PDA

View Full Version : Carlo Alberto Dalla Chiesa: Palermo 3 settembre 1982 - 3 settembre 2006


dantes76
04-09-2006, 11:33
GEN. C.A. CARLO ALBERTO DALLA CHIESA

NOTA BIOGRAFICA

http://www.nonsolobiografie.it/personaggi/primopiano_carlo_alberto_dalla_chiesa.jpg


Saluzzo, cittadina sabauda e piemontese sino al midollo, lo vede nascere il 27 settembre 1920. E' un figlio d'arte: il papà ufficiale dei Carabinieri (Romano), il fratello pure (Romolo). Il primo contatto con la vita militare è la dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre 1943.
Passa nella provincia di Ascoli Piceno e un bel giorno viene affrontato da un partigiano comunista. I partigiani della zona temevano che lui fosse responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare.
Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l'Italia o la Germania?", Dalla Chiesa risponde offrendo la sua collaborazione e per un certo periodo le cose filano a meraviglia. Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla Chiesa è meglio cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli altri patrioti: diventa un responsabile delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani.
La guerra si chiude per lui con una promozione e due croci al merito di guerra, tre campagne di guerra, una medaglia di benemerenza per i volontari della II GM, il distintivo della guerra di liberazione ed una laurea in giurisprudenza conseguita a Bari. In quella stessa università prenderà più tardi la laurea in scienze politiche.
La Sicilia che lo vede arrivare giovane capitano è immersa nel regno di terrore della mafia agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano Leggio. E' una mafia che poi verrà rievocata con nostalgia quando emergeranno nuovi e ferocissimi boss, ma in realtà era solo più arcaica, non meno spietata.
Cosa Nostra ha stretto un patto di ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e socialisti.

Nei covi di Corleone
Per Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio), il segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto rappresenta una spina nel fianco. Parla troppo, protesta troppo, intralcia troppo. Rizzotto, un semplice bracciante, cresciuto tra le insidie di una mafia occhiuta ed oppressiva, è un tipo prudente e cauto che non manca di prendere le sue precauzioni. Leggio affida il compito ai suoi giovani cagnazzi, "Binnu" e "Totò u' curtu". Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e Totò Riina sono picciotti fedelissimi, aggressivi, spavaldi, che si mostrano in paese annancando con il caratteristico incedere mafioso. Sono furbi e si rendono conto che bisogna prendere Rizzotto per tradimento.
Un giuda si trova. Il 10 marzo 1948 il sindacalista viene caricato su una macchina, portato in luogo sicuro, torturato e suppliziato. Il suo cadavere viene gettato in una forra Lo trovano molto tempo dopo e riconoscono i resti da uno scarpone.
Dalla Chiesa è chiamato dal colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB (Comando Forze Repressione Banditismo), che ha la missione di farla finita con Salvatore Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene affidato il comando del gruppo squadriglie, basato a Corleone. Qui il piemontese ha primo impatto con questo tortuoso ambiente.
E' un ufficiale abile, duro, inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari corleonesi. A dispetto dell'omertà e della paura estremamente diffuse riesce insieme ai suoi colleghi a inchiodare tutti gli assassini di Rizzotto e a spedirli sotto processo, incluso Leggio.
Vittoria di Pirro. Il processo si conclude con una serie di assoluzioni per insufficienza di prove. Il giovane capitano viene opportunamente trasferito. Premio, siluramento, precauzione? Chissà. La Sicilia gli è rimasta dentro al cuore.
Da ufficiale superiore è aiutante maggiore della legione e capo ufficio OAIO (Ordinamento Addestramento Informazioni Operazioni) della IV brigata di Roma e della legione di Torino. Poi regge i comandi del nucleo di polizia giudiziaria e del gruppo di Milano.

