prescritte. Oltre alle indicazioni per lo svolgimento dei riti, vi si trovano spiegazioni delle loro origini e cause, interpretazioni mitologiche o leggendarie delle cerimonie. La composizione dei Brahmana è di solito collocata all'inizio del 1° millennio a.C.
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ARANYAKA
Gli Aranyaka sono i libri «della foresta». Dettati dalla divinità agli asceti nelle selve, essi dovevano essere recitati lontano dai centri abitati. Racchiudono delle spiegazioni sui simboli del sacrificio e anticipano alcuni dei motivi che verranno sviluppati dalle Upanishad.
Risalgono alla stessa epoca dei precedenti.
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UPANISHAD
Le Upanisad sono trattati di estensione variabile, appartenenti ad epoche diverse, in prosa e in versi, alcune miste, dedite a indirizzare l'aspirante alla verità trascendente il piano di realtà del grossolano attraverso la contemplazione o la stimolazione della buddhi (ragion pura) attraverso l'ascolto delle verità supreme che vertono quali siano l'origine e il destino dell'uomo, quale ragione regga le varie vicende dell'esistenza, quale sia il fondamento ultimo dell'universo e della vita.
Le Upanishad costituiscono la parte conclusiva dei Veda. In origine diverse migliaia, ne rimangono più di 200, benché‚ per tradizione, quelle più considerate siano 108. La loro datazione è incerta: le più antiche dovrebbero risalire all'VIII e al VII secolo a.C., antecedenti all'era buddista; le più recenti al V o al IV secolo a.C.
Ma le Upanisad veramente importanti e tipiche sono poco più d'una dozzina, sono denominate Upanisad antiche e medie oppure vediche, appartengono alle varie scuole che si rifanno alle Samhita vediche e quindi fanno parte della rivelazione, e risalgono a un periodo compreso, con tutta probabilità, tra il 700 e il 300 a. C.
Le Upanishad sono state composte da autori ispirati, ed appartengono alla letteratura rilevata o sruti (lett.: "ciò che è stato udito" ) al pari dei Veda, esse hanno un carattere religioso - culturale; tuttavia, a differenza di quelli, presentano tratti altamente speculativi. In effetti, tutta la filosofia indiana non è altro che una glossa e un commento alle Upanishad.
Il termine, nell'interpretazione che per lungo tempo ha goduto maggior fortuna e che s'attiene al significato più evidente (upa-nisad = sedersi vicino) sembra alludere al carattere esoterico dell'insegnamento, trasmesso dal maestro al discepolo che, avendone le qualificazioni, gli sedeva vicino.
Chi consideri tuttavia la dottrina monistico-idealistica in cui sembra culminare il pensiero upanishadico, chi osservi il rivolgimento portato nella concezione della vita dal dogma del ciclo delle esistenze, che proprio nelle Upanisad s'afferma per non più abbandonare il suolo dell'India, chi valuti nella giusta misura la difficoltà di staccarsi dalla concezione mitica dell'universo e dal dominio più o meno esclusivo del rito e della magia per guardare con occhio spassionatamente limpido ai fatti della vita e della morte, dovrà riconoscere che nelle Upanisad, al di là degli innegabili apriorismi e delle sopravvivenze del passato, lo spirito umano ha lasciato una documentazione notevolissima d'un travaglio spirituale che cerca, propone e ancor dubita delle soluzioni proposte, che accetta e combina spregiudicatamente elementi e nozioni di varia origine, che per rappresentare la complessità dell'inconoscibile non esita ad ammettere contraddizioni e contrasti. E la validità non già delle risposte date, ma dell'atteggiamento assunto, è dimostrata dal fatto che la storia del pensiero indiano è incomprensibile ove si trascuri il periodo delle Upanisad antiche e medie.
Esaminando le tematiche delle Upanishad più importanti, ne emergerà la continuità di fondo, benché‚ non una visione unitaria o omogenea.
Nella Brihadaranyaka Upanishad è formulata una cosmologia primitiva. All'inizio c'era soltanto il nulla, il non - essere, dal quale si produsse l'universo. In ogni uomo alberga una scintilla del Brahman, l'energia cosmica: si tratta dell'atman, il principio dell'individualità o il sè personale ( di solito, erroneamente tradotto con "anima"; per quanto concerne la possibilità di definire "personale" l'atman). Viene postulata una corrispondenza intima tra il micro e il macrocosmo, sulla base di vari spunti vedici. Ogni creatura riceve qualcosa dal Brahman: l'incarnazione più completa di quest'energia è il brahmano, il sacerdote. In questa Upanishad si torna sulla questione delle caste. Tuttavia, nonostante l'evidente enfasi sulla casta brahmanica, nella Upanishad è un guerriero a istruire un sacerdote. Evidentemente alla classe dei Brahmani non era ancora stato assegnato il ruolo di primo piano che avrebbe avuto in seguito. Si dichiara che del Brahman non si può parlare. Nessuna determinazione verbale riuscirebbe a renderne la natura: "non così, non così" (neti neti): è l'unica espressione applicabile all'energia cosmica. Viene poi indicata l'identità tra il Brahman e l'atman, tra l'energia impersonale e l'identità personale (4, 4, 5)." tutto il mondo non è altro che l'atman. "L'atman è indistruttibile ed eterno. Questa cosmologia ha importanti risvolti etici. L'uomo dovrà prendere coscienza della propria identità autentica, per capire che il suo atman, la propria natura intima, contiene un principio universale. Egli rifuggirà dalle passioni, votandosi all'ascetismo. Ad un certo punto della propria evoluzione, infine, si lascerà dietro qualsiasi massima o norma etica: sarà libero sia dal male che dal bene. In questo stato d'animo non traccerà più alcuna distinzione tra sè e gli altri, rendendosi conto della perfetta identità tra il Brahman e l'atman. E non potrà più temere nulla: la sua vita sarà immortale, ormai, come quella del cosmo.
Anche nella Chandogya Upanishad, un membro della casta guerriera , cioè un principe, si rivedrà più perspicace dei suoi interlocutori brahmani. Il protagonista della Upanishad è il brahmano Uddalaka Aruni. Anche qui viene postulata una perfetta corrispondenza tra il micro e il macrocosmo: uno stesso fenomeno, il respiro pervade ogni ambito dell'universo, e continua a sussistere in ogni istante, persino nel sonno profondo. Con alcune varianti, ci si riallaccia alla cosmologia della Briahadaranyaka Upanishad: dal non - essere deriva l'essere; in questo caso, si passa poi alla produzione di un uovo cosmico, le cui metà compongono l'universo. Tuttavia, in altre sezioni della Upanishad questa dottrina viennegata: "com'è possibile che dal non - essere sia sorto l'essere?". Ciò attesta la presenza di alcune incrostazioni, quindi l'apporto di vari autori alla redazione dell'opera. Sul piano etico, si ammette la rinascita. In base alle azioni compiute, si tornerà in altre spoglie sulla terra: nelle tre caste ariane, nei casi di buona condotta; come animali spregevoli o come intoccabili ( " fuori casta " o candala, nei casi di malvagità (5, 10, 7).
Al punto culminante della Upanishad, Uddalaka si rivolge al figlio, ammonendolo: " Quello sei tu, Cvetaketu ". " Quello " è l'atman, il principio individuale che corrisponde al Brahman, e si cela in ogni entità. In questo modo, il figlio apprende la propria perfezione. E` l'atman che permette ad un seme di produrre un grande albero. Esso è un'essenza sottile, una forza invisibile che consente ad ogni essere di realizzare la propria natura. E` il respiro vitale, che infonde energia alle creature. in ultima analisi, è il Brahman: il mio Sè è il Sè del cosmo. Bisogna cercare dentro di sè la propria matrice, una scintilla energetica che ospitiamo in un piccolo spazio vuoto del cuore. Se vi si riesce, aiutandosi con la meditazione, i sacrifici e lo studio dei Veda, non ci si ammalerà più, nè si soffrirà o si morirà. Si entrerà nel mondo del Brahman, per non far più ritorno sulla terra . Il ciclo delle rinascite viene interrotto . Un'esistenza eterna attende l'atman, nel suo amplesso con il Brahman, che è la sua stessa fonte.
Nella Taittiriya Upanishad viene ripreso l'assunto dell'identità Brahman/atman. Si è inoltre convinti che nella sillaba om si celi l'essenza del Brahman.
Nella Kena Upanishad si dichiara che il Brahman non può essere insegnato, nè pensato: nè chi crede di conoscerlo, nè chi crede di non conoscerlo coglie nel segno.
Nella Isà Upanishad si coltivano tendenze teistiche, accennando ad un " Signore " (Ica). Si raccomanda di abolire la mentalità dualistica: solo così, ad un certo punto, si capirà che nell'alto dei cieli c'è soltanto il proprio Io. La distinzione tra noi e gli altri viene invalidata. A quel punto, abbandonando la conoscenza e l'ignoranza, si attingerà l'immortalità.
Nella Katha Upanishad si narra dell'incontro tra Naciketas, il primo uomo che morì, e Yama, il Dio dei morti. "Dopo la morte, l'uomo esiste ancora o no?" E` questa la domanda angosciante che Naciketas pone al Dio della morte. Ma non non otterrà una vera risposta: Yama si limita a dirgli che l'atman è immortale ed eterna (2, 5, 13).
Nella Mundaka Upanishad vengono ammessi due ambiti della conoscenza. Da un lato, c'è il campo delle scienze inferiori: lo studio dei Veda, l'astronomia, la fonetica, la ritualistica, la grammatica, la metrica e l'etimologia. Dall'altro l'c'è la scienza superiore, il cui oggetto è la conoscenza del Brahman(1, 1, 5).
Nella Mandukga Upanishad si parla di quattro stati di coscienza o piani di realtà: vaicvanara, stato di veglia; Taijasa, stato onirico; prajnà, stato del sonno profondo; turiya, stato indefinibile. Nel primo la conoscenza dell'adepto si fonda sul pensiero dualistico e sulle distinzioni, richiamandosi agli oggetti sensibili. Nel secondo si volge invece all'interiorità, cioè agli oggetti del sogno. Nel terzo l'adepto non vede più alcuna immagine, quindi può rinunciare ad effettuare la distinzione tra soggetto ed oggetto. Nel quarto, infine, egli non dipende più da alcunché, all'infuori di sè stesso: ha realizzato la perfetta coincidenza tra il Brahmane l'atman. Ormai coltiva una consapevolezza non - duale, evitando di riferirsi alle cose esteriori e a quelle interiori .
La Cvetacvatara Upanishad, infine, è tra le più recenti delle composizioni antiche. Nel Brahman è insita una trinità: Dio, atman e " natura " (prakriti o cakti). Dio è il Signore del mondo, Colui che lo crea e lo distrugge. A volte è chiamato Rudra; a volte, Civà. La natura è illusoria: nient'altro che il prodotto di un gioco di prestigio del mago divino. Essa appare in un certo modo, ma non è in quel modo. L'atman è il sè individuale: da un lato, un elemento personale; dall'altro, una componente eterna del Brahman imperituro. Colui che, attraverso le opportune pratiche yogiche, scoprirà che Dio abita nel suo stesso cuore, otterrà la liberazione. Il suo atman sarà riassorbito nel Brahman. Anzich‚ sulla conoscenza, qui si insiste sulla devozione (bhati) nei confronti del Signore. Questa Upanishad si discosta, per grandi linee dalle altre: influenzerà molto la religiosità della massa. E non soltanto la speculazione filosofica. Nelle varie Upanishad s'insiste sull'autorealizzazione, per rifiutare, o perlomeno ridimensionare, l'importanza dei sacrifici vedici. Si tende alla liberazione (moksha), un obiettivo che è possibile raggiungere soltanto uscendo dal samsara, il siclo delle nascite e delle morti. Ogni azione produce un frutto: è il principio basilare della legge del karma , che determina le modalità delle future reincarnazioni. Attraverso la condotta ottimale, si deve cercare di spezzare il ciclo: a quel punto, l'atman sussisterà in eterno , inglobato nel Brahman. E` una liberazione, in positivo, dunque, ben diversa da quella di un certo buddhismo, per il quale l'uscita dal samsara comporterebbe l'estinzione eterna.
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BRAHMANA
Brahmana, o "Interpretazioni sul Bramhan", commentari in prosa che spiegano sia i riti che le formule che li accompagnano: ve ne è uno unito a ciascun Veda, e due o più per i Veda nel loro complesso, a eccezione dell'Atharva.
Questi due primi segmenti della letteratura vedica formano la cosiddetta sruti, o "rivelazione", il che significa che sono considerati di origine divina, risultati di una comunicazione "veggente", fatta a certi umani privilegiati. La sruti comprende anche dei brevi testi, complementari ai Brahmana, chiamati Aranyaka o "Trattati delle foreste", fatti per essere recitati lontano dagli agglomerati umani, e le Upanishad, o "Vicinanze", impegnate in speculazioni filosofiche.
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SUTRA
Sentenze morali per lo svolgimento dei riti specialmente quelli domestici
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DHARMASHASTRA
Raccolta di leggi religiose e sociali
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TANTRA
Sono dei trattati analoghi ai Purana riconducibili a sette o a gruppi di sette, catalogati a volte sotto il generico nome di Tantra, "Libri". All'interno di questi Libri si distinguono i trattati vishnuiti, detti Samhita, o "Raccolte", i trattati shivaiti o Agama, "Tradizioni", infine i Tantra veri e propri che si riferiscono a un aspetto della religione denominata di conseguenza tantrismo, non priva di affinità con le sette shakta.
Vi è stata una continua produzione di Tantra fino ai nostri giorni. Difatti, se presi nel senso più vasto del termine, sono le vere basi letterarie dell'induismo come è praticato ancor oggi. Vi si trovano delle descrizioni minuziose di rituali (rituali simbolici e di adorazione), elementi di dottrina e di etica, infine metodi per riplasmare l'individualità psichica (yoga).
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LETTERATURA EPICA e MITOLOGICA
MAHABHARATA
BHAGAVAD GITA
RAMAYANA
PURANA
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MAHABHARATA
La « Grande Bharateide » è la colossale opera epica dell' India. Si tratta di quasi centomila strofe di due versi (distici), divise in 18 grandi libri. La sua stesura si prolunga forse per vari secoli, a cavallo dell'inizio dell'era cristiana (111 sec. a.C. - 111 sec. d.C.). Questo testo colossale rappresenta in sé la sintesi dell'induismo.
La narrazione centrale riguarda la lotta che si svolge tra i cugini Pandava e Kaurava per il possesso dell' India dei nord, dei «paese di mezzo» (la zona attorno all' attuale capitale dell' India, New Delhi). Nel sesto libro si trova la celebre Bhagavad-gita, il «Canto dei Signore», la sintesi più nota dell'induismo. Essa è costituita dall'insegnamento che il dio auriga Krishna (una delle incarnazioni di Vishnu) impartisce all'esitante guerriero Arjuna, nell'imminenza della battaglia.
Ogni maestro si è sentito in dovere di meditarla, insegnarla e commentarla. Krishna esorta Arjuna ad agire, perché tale è il dovere della sua casta. Soltanto le azioni che non siano mosse dalla passione e dall'interesse hanno valore. L' auriga espone al guerriero le varie vie per giungere a Dio e gli dimostra l'eccellenza della devozione.
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BHAGAVAD GITA
È una delle opere più significative dell'intera letteratura filosofica indiana e non solo dell'India. Contenuta nel Mahabharata - VI secolo a. C - registra il conflitto tra due pretendenti al trono. Un misto di mitologia, politica, filosofia e religione, il poema accetta la concezione delle caste e la quadruplice suddivisione degli "stadi della "vita
La Bhagavad Gita, attribuita a Vyasa, è la sezione filosoficamente più rilevante dell'opera. Si narra l'incontro di Arjuna, valoroso condottiero e prototipo dell'eroe, con Krshna, un'incarnazione (avatara) del Divino in forma umana. Vengono recepiti vari spunti dalle scuole brahmaniche e dal teismo della religiosità popolare.
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RAMAYANA
Un'altra incarnazione di Vishnu, Rama, è protagonista delle «Gesta di Rama», l'altro grande poema epico. Il Ramayana è costituito da ventiquattromila distici, ripartiti in sette libri. Anche questo poema, come il precedente, è un' esaltazione dei valore dei dharma, specialmente di quello proprio alla casta dei guerrieri.
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PURANA
I Purana, o "Antichità", sono vicini a ciò che noi chiameremmo trattati religiosi, dato che contengono, in maniera prolissa, insegnamenti sulla pratica e il rituale, dati sulle festività e i pellegrinaggi, elementi di mitologia. Si assiste così alle lotte della grande Dea contro i demoni, alle avventure guerriere, galanti o ascetiche di Shiva, nonché alla biografia di Krishna. Il loro tema caratteristico, originariamente, era molto diverso. Si trattava infatti di testi con pretese storiche, che cercavano di rintracciare la storia delle dinastie o quanto meno delle genealogie reali sostenendone le basi mediante una cosmogonia e una teogonia che s'inabissava nel cuore di ere mitiche. A poco a poco questi testi, densi di interpolazioni, si sono fatti carico di materiali di qualsiasi provenienza. Alcuni sembra siano stati concepiti dai bisogni di una setta particolare, e infatti i diciotto Purana maggiori vennero classificati dalla tradizione come vishnuiti, shivaiti e brahmanici (dedicati cioè a Vishnu, Shiva, Brahman). Il più celebre di questi testi, anche se non il più antico, è il Bhagavata Purana che descrive la vita dell'eroe divino Krishna, insistendo su quei motivi che potevano sollecitarne la devozione. Questo sarà il testo comune delle sette krishnaite.
La letteratura dei Purana si diffuse grosso modo intorno ai primi secoli della nostra era fino al dodicesimo secolo e forse oltre. Gli autori dei Purana secondari o minori raccolsero inoltre inni litanie, "glorificazioni", di luoghi santi, e altro. A questo genere letterario si possono associare lo Yoga vasishtha, grandioso poema leggendario e filosofico (decimo secolo?), e il Caturvarga cintamani di Hemadri (tredicesimo secolo), vasta e composita raccolta tra il genere puranico e la Smriti.
giannola
04-09-2006, 23:12
PONGAL
Pongal è una festa tradizionale del Tamil Nadu celebrata nel periodo del raccolto, nel mese di gennaio, durante la quale viene cucinato un riso dolce su un grande fuoco. È una festa agreste dedicata al raccolto e al bestiame. È l’unica festività solare che cade ogni anno nello stesso giorno ed è celebrata nel nord India come makara samkranti o festa del sole (quando il sole inizia il suo percorso verso nord segnando la fine dell’inverno).
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MAHA SHIVARATRI
È la notte dedicata all’adorazione del Dio Shiva. In questa notte si fa digiuno, si canta, si raccontano le leggende del Dio.
Cade tra il tredicesimo e il quattordicesimo giorno della luna nera di phalguna (febbraio-marzo). Letteralmente il nome della festività significa la notte di Siva, infatti, le cerimonie iniziano durante la notte e continuano per diversi giorni. Nei templi shaiva viene data grande importanza alla danza, Shiva infatti, nella sua forma Nataraja è il signore della danza. In questa occasione si festeggia anche il matrimonio di Siva e Parvati. Si racconta che Siva, dopo la morte di sua moglie Sati, si ritirò nella foresta per adempiere ad alcune rigorose penitenze (tapas) e cercare di pacificare il suo dolore.
Dopo qualche tempo, dall’Himalaya, nacque una bellissima fanciulla, Parvati, il cui nome significa appunto "figlia della montagna Parvata". Era molto chiara di carnagione e molto attraente. Quando fu in età da marito, il padre voleva darla in moglie al Dio Visnu, ma ella era segretamente innamorata di Siva e anche seriamente preoccupata per il grande dolore che Egli provava dalla morte della moglie Sati. Così Parvati, contro il volere dei genitori, andò nella foresta, con una sua amica, in cerca di Siva. Quando finalmente lo trovò, si sedette accanto a lui e compì per anni austerità e meditazione per conquistarlo. Il Dio dell’amore, Madana, si accorse dell’accaduto e pensò che, per Siva, fosse una buona opportunità per dimenticare le sue pene, così indusse Parvati a danzare di fronte a Siva. Quando la danza fu nel pieno dello splendore e dell’armonia, Madana lanciò contro Siva una freccia odorosa di fiori profumati. Siva, adirato per essere stato disturbato, aprì il terzo occhio e immediatamente Madana fu incenerito, però ormai il tapas di Siva era stato interrotto, così si accorse della bellezza di Parvati che, con la sua danza, lo affascinò a tal punto che Egli decise di sposarla.
La divina coppia, dopo i festeggiamenti del solenne matrimonio, ritornò alla propria residenza sul monte Kailasa benedicendo il mondo intero e, da allora, vissero in felicità e armonia.
Così durante la festività di Siva Ratri, si osservano digiuni e austerità; molti devoti non bevono neanche una goccia d’acqua e vegliano tutta la notte cantando il Maha mantra di Siva. Il linga, simbolo dell’Assoluto, viene anch’esso adorato tutta la notte con l’offerta dei fiori, della frutta e del prashad (cibo sacro). Il linga viene prima purificato dall’acqua e poi è pronto per essere adornato da bellissime ghirlande di bianchi e profumatissimi gelsomini. Tutti i templi dedicati a Siva sono meta di pellegrinaggi da parte dei devoti, che lo adorano in tutte le sue forme come Sivanataraja, Signore della danza cosmica, infatti questo periodo viene considerato ideale per le danzatrici di Bharata Natyam per compiere la prima danza in pubblico (arangetra), nel tempio di Siva. Lo adorano inoltre nella forma di Siva Ardhanarisvara, rappresentante in lui l’aspetto sia maschile che femminile della manifestazione, nella forma di Sivamahayogi, Signore di tutti gli yogi del mondo, infatti, è questo il momento propizio in cui samnyasin e sadhu vengono iniziati con i favorevoli auspici del più grande degli yogi. In questa stagione i germogli di mango sono freschi e vengono offerti a Siva con atto devozionale.
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HOLI
Holi è una festività diffusa soprattutto nel nord India. Corrisponde alla festa di primavera, momento dell’anno in cui vi è abbondanza di fiori e frutti; la notte di luna piena in un immenso falò si bruciano i ramoscelli secchi dell’inverno. Il falò richiama a una leggenda tratta da epopee puraniche che racconta che il demone Holika venne bruciato e venne proclamata la vittoria degli dei sui demoni. La mattina dopo, quando i tizzoni sono freddi, vengono venerate le ceneri sacre e su di esse vengono sparse polveri e acqua colorate a simboleggiare l’arrivo della primavera.
La festa di Holi rappresenta anche la gioiosa danza e i giochi del dio Krishna e delle gopi (mandriane), quando egli lancia su di loro polveri colorate.
E ancora oggi tutti si trovano nelle piazze, cantando, ballando, suonando rumorosamente e lanciandosi addosso polveri colorate.
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RAMA NAVAMI
Rama navami, celebrazione della nascita di Rama, occasione in cui si cantano canti devozionali e si raccontano e si recitano episodi tratti dalla grande epopea del Ramayana, che descrive le gesta del valoroso re Rama.
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GURU PURNIMA
Guru purnima è una festa spirituale, viene celebrata dai discepoli che seguono un cammino spirituale sotto la guida di un maestro. In questo giorno viene celebrato il saggio Vyasa, il mitico maestro che trasmise la sacra conoscenza dei Veda ai suoi discepoli per il bene dell’umanità.
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JANMASTAMI
Janmastami è la festività della nascita di Krishna, e migliaia di pellegrini per festeggiare la sua venuta, in quanto incarnazione di Vishnu sulla terra, si recano nei luoghi più sacri a Krishna. Nelle case si cucinano dolci, e sulla soglia si disegna con farina di riso e acqua (kolam) un piccolo piede che rappresenta quello di Krishna bambino.
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RATAYATRA
Ratayatra è un festival celebrato soprattutto nello stato dell’Orissa, dove si contano centinaia di templi dedicati al culto vaisnava, e si svolgono leggendarie processioni nelle quali i devoti spingono le ruote di immensi e pesantissimi carri decorati (rata) che trasportano le statue delle divinità, con la convinzione che questo atto conceda loro la liberazione; addirittura anticamente molti si gettavano sotto le enormi ruote per ottenere dei meriti con il loro sacrificio.
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GANESHA CATURTI
Ganesha Caturti è un festival importante, molto sentito soprattutto nel Maharastra, perché Ganesha è una divinità molto popolare, è il Dio invocato a scopo propiziatorio prima di iniziare qualsiasi attività, è il Dio che rimuove gli ostacoli e la sua festa è celebrata sontuosamente. In alcune zone costiere dell’India, la statua di Ganesha viene, al termine di una lunga processione, immersa nelle acque del mare. Vengono preparati dei dolci speciali, i modaka, si spezzano i cocchi, simbolo dell’ego che viene annullato con la saggezza e l’energia che Ganesha infonde.
(tratto dalla rivista Sri Vidya, rivista 3 anno 1 n. 3 una delle leggende che narrano la nascita di Ganesha ....)
Alla fine dell'ultima era ci fu il pralaya, un grande riassorbimento che distrusse l'universo e tutto ciò che era esistente in esso. Seguì una lunga, lunga, lunga notte di Brahma: tutto fu buio e oscuro... un grande silenzio... nessun rumore nessun movimento... solo pace, pace, pace... "...quando, dopo quattromilatrecentoventi milioni di anni, ci fu un piccolo spanda, un movimento, una sensazione, una aspettativa che qualcosa di grande stava avvenendo; attraverso questa lunga notte emerse un bellissimo suono, un suono potente: ecco il suono dell'om e, in questa nuova era, chiamata shvetaravaha kalpa, un grande Dio apparve nella forma dell'om a creare un nuovo universo. Le vibrazioni del suono om si espandevano e una luce soffusa, leggera rischiarava il mondo e un nuovo splendente sole nacque. Il grande spirito chiamò alla sua presenza la Trinità: Brahma, Visnu e Rudra-Siva; diede a Brahma la possibilità di creare, a Visnu quella di conservare e a Rudra-Siva quella di distruggere e trasformare.
Dal pranava emersero i quattro Veda: Rg, Yajur, Sama, Atharva dove tutta la conoscenza dell'universo fu racchiusa.
Secondo il culto dei Ganapati, è credenza che la forma di Ganesha, come prima divinità assoluta, sia rappresentata nel simbolo dell' om tamilica.
E fu così che dal suono nacque Ganesha e il suo jayanthi si festeggia nel quarto giorno luminoso della luna di bhadrapada, settembre - ottobre.
Questa festività è il giorno più sacro dedicato a Ganesha ed è una delle più popolari celebrazioni hindu, osservata in tutta l'India e anche dai devoti hindu sparsi per il mondo, poichè Ganesha è benvoluto e amato ovunque.