A caccia di battesimi e nozze
Negli anni Sessanta Carlo Alberto torna nell'isola del suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato come colonnello il comando della legione di Palermo (1966-1973).
Qualcosa dallo scacco di quindici anni fa l'ha imparata. Bisogna conoscere a fondo la situazione e raccogliere quante più prove possibili, facendo i conti con la realtà del posto.
Cosa Nostra non è stata con le mani in mano e si è adeguata rapidamente ai tempi nuovi. Ha progressivamente spostato i suoi interessi dal settore dell'agricoltura in cui aveva operato per oltre un secolo, a quelli industriale e commerciale, specialmente nel campo dell'edilizia e dei lavori pubblici. I tradizionali rapporti di "strusciamento con il potere" si rafforzano specialmente con le istituzioni amministrative e politiche in modo da influire sulle direttrici di sviluppo edilizio delle città, sull'ubicazione delle opere pubbliche, sulle destinazioni dei finanziamenti, sugli appalti.
Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente inseriti nel tessuto politico ed amministrativo.
Alla base dell'organizzazione c'è la 'famiglia', rigidamente ancorata al territorio. In essa ci sono gli uomini d'onore o soldati, comandati dai capidecina, guidati da un capo famiglia o rappresentante coadiuvato da un vice e da uno o più consiglieri. Più famiglie sono rette dai capi mandamento che siedono nella cupola o commissione provinciale.
Una struttura del genere è difficile da infiltrare, ma qualcosa si può sempre sapere ed è possibile conoscere la struttura attraverso il legame della famiglia. Sentiamo cosa diceva Dalla Chiesa alla commissione antimafia del 1962.
"Onorevole presidente, scoprirli [i capi mafiosi] non è difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche di molti. (...) Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho preparato per la mia legione, per tutti i miei collaboratori, dedicata proprio ai mafiosi o indiziati tali.(...) attraverso le parentele e i comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una visione organica della famiglia, della genealogia, più che un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa (...) ... è molto più efficace seguire i mafiosi cosi, cioè non attraverso la scheda solita del ministero dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i coniugi dei figli, attraverso le provenienze, le zone dalle quali provengono, perché anche le zone d'influenza hanno la loro importanza".
Non è una trovata trascendentale, ma è il metodo e la costanza con cui si applica che danno i risultati.
Nel 1966 un vero e proprio censimento degli uomini d'onore è stato finalmente realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente come Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono arrestati e spediti al soggiorno obbligato.

Il trionfo sulle Brigate rosse
All'epoca Dalla Chiesa credeva moltissimo al soggiorno obbligato, più tardi si accorgerà che era a doppio taglio: allontanava i boss dalle loro zone e favoriva l'estendersi della piovra altrove.
Poi i processi vanificheranno di nuovo la sua opera e un Dalla Chiesa più disilluso dichiarerà alla commissione antimafia riunita il 4 novembre 1970: "Siamo senza unghie, ecco; francamente, di fronte a questi personaggi, mentre nell'indagine normale, nella delinquenza, possiamo far fronte e abbiamo ottenuto anche dei risultati di rilievo, nei confronti del mafioso in quanto tale, in quanto inquadrato in un contesto particolare, è difficile per noi raggiungere le prove...".
Non c'è però tempo per i rimpianti. La lotta al terrorismo coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai promosso generale. Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di tutto. Dopo la cura del generale vengono fuori le cosiddette supercarceri la fuga dalle quali è praticamente impossibile. Si tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi, come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di massima sicurezza.
Successivamente (settembre 1978) assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra forze di polizia nella lotta al terrorismo.
Dallas, come lo soprannominano affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale all'assalto non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le spalle dalle insidie dei palazzi romani.
Quando riceve i pieni poteri per la lotta alle Brigate Rosse una stampa faziosa lo dipinge come un futuro uomo forte della scena politica italiana. Lui non si muove prima di una discreta e attenta gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale di via libera anche da parte delle opposizioni.
Solo allora attua la sua controguerriglia urbana ,conseguendo prestigiosi successi, celebrati dalla stampa nazionale ed internazionale, arrestando i capi storici delle Brigate Rosse e contribuendo validamente a debellare il fenomeno in Italia.
"I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al mese".
Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice Comandante Generale dell'Arma.
Con le promozioni arrivano altre decorazioni: croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia d'oro di lungo comando, distintivo di ferita in servizio, una medaglia d'argento al valor militare, una di bronzo al valor civile, 38 encomi solenni, una medaglia mauriziana.
Al suo fianco compare, dopo la morte dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima e decisa: Emanuela Setti-Carraro. E' un periodo durissimo, però il futuro sembra sorridergli.

La grande guerra di mafia
Alla nomina a prefetto di Palermo il ministro degli Interni, Virginio Rognoni, comincia a pensarci sotto le feste del Natale 1981. L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra la persona giusta per arrestarla. Ne parla prima con l'allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con i segretari dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli umori delle forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel marzo 1982 comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina.
Dallas non esita a manifestare perplessità, ma suadente Rognoni gli dice: "Caro generale, lei va a Palermo non come prefetto ordinario ma con il compito di coordinare tutte le informazioni sull'universo mafioso". Il ministro conta di dargli tutti i poteri in vigore per il suo compito; il generale, che sa quanto sia vana la parola 'coordinamento', vuole poteri reali, uomini, mezzi e fondi (saranno concessi solo al suo successore).
A maggio, quanto arriva a Villa Whitaker, trova una situazione pesante perché è scoppiata una gran guerra tra le cosche.
L'origine immediata di questa guerra è il progetto all'inizio del 1981 di creare una nuova Las Vegas ad Atlantic City nato da un'idea di Don Stefano Bontade e Totò Inzerillo, il principe di Villagrazia. Il guadagno netto stimato si aggira intorno ai 130 miliardi di lire all'anno. La raccolta dei fondi per l'operazione si rivela un successo, ma un controllo dei contabili di Cosa Nostra scopre un ammanco di 20 miliardi.
Nell'estate in cui c'è Dalla Chiesa a Palermo ci sono 52 morti e 20 lupare bianche.

Poi arriva la morte
Nella lotta a Cosa Nostra, nella sua stessa esistenza, la morte è una costante con cui occorre fare sempre i conti. "Purtroppo in questa difficile battaglia gli errori si pagano. Quello che per noi è una professione, per gli uomini di Cosa Nostra è questione di vita o di morte: se i mafiosi commettono degli errori, li pagano; se li commettiamo noi, ce li fanno pagare. (...) Da tutto questo bisogna trarre una lezione. Chi rappresenta l'autorità dello Stato in territorio nemico, ha il dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti della prevedibilità e della fattibilità". Sono parole del giudice Falcone, tuttora attuali e vere, anche se talvolta Cosa Nostra si è dimostrata più abile e forte: di Chinnici, di Borsellino, dello stesso Falcone.
Gli uomini d'onore sanno benissimo di non essere invulnerabili e di doversi proteggere oltre la paranoia.
Dalla Chiesa. seguito da cento occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di Palermo e circondato da molti onorevoli e notabili che mal nascondono una viva preoccupazione.

Operazione Carlo Alberto
Significativo uno scambio di battute a distanza sui giornali.
Dalla Chiesa: "C'è una crescita della mafia, che va radicandosi anche come realtà politico-malavitosa".
Martellucci: "Io ho la vista acuta, eppure non ho mai visto la mafia".
Dalla Chiesa, alla commemorazione del colonnello dei Carabinieri Russo ucciso dalla mafia: "Aveva tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato".
Il prefetto di Catania: "La mafia, qui da noi, non esiste". Il generale capisce che deve muoversi in fretta, prima che sia troppo tardi. Il primo giorno da prefetto a Palermo si fa portare a Villa Whitaker da un tassista. Altre volte si fa vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei licei, gli operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare il consenso".
Non si fa illusioni: "Certamente non sono venuto per sgominare la mafia, perché il fenomeno mafioso non lo si può sgominare in una battaglia campale, in una guerra lampo, un cosiddetto Blitz. Però vorrei riuscire a contenerlo, per poi sgominarlo". Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi. Quanto ai poteri c'è l'articolo 31 dello Statuto regionale della Sicilia, dove è scritto che le forze di polizia sono sottoposte disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzo, al governo regionale. Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha legalmente più potere del rappresentante dello Stato.
Dalla Chiesa chiede fatti e poteri veri, ma a Roma si è restii a conferirgli poteri più significativi di quelli del ministro degli Interni.
Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa agisce. In due successivi blitz, interrompe con 10 arresti il summit dei vincitori corleonesi a Villagrazia, mentre in via Messina Marine scopre una raffineria di eroina con una produzione di 50 chilogrammi a settimana.
Nel giugno 1982 invia il rapporto dei 162, una vera mappa del crimine organizzato. Al vertice ci sono i Greco di Ciaculli, con attività a Tangeri e in Sud America. Insieme ad essi i Corleonesi, il clan di Corso dei Mille. I perdenti Inzerillo, Badalamenti, Bontade, Buscetta sono stati invece massacrati.
Per 20, giorni i magistrati tacciono, poi spiccano 87 mandati di cattura: 18 arresti, ma restano latitanti una ventina dei più grossi tra cui Michele Greco il Papa, braccio violento di suo zio Totò Greco detto l'ingegnere.
Poi segue un rapporto della Guardia di Finanza sul mondo delle false fatture e dei contributi pubblici finiti nelle tasche di noti esponenti di Palermo e Catania. Inoltre il generale rispolvera l'efficace arma delle indagini su comparati, parentele e amicizie: avvia un'indagine sui registri di battesimo e nozze per vedere quali politici abbiano presenziato a eventi di famiglie mafiose. Riesamina anche vecchie voci di pranzi di ex-ministri con potenti boss e, con dodici agenti della Guardia di Finanza a prestito, fa setacciare ben 3.000 patrimoni.
Cosa Nostra decide che è il momento di risolvere il problema. Il 3 settembre 1982 trenta pallottole di Kalashnikov falciano Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti-Carraro mentre un altro killer liquida l'agente di scorta, Domenico Russo. Lui tenta di proteggere la moglie col suo corpo, ma il killer spara prima a lei.