Vengono costruite rappresentazioni della divinità in terracotta, gesso o cartapesta, dipinte a mano con bellissimi colori. Vengono adorate per un periodo da due a dieci giorni, dopodichè vengono immerse nell'acqua del mare o di un fiume o di un lago oppure nelle vasche dei templi.
Ganesha viene adorato per primo in ogni preghiera, il suo nome viene ripetuto prima di iniziare ogni lavoro come buon auspicio.
E' la divinità che possiede il potere di andare oltre ogni difficoltà e ostacolo.
E' il fratello maggiore di Skanda (Subrahmanya), figlio di Siva e Uma Devi, prodotto dalla goccia di sudore della Devi.
Per accedere al culto della Devi bisogna sviluppare le qualità che Ganesha ci indica nel suo simbolismo.
Ganesha è Signore dei Gana, attendenti celestiali delle armate di Siva.
Anche il culto vaisnava adora Ganesha con il nome Tumbikkai Alwar che significa "divinità con la proboscide".
Egli è molto goloso di budini, dolci al cocco e soprattutto delle palline di farina di riso chiamate modakha. Tutte le famiglie hindu, durante il jayanthi di Ganesha, preparano dei dolci in suo onore e li offrono durante la puja per ingraziarsi il buon auspicio del Divino. Durante questi giorni di festa, nei villaggi si respira aria di allegria, ogni immagine di Ganesha viene addobbata e ornata con fiori e stoffe preziose, ogni tempietto è luogo di ritrovo di folle di persone che si soffermano di fronte a questa immagine benevola e rassicurante.
Dai grandi templi a lui dedicati, vengono portate fuori le statue su carri arricchiti da centinaia di collane di fiori. I devoti del Dio fanno a gara per spingere e sorreggere la statua come segno di devozione e tapas (austerità), spesso per ingraziarsi i favori del Divino. Nel Maharastra, oltre all'adorazione pubblica, nelle strade si organizzano rappresentazioni teatrali di storie, tratte dai Purana, delle quali Ganesha è il protagonista.
Ganesha è la più auspiciosa e più simpatica divinità del panteon hindu.
Anche i kirtan (canti devozionali) a lui dedicati rispecchiano il carattere di questa particolare divinità, sono gioiosi e aiutano a elevare lo spirito per rivolgerlo più vicino al Divino.
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NAVARATRI
La festa di Navaratri si celebra in onore delle nove incarnazioni di Durga che è l’aspetto femminile della divinità. Viene festeggiata due volte l’anno, nel mese di chaitra (aprile - maggio) e asvayuja (settembre - ottobre), nei due periodi importanti di cambiamento della natura: l’inizio dell’estate e l’inizio dell’inverno.
La festività Durga puja ricorre in tutta l’India e, pur essendo celebrata in vari stili, essenzialmente essa tende a propiziare la Shakti e la Devi in tutti i suoi aspetti di potere. Navaratri inizia nella luna luminosa di asvayuja, in commemorazione della vittoria di Durga sul demone Mahisa. L’immagine della Devi viene adorata per nove giorni e il decimo (vijaya dasanami) viene portata in processione per tutte le strade dei villaggi e delle città.
Durga è la consorte di Siva con il quale vive sul monte Kailash. In questi nove giorni, ella scende sulla terra per concedersi all’umanità, mentre il decimo, ritorna nella sua dimora divina. Nel Bengala la Durga puja è una grandissima celebrazione e tutte le famiglie si riuniscono per commemorarla. Ogni devoto esprime la propria abilità, dipingendo o incidendo l’effigie della Devi nella creta. Gli abitanti di questa regione, molto devoti alla Madre Durga, risparmiano denaro per acquistare, in questa occasione, sari nuovi e sete scintillanti da offrire alla divinità.
Solamente nell’induismo, esiste questo concetto di estensione del Divino all’aspetto femminile, visto come Dio assoluto, divina Madre del mondo. Senza Durga, Siva non si può esprimere, egli è l’anima di Durga, poiché essi sono in identità. Siva non ha attaccamento al gioco cosmico, è Durga che agisce, la Shakti è il potere onnipotente di Siva nell’universo.
Il secondo giorno della Durga puja, vengono immerse le statue nell’acqua.
I primi tre giorni di Navaratri sono dedicati a Durga che aiuta l’uomo a sconfiggere i demoni e a purificare la mente, mentre i successivi tre giorni sono dedicati a Laksmi che rappresenta l’aspetto più sattvico della Devi, è la dea dell’abbondanza, della prosperità e della purezza d’animo. La sua murti spesso è raffigurata con in mano due loti, simboli appunto della purezza, mentre con le altre mani distribuisce all’umanità ricchezze non solo materiali, ma soprattutto spirituali.
Gli ultimi tre giorni di festeggiamenti, invece, sono dedicati a Sarasvati, portatrice della divina conoscenza, con l’aiuto della quale l’uomo progredisce spiritualmente. Ella tiene in mano uno strumento, la vina, che racchiude il sacro suono cosmico. Attraverso la devozione e il culto a Sarasvati, l’uomo ottiene la piena conoscenza del Sé. Attraverso la purificazione e la conoscenza, l’uomo sarà finalmente in grado di uscire dalla ruota delle rinascite.
Il nono giorno di Navaratri, tutti coloro che usano utensili per lavorare, strumenti per suonare, libri per studiare o anche libri contabili, li portano sull’altare del culto per "pujarli" in segno di offerta alla Devi, che restituirà saggezza e conoscenza. Tutti questi oggetti vengono ritornati con il segno giallo della pasta di sandalo con al centro quello rosso della curcuma.
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DIPAVALI
La festa di Divali, festa delle luci, si celebra negli ultimi due giorni della luna nera del mese di kartik (ottobre - novembre) e dura tre giorni. Rappresenta la divina unione di Laksmi con il Dio Visnu. In questo periodo ogni luce, ogni lumino, ogni lampada viene accesa in onore della venuta di Laksmi sulla terra, come per rischiararle il cammino e rendere ogni casa, ogni villaggio, ogni capanna sparsa nella foresta, accoglienti e pronti per la visita della Devi portatrice di abbondanza e prosperità.
Nel sud India, in questi giorni, di mattina molto presto, alle quattro, dopo il brahmamuhurta, gli hindu si lavano, si cospargono il corpo di olio e indossano, così puliti e profumati, vestiti nuovi. I più fortunati fanno il bagno nel fiume Gange in segno di purificazione. E’ diffusa anche l’usanza di scambiarsi abiti, sari e doti, dai vivaci colori; anche i datori di lavoro, in questi giorni, regalano vestiti ai propri dipendenti.
Ognuno dimentica gli antichi rancori, tutti sono gentili e festosi e si abbracciano gioiosamente in segno di amicizia.
La vibrazione molto intensa che aleggia negli animi delle persone si sente nell’aria ed è così potente da cambiare, anche solo per qualche giorno, il cuore delle persone e avvicinarlo all’amore divino.
In questi giorni, soprattutto nel nord, i commercianti approfittano per iniziare i nuovi libri contabili e pregano Laksmi per il successo e la prosperità della loro attività.
Le migliori illuminazioni si possono ammirare a Bombay, nel famoso tempio d’oro di Amritsar, dove migliaia di lucine vengono accese sugli scalini della grande vasca del tempio.
Tutti i maestosi templi del sud India, come Tanjore, Tiruvannamalai, Madurai, sono scintillanti di lampade di tutti i tipi.
Il sole, la luna, le stelle, tutte le luci del mondo non potranno mai uguagliare la luce della Coscienza.
Emergiamo dall’oscurità e dall’ignoranza e realizziamo, attraverso la meditazione, la luce eterna dell’anima.
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SRADDHA
Rito popolare in onore degli antenati, è un’usanza che ha una lunga storia e tradizione e viene celebrata in onore degli antenati defunti per mantenere il legame tra i vivi e i morti. Il rito che è ritenuto essenziale per la continuità della propria razza e la prosperità della propria famiglia, consiste in offerte e atti meritatori.
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KUMBA MELA
Il Kumbha Mela è l’istaurazione temporanea di una città celeste, la costruzione di un sogno collettivo, la manifestazione della fantastica esistenza sulla terra degli uomini vincolati a Dio.
E’ l’incontro di sadhu e pellegrini provenienti da tutti gli angoli dell’India e, attualmente, del mondo.
Il Kumbha Mela dura circa un mese e ci sono diversi importanti bagni collettivi. L’evento più importante è lo shahi snan, o ‘bagno dell’imperatore’, quando tutti gli Akhara formano una processione per essere nel punto giusto del fiume, al momento giusto, quando il divino influsso dei pianeti è più favorevole, per saltare in acqua. In passato si verificavano combattimenti tra sette rivali perché tutti volevano essere nello stesso punto, nello stesso momento, ma durante la dominazione inglese furono fissate delle regole, diverse per ogni Mela così che tutte le sette rivali fossero accontentate.
Ed è un bellissimo spettacolo da vedere. Ma non è soltanto folclore, bensì un’esperienza di liberazione per tutti. Milioni di pellegrini si affollano nel campo dei sadhu, cercando di vedere il maggior numero possibile di Baba, sedendo presso un dhuni, facendo elemosina, ricevendo benedizioni e cibo benedetto, condividendo la magica, spirituale atmosfera. Non poche persone troveranno il loro Guru, facendo un salto nell’incognito e unendosi alla fratellanza dei sadhu.
E’ il momento più propizio per prendere una decisione così importante.
I Kumba Mela di Allahabad sono i più importanti. Tra i sadhu questa città è meglio conosciuta con il suo antico nome di ‘Prayag’, il luogo del ‘sacrificio’. Da tempo immemorabile è stata un famoso luogo di pellegrinaggi (tirtha), situata alla confluenza del Gange marrone, del blue Yamuna e del ‘nascosto,’ mitico Sarasvati sotterraneo: per questo è chiamata la ‘triplice treccia' (triveni). E’ un luogo ricco di potere, un ‘punto di contatto’ tra cielo e terra, e per questo è luogo di incontro per le moltitudini di pellegrini e Baba. Questa confluenza, la sangam, è la più sacra e una delle più utilizzate per il bagno. La terra di questo tirtha è così sacra che, si dice, anche una briciola di essa può purificare da tutti i peccati.
giannola
04-09-2006, 23:13
ADITYA
Gli Aditya sono, nella mitologia Hindu, un gruppo di divinità solari, figli di Aditi e Kashyapa. Originariamente essi erano sette o otto, ma in età vedica il loro numero fu portato a dodici, a rappresentare i dodici mesi dell'anno. Gli Aditya proteggono contro varie sciagure ed appartengono alla categoria dei Deva.
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AGNI
Agni è il fuoco, l'elemento di purificazione, ciò che bruciando le impurità, eleva l'uomo dalla mortalità all'immortalità. Sin dagli albori della razza umana, il fuoco era visto come manifestazione di un elemento superiore alla contingenza. Il fuoco esprime luce, la luce sorge dal fuoco. Fuoco è l'astro solare, fuoco sono le stelle, fuoco sono i lampi della tempesta. Il connubio fra fuoco e luce si molto evoluto nella storia interiore dell'uomo e, a tutt'oggi, nell'era moderna, l'uomo indica il Divino e i suoi messaggeri o incarnazioni, così come i saggi e filosofi realizzati come portatori di luce, e quegli esseri che vediamo raggiungere la prossimità col mistero del Divino, vengono chiamati illuminati.
La fiamma del fuoco unifica ogni cosa, riducendo l'apparenza della molteplicita delle forme ad un'unica sostanza, impalpabile, immiscibile in acqua, insapore, etc., è la vibhuti usata in molti culti come segno distintivo per marcare il corpo di coloro che si dedicano ad un percorso verso il Divino.
Agni è il più importante degli dei terrestri, secondo per importanza fra gli dei dell'antica mitologia vedica solo a Indra. Agni è il fuoco del sole, del fulmine e quello terreno che gli uomini accendono per venerare le Forme del Divino.
Come personificazione divina del fuoco rituale del sacrificio, Agni è la bocca degli dei, il tramite che porta loro l'oblazione, l'offerta. E' il mediatore fra l'ordine umano e quello Divino. Nonostante presenti due volti, uno benevolo e uno severo, grazie alla sua funzione di mediatore è molto amato e venerato perché intercede per l'uomo presso tutti gli altri dei. Viene rappresentato con due teste, i capelli ritti a simboleggiare le fiamme che salgono, tre o sette lingue (da 3 a 7), tre gambe e fino a sette braccia, accompagnato da un montone, mentre regge il ventaglio per alimentare le fiamme, la fiaccola e il cucchiaio sacrificale. Il volto severo è quello che giudica e la sua è la natura dell'omnipresenza, grazie alla sua triplice natura (celeste, acquatica e terrena); viene infatti visto come figlio o amante delle acque (a seconda dei culti originari). E' detto anche "Figlio delle due Madri", perché nasce dallo sfregamento di due bastoncini di legno, che alla sua nascita subito divora.
In Occidente, il fuoco (ignis) sacro era mantenuto sempre acceso dalle Vestali nei tempi dell'antica Roma, gli antichi Greci durante le migrazioni recavano seco il sacro fuoco di Hestia.
In alcuni inni del Rgveda viene talvolta identificato con il Dio Rudra, che diverrà poi il successivo Shiva. Attualmente in India non esistono culti rilevanti che facciano Agni centrale nella loro devozione, ma nonostante questo continua ad essere considerato un aspetto importante del Divino, specialmente nella sua natura di luce. Agni assume molta importanza in tutti gli altri culti, specialmente durante le cerimonie che prevedano l'uso del fuoco e considerato che quasi tutte le cerimonie si concludono con un'oblazione di fuoco e che le stesse icone vengono venerate attraverso l'offerta del fuoco sacrificale, si comprende la sua importanza. Esiste poi una classe sacerdotale di bramani, gli Agnihotri, che lo invoca specificatamente in molte cerimonie.
In alcuni culti Shakta dell'India (che adorano l'aspetto energetico della manifestazione, personificato nella consorte di Shiva o nello stesso Shiva), Agni è associato alla kundalini, considerato come l'energia di Shiva, la coscienza transcende la molteplicità. Nell'Illuminazione, kundalini è completamente desta e la persona, non più individuo, è identico a Shiva, nella pienezza di tutti i suoi attributi divini che si manifestano attraverso l'ananda (beatitudine).
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ANNAPURNA
Dea induista del pane quotidiano e del nutrimento. Epiteto di Parvati, moglie di Shiva. Il saggio Narada le insegnò come persuadere il popolo a donarle offerte di cibo così che, quando Shiva tornò a casa affamato lei potè soddisfarne l'appetito. Il dio le fu talmente grato che l'abbracciò fino a diventare un solo essere con lei (Ardhanarishvara). Annapurna ha dato il nome a una delle montagne più alte del mondo, che con i suoi numerosi torrenti nutre i campi e i pascoli delle valli sottostanti. Il suo simbolo è il cucchiaio.
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BALARAMA
Fratello maggiore di Krishna, settima incarnazione di Vishnu. Vishnu prese due capelli, uno bianco e uno nero, dalla sua chioma, e creò col nero Krishna (raffigurato, infatti, con la pelle azzurra) e col bianco Balarama. Quest'ultimo sfuggì al tiranno di Mathura, Kansa, che ne voleva la morte. Divenuto adulto, uccise il demone Dhenuka e aiutò Krishna a sconfiggere e uccidere Kansa. Balarama insegnò l'uso della mazza ferrata a Bhima e Duryodhana. che si preparavano alla guerra di Kurukshetra, descritta nel Mahabharata. Gli emblemi di Balarama sono il vomere Hala e il pestello Musala: egli era infatti considerato il dio degli agricoltori, mentre Krishna era il gopala, il pastore di buoi.
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BRAHMA
Personificazione del supremo Brahman, è il creatore dell'universo e membro, insieme a Shiva e Vishnu, della Trimurti indù, triade divina di formazione postvedica.
Benché l'attività creatrice sia stata attribuita a diverse divinità nel periodo vedico più antico, nell'epoca dei Brahmana (un genere di letteratura vedica interessata al dogma e al rituale, ma ricca anche di riferimenti mitici e speculazioni filosofiche) il dio padre, Prajapati (l'epiteto vedico di Brahma), appare l'unico creatore; nella Manu Smriti o Leggi di Manu si afferma che Brahma, già autonomamente esistente, crea il mondo dall'uovo cosmico e la sua esistenza si protrae per un tempo così lungo da non essere paragonabile alle grandezze concepibili dall'uomo.
Le tradizionali rappresentazioni indù di Brahma lo raffigurano nato da un loto che spunta dall'ombelico di Vishnu e dotato originariamente di cinque teste, una delle quali viene tagliata da Shiva. Sua sposa è Sarasvati, la personificazione dell'eloquenza, la dea del sapere e delle arti che costituisce una delle numerose personificazioni della Grande Dea. Nell'attuale religione indù Brahma svolge un ruolo di secondo piano: Vishnu, Shiva e la stessa Sarasvati vengono venerati più diffusamente di questo dio.
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BUDDHA
Buddha Gautama (Kapilavastu, attuale Nepal 563 ca-486 ca. a.C.), fondatore del buddhismo. Il suo patronimico, nome del Buddha storico, è Gautama, mentre l'epiteto Buddha significa "l'Illuminato, il Risvegliato". Tra le fonti antiche, una cronologia singalese pone l'ultimo nirvana di Buddha circa 218 anni prima della consacrazione del re Aßoka (273 a.C.), mentre le fonti sanscrite e cinesi situano la scomparsa di Buddha un secolo dopo la consacrazione di Aßoka; risulta pertanto arduo separare leggenda e realtà, e collocare storicamente le vicende della vita del Buddha, poiché i resoconti a noi pervenuti non sono attendibili.
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DEVA e ASURA
Nella tradizione vedica un gruppo di 33 divinità e demoni che governavano le regioni di cielo, aria e terra, e assistevano l'umanità con i loro poteri benigni. Nella lotta cosmica tra le forze dell'ordine e il caos, ai Deva si contrapponevano i demoniaci Asura. Questo conflitto è rappresentato nel mito che narra che gli dei più potenti sradicarono il monte Mandara, vi avvolsero attorno il serpente Vasuki e lo scagliarono nell'oceano; i Deva tiravano il serpente da una parte, gli Asura dall'altra, finché l'oceano diventò burro. Ne emersero infine il Sole e la Luna, seguiti da Dhanvantari, medico degli dei, che portava l'elisir dell'immortalità.
In un altro mito una battaglia infuriò tra Deva e Asura per centinaia di anni; i Deva furono messi in fuga dal demone bufalo Mahisha, ma si salvarono grazie alla collera di Vishnu e Shiva, così violenta da materializzarsi nella forma della divinità Durga, che ebbe la meglio sul bufalo. In numerosi miti gli Asura ottennero l'aiuto di Brahma, che consentì loro, ad esempio, di costruire tre grandi città da cui dominare le regioni di cielo, aria e terra. All'apice della gloria, tuttavia, le città degli Asura furono ridotte in cenere da Shiva e gli stessi Asura vennero scagliati in mare.
Nello zoroastrismo gli Asura, o Ahura, erano associati alle forze del bene sotto la guida del dio supremo Ahura Mazda, mentre i Deva o Daeva svolgevano il ruolo opposto, essendo associati allo spirito del male Arimane.
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DURGA
Durga (in Sanskrito: "l'Inaccessibile"), nella mitologia Indù, è una delle molte forme di Shakti, spesso identificata come moglie di Shiva E' molto nota la battaglia in cui sconfisse il demone Mahisasura, dalla forma di bufalo. Secondo il mito, Durga fu creato proprio per questo scopo con le fiamme che uscirono dalle bocche di Brahma, Vishnu, Shiva, e di altre divinità minori. Nacque già adulta e bellissima, nonostante ai suoi nemici si presenta con una forma terribile. Viene raffigurata mentre cavalca un leone o talvolta una tigre, con otto o dieci braccia ognuna delle quali porta una delle armi degli altri dei che glieli cedettero per la battaglia contro il bufalo-demone. La Durga-puja è uno delle festività religiose più importanti che si tengono nell'India del Nord, fra Settembre e Ottobre. Un'immagine speciale della Divinità viene venerata con cerimonie particolari per nove giorni, e poi immersa dopo essere stata portata in processione dai bramani seguiti dalla popolazione.
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DYAUS
Il dio indiano del Cielo, padre di Indra. Potrebbe essere assimilato all'Urano della mitologia greca. Sua moglie è Prithivi la terra, dea-madre, identificabile con la Gaia greca. La coppia Dyaus-Prithivi è considerata la genitrice degli dei e degli uomini
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DYOTANA
Altro nome di Ushas, dea induista dell'alba e dell'aurora. Figlia del Cielo e sorella del Sole.
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GANESHA - GANAPATI
La filosofia relativa al "chi vede" ed alla "cosa vista" è il grande messaggio di Ganapathi, di cui oggi celebriamo l'avvento. Ga sta per Intelligenza (Buddhi), Na per Saggezza (Vijtlana), Pathi per Maestro. Ganapathi, pertanto, è il Maestro della Conoscenza, dell'Intelligenza e della Saggezza. Esiste poi un altro significato rilevante della parola Ganapathi: essa indica che Egli è il Condottiero (Pathi) degli Esseri Celesti (Gana). Egli è anche chiamato Vinayaka, che significa "Colui al di sopra del quale non esistono Maestri". Egli è il Maestro Supremo ed è al di là della condizione dell'assenza di mente. Chi ha domato la mente, non occorre che abbia maestri.
Noi pensiamo alla forma fisica di Vinayaka, con la testa di elefante ed il corpo di essere umano, senza aver compreso questa verità. Ogni volta che la gente intende intraprendere qualche attività, vuole iniziare lo studio della musica o delle belle arti, oppure dedicarsi a qualche ramo dello scibile, offre, prima di cominciare, il proprio culto a Vinayaka. Potenza spirituale (siddhi) ed intelligenza suprema (buddhi)
Egli è anche detto Lambodara, che significa "Guardiano della ricchezza". In questo caso, il termine lakshmi rappresenta ogni ricchezza e prosperità, non solo il denaro, per il quale esiste una diversa divinità, detta Dhanalakshmi, una delle otto Lakshmi. In questo caso, ricchezza significa gioia e beatitudine. A che serve avere tutto il resto se non si possiede gioia e beatitudine?
Ganapathi è Colui che ci dona potenza spirituale ed intelligenza suprema, dette, rispettivamente, siddhi e buddhi. Esse vengono descritte come le Sue due consorti. Poiché Egli è il Maestro della potenza spirituale e dell'intelligenza suprema, viene considerato, in termini terreni, loro marito. Vinayaka non ha desideri, ragion per cui non v'è necessità che abbia moglie e figli.
In questo Paese, viene adorato fin dai tempi più antichi, ma esistono testimonianze storiche che mettono in luce come il culto di Vinayaka fosse diffuso anche in altri Paesi, come la Tailandia, il Giappone, la Germania ed il Regno Unito. L’adorazione di Vinayaka come divinità principale viene menzionata nei Veda e, sia in tali Scritture che nelle Upanishad, si parla del profondo significato di Ganapathi. Anche nella Gayathri si fa a Lui riferimento. Egli è Colui che infonde purezza nel corpo e caccia la paura dalla mente.
Si dice: "Possa Colui che è dotato di zanna spingerci a ciò" (alla meditazione) facendo riferimento alla Sua zanna. Alcune persone, per ignoranza, fanno commenti sulla forma di grosso animale che questa Divinità Suprema possiede e si chiedono come un essere, di dimensioni così mastodontiche, possa cavalcare un topolino, il quale viene descritto come Suo veicolo. Il topolino è simbolo del buio dell'ignoranza, mentre Ganesha rappresenta il fulgore della Saggezza che dissipa le tenebre dell'ignoranza.
Anche l'offerta di cibo che viene fatta a Ganesha ha grande significato, poiché viene preparata con farina di ceci e zucchero grezzo o con pepe e racchiusa in un involucro di pasta; viene poi cotta a vapore senza uso di olio. Si ritiene che questo sia un cibo salutare oltre che squisito, poiché si rifà ai canoni culinari del sistema ayurvedico. Anche i medici moderni riconoscono l'importanza dei cibi cotti a vapore, che raccomandano ai propri pazienti come dieta postoperatoria, poiché essa rende più facile la digestione. Per quanto riguarda lo zucchero grezzo, esso ha la proprietà di regolare la formazione di meteorismo, allevia i disturbi legati agli occhi e previene i disturbi gastrici.
Secondo l'antico sistema tradizionale di celebrazione delle festività, è sempre stata messa in grande risalto la buona salute, come requisito indispensabile per una mente sana e quindi meglio orientata verso il cammino della ricerca spirituale. Per raggiungere i quattro obiettivi della vita umana, cioè Rettitudine (Dharma), Prosperità (Artha), Desiderio (Kama) e Liberazione (Moksha), si dovrebbe possedere un corpo fondamentalmente sano. Se si vuole ottenere ricchezza con mezzi onesti e nutrire desideri che conducano alla liberazione, si deve essere in buona salute. Vinayaka viene anche chiamato Vighneswara, poiché Egli rimuove tutti gli ostacoli che potrebbero intralciare l'azione dei devoti che Lo pregano con sincerità. Gli studenti, quando si recano ad adorarlo, portano con sé i propri libri, affinché tutte le nozioni contenutevi possano da loro essere ben assimilate.
Il significato simbolico della testa di elefante, tipica di Ganesha, deve essere compreso appieno. L’elefante è dotato di profonda intelligenza. Ieri, per esempio, la Sai Gita (l'elefante di Baba) ha cominciato a correre quando ha sentito arrivare la macchina di Swami. Sebbene molte macchine fossero al seguito della macchina di Swami, la Gita è riuscita infallibilmente a riconoscere, dal rumore particolare, "quella" macchina. Questo è il motivo per cui si suole dire "intelligenza da elefante"; di una persona dotata di cervello acuto, si suole dire che possiede l'intelligenza di un elefante. L’elefante possiede il vigore datogli dall'intelligenza.
Esso ha, inoltre, grandi orecchie che gli permettono di sentire ogni minimo rumore. Ascoltare le Glorie del Signore è il primo passo da intraprendere nel sentiero della pratica spirituale e, per fare ciò, bisogna tenere le orecchie ben aperte. Dopo aver udito, è necessario riflettere su quanto si è appreso e poi metterlo in pratica. L’elefante accetta lode e biasimo in modo equanime. Quando ode qualcosa di brutto muove il corpo in qua e in là e si scrolla di dosso le cose indesiderate, mentre trattiene quelle buone.