Epilogo
Al funerale ci sono molte grida in favore della pena di morte. Solo Pertini ha potuto raggiungere indisturbato la sua auto mentre altre personalità sono state circondate, spintonate e colpite con monetine.
Il 5 settembre arriva una telefonata anonima al quotidiano La Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa".
Il Generale Dalla Chiesa siede tra gli eroi che l'Arma dei Carabinieri ha donato al Paese ed al Popolo italiano, ed anche quando si affievolisce il ricordo di lontani eroismi, resta indelebile la nuda, spartana virtù del dovere compiuto in nome di una società civile.

ONOREFICENZE E RICONOSCIMENTI:

* Due Croci di Guerra;
* 3 campagne di guerra;
* Medaglia di Benemerenza Volontari della II Guerra Mondiale;
* Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione;
* Medaglia d'Argento al Valor Militare;
* Medaglia di Bronzo al Valor Civile;
* Distintivo per ferite in servizio;
* 20 Encomi Solenni;
* Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana;
* Medaglia Mauriziana;
* Medaglia d'Oro di Lungo Comando;
* Croce d'Oro per anzianità di servizio;
* Medaglia d'Oro al Valor Civile;
* Croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia

MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE

Motivazione

"Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.

Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950"

(Decreto Presidenziale 10 febbraio 1953)

MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR CIVILE

Motivazione

"Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.

Sicilia Occidentale, gennaio 1968."

(Decreto Presidenziale 27 settembre1970)

MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE

Motivazione

"Già strenuo combattente, quale altissimo ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.

Palermo, 3 settembre 1982".

LA MEMORIA

Busto commemorativo deposto a Palermo alla memoria del Generale Dalla Chiesa. Monumenti:

Ventiquattro, tra lapidi, busti, e sculture, i monumenti dedicati alla memoria del Generale Dalla Chiesa. Tra questi il busto commemorativo deposto a Palermo ed il monumento realizzato dall'artista Marcello Sgattoni per il Comune di San Benedetto del Tronto dal titolo "... e la pietra gridò", ispirato ad una frase del Vangelo : "Se non direte la verità grideranno le pietre, verità in nome delle quali Dalla Chiesa ha dato la vita".

Intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi cittadini:

Prime tra tutte Roma che, il 25 aprile 1983 ha cambiato la denominazione della Via Legnano, prospiciente la Scuola Allievi Carabinieri, in Via Carlo Alberto Dalla Chiesa. In Italia sono alcune centinaia le strade, i plessi scolastici, le caserme dell'Arma dei Carabinieri e le strutture pubbliche, intestate alla memoria del Generale.

LIBRI :

La vita e le vicende professionali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il cui barbaro assassinio ha avuto vasta eco anche sui più importanti quotidiani internazionali ed è riportato nell'autorevole periodico "THE TIMETABLES OF HISTORY"; edito dal "The wall street journal", sono state oggetto di numerosissime pubblicazioni, tra cui spiccano i seguenti libri :

*
Pino Arlacchi: "Morte di un generale", 1982;
*
Marco Nese: "Il generale Dalla Chiesa", 1982;
*
Eugenio Tutolo: "Carlo Alberto Dalla Chiesa, l'uomo dello Stato", 1982;
*
Francesco Damato: "L'ombra del generale: diario di un servizio televisivo sulla mafia dopo Dalla Chiesa", 1983 ;
*
Santina Acuto: "Dimenticati a Palermo: 3000 ore di morte da Pio La Torre a Carlo Alberto Dalla Chiesa", 1983 ;
*
Nando Dalla Chiesa: "Mafia vecchia, mafia nuova", 1985;
*
Gigi Moncalvo: "Il coraggio di sfidare la mafia", 1986;
*
Nando Dalla Chiesa: "Delitto imperfetto", 1987;
*
Patrizia Piotti: "I quotidiani italiani e l'omicidio Dalla Chiesa", 1989 ;
*
Elsa Vinci: "I misteri del palazzo antimafia: l'alto commissariato da Dalla Chiesa a Sica", 1991;
*
Pierangelo Spegno e Marco Ventura: "Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un caso aperto", 1997;
*
Nando Dalla Chiesa: "Carlo Alberto Dalla Chiesa: in nome del popolo italiano", 1997.

Film.

Tra le opere cinematografiche ispirate dalla figura del Generale Dalla Chiesa spicca "Cento giorni a Palermo" di Giuseppe Ferrara (1984), cui si aggiungono:

* "Il giorno della civetta" di Damiano Damiani (1968), tratto dall'omonimo libro di Leonardo Sciascia;
* "Placido Rizzotto" di Pasquale Scimeca (2000).



http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/D/3+D.htm

http://www.capitanoultimo.it/d/images/dchiesa.jpg
http://digilander.libero.it/inmemoria/foto/dalch.jpg



«Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì!»
(Carlo Alberto Dalla Chiesa)

Igor
04-09-2006, 12:07
Ecco la sua ultima intervista, concessa all’inviato di Repubblica Giorgio Bocca il 10 agosto 1982.


“Come combatto contro la mafia ”

“E’ una delinquenza cauta, che ti misura, che ti ascolta…”

PALERMO - La Mafia non fa vacanza, macina ogni giorno i suoi delitti; tre morti ammazzati giovedì 5 fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia, altri tre venerdì, un morto e un sequestrato sabato, ancora un omicidio domenica notte, sempre lì, alle porte di Palermo, mondo arcaico e feroce che ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo internazionale, del “wind surf” nel mare azzurro di Mondello. Ma è soprattutto il modo che offende, il “segno” che esso dà al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e allo Stato: i killer girano su potenti motociclette, sparano nel centro degli abitati, uccidono come gli pare, a distanza di dieci minuti da un delitto all’altro.

Dalla Chiesa è nero: “Da oggi la zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di catturare gli assassini ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile, l’arroganza mafiosa deve cessare”.

Che arroganza generale?
“A un giornalista devo dirlo? uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo”.

Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu prefettizio vive con un certo disagio la sua trasformazione: dai bunker catafratti di Via Moscova, in Milano, guardati da carabinieri in armi, a questa villa Wittaker, un po’ lasciata andare, un po’ leziosa, fra alberi profumati, poliziotti assonnati, un vecchio segretario che arriva con le tazzine del caffè e sorride come a dire: ne ho visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la Mafia.

Generale, vorrei farle una domanda pesante. Lei è qui per amore o per forza? Questa quasi impossibile scommessa contro la Mafia è sua o di qualcuno altro che vorrebbe bruciarla? Lei cosa è veramente, un proconsole o un prefetto nei guai?
“Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell’interesse dello Stato”.

Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve “coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale” la lotta alla Mafia.
“Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati”.

Vediamo un po’ generale, lei forse vuol dirmi che stando alla legge il potere di un prefetto è identico a quello di un altro prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è implicito che lei sia il sovrintendente, il coordinatore.
“Preferirei l’esplicito”.