Solo Vinayaka insegna le lezioni che sono fondamentali per l'umanità: non basta avere una statua da adorare ed offrirle cerimonie di culto per qualche giorno; bisogna invece cercare di diventare maestri di se stessi. Esistono nove sistemi di devozione: ascoltare le Glorie del Signore; cantare la Sua Gloria; pensare al Signore e cantarne il nome; servirlo, mettendosi ai suoi Piedi di Loto; inchinarsi a Lui riverentemente; adorarlo; mettersi al Suo servizio come un servo fa con il proprio padrone; nutrire sentimenti di intima amicizia con il Signore; completo abbandono di sé a Lui. L'elefante sta ad indicare l'unione del primo sistema di devozione con l'ultimo, cioè l'ascolto delle Glorie del Signore ed il completo abbandono a Lui, in modo che tutti gli altri sistemi devozionali intermedi vengano compresi.
L'insegnamento di Vinayaka è incentrato sul sacrificio. Potrete non seguire quanto è contenuto nei Purana, ma non potrete non rilevare i principi fondamentali che, tali Scritture, hanno inteso comunicare all'umanità.
Quando Vinayaka si accingeva a scrivere il Mahabbarata che Gli sarebbe stato dettato dal saggio Vyasa, quest'ultimo pose come condizione che, durante la stesura dell'opera, Vinayaka non si sarebbe dovuto mai fermare, qualunque cosa Vyasa avesse detto. Anche Vinayaka, tuttavia, disse che avrebbe scritto, a patto che Vyasa non interrompesse la sua dettatura. Mentre Vinayaka era intento a scrivere, la Sua penna si ruppe ed Egli non esitò a rompere una delle proprie zanne per poterla usare come penna. Questo è il motivo per cui Egli viene chiamato Ekadanta, che significa "Colui che possiede una sola zanna”. Questo è un esempio illuminante relativo allo spirito di sacrificio che Vinayaka dimostrò per il bene dell'umanità. Ecco perché i Veda proclamano che, solo attraverso il sacrificio, si può ottenere l'immortalità.
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GARUDA
Nella mitologia indù, dio uccello, figlio del grande saggio Kasyapa e di sua moglie Vinata. Garuda ("il divoratore") nacque da una delle due uova deposte da Vinata, covata per un migliaio di anni (suo fratello, Aruna, l'alba risplendente, nacque quando l'impaziente Vinata ruppe l'altro uovo dopo soli cinquecento anni).
Garuda compare in molti miti indù, soprattutto in due ruoli: quello di divoratore di serpenti e quello di cavalcatura del dio supremo e protettore del mondo, Vishnu. In termini simbolici, Garuda rappresenta l'ascesa dal piano materiale alla più elevata consapevolezza spirituale. I serpenti che cerca di distruggere (che sono, nel racconto mitico, i suoi stessi cugini) simboleggiano la consapevolezza spirituale in un contesto terreno. Nella credenza popolare, Garuda protegge dai serpenti e divora ogni cosa malvagia.
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HARIHARA
HariHara, nell'Induismo è una divinità sincretica che combina i due aspetti del Divino principali, Vishnu (Hari) e Shiva (Hara). L'immagine di HariHara (conosciuta anche come Shambhu-Visnu e Shankara-Narayana varianti dei nomi delle due divinità), inizia ad apparire nel periodo classico, dopo i settarismi che avevano cercato di imporre una sola divinità su tutte le altre, ma nonostante gli sforzi non ha avuto molto successo, tranne che in Cambogia, dove troviamo immagini e iscrizioni che risalgono al VI-VII secolo.
Nell'immagine di HariHara, la parte destra è Shiva, mentre la sinistra Vishnu. Il volto di Shiva è quello del distruttore e con la mano impugna il tridente, trishula; la parte di Vishnu è pacifica, proprio per sottolineare l'aspetto preservatore di questa divinità e in mano porta uno dei suoi simboli. La testa porta mezza della corona di Vishnu e metà dei capelli a crocchia di Shiva, e sulla fronte compare metà del terzo occhio di Shiva.
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INDRA
Nell'antica religione dell'epoca vedica, dio dell'atmosfera e della pioggia, signore del cattivo tempo e guerriero celeste. Tra gli dei vedici il più celebrato (oltre 250 inni dei Veda sono a lui dedicati), Indra rappresenta l'avversario più temibile di diverse forze demoniache che impediscono alla pioggia e alla rugiada di fare fruttificare la terra.
La sua sposa è Indrani. Dopo aver ucciso il padre Dyaus, diventa il dio supremo dell'universo. Divinità tutelare degli Arii, è il dio della forza ed il protettore dei guerrieri e dominatori. E' anche chiamato Vritrahan, in sanscrito "L'uccisore di Vritra". Vritra era un demone malvagio in forma di immenso serpente, che impediva alle acque dei fiumi, dei torrenti e anche a quelle dei cieli di scorrere liberamente. Indra lo uccise e liberò i corsi d'acqua, che riportarono la vita sulla terra. Indra rappresenta l'ordine cosmico che sconfigge il disordine universale configurato da Vritra.
Questo mito riflette altresì l'evento delle piogge monsoniche che pone fine ai periodi di siccità. Nel combattimento è accompagnato dai Marut, divinità della tempesta, anch'essi armati di folgore e lance, che annunciano l'arrivo dei monsoni e cantano senza posa le lodi di Indra. Tremendo fu anche la lotta con l'astuto demone Namuci, che riuscì a ridurre Indra all'impotenza mescolando alcool al soma. Il Dio dovette, allora, chiedere aiuto agli Asvhin, gli dei gemelli, e a Sarasvati che lo liberarono dall'ubriachezza, così da rendergli possibile la vittoria sul demone. Indra, nell'antica fase vedica dell'Induismo, occupava il primo posto, accanto a Mitra e Varuna, nel pantheon degli dei; in seguito la sua importanza era destinata a diminuire rispetto agli dei emergenti Vishnu e Shiva.
Diventò un semplice suddito di Vishnu e, conosciuti la paura e il desiderio, rischiò addirittura di perdere l'immortalità. Raffigurato come penitente per aver ucciso il brahmano Vritra, è caratterizzato da una certa ottusità (è lento a comprendere la dottrina di Brahma), e viene spesso battuto da dei ed eroi più recenti e popolari, e anche da certi brahmani in quanto a valore e rigoroso ascetismo. I suoi difetti principali, secondo i Purana, erano l'indulgenza verso i propri appetiti sensuali e l'abuso di una bevanda divina allucinogena, il soma. Alcune leggende antiche narrano che Indra governava Svarga una zona del paradiso indiano; da qui talvolta inviava alcune apsara, ninfe paradisiache, a danzare seducentemente dinanzi a chi riteneva troppo ascetico.
Nell'arte indù Indra è raffigurato nei colori oro o rossiccio, scortato da numerosi servitori divini e, talvolta, dal suo cane, Sarma. Spesso monta il suo elefante celeste Airavata o un cavallo bianco; raffigurato frequentemente con quattro braccia, con una mano regge una saetta (la sua arma), con un'altra maneggia una lancia; con la terza regge una faretra; con la quarta reca una rete di illusioni e un uncino, per ingannare e sorprendere i nemici. L'arco di Indra è l'arcobaleno.
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INDRANI
La sposa di Indra, divideva con lui uno dei cieli induisti chiamato Svarga. Dea del cielo, è celebre per la sua pelle dorata e la grande sensualità: per le donne indiane rappresenta un ideale da raggiungere. E' una delle sette Matrika. Altri suoi appellativi sono Paulomi e Aindra.
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KAMA
Kama, nella mitologia è il Dio dell'Amore. Durante l'era vedica, impersona il desiderio cosmico, o l'impulso creativo, e per questo viene considerato il primo a sorgere dal caos primordiale, Kama è colui che rende possibili tutte le altre creazioni successive. Negli ultimi periodi viene rappresentato come un giovinetto circondato da ninfe del celestiali che colpisce con frecce che suscitano l'amore.
Il suo arco è fatto di canna da zucchero, e la corda dell'arco da una fila di api. Una volta fu mandato dalle altre divinità a stimolare la passione di Shiva per Rati, interrompendo così la sua meditazione in cima alle montagne. Shiva si arrabbiò bruciandolo col terzo occhio e riducendolo in cenere. Così divenne Ananga (senza corpo), ma altre leggende narrano che Shiva dopo essersi intrattenuto con la moglie, lo riportò in vita.
Il termine kama viene riferito anche riferito ad uno degli scopi della vita umana (purushartha).
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KRISHNA
Nella mitologia dell'induismo uno degli avatara, o incarnazione, del dio Vishnu, ma per molti devoti semplicemente il Dio supremo e salvatore universale. Storicamente, numerosi e differenti "culti di Krishna" si diffusero nei secoli, plasmando una divinità dai numerosi aspetti, come Krishna ladro del burro, fanciullo malizioso ma adorabile (legato alla città di Vrindaban, a sud di Delhi) e il Krishna dalla pelle blu, divinità pastorale che suona il flauto.
Significato letterale del nome Krishna: La radice "Krs" esprime l'Esistenza Tutto-attraente, e la parola "na" esprime l'estasi Suprema. La combinazione delle due dà il Nome Krishna, indicante il Parama brhama (la Suprema verità Assoluta, il Dio Supremo)", un'altro nome di Krishna è Syamasundara.
I suoi due aspetti più importanti per la storia dell'induismo, però, sono quelli di protagonista della guerra descritta nel Mahabharata e di dio mandriano, amato dalle pastorelle. Il guerriero Krishna dell'epica del Mahabharata svolge, come auriga dell'eroe Arjuna, il ruolo chiave nel più noto episodio del poema, il "Canto del Signore", o Bhagavad-Gita. Qui egli insegna varie vie di liberazione, ma, soprattutto, si rivela come Dio onnipotente. Dio (Krishna) è quindi l'unico vero attore dell'universo e l'unico possibile oggetto di devozione, che ricambia a sua volta l'amore dei devoti.
La Bhagavad-Gita è probabilmente il più popolare fra i testi indù, ma è particolarmente significativo per i devoti di Vishnu, che indentificano il Krishna della Gita con il loro grande dio. Mentre la devozione (bhakti) raccomandata dalla Gita è di tipo relativamente ascetico, quella legata al Krishna mandriano è intensamente emozionale ed erotica. Questa relazione d'amore tra la divinità e i suoi devoti si esprime nei racconti popolari degli incontri di Krishna con pastorelle (gopi) come Radha. Queste storie diedero origine a una copiosa letteratura, e in particolare ai Bhagavata-purana del IX secolo e al Gitagovinda, "Canto del mandriano" di Jayadeva (XII secolo), diventando anche un argomento prediletto per la rappresentazione artistica e la produzione teatrale.
Due personaggi importanti per quanto concerne gli sviluppi successivi della devozione a Krishna sono il bengalese Chaitanya e Vallabhacaraya, nato nell'India meridionale, entrambi attivi nel XVI secolo. L'attuale movimento degli Hare Krishna, portato in Occidente nel 1965 da A.C. Swami Bhaktivedanta, deriva direttamente dalla scuola di devozione fondata da Chaitanya.
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MARUT
Dei induisti della tempesta e dell'atmosfera, sono gli accompagnatori di Indra. La loro genealogia è controversa, ma il più delle volte vengono considerati figli di Rudra-Shiva. Armati di fulmini e tuoni, cavalcando il vento, assistono Indra nelle sue imprese. Portano mantelli e elmetti dorati, sono agghindati con i khadi, grossi anelli portati ai polsi e alle caviglie, tuttora in uso presso le contadine indiane. I Marut sono assimilati ai monsoni, i venti che periodicamente investono con veemenza il subcontinente indiano.
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MITRA
Uno degli Adithya della cosmologia induista. Era il guardiano dell'ordine cosmico, insieme al fratello Varuna. Era anche il dio dell'amicizia e degli affari e governava le ore diurne. Intermediario fra gli uomini e gli dei.
In epoca prevedica probabilmente Mitra era un dio molto importante ma con l'avvento degli Indo Ariani passò in secondo piano. Nel RigVeda è sempre presentato insieme al fratello Varuna, che viene detto suo gemello e come lui un Adithya.
Il dio ebbe maggiore importanza in Persia, dove era conosciuto come Mithra e da lì si diffuse fino all'antica Roma, dove veniva chiamato Mithras
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PRAJAPATI
Epiteto di Brahma e talvolta di Indra. Più tardi questo titolo fu assegnato a Manu e ai sette Rishi (Angiras, Bhrigu, Daksha, Kashyapa, Narada, Vasishtha e Visvamitra) che in seguito divennero dieci o ventuno, se si segue il Mahabharata. Prajapati è il "signore della creazione", creatore e sostegno dell'universo e degli dei.
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RAMA
(Ramachandra) Râma è l’ape che sugge il miele della devozione dal loto del cuore. L’ape divarica i petali del fiore su cui si posa; ma Râma ne aumenta la bellezza e la fragranza. Egli è come il Sole, che con i suoi raggi attira a sé le acque accumulandole in nubi, per poi restituirle in forma di pioggia a placare la sete della terra. Râma, il suono mistico e potente, nasce dall’ombelico, sale fino alla lingua e su di essa vi danza allegramente. La dichiarazione dei Veda, Tat tvam asi, “Quello tu sei”, è racchiusa nella parola Râma, la quale consiste di tre suoni: ra, â e ma. Di questi, “ra” è il simbolo di tat (Quello, Brahman, Dio); “ma” è il simbolo di tvam (tu, il jîvi, l’individuo), e la “â” che unisce i due è il simbolo della loro identità. La parola Râma ha anche un significato numerico: “ra” conta come 2, “â” vale 0, e “ma” conta per 5; per cui, la somma equivalente è 7, numero fausto. Abbiamo le 7 svara (note) della musica e i 7 Saggi celesti; inoltre, recitare continuamente Râma per 7 giorni è ritenuto particolarmente benefico.
Ogni atto ed attore della storia [della vita di Rama va considerata in senso allegorico perché] attrae l'attenzione del lettore e si imprime nella sua memoria perché l'allegoria riguarda personalmente ciascuno di noi.
Per esempio Dasaratha. il Re, rappresenta il corpo umano con i cinque sensi di percezione ed i cinque sensi di azione.Egli aveva tre mogli i tre guna o predisposizioni: Sattva, Rajas e Tamas i cui nomi erano Kausalya. Sumitra e Kaikeyi. Ebbe 4 figli che incarnano i quattro scopi della vita umana: Dharma. (la rettitudine), Artha (la ricchezza), Kama (il desiderio) e Moksha (la liberazione).
Rama è l'incarnazione del Dharma. Gli altri tre obbiettivi possono essere acquisiti solo aderendo fedelmente al Dharma. e i fratelli di Rama, Lakshmana, Bharatha e Satrughna. seguirono le Sue orme.
Per la Sua costante osservanza al Dharma, Rama poteva contare su una forza spirituale straordinaria tanto da essere in grado di maneggiare e tendere il potente arco di Siva, lo Sivadhanus, dando così la prova di aver vinto l'illusione. Janaka, re di Videha. teneva quell'arco in custodia, e cercava l'eroe capace di manovrarlo.Il Videhi. (il re di Videha), il "senza corpo" o "senza la coscienza del corpo" offri sua figlia (la consapevolezza del Brahman) a Rama, e Sita divenne la sua Sposa. Dunque Rama, sposando Sita, "acquisì la suprema saggezza. Da dove era uscita Sita? La storia dice "da un solco della terra" da Prakrithi la Natura. Questa frase dimostra che la conoscenza del Brahman o Brahmajnana implica in modo rilevante, anche la Natura o Prakrithi.
Il passo successivo descrive Rama nella spessa giungla della vita, infestata di attrazioni ed avversioni. La saggezza suprema non può coesistere con la dualità, ma esige la rinuncia dei due opposti aspetti.Rama seguì il cervo d'oro che Sita desiderava e, in conseguenza di quell'errore la Sua saggezza svanì.
Rama (esempio tipico dell'individuo o Jivi) dovette quindi sottoporsi a molte austerità per riguadagnare la suprema illuminazione; perciò secondo la storia raggiunse la vetta del Rsyamuka. dimora del distacco totale. Colà si assicurò due alleati: Sugriva (la discriminazione) e Hanuman (il coraggio). L'alleanza fu siglata da una prestazione di Rama che diede prova della sua lealtà al Dharma sotto ogni condizione, uccidendo Vali, vittima viziosa della debolezza, il quale, detronizzato suo padre, l'aveva costretto a rifugiarsi nella giungla. Si era poi associato con Ravana, il maligno, ed aveva ingiuriato e maltrattato il fratello Sugriva senza alcuna ragione apparente. Vali era caduto cosi in basso a causa delle compagnie che amava frequentare. La sua storia è un ammonimento per tutti. Einstein diceva spesso: "Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei".
Rama insediò Viveka, la discriminazione, sul trono di Vali. Poi con i Suoi alleati, andò in cerca di Sita, la saggezza perduta. E nel Suo cammino. venne a trovarsi di fronte ad un vasto oceano di illusione (Moha).Il Suo alleato Hanuman che aveva una visione serena, non offuscata da desideri né da ignoranza, desiderava soltanto ripetere il nome di Rama e visualizzare la Sua forma; in tal modo riuscì ad attraversare felicemente e con sicurezza l'oceano.
Rama raggiunse l'altra sponda, uccise Ravana (incarnazione delle qualità rajasiche, passionali, impulsive) e suo fratello Kumhhakarna (incarnazione dell'aspetto tamasico negativo e distruttivo). Riuscì cosi a ricuperare Sita (la conoscenza suprema) e ritornò con lei ad Ayodya la città inespugnabile. sorgente e fonte della saggezza). Il viaggio dell'anima si conclude con la sua apoteosi. Questo che vi ho descritto è il Ramayana (la storia di Rama) che ogni aspirante dovrebbe tenere presente. Ayodya è il cuore, Dasaratha è il corpo, i Guna sono le mogli, i Purusharta sono i figli, Sita è la saggezza. Per avere la saggezza è indispensabile purificare quei tre strumenti: il corpo la parola e la mente.
Hanuman è l'esempio luminoso dell'anima realizzata. Quando egli si presentò a Rama per offrirgli i suoi servigi, Rama si rivolse a Lakshmana dicendo:
"Ascolta fratello, vedi come Hanuman conosce a fondo i Veda. La sua parola è satura dell'umiltà e della dedizione impersonate dal Rg Veda, del riguardo e del rispetto espressi dallo Yajur Veda e dalla visione intuitiva che il Sama Veda trasfonde. Hanuman conosce tutti i testi sacri ed è un autentico devoto. Sugriva è fortunato ad avere come ministro Hanuman, i cui pensieri, parole e azioni sono offerte fatte a Dio".
Quando questi tre atti sono in perfetta armonia, si ottiene la Grazia di Dio come la ottenne Hanuman. Rama è il Dharma. Sugriva incespicò in questa disciplina e non mantenne la parola data: non organizzò le sue truppe sebbene la stagione delle piogge fosse terminata.
Così Lakshmana sfogò la sua ira contro l'ingratitudine e l'iniquità da lui mostrate. "Non potrai mai purificarti dal peccato di ingratitudine e di violazione dei patti; la tua condotta è talmente reprensibile che persino gli avvoltoi rifiuterebbero di cibarsi del tuo cadavere". Quando il colpevole cadde ai piedi di Rama cercando il perdono, Rama disse: "Lakshmana! Sugriva. accecato dall'orgoglio, dal potere e dall'ignoranza era felice e sicuro sul suo trono. Solo la miseria può aprire gli occhi alla gente sui valori che furono trascurati. Egli si era aggrappato alle cose temporanee e futili che intossicano l'uomo. Come può una tale persona seguire il sentiero del Dharma?"
Anche Hanuman era andato da Sugriva e gli aveva consigliato di pentirsi e riabilitarsi con la rettitudine e la riconoscenza. È indispensabile ammettere i propri errori e porre rimedio alle inevitabili conseguenze con una sincera autocritica e col pentimento. Si dice spesso che Rama abbia sempre seguito il Dharma ma non è esatto. Egli non fu un seguace del Dharma: Egli era il Dharma ! Ciò che pensava, diceva e faceva era Dharma, il Dharma eterno! La recitazione e l'ascolto del Ramayana può fare di una persona un vero esponente del Dharma: tutti i suoi atti - pensieri, parole, azioni saranno improntati a quell'ideale.
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RUDRA
Divinità induista dell'epoca vedica che presiedeva alle tempeste e si opponeva in ciò a Varuna, personificazione del cielo sereno. Tra tanti dei vedici benefici, Rudra "l'ululante, il terribile" rappresenta l'aspetto collerico e distruttivo della divinità. Padre dei Marut e dei Rudra. Questi ultimi non sono altro che la manifestazione molteplice della sua forza distruttrice: essi diffondono ovunque epidemie, catastrofi, eventi delittuosi. L'origine di Rudra è controversa: alcuni ne fanno il figlio di Manyu, "il furore", altri di Prajapati. Secondo una tradizione diffusa, Prajapati, il creatore, avrebbe desiderato dei figli.
Praticò pertanto un severo ascetismo e riuscì a produrre cinque creature: Aditya (il sole), Agni (il fuoco), Candramas (la luna), Vayu (il vento) e Ushas (l'aurora). Ushas si trasformò in una ninfa, si presentò di fronte ai propri fratelli e iniziò a danzare alla loro presenza. Dal seme che essi produssero nell'eccitazione di quella visione nacque Rudra, essere dai mille occhi e dai mille piedi, nato pertanto dall'incesto di Ushas con i suoi fratelli.
Rudra vive sulle montagne e nelle foreste, preferendo i luoghi isolati, dove gli uomini sono colti dall'angoscia all'idea di incontrarlo. E' armato di frecce, che infliggono malattie e rovina, ma viene considerato anche un grande guaritore. Gli aspetti benefici di Rudra verranno assimilati da Shiva col quale sarà identificato in epoca post-vedica.
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SHIVA - NATARAJA
Shiva fra le deità del pantheon indiano è una delle più importanti, più antiche e più complesse. Trattare questa immagine del Divino in maniera esauriente è estremamente difficile, perché nei diversi culti assume diversi significati o aspetti. Pertanto se venisse trattato in maniera univoca vedremmo una serie di aspetti spesso in mutua contraddizione. In realtà la figura di Shiva è così importante in tutti i culti che riveste in ognuno di essi un'importanza non secondaria, portando quindi le diverse connotazioni in una analisi generale. Egli è insieme il distruttore e il restauratore, il primo degli asceti e il simbolo della sfrenata sensualità che turba le mogli degli asceti della foresta, è un benevolo pastore di anime e un pericoloso tentatore, è l'infanticida che uccide il figlio che la moglie Parvati ha creato dagli umori del proprio corpo, affinché ci sia qualcuno che tenga lontani i disturbatori, ma è anche quello che lo risuscita, una volta compreso l'errore, donandogli al testa di elefante e così la sapienza.
Alcuni studiosi hanno visto nella sua figura la tipica tendenza nell'Induismo di racchiudere in un'unica figura ambigua delle qualità complementari. In realtà come abbiamo spiegato nella presentazione del Pantheon indiano, essendo mancato nella storia indù un potere insieme religioso e temporale che sterminasse gli avversari, nessuno ha mai stabilito quale fosse il canone del Divino e delle sue forme. Per trattare questa figura, la cosa migliore è trattarne gli aspetti principali uno per uno.
Simbolismo
La cavalcatura di Shiva, nonché l'animale a lui dedicato è il toro, Nandi. In ogni tempio di Shiva, di fronte al santuario principale, esiste una scultura di Nandi. Di solito nei templi e negli altari domestici, Shiva è adorato nella forma del lingam. A seconda del culto in cui viene rappresentato Shiva, nella sculture e nelle immagini, è di color bianco o del biancastro colore delle ceneri, con il collo blu (perché bevve il veleno di Vasuki per evitare la distruzione dell'umanità). I suoi capelli sono arrotolati e raccolti (jatamakuta) sulla somità del capo, adornati con la luna crescente e il fiume Gange (per ricordare come attenuò la caduta del Gange sulla terra). Ha quattro o cinque o tre occhi, con il terzo a simboleggiare la conoscenza interiore, ma capace di distruggere col fuoco ogni cosa quando rivolge o sguardo verso l'esterno. Gli Shivaiti lo raffigurano con la fronte solcata da tre linee orizzontali. Indossa una ghirlanda di crani umani e un serpente circonda il suo collo. Ha due o quattro mani che impugnano un tridente, un piccolo tamburo, una pelle di daino, un mazza con un cranio all'estremità, un'ascia o un fulmine. Talvolta indossa dei serpenti come bracciali.
Shiva rappresenta nei vari culti vari aspetti del Divino attraverso molteplici forme: lo vediamo in un pacifico ambito familiare con la consorte Parvati e il figlio Skanda; come danzatore cosmico (Nataraja); come asceta nudo e solitario, come mendicante; come yogi; come unione androgina con la sua consorte in un unico corpo, mezzo femminile e mezzo maschile (Ardhanarishvara). Viene spesso identificato con la Divinità vedica Ruda: il Terribile. Egli è anche Hara ("Colui che ottiene", cioè il tempo, o Bharava: "lo Spavento" dai sessantaquattro aspetti. Gli epiteti più diffusi per indicarlo sono: Shambhu ("Benigno"), Shankara ("Benefico"), Pashupati ("Signore degli Animali"), Mahesha ("Grande Signore"), and Mahadeva ("Signore Supremo").
Shiva - Shakti
Come molteplici sono le forme di Shiva, così molteplici sono le sue divine consorti, specialmente se consideriamo i Purana. Esse rappresentano la potenza del determinato aspetto che di volta in volta Shiva incarna. Abbiamo così Uma, la benefattrice; Sati, la sposa che si getta nel fuoco durante il sacrificio officiato dal proprio padre, Daksha, reo di avere escluso Shiva dai sacrifici per il suo aspetto dimesso e da asceta; Parvati, figlia dell'Himalaya; la nera Kali, la distruttrice; la Bhairavi e Durga . Spesso viene indicata come sua consorte l'aspetto supremo femminile del Divino, Shakti. La coppia divina, insieme ai figli (Skanda dalle sei teste e Ganesha dalla testa di elefante), vive sul Monte Kailasa nel massiccio dell'Himalaya. Da Sati venne l'uso del "suicidio" rituale delle vedove che venivano immolate dai parenti del marito sulla pira funeraria del consorte, spesso perché la moglie poteva distogliere parte del patrimonio familiare sposando un altro uomo, o tornando presso la propria famiglia e conducendo con se la dote originaria.
Proto-Shiva
Nei famosi sigilli trovati negli scavi archeologici di Moenjodaro, uno ha colpito l'attenzione degli archeologi perché si ritiene che raffiguri l'immagine di un proto-Shiva circondato da animali.
Shivaismo
Lo Shivaismo è uno dei principali culti indiani e Shiva in tale ambito viene considerato anche il Signore Supremo, in ambito metafisico, col termina Shiva si indica la stessa Realtà Assoluta a sinonimo di Brahman. Nell'ambito della Trimurti, il Dio persona (Iswara), Shiva è il principio dissolutore, mentre Vishnu è il principio di mantenimento e conservazione, mentre Brahma è i principio creatore (distinto dal Brahman inteso come Realtà Assoluta).
Shiva - Shankara
L'intervento positivo di Shiva nel mondo manifesto, per uno Shivaita è continuo. Mentre i culti Vaishnava (i culti di Vishnu) prevedono la venuta diretta di Vishnu nel mondo attraverso delle incarnazioni divine che possono avere o meno la pienezza dei poteri solitamente appartenenti alla Divinità stessa, nello Shivaismo il guru stesso che dona l'iniziazione e l'upadesha (insegnamento) è una incarnazione di Shiva. Shiva è presenza attiva nella vita del devoto e dell'aspirante. Nella mitologia generale, Shiva come aspetto della trimurti è noto come aspetto positivo per l'episodio che lo fa raffigurare con la gola blu e che ha portato all'epiteto di Nilakantha che significa proprio "gola blu".
Il colore bluastro viene attribuito anche ad una delle più adorate incarnazioni divine (avatara) di Vishnu: Krishna. In alcune immagini l'intero corpo di Shiva viene raffigurato di colore bluastro. Alcuni studiosi associano la colorazione al fatto che i culti di Shiva e anche Krishna fossero comunque prevedici e precisamente dravidici, e pertanto fossero raffigurati con il colore scuro della pelle. E' lo stesso principio per cui il palestinese Gesù Cristo è stato rappresentato per secoli con la carnagione chiara, gli occhi chiari e i capelli castani se non biondi.
La gola di Shiva divenne blu in occasione della sconfitta dei Deva da parte degli Asura. Normalmente col termine Deva si intendono gli Dei, mentre col termine Asura vengono indicati i demoni. In realtà inizialmente gli Asura erano anch'essi degli Dei, ma appartenenti al periodo prevedico e durante il Bramanesimo furono trasformati in entità negative dal clero. Lo stesso termine "demone" aveva durante il periodo classico ellenico in Occidente era tutto fuorché un ente negativo. Fu trasformato a simbolo del male dal cristianesimo per cercare di debellare ogni preesistente culto, nell'opera di attento sterminio delle Divinità delle popolazioni conquistate al sorgente culto semitico. Alcuni sostengono che lo stesso Shiva in realtà all'inizio appartenesse agli Asura, e dato che la sua enorme diffusione ne rendeva impossibile la sradicazione, fu portato al rango di divinità principale.
Dopo la sconfitta degli Dei, questi si rivolsero al Divinità creatrice, Brahma affinché fosse ristabilita la pace, questi li indirizzò da Vishnu, l'aspetto conservativo, che stabilì la pace e propose di aiutarli a conquistare l'amrita, la bevanda dell'immortalità. Per recuperare la coppa contenente l'amrita, si decise di battere il mare di latte primordiale con un zangola. Come bastone della zangola fu usato il monte Mandara e in luogo della corda il serpente Vasuki fu avvolto attorno al monte Mandara. Vishnu prese la forma di una tartaruga gigantesca per portare il monte in fondo al mare di latte. Gli Dei e gli Asura presero il serpente rispettivamente per la testa e per la coda e iniziarono a tirare. Il monte Mandara iniziò a zangolare il mare di latte, quando all'improvviso Vasuki, tirato da una parte e dall'altra, vomitò un fiotto di veleno, così abbondante da sembrare un torrente e rischiando di sterminare tutti gli Dei. Il getto colpì la mano di Shiva che lo raccolse e lo ingoiò tutto, rimanendo sulla sua gola un segno bluastro. In quell'occasione dal mare uscirono Airavata, l'elefante bianco cavalcatura di Indra; il rubino Kaustubha che orna il petto di Visnu; la vacca Kamadhenu, simbolo dell'abbondanza; la bellissima Lakshmi circondata dalle Apsara, le divine cortigiane; Dhavantari, il dio dalla pelle scura che portava la coppa contenente l'amrita.
Shiva - Linga
Il linga o fallo, è il simbolo per eccellenza di Shiva, venerato come emblema dell'energia creativa. Il linga è il maggior oggetto di venerazione nei templi Shaiva e domestici in giro per l'India. Le raffigurazioni antropomorfiche di Shiva sono meno venerate. La yoni, che è il simbolo dell'organo sessuale femminile (e quindi della Divinità Suprema femminile Shakti, consorte di Shiva), spesso costituisce la base del linga eretto. I due vengono venerati insieme per ricordare ai devoti che il principio maschile e quello femminile sono comunque inseparabili, e che solo insieme possono rappresentare la totalità della manifestazione nel molteplice. Molti studiosi sostengono che il culto del linga fosse già in uso dalle popolazioni non ariane in India sin dall'antichità così come in uso in occidente, ne troviamo ampie tracce nei culti etruschi e presso le antiche popolazioni della Sicilia; nei siti archeologici della cultura Arappa sono stati trovati dei corti pilastri cilindrici dalla sommità rotondeggiante. Sembra che gli Ariani Vedici, siano stati contrari la venerazione dei linga, ma i riferimenti della letteratura e dell'arte mostrano come fosse stabilmente diffusa nel I e II secolo AD. Il passaggio da una forma con un realismo fallico ad un simbolismo convenzionale è datato nel periodo Gupta.
La venerazione del linga viene officiata attraverso l'offerta di fiori freschi, acqua pura, infiorescenze, frutta, foglie e riso essiccato al sole. Gli officianti pongono particolare attenzione alla purezza delle offerte e alla pulizia personale degli officianti. Esistono diversi tipi di linga: gli svayambhuva linga sono quelli naturali che sono venuti in esistenza all'origine dei tempi (svayambhuva significa auto-originati), in India ne sono venerati circa una settantina; i linga sono possono essere fatti a mano con i materiali più svariati, in legno di sandalo, in argilla per riti particolari in cui possono venire distrutti, ma anche elaborati, in legno metallo, pietre preziose, pietra. Esistono dei precisi canoni di scultura che descrivono le precise proporzioni per l'altezza, lo spessore e la curvatura superiore. Esiste poi il mukhalinga che è scolpito raffigurando da una a cinque delle facce di Shiva sui lati o sulla sommità. Un altro linga molto comune nell'India del Sud è il lingodbhavamurti, che mostra Shiva che emerge dal linga. Questo linga fa riferimento al mito shivaita, molto diffuso nel Sud, che narra come un giorno Vishnu e Brahma discutessero su chi dei due fosse il più grande. In quel momento apparve un enorme pilastro (in alcuni racconti si tratta di una colonna di luce) e una voce affermò che il più grande sarebbe stato colui che avrebbe trovato la fine del pilastro. Brahma prese la forma di un cigno e volò in alto alla ricerca della sommità, Vishnu prese la forma di un cinghiale e iniziò a scavare con lo stesso scopo. Ma per quanto faticassero il pilastro era senza fine. A quel punto dovettero ammettere che Shiva, fattosi nel frattempo riconoscere, era il più grande.
Shiva - Nataraja
Il culto di Nataraja, così come tutti gli altri, ha due significati, uno essoterico che ricorda la vittoria sul demone Tripura e la selvaggia danza (la Tandava) che Shiva fece sul suo corpo. Ma insieme questo episodio ha un altro significato, esso rappresenta l'intera ciclicità della manifestazione. Viene immaginato danzante nell'eterno presente, è la sua danza che manifesta l'universo, lo preserva e lo dissolve, e all'interno di questo ciclo Shiva manifesta anche il ciclo samsarico, dove i singoli jiva discendono sino alla definitiva liberazione. Vediamo come lui è il centro, la sorgente di ogni movimento nel cosmo (rappresentato dall'arco di fiamme). Lo scopo stesso della danza è la liberazione dell'uomo dall'identificazione col mondo della percezione (ignoranza metafisica o avidya), e il luogo dove questa danza deve compiersi, Chidambaram, chiamato il centro dell'universo, è proprio il cuore, il centro dell'uomo, la sua interiorità.
I gesti della danza di Nataraja simboleggiano le cinque attività di Shiva (pañcakrtya): la creazione è rappresentata dal tamburo, la protezione dal gesto di rassicurazione della mano, la distruzione dal fuoco, l'incarnazione del jiva nel mondo dal piede saldo in terra, e infine la liberazione dal piede sollevato.
Nei templi Shaiva dell'India del Sud è rappresentato in metallo o in pietra (sono famosi i bronzi del periodo Cola del X-XI secolo AD), con quattro braccia e con i capelli all'aria mentre balla su un nano, Apasmarapurusa, che è il simbolo dell'ignoranza umana (purusa significa "uomo", mentre apasmara privo di memoria o sordo) .
La mano destra inferiore di Nataraja regge il dammaru (un piccolo tamburello), la mano destra superiore è nella posizione del abhaya-mudra (il gesto di rassicurazione, con il palmo in fuori e le dita che puntano in alto). La mano sinistra inferiore regge il fuoco, agni, in un piccolo contenitore o direttamente nel palmo della mano. Mentre la mano sinistra superiore attraverso il petto nella posa gajahasta (busto di elefante), con il polso molle e le dita puntate verso il basso in direzione del piede sinistro alzato. Le ciocche dei capelli di Nataraja sono proiettati verso l'esterno nella violenza della danza e si confondono con figure che rappresentano il Gange (il fiume Gange è una divinità femminile), dei fiori, un teschio e la luna crescente.
La sua figura è circondata da un anello di fiamme, il prabhamandala. Questa forma di danza, che è la più comune forma di rappresentazione di Nataraja, è chiamata, nei classici trattati sanscriti sulla danza, bhujangatrasa (tremore del serpente).
Le sculture e le immagini rappresentano Shiva anche in altre danze, la selvaggia tandava che balla sui campi di cremazione insieme alla moglie Devi, e la danza serale che Shiva effettuava sul Monte Kailasa, prima dell'assemblea degli Dei, alcuni dei quali lo accompagnavano con vari strumenti.
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SKANDA - KARTTIKEYA - KUMARA - SUBRAHMANYA
E' il dio della guerra e il primogenito di Shiva. Ci sono diverse leggende intorno alla sua nascita. Kalidasa (IV-V Secolo AD) nel suo poema Kumarasambhava (La nascita del Dio della Guerra), suppone che gli dei auspicavano la nascita di Skanda per distruggere il demone Taraka, cui era stato garantito che poteva essere ucciso solo da un figlio di Shiva. Il problema era che Shiva era ormai da tempo immerso nella meditazione profonda e a nulla valevano i tentativi di Parvati di sedurlo e distrarlo dalla meditazione, almeno sino a quando Kama, il dio dell'amore, non lo trafisse con una freccia dal suo arco. Dopo i molti anni di astinenza il seme di Shiva era così forte che gli dei temevano il risultato, e altre fonti narrano che arrivò a colpire il fuoco (da qui il nome Skanda che significa, in sanscrito, "Getto di Seme").
Un'altra tradizione narra che Skanda era stato allevato (o addirittura ne era figlio) delle Krttikas, sei mogli di famosi rishi (saggi), che come stelle costituiscono la costellazione delle Pleiadi, da qui l'epiteto di Karttikeya. Le sei facce di Skanda si svilupparono affinché potesse suggere il latte contemporaneamente da tutte e sei le nutrici. Le leggende ci tramandano anche il suo rapporto con Parvati, con cui viene spesso ritratto nelle immagini pittoriche e scultoree, talvolta insieme al fratello minore, Ganesha.
Viene chiamato anche Kumara (in sanscrito: giovane, ragazzo), perché non si è mai sposato e nello Yoga rappresenta il potere della castità. Ha una potenza enorme e guida le armate degli Dei, quando egli conficca la sua lancia nel suolo, nessuno può estrarla tranne il Dio Vishnu e le montagne e i fiumi tremano al suo cospetto.
Nell'India del Sud, dove all'origine erano noto come Murugan, prima di essere unificato con lo Skanda del Nord, ha un vasto seguito sotto il nome di Subrahmanya (caro ai Bramani); i suoi templi si trovano in ogni villaggio, anche il più piccolo.
Nella iconografia, Skanda è rappresentato sia con una che con sei teste, impugna una lancia o arco e freccia, e anche si accompagna o cavalca la sua cavalcatura, il pavone.
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SURYA
Il dio induista del Sole. E' uno degli Aditya, figlio di Aditi, dea del cielo e di Dyaus, dio-padre. Surya si muove nei cieli su un carro d'oro trainato da un cavallo a sette teste (Etasha), che simboleggia i sette giorni della settimana, e guidato dal cocchiere Aruna, "il rosso". Surya ha in testa la corona dorata del disco solare ed in mano il loto e la conchiglia, o la chakra (ruota). Sua moglie è Ushas, dea dell'alba, e i suoi due figli gemelli, gli dei Ashvin, che precedono il padre sul loro carro dorato, come i primi raggi mattutini precedono il sole nascente.
Secondo un'altra versione del mito, moglie di Surya è Sanjna o Saranyu. Esasperata dal troppo calore emanato dal marito, Sanjna creò una dea gemella, Chaya (l'Ombra) per poter sfuggire al consorte. Ritiratasi in una foresta e trasformatasi in giumenta, fu comunque raggiunta dal marito in forma di stallone.
Un figlio di Surya, Vaivasvat, è il primo uomo della attuale era; il figlio di Vaivasvat, Ikshvaku, è il capostipite della Razza solare (Suryavansa), alla quale appartiene Rama, mentre Krishna è della Razza lunare (Chandravansa). Altri nomi di Surya sono: Mitra (l'amico), Bhaga (il distributore di ricchezza), Pushan (il benefattore), Savitri (il genitore), Vivasvat (padre dell'umanità), Arhapati (signore del giorno), Bhaskara (creatore della luce), Gabhastimam (padrone dei raggi), Dinakara (creatore del giorno) In tutta l'India sono presenti numerosi templi dedicati al sole, uno dei culti più antichi dell'umanità. Il tempio più famoso è quello di Konarak, nei pressi di Puri.
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USHAS
Dea induista dell'alba e dell'aurora. Figlia del Cielo e sorella del Sole. E' anche dea della poesia e a lei sono dedicati alcuni degli inni più poetici dei Veda. Viene anche chiamata Dyotana "colei che porta la luce".
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VARUNA
Varuna è una delle più antiche divinità dei pantheon induista.
Celebrato soprattutto nei Veda e corrispondente al dio greco Urano, Varuna fu certamente una divinità celeste poiché è spesso associato a Mitra, il sole. Mentre quest'ultimo rappresenta la benevolenza. l'equilibrio, l'aspetto benefico della divinità, Varuna incarna il volto violento e coercitivo di essa. I suoi attributi e le sue funzioni, ampiamente documentate nel Rigveda, sono di ordine cosmico ed etico, in quanto egli è ritenuto costruttore e sovrano di tutti i mondi, custode dell'ordine universale, testimone vigile delle azioni degli uomini e signore del loro destino.
Varuna è altresì colui che rimette i peccati e accoglie nell'aldilà le anime dei giusti, insieme al dio della morte Yama. Nella letteratura dei Purana, Varuna è posto in relazione con le acque ed è il sovrano degli animali acquatici: è raffigurato, talvolta, con un cappuccio formato da un cobra, a guisa di ombrello e munito di un laccio, simbolo del vincolo che tiene prigionieri i peccatori. Il suo animale preferito è la tartaruga, che rappresenta la stabilità. La relazione di Varuna con le acque dei Fiumi e dei mare può suggerire un richiamo al dio occidentale Poseidone-Nettuno.
Varuna è meno onorato di Indra negli inni vedici; eppure questo dio, che non è più un uomo, è il dio sovrano del pantheon indiano primitivo; le leggende ne fanno, con Mitra, al quale è quasi sempre associato, uno dei figli della dea Aditi, il cui nome significa «esempio di legami» e che si interpreta spesso come una rappresentazione concreta dell'infinito (o più esattamente dell'indefinito).
Viene spesso raffigurato come un uomo bianco che cavalca un mostro marino, il makara, e che tiene in mano una corda a nodo scorsoio (Varuna il Giustiziere); ma i caratteri antropomorfici sono rari e il culto di Varuna è stato considerato da numerosi storici delle religioni, come un segno precorritore del monoteismo.
Varuna è il creatore e il sovrano (rajià) dell'Universo; egli possiede la maya, cioè la potenza magica di agire su ogni cosa, è Padrone del Mondo, un asura; è lui che mantiene l'ordine generale delle cose, il rita, è lui che castiga i colpevoli e ricompensa i buoni, che regola sia il movimento degli astri, sia quello delle acque; i venti sono prodotti dal suo soffio ed egli spia tutta la creazione con i suoi occhi: le stelle. É infine Varuna, che collegato alla Luna, serbatoio della soma, controlla questa bevanda divina e regna, con Yama, sull'impero dei morti posto proprio sulla Luna.
Si è tentato di ravvicinare questo dio creatore, conservatore e giustiziere, al dio supremo delle religioni a tendenza monoteista; sembra però che non possa essere assimilato al dio dell'antica Persia predicato da Zoroastro: Ahura-Mazda. Si è voluto anche accostare Varuna ad Urano, il dio greco.
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VAYU
Dio induista del vento e dell'aria. Nei Veda è associato a Indra, mentre spinge la truppa dei Marut, gli dei della tempesta e dei monsoni. Vayu è anche il dio dell'alito divino che fa respirare e vivere il mondo. E' inoltre il padre del dio delle scimmie Hanuman e di Bhima, uno dei principi Pandava, protagonisti del Mahabharata. Viene raffigurato mentre guida il carro volante di Indra, trainato da migliaia di cavalli fiammeggianti. Il suo veicolo è l'antilope e reca spesso con sé una rosa dei venti e un vessillo, simbolo degli attributi atmosferici, o tiene amorevolmente in braccio il figlio Hanuman. Divinità dal carattere violento, che verrà ereditato dal figlio Bhima, ebbe uno screzio con Indra e dal diverbio che ne nacque si staccò un pezzo del monte Meru, che andò a formare l'isola di Sri Lanka.
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VISHNU
L'"onnipervadente", una delle tre grandi divinità dell'induismo insieme a Shiva e Brahma. Divinità degli spazi, Vishnu è diventato il centro dell'attenzione di molte sette di devoti (vaishnava) dalle molteplici credenze e pratiche.
Inizialmente Vishnu era una divinità minore (nei Veda è fratello di Indra). Nei Purana Vishnu assume maggiore importanza: fedele al suo ruolo di conservatore, si dice intervenga nel mondo quando l'ordine universale è minacciato per ristabilire il dharma (l'ordine delle cose) e salvare i propri devoti manifestandosi nelle sue incarnazioni o "discese" (avatara) che secondo la tradizione possono essere quattro, sei, dieci, ventidue o teoricamente infinite. Si pensa attualmente che esse siano dieci: Matsya (pesce), Kurma (tartaruga), Varaha (cinghiale), Narasimha (uomo-leone), Vamana (nano), Parashurama (Rama con l'ascia), Rama, Krishna, Buddha e Kalki (l'incarnazione ventura).
La presenza del Buddha in questo elenco mostra come il concetto degli avatara sia stato usato per sincretizzare il culto di Vishnu con altri culti; inoltre le infinite possibilità di manifestazione di Vishnu garantiscono che il dio continuerà a trasformarsi assimilandosi e integrandosi con le divinità locali. Oltre alle loro specifiche discese, tutti gli avatara sono contemporaneamente presenti, e restano così disponibili ai fedeli; per questo tutti i templi vaishnava sono dedicati a specifiche forme del dio.
Il Visnu vedico. Divinità minore della religione vedica, Visnu è tuttavia presentato nel Rig-Veda come l'alleato di Indra e il «salvatore degli dei». Questi sono combattuti, con successo, dai demoni comandati dal gigante Bali; Visnu, sotto la forma di un nano, stringe con Bali il seguente patto:
Lo spazio riservato agli dei sarà compreso, gli dice, fra tre dei miei passi; il resto del mondo ti apparterrà.
Il gigante accetta e Visnu varca il cielo con il suo primo passo, la terra con il suo secondo passo e gli inferi con il suo terzo passo. Da questo il soprannome di Visnu: Trivikrama (Visnu dai tre passi).
• Visnu nell'induismo. Il culto di Visnu si sviluppò nelle regioni indiane in riferimento a due incarnazioni (avatara) già note alla religione vedica: Krisna e Rama.
Sembra oscura la ragione per cui Visnu sia diventata una figura di primo piano proprio nella religione induistica, seppur conosciuta dalla letteratura vedica. É evidente, invece, come il processo storico-religioso indiano abbia favorito l'accrescere progressivo dell'ascendenza mistica di questa divinità.
Come abbiamo accennato, il culto di Visnu risulta dall'adorazione di Krisna e Rama. La figura di Krisna va considerata sotto due aspetti: quello mitologico e quello di un personaggio realmente esistito.
Krisna, dunque, sarebbe stato un principe dei Yadawa, abitatore della regione ad ovest del fiume Yammà. Dopo la morte, egli sarebbe divenuto oggetto di venerazione da parte del suo popolo, e sarebbe stato considerato come incarnazione di Vasudeva, divinità popolare che venne poi identificata con Visnu. Se consideriamo Krisna sotto l'aspetto mitologico, allora è da ritenersi una divinità originaria, conosciuta come «mandriano» (Gopàla), adorata da una tribù di pastori, la quale acquistò in seguito un'importanza fondamentale nel culto induistico e pervenne ad una popolarità ineguagliabile. Krisna, vivendo insieme a delle pastorelle che faceva danzare al suono del suo flauto, ne amò più di mille, ostentando le più raffinate pratiche erotiche. La sua prediletta era Radha, dal popolo venerata come sua sposa e amante preferita. Krisna morì ormai vecchio in una leggendaria circostanza: scambiato per una gazzella, fu ferito mortalmente da una freccia scagliata da un cacciatore, che lo colpì nel tallone, unico punto vulnerabile del suo corpo. Morto, salì al cielo, dove riprese la divina sembianza di Krisna.
• Attributi di Visnu nell'induismo. Il dio dimora nel Vaikuntha, in cima al monte Meru (l'Olimpo dell'induismo), sempre pronto a rispondere alle preghiere di coloro che gli offrono dei sacrifici.
Egli ha due spose: Lakshmi, dea della bellezza, e Bhumi-devi, dea della terra; la sua cavalcatura è l'uccello mitico Garuda. Egli ha come attributi la conchiglia, il disco, la mazza e il loto. Viene rappresentato in genere sotto forma di un giovane uomo a quattro braccia, con ogni braccio che brandisce uno dei suoi attributi, o anche steso, mentre riposa su Cesha, il serpente dalle mille teste.
• Gli avatara di Visnu. Visnu è un dio essenzialmente passivo. La respirazione di Visnu determina i cicli (kulpa) del mondo. Alla fine di ogni kulpa, il male trionfa nell'universo.
Allora Visnu esce dalla sua meditazione eterna e si incarna in un uomo, o in un animale, per lottare contro il male; queste incarnazioni sono chiamate avatara (avatara = «discesa»). Può anche delegare soltanto una parte di se stesso: è il vyuha o «spiegamento parziale».
I testi classici citano dieci avatara di Visnu, ma l'immaginazione popolare ne ha proposti molti di più.
Rama, sua moglie Sita e suo fratello Lakshmana subiscono un esilio di 14 anni nel corso del quale Sita è rapita dal re demone di Ceylon, Ravana, che, in seguito ad una lunga guerra, è vinto dall'eroe Rama, depositario dalla nascita di metà della potenza divina di Visnu. Dopo aver recuperato la moglie, l'eroe la ripudia perché l'opinione pubblica l'accusava di essere stata sedotta da Ravana; Sita si rifugia in un monastero e dà alla luce due bambini. Quando questi raggiungono l'età di 15 anni, Sita muore e Rama la segue nella morte.
Le incarnazioni di gran lunga più note e più venerate sono Rama e Krishna. La seconda, in particolare, è diventata il centro di vari movimenti di bhakti, o di "devozione", che rappresentano Vishnu come dio che ama e che deve essere amato. La prima, come garante dell'ordine sociale e delle istituzioni di famiglia e casta, incarna la funzione regale del dio.
Le raffigurazioni abituali rappresentano Vishnu seduto, con un'alta corona, e nelle quattro mani una conchiglia, un loto, un disco e un bastone; dalla mitologia vishnuita derivano rappresentazioni popolari di Vishnu addormentato sulle spire del grande serpente Shesha negli intervalli tra i cicli di creazione. Soggetto comune delle rappresentazioni del dio sono anche i suoi avatara. Sua sposa principale è Lakshmi (Shri), la benaugurale dea della fortuna, benché venga spesso rappresentato anche con la seconda moglie, Bhudevi, la dea della Terra. La cavalcatura o veicolo è l'uccello semiumano Garuda.
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VRITRA
Demone malvagio della mitologia induista. Vritra è un mostro dalla forma di serpente, che con la sua gigantesca figura copre il Sole e tiene prigioniere le acque e le piogge. Indra lo sconfigge, liberando le acque e facendo tornare la vita sulla terra.
L'interpretazione del mito di Vritra risulta estremamente complessa: il demone simboleggia in primo luogo la siccità annientata dal dio della pioggia Indra, o una divinità prevedica sbaragliata dall'avvento della religione aria o ancora l'aridità e l'ignoranza dell'anima che devono essere sconfitte dalla conoscenza spirituale.
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YAMA
Yama è il dio induista della morte: figlio del dio del sole, Vivasvat, e della ninfa Saranyu (Sanjna). Suo fratello è pertanto Manu, con cui divide il titolo di primo uomo. Yama è fratello della dea-fiume Yamuna con la quale avrebbe formato la prima coppia umana. Yama fu il primo essere umano a morire e, salito al cielo, regnò serenamente sulla città celeste di Yamapura. La figura rassicurante di Yama nel periodo vedico, lo assimila a Dharma, dio della giustizia, rispecchiando la concezione positiva che gli Arii avevano del trapasso nell'aldilà. Solo più tardi, al tempo della redazione dei Purana, forse in seguito alle tremende invasioni e carestie che sconvolsero la penisola indiana, il dio della morte assunse un aspetto terribile. Nell'iconografia induista Yama è rappresentato a cavallo del bufalo, suo veicolo.
Suoi attributi sono la mazza con cui uccide gli uomini e la corda con cui li lega. I suoi emissari sono il gufo e il piccione, mentre i Saramei, figli della cagna di Indra, Sarama, custodiscono l'entrata degli inferi.
Anche nella mitologia buddhista Yama è il dio che presiede gli inferi e invia agli uomini le malattie e la vecchiaia per indurli a condurre una vita morigerata.
giannola
04-09-2006, 23:15
come mai ti rendi promotore di tali conoscenze ?
Nn mi rendo promotore di tali conoscenze.
Propongo un argomento di discussione ed approfondimento.
giannola
05-09-2006, 15:43
TAJ MAHAL
Il Taj Mahal, ad Agra, e' un mausoleo jainista dedicato ad una regina, morta per dare alla luce un figlio.
Prima di morire chiese al marito, un re Moghul, di fare qualcosa per dimostrare al mondo la grandezza del loro amore. Il re le dedico' proprio questo tempio, tutto in marmo.
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MANDALA DI BOROBUDUR
L'immenso mandala di Borobudur e` indubbiamente una delle piu` impressionanti creazioni della civilta` umana. Questa montagna cosmica, costruita all'inizio del nono secolo, molto prima delle grandi cattedrali europee, ha una base di 122 metri quadrati e un'altezza di 35 metri, contiene 5 chilometri di bassorilievi e 500 statue di Buddha, ed poggia su un milione e seicentomila blocchi di pietra. Non esiste monumento al mondo, buddista o altro, che possa fungere da campione di riferimento: con Borobudur nacque un'arte, e una concezione dell'arte, che prima non esisteva.
Gli studiosi hanno identificato influenze indiane, persiane, greche e persino babilonesi. A commissionarlo furono i principi della dinastia Sailendra, a concepirlo furono saggi del buddismo tantrico, che guidarono la mano dell'architetto Gunadharma, a progettarlo fu una delle piu` formidabili equipe di scienziati (ingegneri, astronomi, matematici, fisici) della storia dell'umanita`, a costruirlo furono diecimila operai, artigiani, scultori e schiavi nell'arco di quasi cento anni. La posizione geografica non e` casuale: nella piana si incontrano due fiumi che ricordano la sacra confluenza del Gange e dello Yumna in India, e sullo sfondo si ergono montagne che ricordano il profilo dell'Himalaya.
Tutto si puo` dire di Borobudur, ma non che sia spettacolare. Anzi, e` quanto di piu` austero e incomunicativo si possa immaginare. Da lontano sembra una colossale roccia scura.
La forma e` quella di un gigantesco mandala, che si puo` apprezzare soltanto dal cielo. Le cattedrali europee vennero costruite per essere ammirate dalla piazza antistante, Borobudur e i templi che lo imitarono vennero costruiti per essere ammirati dalle stelle.
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TEMPLI DI PRAMBANAN
Non molto lontano da Borobudur si trovano i templi della piana di Prambanan, 17 km a est di Yogyakarta. Vennero costruiti sotto il regno di Mataram, quello che mise fine alla dinastia Sailendra e che si estese fino a Bali, Lombok, Sulawesi e Borneo meridionale.
Se Borobudur non esistesse, sarebbe Prambanan la grande attrazione architettonica dell'Indonesia. Tre templi, dedicati rispettivamente a Brahma, Vishnu e Shiva troneggiano nel mezzo della corte quadrata. Il terzo e` quello piu` spettacolare.
E` considerato il massimo monumento induista dell'Indonesia. Costruito intorno all'anno 900, la sua pianta ricorda Borobudur, non fosse altro perche' anche in questo caso l'obiettivo degli architetti era di rappresentare il mitico Monte Meru. Al primo dei sei livelli i bassorilievi raccontano la storia del Ramayana. Il potere drammatico e metafisico della danza cosmica di Shiva rappresenta forse l'apice dell'arte giavanese del bassorilievo.
Ognuna delle quattro scalinate porta a quattro camere, dedicate ad altrettante divinita`. La piana e` letteralmente disseminata di templi (in origine ce n'erano 232). Tre chilomeri a ovest, verso Yogya, si incontra uno dei piu` interessanti, il Candi Sari, costruito nell'825, e poco a nord di questo il Candi Kalasan, datato al 778, ovvero uno dei primissimi dell'intera Giava, e uno dei primi documenti del sincretismo giavanese (vi sono fuse la cosmologia induista e quella buddista). Continuando verso Yogya, dopo altri cinque chilometri, si arriva al bivio per Candi Sambisari, la scoperta piu` recente della piana (gli scavi archeologici sono ancora in corso). Gran parte di questi "candi" sono mausolei di sovrani, per cui la piana e` una specie di "valle dei re" giavanese. I templi vennero abbandonati in concomitanza con l'invasione mussulmana, e vennero severamente danneggiati da un terremoto nel Seicento.
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TEMPLI DI KHAJURAHO
I templi sono costruiti in pietra arenaria e, contrariamente alla consuetudine di proteggerli con mura, a Khajuraho poggiano sul terreno libero, leggermente elevati, quasi nel tentativo di volerli sollevare dalle pene terrene.
Degli 85 templi costruiti dai Chandela, oggi ne rimangono solo 22.
Le numerose sculture che adornano i templi di Khajuraho sono una delle più alte espressioni artistiche del Tantrismo.
Mithuna- Accoppiamento degli dei
Le sculture che adornano le parti superiori dei templi sono rappresentazioni del "mithuna", l'accoppiamento degli dei che genera l'energia vitale.
Si possono osservare anche sculture di animali fantastici, danzatrici e ninfe.
Le rappresentazioni nella parte inferiore, vicino alla piattaforma su cui appoggiano i templi, sono invece delle pure e semplici sculture erotiche, una celebrazione dell'amore che tanta parte ha nella vita dell'uomo.
giannola
05-09-2006, 15:43
Con il termine dharma si indica anche la religione, ma non vi si esaurisce; esso indica una sorta di "legge della natura", norma eterna ed "ordine" sia del cosmo, sia della vita individuale e sociale degli esseri umani. Il Dharma ha, per così dire, due dimensioni: l'una che riguarda la legittima acquisizione e fruizione dei beni di questa vita, e l'altra, di tipo escatologico, concerne il fine ultimo di ogni uomo, la liberazione dal samara.
Sebbene la tradizione più antica tende a parlare del Dharma come di un principio unitario, la tradizione ci illustra vari di Dharma, come ad esempio guna-dharma, complesso delle norme da seguire in base alle proprie caratteristiche e qualità, e naimittika-dharma, complesso dei doveri religiosi occasionali, diversi da quelli obbligatori.
Accettando la reincarnazione la preoccupazione principale della tradizione induista è quella di procurare la liberazione definitiva dell'anima (moksa). Siccome l'uomo è composto di anima e di corpo si devono rispettare anche le esigenze dell'organismo psico-fisico prima di potere realizzare la salvezza dell'anima. L'induismo proprone una visione sobria e sintetica della vita umana attraverso le sue teorie tradizionali del purusartha e del varna-asrama-dharma. Il purusartha parla di quattro scopi della vita.
L'ultimo è la moksa, la liberazione eterna dell'anima; subordinati a questo scopo si riconoscono tre altri scopi: - l'uomo ha bisogno dei beni materiali per sostenere la vita; - egli ha bisogno di essere felice e godere delle cose buone ed i piaceri del mondo (kama); - questi due concetti devono visti in funzione del fine ultimo, il che vuole dire che devono essere guidati e regolati a seconda dei principi morali e dei valori religiosi (dharma).
La famiglia rimane un elemento conservatore di certi valori stabili della cultura indù. La famiglia tradizionale è patriarcale, specialmente nelle campagne: l'uomo è il capo ed il simbolo dell'autorità e la donna gli è subordinata. Tuttavia, la donna non è sottomessa ed è considerata una "dea" nella propria casa. La tradizione indù inculca nei figli spirito di rispetto e di sottomissione e di amore verso i genitori. Si presume che nella vecchiaia l'uomo apprenda anche con l'esperienza la natra fragile e transitoria dei beni e si senta invitato a ritirarsi dalla vita normale e a dedicarsi alla ricerca dei beni eterni. L'unica sua occupazione in questa fase è il raggiungere il supremo ideale della perfezione spirituale ed infine la liberazione definitiva (moksa) .
giannola
05-09-2006, 15:44
INTRODUZIONE
Yoga (Sanscrito, yuga, "giogo"), uno dei sei sistemi classici della filosofia indù che differisce dagli altri per i notevoli esempi di controllo del corpo e per i poteri "magici" che si attribuiscono ai devoti pervenuti ai livelli più alti della meditazione. Lo yoga afferma la dottrina secondo la quale, praticando determinate discipline, è possibile giungere all'unione con l'oggetto di conoscenza. Per la maggior parte degli yogin (coloro che praticano lo yoga) l'oggetto di conoscenza è lo spirito universale, Brahma, mentre una minoranza di yogin atei persegue la perfetta conoscenza di sé in luogo della conoscenza di Dio. In ogni caso la meta perseguita dalle tecniche yoga è la conoscenza e non, come si suppone comunemente, pratiche di ascetismo, di chiaroveggenza o il compimento di miracoli. Anzi, la dottrina dello yoga non approva il rigore dell'ascetismo; l'esercizio fisico e mentale è unicamente un mezzo per finalità spirituali.
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OTTO STADI
La pratica dello yoga si compone di un cammino in otto stadi verso la perfetta conoscenza. Primo: l'autocontrollo (yama) comporta la sincerità, l'astinenza, la prescrizione di non rubare, il rifiuto di doni e di arrecare dolore a esseri viventi. Secondo: l'osservanza religiosa (niyama) implica l'austerità, la povertà, i riti di purificazione, la declamazione degli inni vedici e la fede devota nell'Essere Supremo. Terzo: le posture del corpo (asana), considerate fondamentali per tutti gli stadi successivi. Quarto: il controllo del respiro (pranayama) comprende l'alterazione della profondità e del ritmo, la respirazione con l'una o l'altra delle narici e la sospensione virtuale del respiro. Quinto: il ritiro dei sensi (pratyahara), cioè l'impegno a distogliere i sensi dagli oggetti dell'esteriorità, volgendo la mente su se medesima. Sesto: la concentrazione della mente (dharana) focalizza l'attenzione su una qualunque parte del corpo, e in tal modo rende il praticante insensibile ai fattori esterni di disturbo. Settimo: la meditazione (dhyana) concentra la mente sull'oggetto di conoscenza, specialmente sul Brahma, fino all'esclusione di ogni altro pensiero. Ottavo: il raccoglimento assoluto (samadhi), è il perfetto assorbimento del pensiero nell'oggetto di conoscenza, la sua unione e identificazione con questo oggetto. L'ottenimento della samadhi libera l'individuo dalle illusioni dei sensi e dalle contraddizioni della ragione. Esso è pensiero che, giunto oltre se stesso, si realizza annullandosi e conduce a una sorta di illuminazione interiore, l'estasi prodotta dalla vera conoscenza della realtà.
Secondo la dottrina dello yoga accade raramente di pervenire allo stadio finale nel tempo di una sola vita. Si afferma, anzi, che occorra rinascere sette volte prima di ottenere la vera liberazione, la separazione dello spirito dalla materia (Kaivalya). Si suppone che, dopo aver raggiunto il Kaivalya, gli yogin esperti acquisiscano poteri straordinari come l'insensibilità alle temperature, al piacere o al dolore, una sorta di stato catalettico indotto dall'autoipnosi o la capacità di compiere atti sovrannaturali, psichici e fisici.
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PRATICA DELLO YOGA
Gli aspiranti yogin possono scegliere le pratiche che più si adattano alle loro capacità e all'ambiente in cui vivono: molti yogin e la maggioranza dei devoti occidentali praticano lo hathayoga, "yoga fisico", che si fonda sullo sviluppo di quel controllo del corpo da cui discendono le altre pratiche; gli altri sistemi si differenziano principalmente nel sottolineare determinate fasi della pratica dello yoga. Il sistema più popolare in India è probabilmente il bhaktiyoga, "yoga religioso", che dà rilievo ai primi due stadi della disciplina, l'autocontrollo e l'osservanza religiosa. Altri yoga importanti sono il mantrayoga, dedicato al proferimento del nome di Krishna e ad altre pratiche legate al potere della parola; il karmayoga, il sentiero delle opere e del servizio; lo jnanayoga, la via dell'intelletto. La forma che fonde insieme bhaktiyoga, karmayoga e jnanayoga è denominata rajayoga ("yoga reale").
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STORIA
Le dottrine e le pratiche dello yoga risalgono al periodo delle Upanishad. Le Maitri Upanishad in particolare delineano le pratiche essenziali dello yoga, che trovarono elaborazione dottrinale e fondamento filosofico nella raccolta di aforismi dello Yogasutra, di Patañjali, studioso indiano del II secolo a.C., tradizionalmente considerato il fondatore dello yoga. Patañjali trasse le sue dottrine dal Samkhya, il più antico fra i sistemi classici della filosofia indù, originariamente ateo, che egli modificò aggiungendovi il concetto di Dio (Ißvara). Il concetto non è parte integrante della dottrina dello yoga; alcune autorità, anzi, lo ritengono contraddittorio rispetto al sistema dottrinale. In ogni caso, lo yoga, a differenza di altri sistemi della filosofia indù, ha subordinato la dottrina al perfezionamento della pratica. Lo studio sistematico della dottrina dello yoga ha influenzato enormemente il buddhismo e ha affascinato e conquistato parecchi seguaci fra gli occidentali.
giannola
05-09-2006, 22:10
INTRODUZIONE
Non mancano studiosi moderni che considerano i millenari movimenti spirituali come lo shivaismo (più propriamente detto shaiva) o il vaishnavismo delle sette, scaturite da interpretazioni faziose dei testi Vedici. Questi, affermano costoro, vogliono stabilire le loro divinità preferite come supreme mediante arditi giochi di manipolazioni linguistiche.
Niente di più sbagliato. In realtà nei quattro Veda originali, così come nei Purana e nelle Upanishad, si parla di Vishnu e di Shiva, così come della pratiche devozionali che Li riguardano. Un Dio unico esiste di certo: tutte le scritture lo affermano. Il problema sta nello stabilire chi Egli sia.
I devoti di Shiva sostengono che quell'Essere Supremo sia la loro divinità e che nessun altro possa essere superiore a Lui. Questo è vero, e nello stesso tempo non lo è. Nei canoni della scienza spirituale vedica è spiegato come sia Vishnu che Shiva sono personaggi divini e che ognuno di Loro ha funzioni particolari nel creato. In questo capitolo ci occuperemo brevemente delle varie correnti di pensiero shivaite.
Una particolarità che le caratterizza è che questi, a differenza dei Vaishnava e degli appartenenti ad altri grandi movimenti spirituali, non hanno mai amato particolarmente fare grande uso del Vedanta-sutra, preferendo sviluppare una propria tradizione letteraria. Ma ci sono state delle eccezioni, come ad esempio gli Shaiva-siddhanta.
Le scritture shivaite più importanti sono i ventotto Agama, che si occupano principalmente di spiegare il rapporto che intercorre tra Shiva e le anime. Alcune di queste shastra sono di tipo monistico, altre di tipo pluralistico. Ma, come spesso accade quando si tratta del pensiero indiano, la contraddizione è solo apparente.
Infatti questi scritti furono originalmente rivelati dal saggio Durvasa ai suoi tre figli, ma ad ognuno di loro in modo differente. Così enunciò la stessa filosofia adattandola al diverso stato di coscienza dei suoi figli, che in quel momento si ponevano come rappresentanti dei vari esseri viventi. I figli del Muni erano Tryambaka, Amardaka e Shrinatha. Tryambaka avrebbe fondato una metafisica a carattere monistico assoluto (tutto è Uno), Amardaka di tipo monistico qualificato (tutto è uno, ma solo in qualità), Shrinatha di tipo pluralistico (esistono diverse entità). Questo spiega la ragione per cui fin dalle origini nello shivaismo siano esistite convinzioni filosofiche tanto diverse.
Della figura di Shiva si parla in tutte le maggiori scritture vediche. E' un personaggio divino eccezionalmente interessante e che spesso presenta aspetti apparentemente ambigui.
Il Bhagavata Purana racconta che all'origine dei tempi Vishnu generò dapprima gli universi e poi Brahma, il primo essere creato. Quando quest'ultimo volle riempire di esseri viventi l'enorme "uovo cosmico" (andam), incaricò di ciò i suoi primi quattro figli, i Kumara. Ma essi rifiutarono, dicendo che preferivano la vita ascetica. Per questo grave rifiuto, Brahma si adirò al punto che dalla sua fronte scaturì Shiva, il quale subito emise delle furiose grida; per questo suo primo possente strillo venne poi chiamato anche Rudra.
Secondo i Purana, Egli non è una normale entità vivente come tutte le altre che in seguito avrebbero popolato l'universo, bensì una particolare incarnazione di Narayana con specifici compiti da assolvere. Questi sono:
a) facilitare l'ingresso delle jiva condizionate in questo universo attraverso il contatto con madre Durga,
b) distruggere i mondi quando il tempo sarebbe stato maturo, e
c) prendersi cura delle anime più degradate.
Ovviamente non si può dire quali di questi compiti siano più importanti di altri, però è il terzo a balzare maggiormente all'attenzione. Questa è la ragione per cui Egli, sebbene sia una delle personalità più evolute dell'universo, è sempre dipinto e descritto come in compagnia di esseri immondi come folletti, fantasmi e demoni di vario genere. Indossa una ghirlanda di teschi umani, è sempre ricoperto di cenere e porta dei serpenti al collo. Ancora oggi i suoi devoti fumano anche droghe, si puliscono poco e spesso si dedicano a pratiche considerate ributtanti dalle persone comuni. Ciò perché la sua funzione è di permettere la liberazione, o comunque un qualche avanzamento, alle persone dal basso livello di coscienza.
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LAKULISHA - PASHUPATA
I testi principali di questa corrente shivaita sono il Pashupata-sutra (del quale non si conosce l'autore) e le Gana-karika di Bhasarvajna. Il fondatore di questa setta potrebbe essere un maestro lakulin (portatore di clava), del quale non si conosce nulla. Per poter capire bene i loro punti, crediamo che la cosa migliore sia andare a una veloce lettura dei 162 sutra che costituiscono il Pashupata-sutra.
Il testo comincia descrivendo le austerità che deve compiere chi intende avanzare nella realizzazione di Shiva, quali immergersi tre volte al giorno nella cenere, dove deve giacere a lungo, indossare le ghirlande offerte al Dio in sacrificio, esibire le prove della sua devozione (come appunto la cenere cosparsa in tutto il corpo e le ghirlande), risiedere in luoghi sacri e osservare con spirito sottomesso le regole del riso, del canto, della danza e della preghiera. Tutto deve essere fatto in onore di Mahadeva (Shiva).
Vestito di una sola veste o in certi casi anche nudo, non deve guardare l'urina o lo sterco umano e gli è proibito parlare con donne o con persone degradate. Se ciò per qualsiasi ragione dovesse accadere, gli è d'obbligo purificarsi immediatamente spalmandosi di cenere, eseguire esercizi per controllare il respiro e mormorare i mantra in preghiera a Rudra (che è fondamentalmente il gayatri shivaita).
Chi è puro di mente e pratica le suddette regole, progredisce velocemente e in modo felice in direzione dell'unione col Signore.
Su questo sentiero sviluppa gli otto poteri mistici, che sono:
essere in grado di vedere ogni cosa,
poter udire tutti i suoni,
poter comprendere tutto,
conoscere tutte le scritture,
essere al corrente di qualsiasi cosa che accada,
divenire veloce come la mente,
essere in grado di assumere qualsiasi forma si voglia e
poter fare qualsiasi cosa sia nei propri desideri.
E ciò anche nei momenti in cui i sensi non sono operativi (come nel sonno o in altri stati di incoscienza).
Shiva è il Signore Supremo; nessuno è al di là di Lui. Chi Lo adora può stare in Sua compagnia per sempre. I sutra che seguono esprimono preghiere a Rudra.
Nulla Gli è precluso e non deve dipendere da niente e da nessuno. Al contrario delle persone comuni, le Sue attività non sono soggette al karma. Con Lui tutte le cose cattive divengono buone e tutto ciò che è di cattivo auspicio diventa immediatamente positivo. Tutti i deva provengono da Lui; dunque è Shiva il titolare di tutti i sacrifici vedici. Chi si rifiuta di gioire dei risultati delle proprie azioni, ottiene lo stato del Grande Essere, cioè la Trascendenza, nel quale non esistono disturbi di nessun genere. Queste pratiche sono di importanza primaria e la nostra adorazione deve essere rivolta a Shiva, solo a Lui e a nessun altro.
Lo yogi deve fare in modo di essere disprezzato dalla società e non deve fare sfoggio delle proprie conquiste (cioè dei poteri acquisiti). L'assenza di orgoglio è considerata la migliore delle pratiche. Non deve rendere pubblico il proprio status spirituale e gli è permesso di mangiare solo ciò che gli viene offerto in elemosina. Questo è l'unico retto cammino. Chi si comporta secondo questi canoni raggiunge la perfezione. I sutra che seguono sono dedicati alla lode di Shiva.
Così il devoto diventa privo di attaccamenti e quando le impurità dei desideri e delle sensazioni sono oramai sconfitte, questi si congiunge a Lui e si dedica perennemente al suo servizio. Ma tutto ciò è possibile solo se i sensi sono sotto completo controllo. Si deve abitare in capanne solitarie o in grotte e dedicarsi solo a Dio, domando i sensi. Così facendo, entro sei mesi iniziano ad apparire i primi poteri sovrannaturali. Allora non si è più condizionati dal karma.
Recitando il gayatri e meditando sulla sillaba Om, si deve concentrare in essa tutto il proprio cuore ed è sempre d'obbligo glorificare Shiva. Pensando ininterrottamente a Lui, alla fine è possibile raggiungerlo. Gli ultimi sutra contengono ancora glorificazioni a Mahadeva.
Nel corso della storia, da questa setta ne sono sorte innumerevoli altre, come la Kapalika, la Kalamukha e la Mahavratadhara, che mettevano in atto pratiche e discipline veramente ripugnanti. Col passare del tempo, la dottrina si modificò e slittò dalla sua forma originale, cioè di una vera e propria bhakti (devozione al Dio) a quella dove fondamentalmente si mirava ad ottenere uno splendore e una perfezione del tutto simili a quelli di Shiva stesso. In altre parole, lo scopo era diventare Dio.
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RICONOSCIMENTO IN SHIVA
Il maestro principale di questa setta shaiva che ebbe un'eccezionale diffusione nel Kashmir verso il 200 d.C., è Vasugupta, autore (per qualcuno solo lo scopritore) degli Shiva-sutra, com-posti di 78 versi.
Secondo ciò che si narra, questa dottrina sarebbe antichissima, di molto precedente al maestro ma, essendo caduta nell'oblio, Shiva stesso gli sarebbe apparso in un sogno. Seguendo le istruzioni ricevute, il saggio andò sul monte Mahadeva dove, scolpiti su una pietra, ritrovò i sutra immortali recitati dalla divinità stessa. Questi sono alla base della dottrina.
In seguito grandi maestri quali Kallata, Abhinavagupta e Kshemaraja la elaborarono, facendola diventare una delle filosofie shivaite più influenti. Ma con l'avvento dell'islamismo (cioè in un'epoca che va dal 1315 in poi), questa cominciò a perdere di importanza. La dottrina viene anche chiamata Kashmiri, in quanto si diffuse maggiormente proprio in questa regione settentrionale dell'India, per poi propagarsi in tutta la nazione. Ma ancora oggi in Kashmir si possono trovare molti devoti di Shiva di questa particolare tendenza filosofica.
Diamo ora un riassunto degli Shiva-sutra.
Prima di tutto viene introdotto il concetto del sé, il quale viene definito come "pura coscienza". Subito dopo si offrono delucidazioni sulla ragione della prigionia che l'anima deve subire in questo mondo, che è l'identificazione con la falsità, che causa il karma e dunque gli avvenimenti del mondo delle illusioni. Alla base dell'ignoranza c'è l'insieme dei fonemi che compongono l'alfabeto, e cioè l'energia materiale.
Poi i sutra specificano che in realtà la falsità assoluta non esiste, in quanto tutto è energia dinamica di Shiva; come tale nulla viene mai distrutto, anche quando si è prigionieri nel mondo di maya. In altre parole, la nostra prigionia non causa la distruzione dello spirito.
La conoscenza pura è causata da uno stato di veglia, mentre le rappresentazioni mentali sono generate da uno stato di sogno; la non discriminazione (o l'ignoranza) proviene da un qualcosa del tutto simile a un sogno, maya, che ci tiene prigionieri. Lo yogi che ha ottenuto la perfezione ha il dominio su tutti e tre gli stati.
Quando si medita con volontà ferrea su come distruggere il male, si ottiene la potenza più grande di tutte. In realtà il corpo dello yogi diventa "l'esistente stesso". Grazie al raccoglimento della mente all'interno del proprio cuore, lo yogi ottiene la perfetta visione di tutto e, grazie a tale meditazione, raggiunge la Rivelazione.
In cosa consiste questa Rivelazione? Che in realtà "io sono Shiva". In questo stato di coscienza si può ottenere un'estasi interiore priva di difetto, che è totale felicità e conoscenza. E quando si realizza che "io sono Shiva" tutti i poteri sbocciano e si mostrano appieno.
I sutra poi iniziano a parlare dell'importanza dei mantra, tema ricorrente in tutti i testi vedici. Grazie alla loro somma potenza, diviene possibile meditare sulla Coscienza Suprema, sperimentando in sé stessi la loro efficacia. Il mantra è spirituale e può conferire ogni potere.
Ma non bisogna assolutamente accontentarsi dei grandi poteri che scaturiscono da questa pratica poiché, adagiandosi sulla sensazione di potenza che si prova, si rischia di perdere i veri benefici, che sono ben altri. L'essenza dei mantra sta nel loro essere costituiti di conoscenza perfetta, cioè di energia spirituale. Per questa ragione si possono ottenere ambedue, cioè i poteri mistici e il sapere trascendentale. Divenuti spirito grazie a tale contatto, si guadagna lo status spirituale che è proprio di Shiva.
Per avere tutto ciò è fondamentale l'azione del maestro spirituale (il guru), il quale risveglia il discepolo. Quest'ultimo deve dare tutto al proprio insegnante e stare bene attento a non ricadere nel circolo vizioso delle rappresentazioni discorsive. Deve badare a non ricadere vittima di maya.
Allo yogi viene consigliato di meditare sulla dissoluzione di tutti i principi che costituiscono il suo corpo materiale. Ci sono molti tipi di meditazioni capaci di condurre alla perfezione, ma questi non possono conferire meccanicamente la perfezione massima se lo yogi non ha il cuore puro. E quando riesce a sopraffare l'offuscamento di maya, sente nascere in lui la conoscenza, che dà sommo potere.
Questo mondo è prodotto dall'energia di chi ha già raggiunto la liberazione. Seduto in una posizione che risulti comoda, egli deve immergersi all'interno della propria coscienza e così può divenire creatore e dissolutore di ogni cosa. In altre parole, diventa Dio stesso. Di conseguenza non rinasce più. Tale yogi diviene del tutto simile a Shiva.
Ogni cosa deve essere uno strumento per adorare e venerare Lui: il corpo, la lingua, la conoscenza stessa. Come una delle principali forme di servizio devozionale da offrire alla Divinità, il devoto deve donare la propria conoscenza agli altri.
Egli non vede più differenziazioni: per lui tutto ciò che esiste non è altro che un'espressione delle sue stesse potenze. Questo ottiene lo yogi liberato.
L'anima cade nell'illusione per colpa del desiderio, ma quando questo è esaurito, la prigionia si dissolve. Tutti gli elementi materiali si distaccano da lui e diviene un'anima liberata, piena e perfetta, uguale sotto ogni punto di vista al Signore. A quel punto avverrà il reincontro con Shiva.
Per gli shivaiti kashmiri la salvezza è dunque possibile solo quando l'anima si riconosce in Shiva, e cioè quando realizza che io non sono un altro io, bensì Shiva stesso. Questo concetto è dunque una condanna per il dualismo spiritualistico e vuole così affermare la completa uguaglianza fra l'individuo e l'Assoluto, per cui esisterebbe un solo Ente Supremo.
Un altro testo fondamentale dello shivaismo kashmiri è lo Spanda-karika (52 sutra), anche questo attribuito a Vasugupta, il quale elabora in modo forse più ampio alcuni dei concetti già espressi nello Shiva-sutra.
Questa dottrina del "riconoscimento in Shiva" è anche denominata trika, in quanto si fonda sull'ipotesi dell'esistenza di tre principi: Shiva (il principio supremo), shakti (le sue energie) e jiva (l'anima individuale). Ma tutti e tre questi principi in realtà non sono altro che Shiva stesso. Quindi per i Kashmiri il mondo è l'oggettivizzazione del pensiero divino e quindi non esiste l'irreale, in quanto tutto ciò che la Realtà Suprema fa deve essere totalmente reale.
Rudra crea tutto senza servirsi di nulla, semplicemente facendo agire le sue energie (shakti). Queste energie sono allo stesso tempo uguali e distinte dal Signore, e sono cinque. Con queste, Dio causa il divenire cosmico.
Lo spirito universale diviene individuale per l'energia di maya e viene limitato da corazze (kancuka), o strati di elementi materiali, divenendo così vittima dei tre guna e subendo così sentimenti che procurano gioia, dolore e apatia. All'inizio questi tre guna sono in equilibrio, ma quando lo stato di perfetta quiete viene scosso da un urto (kshobha), l'energia materiale (prakriti) si evolve nei vari tattva (i principi che compongono la creazione materiale).
Quando l'anima non ricorda più di essere lui stesso Dio, erra per il samsara, provocando il karma.
Ci sono tre impurità innate, detti anche vizi fondamentali, che condizionano l'esistenza. E sono:
l'anava-mala, il male dell'individuazione (cioè pensare di essere qualcosa che non si è),
il karma-mala (provocare e subire il karma), e
il maya-mala (per il quale ci si sente un essere corporeo in un mondo che immagina esistente al di fuori di lui stesso).
Incatenate dalle tre impurità, le anime vengono munite di organi che la limitano.
Il mezzo per conseguire la liberazione è l'annientamento dell'ignoranza e dell'individualità, cioè il samavesha (entrare o consumarsi in Dio), che si ottiene coltivando pazientemente la conoscenza perfetta.
Di particolare importanza è l'accettazione di un guru autentico e la recitazione sapiente dei mantra. E quando l'energia divina (shakti) entra nel devoto e s'impossessa di lui, egli torna ad essere "uguale a Shiva" (Shiva-tulya).
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SHAIVA - SIDDHANTA
Contrariamente allo shivaismo kashmiri, questo sistema presuppone l'esistenza eterna di sostanze diverse, anche se provenienti dalla stessa sorgente. Dunque, mentre da una parte si può definire monista un sistema che fa risalire tutto a una sorgente unica, questa dottrina, vista da una certa prospettiva, è definibile come pluralistica. Infatti spicca l'idea che l'Uno-tutto, nel suo divenire, si differenzi.
Anche se non tutti sono d'accordo, pare che il primo organizzatore dello shaiva-siddhanta sia stato Meykanda, che scrisse, in lingua tamil, lo Shiva-jnana-bodha (Risvegliarsi alla Conoscenza di Shiva). Ma i praticanti di questa dottrina amano rifarsi anche al filosofo Shrikantha, probabilmente contemporaneo di Ramanuja e quindi vissuto nel 1100 circa, il quale scrisse un poderoso commento ai Brahma-sutra. La sua posizione dottrinale si chiama Shiva-vishishtadvaita ed è una forma di monismo secondo cui Shiva è Brahman e, grazie all'azione delle Sue energie, Egli è andato gradualmente distinguendosi.
Ma il monismo dello shaiva-siddhanta sembra più apparente che reale, in quanto poi viene da loro affermato che dopo la liberazione ognuno mantiene la propria individualità. Vengono infatti riconosciute tre sostanze eterne: Dio, le anime e la materia. Con quest'ultima energia il Signore (pati) lega (pasha) le anime (pashu). Per questa ragione Shiva viene anche chiamato Pashupati.
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VIRA - SHAIVA
I vira-shaiva sono i devoti fedelissimi di Shiva e vengono anche chiamati lingayat, in quanto portano sempre con loro il Linga. Per loro non esiste nessun altro Dio all'infuori di Shiva e lo venerano appunto con questo simbolo, il Linga appunto, che è una divinità a forma di fallo. La ragione per cui Mahadeva viene adorato con questa particolare murti va ricercata nella convinzione che Shiva sia il progenitore di tutti e dunque il padre di tutte le creature.
La comunità Vira-shaiva venne organizzata nel dodicesimo secolo circa da Basava, che era un importante ministro di un re kanarese, ma non ci sono dubbi che tali dottrine provengano dalle notti dei tempi. In origine dovette svilupparsi come movimento di protesta contro i soprusi e le prepotenze dei brahmana del tempo, ma in seguito proposero severe riforme e svilupparono una propria dottrina filosofica. Anche loro vantano un proprio commento ai Brahma-sutra, cioè lo Shrikara-bhashya di Shripati, compilato indicativamente verso il 1400.
La definizione tecnica della loro filosofia può essere a ragione chiamata visheshadvaita, cioè una forma di monismo differenziato. Shiva è l'Ente Supremo, il Dio oltre il quale non esiste nulla e nessuno; la pluralità presente nel mondo è prodotta da Lui attraverso la shakti, la sua energia divina. Anche le anime individuali sono di natura divina: non potrebbe essere diversamente, in quanto tutto proviene dalla stessa sorgente, cioè da Shiva. Originalmente la jiva è un tutt'uno con Lui, ma la forza della shakti provoca un movimento (kshobha) che destabilizza l'equilibrio eterno, per cui l'entità spirituale si divide in due: il lingasthala, cioè il Dio che deve essere venerato, e l'angasthala, l'anima individuale che deve ubbidire e venerare Dio.
Quest'ultima cade vittima di maya, per cui si ritrova in situazioni dove la sua coscienza appare profondamente mutata. Perciò deve adorare il Supremo in modi altrettanto variegati, a seconda della situazione in cui si trova. Se lo yogi vuole raggiungere la perfezione massima, deve praticare gli esercizi spirituali e abbandonarsi con fiducia nel grembo di Shiva.
In cosa consistono queste pratiche? In una sorta di bhakti, cioè di servizio devozionale a Shiva, il quale deve essere servito con tutto l'amore e l'adorazione di cui si è capaci.
Shiva ha due energie: shakti e bhakti. Con la prima crea il mondo, mentre con la seconda libera le anime da tutto ciò che è terreno e dunque illusorio. In un certo senso, non c'è una totale identificazione con Shiva, ma un eterno rapporto d'amore con Lui.
giannola
05-09-2006, 22:11
STORIA
Prima dell'arrivo, avvenuto fra il 2000 e il 1500 a.C., degli Indo-Europei nella valle dell'Indo, l'India fu occupata da tre gruppi di popoli:
- i Munda , la cui lingua appartiene al gruppo austroasiatico; la loro vita religiosa è di tipo primitivo;
- i Dravida , che si diffondono in tutta la penisola indiana prima del terzo millennio a.C. (discendenti attuali: gli abitanti del Dekkan). I culti dravidici hanno lasciato tracce sui culti posteriori: le venerazioni di idoli femminili e il culto del Linga (emblema fallico);
- infine segnaliamo che sono state scoperte, dal 1924, nel bacino dell'Indo, a Mohanjo-daro e Harappa, tracce di splendide civiltà che si ricollegano a quelle della Mesopotamia (John Marshall, E. Mackay).
Gli Indo-Europei penetrano nella penisola indiana da nord-ovest; ci interessano due rami indo-europei: gli Indo-Iraniani che popoleranno la Persia, e gli Indo-Ariani (Ario) , che si stabiliscono in India e si sovrappongono alle civiltà preesistenti. Essi portano con sé un sottofondo religioso comune che darà in Persia l'Avesta e in India il Veda.
LA RELIGIONE VEDICA
La religione vedica è quella degli invasori ariani, modificata dalle influenze autoctone. Le credenze animistiche e l'adorazione delle forze naturali vi predominano; la mitologia è un riflesso dell'organizzazione sociale primitiva (primato dei guerrieri). Noi conosciamo questa religione attraverso quattro raccolte di testi rituali, i Veda (Veda = «sapere»), redatti fra il 2000 e il 1000 a.C.
Quando la classe dei sacerdoti diventa più potente, il culto si complica e la mitologia si trasforma; nel IX secolo appaiono dei commentari sui riti e sulle formule vediche, sul sacrificio e sui rapporti con il Principio assoluto (brahman): sono i Brahmana (Interpretazione sul brahman).
La tendenza filosofica fiorisce dal VI secolo negli Upanishad o «avvicinamenti» che contengono degli sviluppi filosofici e simbolici estremamente profondi. Parallelamente a queste dottrine si definiscono due movimenti religiosi molto differenti dal brahmanesimo: il buddismo e il giainismo.
Dal III secolo a.C., si opera una sintesi fra il pensiero religioso (vedico e brahmanico) e il pensiero filosofico (i due grandi sistemi di filosofia indù a quest'epoca sono il Vedanta e il Sankya ). Da questo amalgama nasce una religione eterogenea dai mille aspetti, un vero tesoro metafisico ove le credenze più grossolane si uniscono ai pensieri più astratti, che invadono tutti i campi: sociale, letterario, artistico, ecc. e alla quale A.Barth ha dato il nome di induismo.
CARATTERISTICHE GENERALI
«Tutti gli dei, uniti di cuore e di spirito, camminano con un solo volere nella dritta via». (Rig-Veda, 6/IX)
Questa frase del Rig deve metterci in guardia contro la tendenza, ereditata dalla mitologia greca, a gerarchizzare dei e demoni della religione vedica. Non vi è veramente alcuna possibile classificazione rigorosa, ed essa non compare mai nei testi.
Un dio vedico, un deva, non è un essere astratto; è un personaggio attivo, vivente, all'occorrenza, fra gli uomini che egli favorisce o che combatte, secondo la qualità dei sacrifici che gli sono offerti; un deva non è dunque necessariamente buono o cattivo. É la stessa cosa per gli asura (demoni): sono esseri neutri, benefici o malefici secondo i casi. Bisogna notare che presso gli Indo-Iraniani i due termini sono stati mutati: in Persia, un dio è un ahura (sanscrito asura) e i deva sono i demoni; bisogna vedere in questo una conseguenza dell'ambivalenza (doppio valore) delle divinità indo-europee.
D'altra parte sarebbe un errore far derivare gli dei vedici dall'animismo primitivo che consiste nel popolare tutto di divinità. C'è inoltre, nel pantheon del Rig-Veda, un'eco della società ariana ai suoi inizi; in particolare di Indra, divinità principale della religione vedica, un dio guerriero patrono della classe dei kshatriya, cioè della nobiltà militare. Vedremo del resto che il passaggio dalla religione vedica al brahmanesimo corrisponde ad una sostituzione dell'autorità dei sacerdoti a quella dei guerrieri.
DIVINITA' DEL VEDISMO
Le divinità vediche sono, nella quasi totalità, rappresentazioni di fenomeni naturali che avevano profondamente impressionato lo spirito del popolo.
• Indra. Nel Veda primitivo, Indra è il Dio invocato più frequentemente (250 inni sono dedicati a lui) e che ispira il maggior numero di leggende; per questo inizieremo da lui, benché sia un dio guerriero (Kshatryas), cioè di una casta inferiore alle divinità sovrane, Varuna e Mitra, che assumeranno importanza soltanto in epoca posteriore (dopo che la classe dei brahmani avrà avuto il sopravvento sulla classe dei guerrieri nella società indiana).
É il dio indiano che assomiglia di più ad un uomo. É l'unico ad avere una nascita (egli esce dal fianco di sua madre); si ritiene abbia ucciso suo padre al quale ha derubato il soma, la bevanda sacra degli dei. La sua arma è il vajra (il fulmine) con il quale egli compie le imprese più grandi. Coraggioso, potente, Indra è il dio dei guerrieri: ma ha i difetti degli uomini: si inebria di soma, è geloso della potenza degli altri e molte sono le sue scappatelle amorose. La sua dimora - quando non parte per qualche spedizione - è situata sul monte Meru, nell'Himalaya (il centro della Terra, dicono i testi).
Egli ha numerosi soprannomi: Indra il fulminante (Vajri), il Grande Indra (Mahendra), il potente (Sakra), l'uccisore di Vritra (Vritrahan). Egli è lo sposo di Indrani e il padre di Citragupta; la sua cavalcatura è l'elefante Airavata.
Indra uccide il drago Vritra, che bloccava le acque della montagna; questa impresa ha reso feconda la terra e, se si considera l'importanza dei monsoni per la vita agricola indiana, si può capire quanto sia stata esaltata questa prodezza. In seguito, questa liberazione delle acque adombrerà il nome di Indra, poiché il drago è presentato come l'incarnazione di un bramino: il dio guerriero porterà dunque il peso del peccato di aver ucciso un sacerdote.
Indra è anche il liberatore delle vacche prigioniere del demone Vala, il conquistatore dell'Aurora e del Sole; egli trionfa sui demoni Arbuda, Visvarupa, Namuci, ecc., ed aiuterà più tardi Visnu al momento della burrificazione del mare di latte.
• Varuna è meno onorato di Indra negli inni vedici; eppure questo dio, che non è più un uomo, è il dio sovrano del pantheon indiano primitivo; le leggende ne fanno, con Mitra, al quale è quasi sempre associato, uno dei figli della dea Aditi, il cui nome significa «esempio di legami» e che si interpreta spesso come una rappresentazione concreta dell'infinito (o più esattamente dell'indefinito).
• Mitra. Sempre accostato a Varuna, è il dio del Giorno (Varuna con i suoi occhi-stelle regna sul cielo notturno). Nel Veda è dedicato a lui un solo inno, ma egli non deve essere considerato un dio secondario, anzi, Mitra è l'ordinatore delle regole fissate da Varuna: egli vigila sul rispetto della parola data. É associato al Sole e corrisponde, senza possibile ambiguità, al Mitra iraniano; ma il suo ruolo è meno importante in India che in Persia.
• Agni. Il più importante degli dei terrestri è Agni.
ALTRE DIVINITA'
Dei cosmici
- Aditi, lo spazio-celeste, la «Madre-senza-padre», è una specie di dea madre abbastanza vaga; viene identificata a volte con la Vacca sacra. I suoi figli sono gli Aditia.
- Il binomio Cielo-Terra è rappresentato da Dyaush Pita (il «Luminoso») e Prithivi (la «Vasta»); questo binomio è spesso invocato dal Rig-Veda, ma rimane di secondaria importanza nel pantheon.
- Gli Aditia sono 7 di numero (ve ne saranno 12 in un'epoca più tardiva). I primi due sono Varuna e Mitra; gli altri espletano un ruolo secondario. L'ottavo figlio di Aditi è Surya (altro nome: Savitar, «Il Promotore»), cioè il sole; egli percorre il cielo con il suo carro.
- Ushas è l'amante, la fidanzata o la figlia del Surya di cui essa prepara la via. É anche fidanzata a Kandra (la Luna, che è di sesso maschile nella religione vedica).
A Ushas sono dedicati venti inni meravigliosi, pieni di impeto lirico, privi di quegli accenni sacrificali che appesantiscono spesso la poesia vedica. Ushas è l'Aurora, la figlia del cielo e sorella della notte; veste splendidamente; viaggia ogni mattino su di un carro trainato da due cavalli rossi e da due vacche rosee ed è sempre inseguita invano dal sole (surya). Portatrice della prima luce del giorno, Ushas risveglia gli uomini, incitandoli alla bontà, alla giustizia e al proficuo lavoro; gli uomini, a loro volta, la implorano perchè conceda loro un buon cibo, prole, bestiame, ricchezza e lunga vita.
Divinità secondarie
- Gli Asvin sono gli dei gemelli della Luce che viaggiano in un carro dorato, tirato da cavalli e uccelli. Sono i messaggeri di Ushas, la dea dell'Aurora, ed operano nel cielo di Indra, delle guarigioni meravigliose. Gli Asvin sono i più giovani tra gli dei e pure i più antichi. Il loro carro percorre in un solo giorno tutto l'universo; compassionevoli verso i deboli e gli oppressi, agli Asvin vengono attribuite eccezionali imprese miracolose: ciechi ritornati a vedere, paralitici risanati, mogli sterili allietate da figli ecc. ecc. Ben cinquanta inni sono a loro dedicati e, insieme a Indra, sono gli dei più cantati dalla letteratura vedica.
- I Gandharva : musicanti dissoluti, attirati soprattutto dai piaceri sessuali che ricercano perfino con le mortali. Le loro corrispondenti femminili sono delle ninfe: le Aspara, cortigiane divine.
- Kama è il Cupido vedico; egli è armato di un arco e di frecce che sono fiori di loto, di giglio, di gelsomino, ecc. Cavalca un pappagallo. La sua sposa è Rati, dea della voluttà.
Semidei
Secondo i Veda, il primo uomo si chiama Manu; dall'offerta di latte e di burro che egli fece a Visnu, nacque una donna, Ida, che si tasformò successivamente in giovenca, in capra, ecc. Manu, trasformandosi di volta in volta in toro, in capro, ecc., fece nascere, dai suoi vari rapporti, le bestie della creazione. Il primo uomo che morì fu Yama, che diventò il re e il giudice dell'Inferno; a seconda delle sue azioni sulla terra, l'anima è autorizzata a salire verso il soggiorno dei Pitri («Padri»), o al contrario è invitata agli Inferi ove essa si purifica prima della sua reincarnazione.
DESTINO UMANO
Non vi è, nei Veda, alcuna allusione precisa al tema della reincarnazione. Il seguace della religione vedica ricerca sulla terra un vita felice e lunga, ma nulla di più.
Una tendenza al «monotesimo» si manifesta nell'idea del Rita, cioè di un ordine universale, di una forza astratta attraverso la natura, sulla quale si basa la teoria del sacrificio.
- La realizzazione del Rita esige che il multiplo sia unificato; questo compito, che consiste in una enorme sintesi, è di Prajapati, dio supremo, padre di tutte le cose.
Ma questo dio - dal ruolo poco sviluppato - non è puramente vedico: egli compare soltanto nel Brahmana, cioè nell'epoca post-vedica.
Il sacrificio.
Conosciamo il culto vedico soltanto attraverso testi posteriori ai Veda (i Brahmana, Sutra); esso si basa essenzialmente sul sacrificio, che è un mezzo per l'uomo di entrare in contatto col mondo divino che egli onora o che egli implora.
Il sacrificio comprende degli inni e delle preghiere che accompagnano un'offerta al dio, di cui si celebra il culto; questa offerta consiste in prodotti di coltivazione, in alimenti vari (in particolare il latte cagliato) o anche in frammenti di animali. Essa è gettata nel fuoco dagli officianti, assistiti dal laico che è il beneficiario del sacrificio (il fuoco sacro acceso sull'altare porta agli dei i regali che ha bruciato).
Vi sono numerose cerimonie sacrificali, a date fisse o secondo le iniziative dei fedeli. Il sacrificio più solenne comprende l'offerta al dio adorato del soma, bevanda sacra a base di erbe inebrianti, chiamata più volgarmente «erba di luna» (nome erudito: Asclepias acida). Nella religione vedica primitiva, questa bevanda era una divinità portata sulla terra da un'aquila-falco. Molti riti sono stati conservati dall'induismo (riti di ospitalità, «Grande osservanza» del solstizio d'inverno, ecc.).
EVOLUZIONE FILOSOFICA
Nei Brahmana e negli Upanishad cambia il punto di partenza; anche la società è cambiata. L'importanza dei bramini, dei sacerdoti, è aumentata; la casta militare è stata dominata dalla casta sacerdotale e, mentre la religione popolare seguiva il proprio corso, si sviluppava una riflessione metafisica che doveva essere la base di tutte le filosofie induiste posteriori.
Si assiste per prima cosa ad un inventario delle forze della creazione. La Grandezza, il Nutrimento, la Verità, l'Energia della luce, la Bellezza, ecc., una quantità impressionante di nomi astratti invade il vocabolario religioso.
Vediamo un termine importante: il karman o «attività»; si tratta in questo caso non soltanto dell'azione materiale stessa, ma delle intenzioni e dei pensieri che la dinamizzano, cioè di ciò che determina la personalità attiva di un individuo.
Questo inventario è un goffo tentativo di spiegare le condizioni dell'esistenza umana; nei Brahmana, il mito ha ancora il sopravvento sulla spiegazione astratta, ma negli Upanishad tutto cambia: Jnana (la Conoscenza) sostituisce Yajna (il Sacrificio); la meditazione ha il sopravvento sulla pietà.
giannola
05-09-2006, 22:11
FILOSOFIA
Senza ombra di dubbio, la Vaishnava è la tradizione spirituale più ricca di letteratura, di filosofia, di religione e di straordinari momenti storici.
Il vaishnavismo è la dottrina della devozione a Vishnu, il Dio Ultimo e Assoluto. La supremazia di Vishnu su tutti gli altri dei del pantheon vedico è proclamato dai Veda stessi; è infatti dai pori della Sua pelle che emanano gli universi materiali, da Lui proviene Brahma, dal quale viene poi generato Shiva, ed è da una delle Sue espansioni che scaturiscono poi tutti gli Avatara divini. Ma il fatto che Vishnu sia la Persona Suprema non proibisce di provare un qualsiasi sentimento di devozione, talvolta persino superiore, per una delle tante divinità di cui i Veda parlano. Il sentimento è soggettivo e quindi si può essere devoti di Shiva, di Brahma, di Indra, delle Shakti, di Varuna o di Ganesha, sempre che si sia coscienti che il Dio Supremo è Vishnu. Om tad vishnu paramam padam, afferma il Rig-Veda: nulla è più elevato che prendere rifugio ai Suoi piedi.
La dottrina della devozione a Vishnu, la Vishnu-bhakti, è straordinariamente variegata e complessa, in quanto Egli ama assumere un numero praticamente illimitato di aspetti. In altre parole, Vishnu si espande in personalità diverse con le quali svolge particolari funzioni. Basti leggere il Primo Canto della Srimad-Bhagavatam per rendersene conto.
Si dice che Vishnu assuma soltanto dieci forme (Dashavatara), ma questo è vero solo parzialmente. In realtà quelle dieci sono solo alcune, da una certa prospettiva forse le principali, ma certamente non le uniche. Infatti nelle Scritture è detto che "le Sue incarnazioni sono tanto numerose quanto le onde dell'oceano". Tra i Dashavatara troviamo i celeberrimi Krishna e Buddha; il primo in India è il più celebre tra gli Avatara.
Perciò ognuno, in accordo ai propri gusti spirituali, può scegliere di essere un devoto di Vishnu (diventando così un Vaishnava) venerando una qualsiasi delle personalità divine con le quali periodicamente Egli scende in questo universo materiale. Così abbiamo devoti di Krishna, di Rama, di Nrishinga, di Kurma, di Varaha, di Matsya e di tanti altri. Nel corso dei millenni queste tradizioni hanno sviluppato una letteratura propria, generalmente molto vasta, una propria dottrina, una particolare pratica devozionale spesso anche diversa dalle altre, pur rimanendo tutte tradizioni Vaishnava. Si può così immaginare quale vastità abbia l'argomento che andiamo a trattare.
L'accusa di politeismo che gli studiosi occidentali muovono alle religioni di origine vedica scaturisce dalla profonda ignoranza di questi, i quali forse non si sono mai accorti che nessun testo vedico ha mai celebrato l'esistenza di diversi Dei Supremi. C'è un Dio solo, tutti gli altri Gli sono subordinati. I Vaishnava venerano e amano forme diverse dello stesso Dio, a seconda del loro sentimento naturale.
Generalmente nelle università occidentali il vaishnavismo storico viene presentato come diviso in due movimenti distinti: il Bhagavata e il Pancaratra. Tale divisione viene presentata come una sorta di scissione ideologica interna. Ma anche questo non è esatto. Infatti le Pancaratra sono particolari scritture che indicano i canoni di comportamento a quei Vaishnava che provano una particolare attrazione verso la vaidhi-bhakti (cioè la devozione caratterizzata dallo spirito di sottomissione). A chi si sente attratto all'idea di Vishnu visto come il Creatore di tutto, il Signore immenso e opulento, la Divinità dei pianeti Vaikuntha, studieranno le Pancaratra e praticheranno le loro regole.
I Bhagavata, invece, amano quelle scritture che indicano i modi grazie ai quali è possibile sviluppare la raganuga-bhakti, cioè il servizio devozionale in un sentimento diverso, certamente più intimo, in cui si può vedere Vishnu come amico, come amante, come parente.
Dunque i Pancaratra accettano Vishnu come origine di tutto e studiano in modo particolare il Vishnu Purana, mentre i Bhagavata venerano Krishna come l'origine di ogni cosa, Vishnu compreso. Questi ultimi accettano come massima autorità filosofica la Bhagavad-gita e la Srimad-Bhagavatam.
In realtà, dal punto di vista dottrinale, non c'è contesa tra di loro, ma una rapporto di compenetrazione reciproca.
Procediamo ora a discutere i punti salienti della filosofia Vaishnava.
Sistemi atei come il Karma-mimamsa e il Sankhya-nirishvara considerano gli dei come esseri generati dal karma e ritengono che il cosmo sia retto da una legge impersonale. I Vaishnava, invece, in perfetta sintonia con il Vedanta, affermano che l'Essere Supremo non può essere soggetto a nessuna legge.
Dio esiste, ed è Vishnu, o Krishna. Per quanto riguarda la precisa identificazione di questo Essere Supremo, se è l'uno o l'altro, alcuni sostengono che Krishna sia una delle incarnazioni di Vishnu, mentre altri affermano il contrario, e cioè che il Supremo sia Krishna e che Vishnu è una delle Sue espansioni plenarie. Dopo discussioni che per la verità non sembrano ancora esaurite, pare certo che tutte le scritture accettate come autentiche siano concordi nel sostenere la seconda ipotesi (krsnas tu bhagavan svayam, isvara paramah krsna). Krishna è dunque l'origine di tutto ciò che esiste, sia del mondo materiale che del mondo spirituale. Una delle ragioni del suo "espandersi" in forme secondarie (come per l'appunto Vishnu), è che Egli non vuole mai venire in contatto con la Sua creazione materiale, per cui preferisce far assolvere ai Suoi diversi e numerosi Avatara i compiti necessari al mantenimento degli universi e alla salvezza delle anime cadute.
In accordo al Bhagavatam ci sono sei tipi di Avatara.
Ora, cosa è Dio? E' personale o impersonale? I Vaishnava si considerano i veri rappresentanti della filosofia Vedanta, e non quella falsata di Shankara, bensì quella insegnata da Vyasa, l'autore del Brahma-sutra (chiamato anche Vedanta-sutra).
Dio non è affatto impersonale, bensì è una eterna Persona Trascendentale. L'energia impersonale (brahma-jyoti) è una delle Sue tante energie e caratteristiche. Affermare che Krishna sia una persona non significa affatto porgli dei limiti, al contrario lo comporterebbe la negazione. L'idea dell'impersonalismo è alla base della mayavada (o advaita-vada), teoria aspramente combattuta dai maestri Vaishnava come Ramanuja, Madhva, Nimbarka, Caitanya, Bhaktivedanta Svami Prabhupada e da tutti gli altri.
Quando i Veda dicono che Krishna è una Individualità Unica, un Uno-Tutto, non vogliono intendere che Egli sia un monolito energetico: al contrario la Sua personalità divina è eccezionalmente variegata. Il Supremo Vishnu possiede numerose energie. Le tre principali sono l'energia spirituale (con i quali crea il mondo spirituale), l'energia materiale (con la quale genera il cosmo) e l'energia marginale (le anime individuali).
Questa energia marginale è la nostra culla. Noi siamo jiva, parti di Dio, della Sua energia. Come tali, la nostra uguaglianza con il Supremo consiste in qualità, ma certamente non in quantità. Poiché siamo fatti di natura divina, senza tuttavia essere Dio, possiamo cadere vittime di maya, dell'energia inferiore; ciò a causa dell'attrazione che subiamo nei confronti delle idee di potenza e di indipendenza. Per questa ragione entriamo in diversi corpi materiali, nei quali ci identifichiamo.
Il contatto con quegli elementi di natura tanto diversa dalla nostra ci inebria di sensazioni, che proviamo grazie ai sensi che continuamente "toccano" i rispettivi oggetti. E l'anima tende a sprofondare sempre più nell'avidya, nell'ignoranza esistenziale che ci porta a dimenticare chi veramente siamo e da dove realmente veniamo.
Tutta quella pirotecnica serie di azioni causa karma, cioè delle reazioni che generano ulteriori azioni, e così via, in una ruota viziosa che sembra non poter avere mai fine. Tutto ciò fa sì che vediamo costruirsi attorno a noi una coscienza di un certo tipo, che è del tutto simile a una seconda personalità. Questo "falso senso di essere" ci conduce in corpi sempre diversi, in accordo allo stato di coscienza che abbiamo al momento della morte di un particolare corpo. Ci ritroviamo di nuovo in un altro anello della ruota chiamata samsara, il ciclo delle nascite e delle morti, per cui mai cessiamo di prendere nuovi involucri fisici nelle numerose specie viventi.
La sofferenza che si prova in una vita fatta di dimenticanza di Dio e a contatto con una natura opposta alla nostra, è difficilmente descrivibile. E, per la maggior parte dei casi, è proprio questo disagio che, a un certo momento, ci porta a desiderare di conoscere ciò che è sempre stato nostro ma che abbiamo dimenticato. Questo anelito è percepito da Paramatma, una delle forme di Vishnu presente nel nostro cuore, che ci ha accompagnato nel tragico viaggio lungo le vie del mondo materiale. Lui ci suggerisce di andare alla ricerca della Verità. Questa voce interiore ci conduce a cercare qualcuno in grado di illuminarci, di dirci come stanno veramente le cose. Chi è sincero e determinato nella sua ricerca trova un vero Vaishnava, un maestro spirituale autentico (un guru), il quale ci dà tutte le istruzioni necessarie per percorrere la strada che conduce alla perfezione.
Due sono i doni fondamentali che il guru offre: diksha e shiksha. Il primo è l'iniziazione formale, in cui il discepolo viene ufficialmente ammesso nella tradizione spirituale (sampradaya). Il secondo è la conoscenza, l'educazione alla teoria, che non è solo strumentale ma anche un elemento di purificazione sostanziale.
I principi basilari della disciplina Vaishnava possono essere divisi in ciò che deve essere fatto (le ingiunzioni positive, le vidhi) e ciò che non deve essere fatto (le proibizioni, le nisheda). I primi riguardano elementi come la recitazione dei mantra, l'adorazione delle Murti, la venerazione e l'obbedienza al maestro spirituale, il vivere in luoghi sacri (siano essi in India, come Vrindavana o Mayapura, ma anche dovunque si svolgano attività di natura spirituale). Un verso importante della Srimad-Bhagavatam (7.5.23 e 24) afferma:
"Prahlada Maharaja disse: (1) Ascoltare e (2) cantare del Santo Nome, della forma, delle qualità, di tutto ciò che Lo circonda, dei divertimenti trascendentali del Signore Vishnu, (3) ricordarli, (4) servire i piedi di loto, (5) offrire al Signore adorazione rispettosa usando sedici tipi di strumenti, (6) offrire preghiere al signore, (7) diventare i Suoi servitori, (8) considerarlo come il proprio migliore amico e (9) sottomettere ogni cosa a Lui (e cioè servirlo con tutto il proprio corpo, la mente e le parole), questi nove processi sono accettati come puro servizio devozionale.
Chi ha dedicato la sua vita al servizio di Krishna e che sempre si impegna in queste nove discipline devozionali è la persona più erudita, perché (grazie ad esse) acquisisce conoscenza completa."
Per quanto riguarda le proibizioni, anche queste sono numerose. Le principali riguardano il mangiare la carne (il pesce compreso), le uova, le sostanze intossicanti e la vita sessuale sregolata. Si dovrebbe anche evitare di intrattenere stretta compagni con persone materialistiche, parlare di futilità, mangiare cibo non offerto in sacrificio a Vishnu. Ma fra le tante discipline spirituali spicca la meditazione sul Santo Nome di Krishna (il famoso mantra Hare Krishna). Secondo Sri Caitanya nulla è tanto importante quanto cantare il mantra.
In questo modo, il devoto purifica il proprio cuore da ogni attaccamento alla materia e ricomincia ad avvertire il fascino così naturale nei confronti del Signore Supremo, Sri Krishna. A seconda del tipo di relazione (rasa) che fa parte della sua natura, riprende a servire il Signore nel modo che gli è eternamente congeniale e spontaneo. Alla fine della vita ritorna nei pianeti spirituali, dove per l'eternità gode di una vita eterna, caratterizzata da una piena conoscenza e beatitudine (sat-cit-ananda).
Siamo coscienti che queste poche parole certamente non rendono piena giustizia alla vastità e alla bellezza della filosofia Vaishnava, ma siamo fiduciosi che tutti ne avranno compreso la profondità e la purezza.
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LE BASI
Bhagavad-gita e Srimad-Bhagavatam
Le basi scritturali del vaishnavismo sono la Bhagavad-gita e la Srimad-Bhagavatam, ma certamente ce ne sono di altrettanto importanti. Per cominciare menzioniamo i Purana, molti dei quali parlano in modo completo di Krishna e di Vishnu. Tra questi, il Padma Purana e il Vishnu Purana sono probabilmente i più importanti. Il primo descrive maggiormente la personalità e le attività di Krishna, mentre nel secondo si mette in maggiore rilievo l'importanza e la personalità di Vishnu.
Vanno ricordate anche la Brahma-samhita, il Maha-bharata (di cui la Bhagavad-gita è un capitolo) e il Ramayana. Ma i testi Vaishnava sono così numerosi che è difficile poterli qui ricordare tutti. Della Bhagavad-gita abbiamo già parlato nel capitolo dedicato al Vedanta, per cui qui ora tratteremo della Srimad-Bhagavatam.
Considerato il diciannovesimo Purana, è un lavoro indubbiamente notevole, essendo costituito da ben 18.000 versi sanscriti. Si comprenda quanto sia difficile per noi riassumere in poche parole una tale vastità di argomenti filosofici, storici e di cultura spirituale.
Posto per iscritto da Krishna Dvaipayana Vyasa, in seguito viene ripetuto dal figlio Shukadeva sulle rive del Gange al morituro re Parikshit. Tra il pubblico di saggi e persone pie si trova anche il celebre Rishi Suta Gosvami, il quale poi avrebbe ripetuto lo stesso messaggio ai saggi della foresta di Naimisha. E il racconto inizia proprio con l'arrivo di Suta nella celebre foresta.
Dopo aver offerto rispettosi omaggi a Krishna, che è il Dio Supremo, Vyasa spiega la natura del libro usando queste parole:
"Questo Bhagavata Purana propone la verità più alta, che può essere compresa solo da quei devoti che hanno il cuore puro... questo meraviglioso Purana, compilato da Sri Vyasadeva, può da solo conferire la realizzazione di Dio. Appena uno ascolta in modo attento e sottomesso il messaggio contenuto nel Bhagavatam, diventa attaccato al Signore Supremo." (Srimad-Bhagavatam 1.1.2)
Il terzo verso continua affermando:
"Questo Srimad-Bhagavatam è il frutto maturo dell'albero della letteratura vedica. Proviene dalla labbra di Sri Shukadeva Gosvami e per questa ragione il frutto di già così nettareo è gustato ancora di più dalle anime liberate."
Poi va avanti a raccontare le circostanze che hanno portato alla narrazione di questo splendido gioiello letterario. E' anche chiamato il Purana immacolato, in quanto non tratta di altro che delle attività di Dio, delle Sue incarnazioni e dei Suoi devoti più puri. Dunque, nulla che non sia perfettamente trascendentale è descritto in questo testo.
Ma vediamo gli argomenti principali. Secondo lo Srimad-Bhagava-tam stesso (2.10. versi 1 e 2), i soggetti affrontati sono dieci:
1. la creazione generale, cioè la descrizione particolareggiata degli ingredienti che compongono il cosmo e dei meccanismi che portano alla sua genesi,
2. la creazione secondaria, quella condotta da Brahma, una volta che ne ottiene le capacità,
3. come Vishnu mantiene l'universo
4. il favore speciale che il Signore usa nei confronti dei Suoi devoti,
5. l'impeto per la creazione,
6. i principi regolatori necessari a dare la liberazione dalla materia, che è la perfezione dell'esistenza umana,
7. tutte le informazioni riguardanti la Suprema Personalità di Dio, le Sue incarnazioni e le attività dei Suoi devoti,
8. la dissoluzione degli universi materiali,
9. la liberazione delle anime condizionate
10. la trascendenza, o tutto ciò che riguarda i mondi spirituali.
Prima di concludere questa sezione purtroppo breve che riguarda la filosofia Vaishnava, ricordiamo che i devoti di Krishna danno un'importanza del tutto particolare al Decimo Canto del Bhagavatam, nel quale viene descritto in ogni particolare la vita e gli insegnamenti del Signore.
Passiamo ora a vedere le teorie dei principali Vaishnava della storia. Va premesso che mai come nel caso del vaishnavismo le testi variano di così poco. Le differenze sono sulle enfasi e non nei contenuti di fondo. Qualcuno può aver enfatizzato la differenziazione della materia e dello spirito (tesi dvaita di Madhva), mentre un altro può aver dare importanza maggiore all'a-dorazione di una particolare divinità piuttosto che a un'altra, ma in definitiva tutti accettano Vishnu o Krishna come Dio e che l'unico modo per realizzare la perfezione somma sta nel servirlo con amore e devozione.
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VYASADEVA
Non si può trattare di vaishnavismo e neanche di letteratura vedica se non si parla del più fulgido intelletto che la storia dell'umanità abbia mai avuto: Sri Vyasadeva. Figlio del saggio Parashara e di Satyavati (colei che avrebbe poi dato due figli al celebre re Shantanu), Vyasa è una figura fondamentale e i momenti salienti della sua vita vengono narrati in una delle sue stesse opere, il Maha-bharata. Chi desidera conoscere meglio la figura di questo potente saggio deve leggere questo libro.
Prima della sua venuta nessuna scrittura veniva messa per iscritto. Fu lui a inaugurare il sistema di assicurare la conoscenza in questo modo, osservando con occhi profetici quanto la gente di Kali-yuga (la nostra era, quella più degradata) avrebbe perso le sue naturali facoltà mnemoniche. Dando un ordine e una forma a una conoscenza che discendeva da millenni prima di lui, trascrisse i quattro Veda, i Purana, le Upanishad e compilò la sconfinata epica chiamata Maha-bharata. Ma questi non sono i soli testi che preservò da una sicura distruzione. Vyasadeva fu un perfetto commentatore di tutto lo scibile umano e divino. La parte filosofica è trattata nel Vedanta-sutra, l'opera filosofica più discussa della storia del pensiero indiano.
Per gli ignoranti la sua vita è pura leggenda, ma non possono esibirne le prove. Se non altro i Vaishnava hanno dalla loro le parole delle scritture le quali, tra le altre informazioni, dicono che egli sia ancora vivo sulle Himalaya, ancora impegnato a mettere per iscritto un sapere che proviene dai mondi trascendentali.
Le sue tesi sono indiscutibilmente di stampo Vaishnava: per nulla si discostano dalle tesi promosse dai devoti di Krishna. Avvalora questa tesi il fatto che il testo basilare di questa tradizione è lo Srimad-Bhagavatam, che Vyasadeva ha definito "il frutto maturo dell'albero dei Veda". Infatti egli stesso non si dichiarava soddisfatto del mastodontico lavoro che aveva fin lì svolto, organizzando i Veda, i Purana e le Upanishad. Il suo maestro, Narada, gliene spiegò le ragioni (ci si riferisca al libro Bhakti-yoga, dello stesso autore). A ragione dunque i Vaishnava affermano che tutta la conoscenza vedica o, per meglio dire, il suo siddhanta, le sue conclusioni più corrette, si possono trovare nel Bhagavata.
Qualcuno potrebbe obiettare: se Vyasa avesse voluto indicare Krishna come il Dio supremo, non avrebbe potuto essere più esplicito? Perché ha poi scritto il Vedanta-sutra, dove forse si arriva alle stesse conclusioni (come hanno dimostrato i maestri Vaishnava come Madhva, Ramanuja e Baladeva Vidyabhushana) ma attraverso sentieri interpretativi molto tortuosi? Il Bhagavatam e il Vedanta-sutra sembrano provenire da autori diversi, tanto il loro stile differisce. La risposta è che ogni maestro insegna non per se stesso ma per una platea, e il suo scopo è condurre verso le medesime conclusioni differenti tipi di persone, che necessitano linguaggi e tipi di approccio diversi. Questa è la ragione per la tanta differenza esistente tra i testi vedici.
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RAMANUJA
Di famiglia brahminica, visse a Kanci e a Srirangam in un periodo che va dal 1017 al 1137 circa. La sua lingua era il tamil. Fin da piccolo visse in un ambiente dove si respirava un'intensa atmosfera di fede per Vishnu. Imparò un tipo di dottrina che tendeva ad unire in una sintesi il Vedanta, le Upanishad, il Vishnu Purana e i testi Pancaratra, dove si parla dell'amore per Vishnu secondo il sentimento di vaidhi-bhakti.
Il suo maestro spirituale fu Yamunacarya, il quale era stato un importante imperatore indiano che poi, disgustato dai piaceri materiali, aveva abbandonato la vita mondana per darsi all'ascesi. Faceva parte della Sri-sampradaya. Come continuatore dell'opera del maestro, egli si impegnò in modo particolare a combattere la filosofia impersonalistica di Shankara e a questo scopo scrisse ottimi commenti sui Brahma-sutra e sulla Bhagavad-gita.
La sua dottrina rispecchia appieno la filosofia Vaishnava. Il termine tecnico con il quale veniva designata era vishistad-vaita, cioè un monismo dal punto di vista della qualità. E' vero, dice Ramanuja, che esiste un solo ente che è al di là di tutto, ma allo stesso tempo c'è anche il "differente", che è Sua energia, e cioè le anime individuali e la materia. Tutte queste ultime sono delle qualità (vishesha) divine. Per questa ragione tutto è dipendente da Dio. Le qualità in un certo senso sono uguali alla loro origine, ma allo stesso tempo sono distinte, proprio perché particelle.
Dunque la molteplicità non è affatto illusoria come dice Shankara, ma è reale, in quanto è modo o realtà (prakara) di Dio. Questo vale sia per le anime individuali che per la natura materiale.
Dio è sicuramente una persona ed è attraverso le Sue energie che riesce a compenetrare tutto. La salvezza suprema si ottiene solo grazie alla bhakti, cioè al servizio devozionale offerto a Vishnu, riconosciuto come la Persona Suprema. Grazie a questa pratica è possibile ritrovare il corpo spirituale originale e godere di eterna beatitudine.
Il Ramanujiya (il movimento spirituale inaugurato dal maestro Ramanuja, organizzazione ancora viva e attiva nel sud dell'India), ha due punti di vista che talvolta si compenetrano e altre volte invece causano dei veri conflitti. I rappresentanti di queste due opinioni si chiamano vadakalai e tenkalai. I primi (vadakalai significa via della scimmia) affermano che per ottenere la liberazione il discepolo deve partecipare attivamente, come la scimmietta che si aggrappa al collo della madre ma che deve tenersi ben stretta. I secondi (tenkalai vuol dire via della gatta) insegnano che è Dio che si prende cura dell'anima inerme, senza che egli debba fare nulla, come la gatta prende nella sua bocca il cucciolo senza che esso debba fare alcunché. Questo tipo di abbandono è particolarmente consigliato per le classi inferiori della società, che non hanno capacità di impegnarsi in complessi sacrifici vedici. A questi viene consigliata la prapatti (l'abbandono con fede).
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MADHVA
Le date della vita di Madhva (conosciuto anche coi nomi di Purnaprajna e Anandatirtha), sono alquanto incerte. Alcuni dicono che visse dal 1199 al 1278, altri invece affermano che nacque nel 1239 e che morì nel 1319. Noi crediamo che la seconda datazione sia quella corretta.
Visse principalmente a Udupi, importante città del Karnataka, nel sud dell'India. Il suo maestro iniziatore era un seguace di Shankara, per cui quando lo sentì spiegare il Bhagavatam secondo l'ottica mayavada se ne distaccò e partì per un lungo viaggio. A Badarikashrama incontrò Vyasadeva, dal quale ottenne le istruzioni per dare un senso (da lui giudicato corretto) alla filosofia vedanta. Scrisse trentasette opere, tra le quali dei commenti a varie Upanishad, al Maha-bharata, al Bhagavata Purana e al Vedanta-sutra.
Il sistema filosofico da lui proposto si chiama Dvaita, della dualità. In esso enfatizza in modo particolare il concetto di divisione reale tra Dio e l'anima, tra anima e anima, tra materia e spirito. Questo tipo di dualismo mirava a continuare l'opera di demolizione delle teorie shankarite che prima di lui Ramanuja aveva avviata.
Per il maestro ci sono tre entità che agiscono per determinare il divenire cosmico: Dio, la jiva e la materia. Tutte queste sono differenti l'una dall'altra. Ma solo Vishnu è autonomo, mentre tutto il resto Gli è dipendente. Madhva riprende la teoria per cui ci sono jiva liberate e non liberate e ripropone la bhakti come il processo di purificazione più valido.
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NIMBARKA
La devozione a Krishna era per Nimbarka la cosa più importante, la sua vita stessa, tanto che si spostò dal suo paese natale nel sud dell'India (Mungera-patana) e andò a vivere a Vrindavana. Egli fondò un importante movimento spirituale che era il ramo autentico della Kumara-sampradaya. Ai suoi tempi si diffuse enormemente, ma dopo la sua morte tutto cominciò a declinare. L'epoca esatta in cui visse è incerta.
Tra i tanti lavori che scrisse, si ricordano un breve commento ai Brahma-sutra (l'opera si chiama Parijata-bhashya o Vedanta-parijata-saurabha-bhashya) e un poemetto in dieci strofe, chiamato Dashashloki, che riassumeva i punti principali della sua dottrina. I più importanti commentatori di Nimbarka sono Srinivasa (14 secolo), suo diretto discepolo e Keshava Kashmir (16 secolo), divenuto famoso fra i Gaudiya-Vaishnava per aver incontrato direttamente Sri Caitanya ed esserne stato sconfitto in una contesa filosofica.
La dottrina di Nimbarka è definita Bhedabheda (differenziazione indifferenziata) o anche Dvaitadvaita (dualità non-duale), che sta ad intendere che tutto è uguale al Signore nel senso che tutto e tutti proviene da Lui; ma credere che ogni cosa possa diventare uguale a Krishna è sbagliato. Lui è Brahman stesso, e non un'incarnazione. Krishna è la Suprema Personalità di Dio in Persona. Radha è la sua compagna eterna, anche se nel Bhagavatam non viene menzionata se non in rare occasioni.
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VISHNUSVAMI
Nasce a Pandya, nel sud dell'India. Purtroppo di lui si sa poco. Egli era un discendente spirituale della Rudra-sampradaya e scrisse un famoso commento al Vedanta-sutra chiamato Sarvajna-bhashya. Tra i suoi discendenti spirituali più famosi ricordiamo Sridhara Svami, che scrisse un commento allo Srimad-Bhagavatam tenuto in grande considerazione dai Vaishnava di tutte le sampradaya e Bilvamangala Thakur, divenuto celebre per essere riuscito a distaccarsi dalle gioie della materia grazie agli insegnamenti della prostituta con la quale di tanto in tanto si accompagnava. Costui, per non correre il rischio di rimanere ancora affascinato alle forme del mondo, si tolse la vista. Celeberrimo è anche l'acarya Vallabha, di cui andremo a parlare fra breve.
Il sistema filosofico di Vishnusvami è detto Shuddhadvaita.
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VALLABHA
Grande erudito e devoto di Bala-Krishna (Krishna-bambino), come la maggior parte dei maestri Vaishnava, nasce nel 1479 nel sud dell'India, in un posto chiamato Trailanga; muore all'età di 52 anni. Ma sia sulla data che sul paese di nascita esistono differenti opinioni.
Da giovane si trasferisce a Varanasi (Benares) e lì per undici anni frequenta una scuola. Poi prende a viaggiare, impegnandosi sempre (e con esiti puntualmente positivi) in discussioni riguardanti le conclusioni delle scritture. Infine si stabilisce a Adaila, vicino Prayaga (Allahbad).
Celebri sono divenuti i suoi incontri a Prayaga e a Jagannath Puri con Sri Caitanya, che ammirava profondamente. Caitanya Mahaprab-hu, fondatore del Vaishnavismo Gaudiya, teneva Vallabha in grande considerazione e lo rispettava molto, anche se in diverse circostanze ha dovuto riprenderlo con vigore. Questi, infatti, era diventato troppo fiero della sua erudizione, tanto che giunse a dichiarare pubblicamente che il suo commento allo Srimad-Bhagavatam (il Subhodini-tika) era superiore a quello di Sridhara, suo predecessore nella linea di Vishnusvami. Ciò è contrario ai principi di umiltà e di rispetto nei confronti dei superiori, per cui gli costò la momentanea emarginazione dalla compagnia dei devoti. L'incidente venne appianato da Caitanya stesso, che lo ricondusse sulla retta via dell'etica Vaishnava. E' detto nella Caitanya-Caritamrita che, dopo quell'incidente, Vallabha accettò come maestro spirituale Gadadhara Pandita, un seguace di Caitanya. Vallabhacarya era un grande devoto di Krishna e fondò un movimento devozionale ancora vivo e palpitante. Come la maggior parte dei maestri Vaishnava, scrisse molto; tra gli altri ricordiamo il commento al Brahma-sutra chiamato Anu-bhashya. E anche i suoi discendenti hanno lasciato un vasto tesoro di conoscenza spirituale. La sua scuola, infatti, divenne famosa per aver lanciato un forte fervore letterario in lingue diverse, quali il sanscrito, l'hindi e il gujarati. Il movimento di Vallabha è nella linea di Vishnusvami e quindi è parte della Rudra-sampradaya.
Il termine tecnico col quale viene designata la dottrina del maestro è Shuddhadvaita-mata, cioè puro monismo, in quanto afferma che Brahma, la Persona Trascendentale, non è mai "toccato" da maya. Questo Brahma è Krishna, l'incarnazione divina apparsa a Mathura. Anche per lui il mondo materiale è una trasformazione di Dio, il quale si manifesta in tre forme, che sono Brahman (l'energia spirituale onnipervadente e impersonale), Paramatma (il Dio che ci accompagna in questo mondo) e Bhagavan (la Persona Suprema, origine di ogni cosa).
Tutto va messo al Suo servizio: questa è la bhakti, il servizio devozionale, metodo che conduce alla più alta perfezione. Questa Meta Ultima è il raggiungimento di Goloka, il pianeta trascendentale dove Krishna vive per l'eternità. Vallabha chiamava questo sentiero Pushti-marga, la via della devozione.
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CAITANYA
Sri Krishna Caitanya nacque nel 1485 a Mayapur (una frazione di Navadvipa) e scomparve da questo mondo nel 1533.
Il Suo paese natale, a quel tempo, era divenuta la fucina della logica, un rimodernamento dell'antico Nyaya di Gautama Muni. In questo ambiente di grandi dibattiti filosofici, a ventiquattro anni accettò l'ordine di rinuncia (sannyasa) e per otto anni viaggiò per tutta l'India, predicando la Krishna-bhakti. I rimanenti diciotto anni li trascorre a Jagannath Puri, una delle più importanti città dell'Orissa, nell'India orientale.
Numerosissimi furono i suoi seguaci, che lo riconoscevano non solo come un grande maestro, ma come Dio stesso, una delle più importanti incarnazioni di Krishna. E non solo ai Suoi tempi, ma anche oggigiorno gli insegnamenti del Mahaprabhu hanno segnato in modo indelebile il corso del pensiero spiritualistico dell'India e del mondo intero. Infatti Caitanya avrebbe sempre avuto una importanza fondamentale nel vaishnavismo di tutti i tempi.
Egli non ha scritto praticamente nulla, ma lo hanno fatto in modo abbondante i suoi discepoli, tra i quali i più importanti sono Rupa, Sanatana, Jiva, Svarupa Damodara e Ramananda Raya. Ma i Suoi studenti sono stati così tanti e tale importanza avrebbero avuto nella storia del vaishnavismo che è un peccato non poterli nominare tutti.
La filosofia di Caitanya è chiamata acintya bhedabheda-tattva, ed è un perfezionamento della dottrina di Nimbarka. Nella predica contro le dottrine mayavada, buddhista e tutte quelle correnti pseudo-Vaishnava che non seguivano strettamente i dettami degli acarya precedenti, Egli si infervorava in modo particolare. La sua ortodossia era strettissima.
Grandissimo erudito, si incontrò e sconfisse in pubblici dibattiti moltissimi studiosi, fra i quali ricordiamo Keshava Kashmiri (della Nimbarka Sampradaya) e Sarvabhuma Bhattacarya (della Shankara-sampradaya).
Egli non si discostava per nulla dalle basi della dottrina Vaishnava, ma il suo sentimento di adorazione per Krishna era speciale. Il tipo e l'intensità di amore per Dio che egli provava era eccezionalmente profondo, tecnicamente chiamato maha-bhava. Ad eccezione di Madhavendra Puri, nessun altro maestro prima di lui aveva mai mostrato tali sintomi di estasi, né si era avventurato ad affrontare argomenti di tale profondità.
Va aggiunto anche che la Sua predica era particolarmente efficace, anche grazie a un esempio di vita perfetto, che gli valse una tale popolarità come mai era avvenuto nella storia. Nella tradizione dei devoti di Krishna, Caitanya occupa di certo una posizione preminente.
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VAISHNAVISMO MODERNO IN OCCIDENTE
Non solo il vaishnavismo esiste ancora, ma è vivo e attivo anche in occidente, sotto forma di organizzazioni spirituali di varia natura. Il più celebre e autentico di tutti è il Movimento Hare Krishna, fondato da Bhaktivedanta Svami Prabhupada, un discepolo di Bhaktisiddhanta Sarasvati. Certamente rappresenta in modo straordinariamente fedele quel vaishnavismo ortodosso che fu fondato da Vyasa e continuato da Ramanuja, da Madhva, da Caitanya e da Baladeva Vidyabhushana.
I primi cenni del travaso culturale li abbiamo nei primi anni del nostro secolo, con un testo in lingua inglese di Bhaktivinoda Thakura, (Sri Caitanya Mahaprabhu: His Life and Precepts). Egli era un importante magistrato originario del Bengala e grande devoto di Krishna. Spinto dal desiderio di far conoscere il Signore e la sua filosofia agli occidentali, spedì uno dei suoi libri all'università di McGill, in Canada.
Suo figlio, Bhaktisiddhanta Sarasvati, fondò la Gaudiya Math, un movimento che avrebbe aperto numerosi centri in tutta l'India, predicando la Krishna-bhakti proprio come viene insegnata nelle scritture vediche. Egli tentò di far aprire ai suoi discepoli anche dei templi in Occidente. In effetti alcuni di loro tentarono l'impresa, trasferendosi in alcune grandi città europee, come Londra e Berlino. Ma non riuscirono nell'impresa.
Solo uno dei suoi più cari studenti, che poi sarebbe stato conosciuto come Bhaktivedanta Svami Prabhupada, riuscì pienamente nell'impresa. Nel 1965, anziano, da solo, e con pochi mezzi si trasferì in America, dove fondò il Movimento Hare Krishna. Fino al giorno della sua scomparsa, il 14 novembre 1977, egli scrisse e insegnò senza soste. Ha compilato una settantina di libri, tra cui la traduzione e la spiegazione della Bhagavad-gita, un commento purtroppo incompleto dei Dodici Canti che compongono lo Srimad-Bhagavatam, i diciassette volumi del Caitanya-Caritamrita, e altri.
Ma non soltanto ha pubblicato libri di valore eccezionale, ma è anche riuscito a convertire al puro vaishnavismo migliaia di giovani occidentali di tutte le nazionalità, viaggiando per tutto il mondo. La sua filosofia è quella di Vyasa, di Caitanya, ma allo stesso momento ha cercato di mediare con gli usi e i costumi degli occidentale. Ma non ha compromesso sui principi di base: il suo scopo era di creare una classe di santi ed eruditi devoti che potessero infondere istruzioni sacre per il benessere della società.
Anche dopo la sua scomparsa, il movimento di Prabhupada ha continuato ad esistere ed ancora oggi i suoi libri sono studiati con grande interesse e rispetto.
giannola
05-09-2006, 22:12
Il TANTRISMO (dal sanscrito «trama», «tessuto», «canestro») è una ricca "tessitura" di pensieri, scuole e dottrine fiorite nel subcontinente indiano nel IV/V secolo della nostra era (ma che affondano le radici in epochei molto più remote). In questa "tessitura" variegata confluiscono uno stupefacente corpo di tradizioni psicologiche altamente sviluppate, fisiologiche, spirituali e mitologiche.
Viene chiamata così una forma dell'induismo che si basa essenzialmente sui Tantra (i Libri) composti fra l'VIII e il XV secolo della nostra era. Si dà come scopo la salvezza mediante la conoscenza esoterica delle leggi della natura .
I 64 tantra sono soprattutto dei manuali di magia e di occultismo; essi descrivono lettere, suoni, formule, incantesimi «miracolosi», capaci di agire sugli uomini e sulle cose; essi insistono in particolare sull'unione mistica della divinità con se stessa, accoppiamento dal quale è nato il mondo. Numerosi dipinti rappresentano questa unione mistica sotto la forma di un uomo e di una donna praticanti il coito (maithuna); sarebbe un controsenso interpretare queste opere come rappresentazioni coscientemente erotiche.
Il «tantrismo di destra» distingue nel corpo umano 6 centri di energia (i cakra) raffigurati da fiori di loto; il centro inferiore è la sede della dea serpente Kundalini, simbolo dell'energia cosmica. Con un metodo ispirato dallo yoga, il saggio «sveglia Kundalini» e la fa arrivare al centro più elevato, sede di Siva; a questo livello, si opera l'unione mistica che riempie il saggio di una felicità indicibile (questa pratica, il laya-yoga o yoga di assorbimento, è una forma simbolica dell'attività sessuale).
Il «tantrismo di sinistra» (vamacara) non utilizza lo yoga. Gli iniziati partecipano per prima cosa ad un'orgia sessuale collettiva al fine di provare la vanità delle passioni e di sfuggire alla loro tirannia. Le loro pratiche assomigliano a quelle dei sakta.
Il Tantrismo, al pari del Sufismo, pensa che le tecniche di liberazione si devono adeguare al diverso livello di spiritualità dell'umanità, per cui comportamenti e pratiche adatte agli uomini di epoche precedenti non sono più valide in quella attuale. In tal senso, nel Tantrismo c'è un superamento, ma non una contrapposizione rispetto agli insegnamenti precedenti, necessario alle diverse condizioni materiali e spirituali dell'uomo. Le vie contemplative che predicavano un rigido estraniamento dal mondo erano adatte nel periodo upanishadico, ma non, secondo il Tantrismo, al mutato livello spirituale dell'uomo. Si dovevano quindi adottare tecniche che invitassero a giocare al gioco dell'esistenza senza però rimanerci impantanati, per attingere quello stato spirituale non invischiato alla realtà materiale.
Il Tantrismo, da cui tanto dipese l'alchimia indiana, non è una dottrina filosofica vera e propria, ma un'esperienza di vita. Non ha mai provato a imporre un nuovo ordine sociale, ma, d'altra parte, non perde i contatti con il mondo, con la vita diogni giorno, ove i desideri terreni e le emozioni giocano grandi effetti sulle vite degli uomini.
Valorizza l'idea per cui il corpo fisico è un involucro attraverso il quale passa l'energia. Concepisce il corpo come il veicolo, il carro sul quale percorriamo la nostra vita. Il corpo è, quindi, un carro, mentre lo "spirito" (buddhi) è il cocchiere che stringe le redini che sono la mente (manas), reggendo i cavalli che sono i sensi, mentre il terreno percorso è il mondo.
Il Tantrismo ha compreso che questo veicolo può essere addestrato per temprare l'individuo in tutte le sue dimensioni e portarlo a raggiungere il proprio Sé, l'Uomo Interiore. In questo senso, una sorta di curva ciclica, che parte dal corpo come involucro e attraverso questa esperienza della perfetta disciplina del corpo e della mente, raggiunge la meta che ci si è posti: l'«essere padroni di se stessi». Il corpo quindi è qualcosa che si addestra per trascenderlo.
Le scuole tantriche mostrano come sia possibile raggiungere la liberazione (moksha) dalle pastoie mondane in qualsiasi modo e come ogni atto possa essere investito di un significato profondo e posto a fondamento di una pratica di autorealizzazione.
L'impostazione tantrica, infatti, sottolinea il carattere sacrale anche di ciò che apparentemente sembra "profano", in base all'assunto per cui il «seme dell'illuminazione» risiede ovunque. Pertanto, nulla viene rigettato, ogni evento della vita può diventare un trampolino di lancio per il salto nell'Incondizionato.
Gli aspetti cosiddetti "negativi" della realtà non vanno repressi o trascesi, bensì trasformati in corrispondenti aspetti illuminati. In ogni emozione di tipo negativo, per esempio, si trova congelata e imprigionata un'energia che il meditante può riuscire a liberare dalla presa egoica per trasformarla in puro strumento di liberazione (così come l'alchimista trasforma il piombo in oro, oppure così come l'analizzato nel setting psicoanalitico integra gli aspetti inconsci nel conscio).
Il principio sotteso al Tantrismo è che «gli uomini si elevano attraverso ciò che causa la propria caduta». Il Tantrismo afferma, infatti, che l'uomo può liberarsi definitivamente grazie alle condizioni stesse di questa caduta: tutto ciò che lo impastoia, che lo ostacola, che lo paralizza può diventare la chiave della sua liberazione.
Il Tantrismo promette la realizzazione interiore a coloro che saranno in grado, grazie al loro coraggio, di andare fino in fondo ai loro desideri. Non è frenando i propri desideri od obbedendo loro ciecamente, che la condizione umana può esprimersi in modo autentico. Questa via spirituale si propone dunque come un modo di radicale "travalicamento" delle proibizioni morali, dei tabù culturali e rituali che regolavano i costumi della civiltà indiana nel momento in cui si sviluppò il Tantrismo.
La pratica tantrica si dedica allo studio e alla sperimentazione dei condizionamenti, delle pulsioni, dei desideri che costituiscono la condizione umana. Invece di frenare le pulsioni primarie, la pratica tantrica le intensifica continuamente in modo da risvegliare le energie originarie avviluppate nella materia.
giannola
05-09-2006, 22:12
Il Brahamanesimo, che è incluso insieme al Vishnuismo e al Shivaismo nell'Induismo (anche se il Brahmanesimo è nato prima dell'Induismo), si può dire l'unica religione dell'India, e tuttora impera in quella forma che gli Europei chiamano «induismo».
La caratterisca principale che lo diversifica dal periodo vedico consta nella minore importnza attribuita alla divinità, a favore del sacerdote; la divinità principale divenne Prajapati (signore delle creature), padre degli dei e dei demoni.
Dal II millennio a.C. divenne la forma predominante della civiltà indo-ariana. Già all'epoca dei Veda venne ad affermarsi la classe sacerdotale, ma si rafforzò nel secondo periodo dell'epoca vedica stessa, quella che comprende i Yajurveda e le Upanishad. In questo periodo si affermano ulteriormente le caste e i rituali, tanto che le cerimonie vengono tutt'oggi celebrate alla stessa maniera dai brahmani. In questa dottrina si ha la concezione di una divinità tre volte creatrice (Trimurti, «di tre corpi»): Brahma, Visnu, Siva.
Le tre divinità ebbero però come maggior potente Brahma, che era il divino in senso più pieno e puro; successivamente Brahma finì per identificarsi in uno o nell'altro dei due membri della triade, diventando così una diade, tanto che poi si ebbe una visione unitaria con l'unificazione ulteriore di Visnu con le due divinità che si erano fuse in precedenza: si arrivo quindi a chiamarli Hari-Hara: come è facile notare, alla fine si ebbe una tendenza monoteistica.
Questi i caratteri salienti dell'induismo: si ha una radicale modifica del pantheon mitologico del brahmanesimo, c'è un nuovo indirizzo dell'esperienza mitologica e una grande varietà di sette. Oltre alle sette si crearono poi culti locali: in India c'è sempre stata, e c'è finora, una grande libertà di culto. Lo spirito e la materia sono distinti perché il primo è eterno, mentre la seconda è mutevole: così l'anima è costretta a trasmigrare in continuo finché si sia purificata, e ciò può avvenire in due modi: con una vita ascetica e contemplativa o uniformandosi a un rigido ideale etico: solo così personificata può darsi al dio Visnu per l'eternità. Il sacrificio è il fulcro di questa religione, e solo grazie ad esso si può aspirare a diventare dei, perchè anche loro hanno dovuto percorrere questa strada per diventare tali. Il sacrificio deve essere eseguito secondo i riti prescritti, il più piccolo errore può rendere tutto vano.
Anche la creazione è concepita come un sacrificio di un essere supremo. In questo senso, il modo migliore per compiere sacrifici era ritirarsi nella foresta e vivere da asceta; l'ascetismo fu rivolto soprattutto a due fini:
- all'acquisto di poteri magici;
- alla conquista della perfezione spirituale.
Le pratiche esteriori dell'ascetismo consistono in castimonie, penitenze, digiuni, vigilie e particolari posizioni del corpo, mentre la contemplazione e la meditazione costituiscono l'allenamento spirituale. La condizione fondamentale per tale riflessione è la purezza della condotta morale.
Ma questa religione di sacrificio non si confaceva al popolo, le antiche divinità vediche avevano perso molta importanza per la concezione propria del brahmanesimo. Si ha quindi un nuovo assetto mitologico:
divinità diverse ma simili si fusero e i vecchi nomi rimasero per la nuova creata.
di ogni divinità venne sottolineata una caratteristica che diede particolare consiistenza alla divinità stessa.
La nuova mitologia appare in pieno sviluppo nel Mahabharata e nel Ramajana. Contemporaneamente si ha anche un cambiamento nella concezione del rapporto uomo-dio: la dedizione a se', la completa subordinazione alla divinità adorata costituiscono il mezzo per giungere alla salvezza spirituale. Ma una via non esclude storicamente l'altra: nella maggioranza sono indirizzi coesistenti, perché lo spirito indiano concilia i contrari. In questo modo si ha la formazione della triade divina: (l'idea di raccogliere in tre le divinità è antica in India):
- Brahma=creatore
- Visnu=conservatore
- Siva=distruttore,
ma questa concezione venne accettata solo in teoria. Dalla Bhagavad gita conosciamo la divinità Visnu-Krsna, ovvero la personificazione umana in Krsna di Visnu che si presenta, e poi si rivela, alla fine del canto incluso nel Mahabharata: già il suo duplice nome, Visnu-Krsna, mostra che questa divinità ha prima una derivazione popolare più che brahmanico. Ma sempre questa divinità ci dà l'esempio di quante suddivisioni esistano nell'induismo: tantissime sette di ognuno dei tre dei della triade. Poichè si era giunti ad un numero vastissimo, si provvedette nel XI sec. a unriordino, e la creazione quindi di 4 scuole. Così Visnu si occupa del governo delle anime e della materia e predispone quali si salveranno, quali dovranno trasmigrare, quali saranno dannate. Ve n'è un'altra delle numerose del visnuismo che è rappresentata da coloro i quali adorano Rama, grande personaggio indiano di cui si parla nel Ramayana. Rama era l'incarnazione del dio Visnu. Abbiamo qui visto il tema della trasmigrazione: ebbene, fu nell'età delle Upanishad che si definì la dottrina della trasmigrazione; nel periodo anteriore l'interesse dell'Indo-ario era rivolto a questa vita, deprecando la morte come il peggiore dei mali, quantunque l'uomo virtuoso avesse in serbo una vita di gioie nel mondo celeste. In seguito si fece strada l'idea che la vita d'oltretomba non fosse infinita, ma indefinita, e che, sebbene l'uomo continui a vivere dopo la morte terrena, l'uomo potesse comunque incontrare la morte definitiva che era determinata dai meriti acquisiti in vita. La vita non è più quindi un periodo limitato fra una nascita e una morte, ma una linea senza fine le cui tacche sono le morti. La vita si trasforma quindi in samsara. Ogni nostro atto produce un sedimento che accompagna l'anima determinando le fasi della sua trasmigrazione, e solo quando il ciclo si interrompe, si raggiunge il nirvana. La vita può spostarsi dalla terra al cielo, dal regno animale a quello demioniaco, ma queste pene sono sempre commensurate al merito o al demerito.
I darçana (=visioni) costituiscono la filosofia di questa religione. Questi testi si basano sulla concezione dei filosofi indiani secondo la quale esistono molte verità, le concezioni non sono chiuse e totalizzanti, ma aperte ai cambiamenti, una sorta di logica di punti di vista differenti a cui fa capo anche il giainismo. Per capire meglio questo movimento bisogna però fare un salto indietro, e analizzare un quadro storico nel quale vi erano anche le scuole di pensiero del buddhismo e del giainismo, tutte nate in grandi monasteri, e che istituirono regole di discussione con le quali si sono formate terminologie tecniche. Dal lato del brahmanesimo invece si trova una vasta letteratura sempre essenzialmente religiosa: i Veda e le Upanishad nel loro corpus, e poi le grandi epopee come il già citato Mahabharata che include l'importantissima Bhagavad-gita, e altri testi ancora. In questa letteratura si trova molto materiale per filosofie, cosmogonie, ritualizzazioni ecc, ma mancano le concettualizzazioni, e avvertendone la mancanza fu probabilmente così che i brahmani, sulla base dei sutra, abbiano formato i darçana circa all'inizio dell'era cristiana. La genesi di questo gruppo è singolare; già il termine darçana si traduce con "modo di vivere", o "punto di vista". I darçana sono dei punti di vista particolari sulla realtà complementari nelle loro varie sfaccettature. Un esempio è il Nyàya, o "metodo per dirigere il pensiero, una sorte di sillogismo aristotelico, che fissa i criteri per i quali un ragionamento è accettabile, quindi, secondo le regole della retorica, produrre persuasione nell'uditorio. Inizialmente la Nyàya era nata per dibattiti orali, e non scritti, frequenti fra le varie scuole filosofiche dell'epoca (buddhismo e giainismo) che erano in vantaggio rispetto a loro, ma successivamente da logica è passata a teoria della conoscenza, fino a diventare una psicologia, e così fu per ogni darçana, che ottenne con l'evoluzione una sua etica: in 2/3 secoli i darçana divennero delle vere e proprie filosofie. Ma l'età d'oro di questa corrente è da datarsi all'incirca fra il V e il VII secolo, periodo questo in cui infuria il dibattito filosofico indiano, da una parte fra i darçana stessi, dall'altra fra i darçana e le altre scuole già citate più quelle cosiddette "materialistiche".
I darçana si possono suddividere in tre coppie:
- il Sàmkhya e lo Yoga;
- la Mimàmsà e il Vedanta;
- il Nyàya e il Vaisheshika.
Questa suddivisione venne a formarsi nell'età scolastica di questa filosofia, all'inizio cioé del II millennio della nostra era, quando il dibattito si stava rinnovando, e i buddhisti stavano uscendo di scena; a questo punto i brahmani non avevano più interlocutori, e si andarono a delimitare meglio i vari caratteri di questa filosofia, riscontrando molti più punti in comune di quanto si fosse immaginato in passato. A cominciare dal XII-XIII secolo circa questo modo di considerare i darçana è diventato canonico, per così dire; i brahmani cominciarono a produrre testi paragonabili alle nostre enciclopedie o storie della filosofia, passando in rivista tutte le dottrine filosofiche classificandole in ordine crescente di verità, escludendo dalla parte più alta naturalmente i jaina e i buddhisti, e mettendo al massimo grado il Vedanta, considerato «il più bel fiore», indicando con queste parole il compimento brahmanico insuperabile.
giannola
05-09-2006, 22:14
Sebbene la maggior parte dei Sikh vivesse nel Punjab, dopo la spartizione e dopo i cruenti massacri fra Sikh e musulmani nel "49 e nel "50, essi hanno abbandonato il Pakistan. In India sono immediatamente riconoscibili per il turbante e per le lunghe barbe ma soprattutto per il loro fisico da mangiatori carne, sono per la maggior parte alti e robusti con un portamento che esprime agiatezza.
Sikh, cioè discepoli, uomini e donne desiderosi di apprendere la verità e di seguire la virtù: questa è l'idea che Nanak, fondatore di un movimento religioso dove si conciliano i miglior elementi di induismo ed islamismo. I fedeli avrebbero dovuto deporre l'intolleranza ed il fanatismo e vivere in pace affratellati dalla legge dell'amore e della comprensione. Dall'Islam Babu Nanak prese il concetto di dio unico, il «vero nome» e «vero maestro» che governa il mondo con una saggezza superiore alla comprensione umana. Dall'induismo prese la dottrina del «kharma» e delle reincarnazioni. Il profeta respinse invece ogni altro elemento della religione hindù: sacrifici e crudeltà, sistema delle caste, litanie ripetute meccanicamente, culto degli idoli. Ed in nome di questa uguaglianza, poiché «è pio colui che considera uguali tutti gli uomini», i gurdwara, templi dei discepoli, sono aperti a tutti gli uomini di ogni religione e casta. La fede sincera, le buone azioni ed il lavoro fanno acquistare meriti davanti a Dio.
Le parole di Nanak e degli altri guru a lui succeduti come pontefici massimi della nuova religione furono raccolte da Arjun, quinto maestro, nel libro sacro Adi Granth (o Granth Sahib, «il libro del signore»), un manoscritto di seimila versetti, letto e recitato dai fedeli in pellegrinaggio ad Amritsar, la città che fu scelta come centro spirituale del Sikhismo. Nella semplice cerimonia del battesimo i fanciulli bevono assieme da una stessa coppa e si comunicano con un unico pane infrangendo ogni barriera di casta.
La predicazione di Gobind Singh, decimo ed ultimo guru integrò il pacifismo iniziale con nuovi concetti, accostando all'amore per il prossimo la lotta armata contro chiunque minacciasse la libertà di culto. Oltre ad imporre i cinque K, egli introdusse un'ulteriore iniziazione, il pahul e formò la khalsa, l'ordine dei Sikh pronti a sacrificare la vita e diventare jatas, martiri in nome della religione.
Oggigiorno i Sikh, uniti nelle richieste politiche, sono divisi in campo religioso fra «iniziati» e «non iniziati» e la stessa khalsa è frantumata in sette, spesso fra loro ostili, quali i Nihang, gli Akhali, i Nirankhar, in alcune delle quali riaffiorano influenze induiste quali il culto per Durga Kali, la dea sanguinaria, la cui venerazione non troverebbe certo l'approvazione di Babu Nanak.
I templi sikh in Pakistan sono chiusi ed il governo centrale ha ufficialmente l'incarico di preservarli dai danni del tempo e degli uomini.
PRINCIPI FONDAMENTALI
Il Sikhismo si ispira ad alcuni princìpi dell' Induismo e dell' Islam , pur essendo una religione autonoma e a sé stante. Dall'Induismo trae la credenza nella trasmigrazione delle anime (samsara) e degli effetti delle azioni sulle vite successive (karma). L'obiettivo ultimo è di interrompere il ciclo delle rinascite, tranne che la liberazione non è vista come un annullamento del sé, bensì come una congiunzione con Dio, che è Uno e indivisibile. Tale congiunzione si ottiene tramite il retto comportamento e la fede in Dio. Come i musulmani, i sikh credono che Dio abbia creato il mondo e che la Sua volontà governi ogni cosa. Secondo il Sikhismo, tutti gli esseri umani sono uguali di fronte a Dio (dunque viene rifiutato il sistema castale): questo principio implica l'abolizione del clero (ogni sikh può leggere il Guru Granth Sahib, a casa o al tempio) e la parità tra uomo e donna (le donne possono guidare la congregazione in preghiera e diventare "leonesse della fede" al pari degli uomini). Contrario a ogni forma di ascetismo, al celibato, al formalismo dei rituali e al culto delle immagini, il Sikhismo invita i propri seguaci a raggiungere un equilibrio tra gli obblighi spirituali e quelli temporali. La condivisione dei beni è ritenuta una parte importante della vita quotidiana. I khalsa sono guerrieri, oltre che credenti e capifamiglia, e credono nella legittimità della "guerra santa", intesa come strumento per combattere le ingiustizie. Chi entra nei khalsa è tenuto a portare sempre con sé le "cinque k": kesh (capelli mai tagliati: chi se li taglia è un rinnegato); kacha (pantaloncini corti), kirpan (pugnale), kara (bracciale di ferro) e kanga (pettine).
vorrei focalizzare una cosa:
le upanishad dichiarano che in tutti e tutto: Dèi, uomini, animali e piante v'è una scintilla del Divino TUTTO (a diversi gradi di Coscenza).
In questo senso l'induismo è monoteista, IN QUANTO tutti e tutte le creature di tutti i mondi sono NELLA COSCIENZA-ESISTENZA dell' ASSOLUTO.
I vari fondatori di tutte le varie altre religioni vengono generalmente considerati come "illuminati/liberati" cioè persone che hanno fuso la loro coscienza individuale con la Coscienza COSMICA (DIO).
...se a qualcuno interessano i libri antichi e tutto quello che di futuribile vi è dentro leggetevi il Rig-Veda(nelle biblioteche dovreste trovare agevolmente la versione tradotta da Valentino Papesso), tolta la parte puramente devozionale alcuni passaggi descrittivi sono davvero incredibili.
Sikh, cioè discepoli, uomini e donne desiderosi di apprendere la verità e di seguire la virtù: questa è l'idea che Nanak, fondatore di un movimento religioso dove si conciliano i miglior elementi di induismo ed islamismo. I fedeli avrebbero dovuto deporre l'intolleranza ed il fanatismo e vivere in pace affratellati dalla legge dell'amore e della comprensione. Dall'Islam Babu Nanak prese il concetto di dio unico, il «vero nome» e «vero maestro» che governa il mondo con una saggezza superiore alla comprensione umana. Dall'induismo prese la dottrina del «kharma» e delle reincarnazioni.
il sikhismo è PROPRIO UNA RELIGIONE A PARTE RISPETTO ALL'INDUISMO (sempre se l'induismo si può considerare meramente una religione secondo l'ottica comunemente adottata) ... meriterebbe un tread a parte.
giannola
06-09-2006, 21:44
il sikhismo ... meriterebbe un tread a parte.
seee stai fresco! :muro:
non hai sentito che blue vuole accorpare tutti 3d religiosi. :cry:
inho meriterebbe usa sezione a parte :O
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