Se non ottiene l’investitura formale che farà? Rinuncerà alla missione?
“Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla Mafia, non per discutere di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire di più”.

No, parliamone, queste faccende all’italiana vanno chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di dittatura antimafia? I poteri speciali del prefetto Mori?
“Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di Mori comandava i carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad Agrigento e di altri a Trapani a Enna o anche Messina, dove occorresse. Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel “pascolo” palermitano e non nel resto d’Italia non farebbe che perdere tempo”.

Lei cosa chiede? L’autonomia e l’ubiquità di cui ha potuto disporre nella lotta al terrorismo?
“Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico solo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno attendere sviluppi positivi”.

Ritorna con la Mafia il modulo antiterrorista? Nuclei fidati, coordinati in tutte le città calde?
Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista, disciplina giovinetto: questo singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro di diplomazie italiane ma con squarci di candori risorgimentali. Difficile da capire.

Generale, noi ci siamo conosciuti qui negli anni di Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il ‘66 e il ‘73 in funzione antimafia, il giovane ufficiale nordista de “Il giorno della civetta”. Che cosa ha capito allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?
“Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l’istituto del soggiorno obbligatorio era un boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica, dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949. Chiedevo notizie sul loro conto e mi veniva risposto: ” Brave persone”. Non disturbano. Firmano regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a Parigi”.

E oggi ?
“Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. E’ finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”

Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso, ucciso nell’agguato sull’autostrada, si quando ammazzarono anche i carabinieri di scorta, non era il cugino dell’assessore ai lavori pubblici di Catania?
“Si “.

E come andiamo generale, con i piani regolatori delle grandi città? E’ vero che sono sempre nel cassetto dell’assessore al territorio e all’ambiente?
“Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare l’abusivismo”.

IL CASO MATTARELLA

Senta generale, lei ed io abbiamo la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le stesse vicende italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il figlio di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale? “E’ accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività politica e l’impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del “palazzo”. Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato”.

Mi spieghi meglio.
“Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse aveva intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità dell’amministrazione. Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l’esempio più chiaro è quello del procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme del caso Coco”.

Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia brigatista esistono affinità elettive?
“Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola. Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica e anche voi garantisti eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII ottobre. Coco disse no. E fu ammazzato”.

Generale, mi sbaglio o lei ha una idea piuttosto estesa dei mandanti morali e dei complici indiretti? No, non si arrabbi, mi dica piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.
“Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge, di mettere accanto alla “associazione a delinquere” la associazione mafiosa”.

Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere?
“E’ materia da definire. Magistrati, sociologi, poliziotti, giuristi sanno benissimo che cosa è l’associazione mafiosa. La definiscono per il codice e sottraggono i giudizi alle opinioni personali”.

Come si vede lei generale Dalla Chiesa di fronte al padrino del “Giorno della civetta”?
“Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco”.

“ERA MEGLIO L’ANTITERRORISMO”

Mi faccia un esempio.
“Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti dice, come per combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè dai tali. Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l’eroina corre a fiumi ci vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che potrei avallare con la sola presenza quanto accade”.

Che mondo complicato. Forse era meglio l’antiterrorismo.
“In un certo senso si, allora avevo dietro di me l’opinione pubblica, l’attenzione dell’ Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la Mafia è diverso, salvo rare eccezioni la Mafia uccide i malavitosi, l’Italia per bene può disinteressarsene. E sbaglia”.

Perché sbaglia, generale?
“La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fato grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.

E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale?
“Il segreto bancario. La questione vera non è lì. Se ne parla da due anni e ormai i mafiosi hanno preso le loro precauzioni. E poi che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da anni chi sono i loro clienti mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle banche o a Bagheria o volta per volta, ma in modo globale”.

Generale Dalla Chiesa, da dove nascono le sue grandissime ambizioni?
Mi guarda incuriosito.

Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l’hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l’ala socialista dell’Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
“Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti.
Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora Dalla Chiesa, oggetto misterioso della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella.
Mah! In apparenza non ci sono guardie, precauzioni. Il generale assicura che non c’erano neppure negli anni dell’antiterrorismo. Dice che è stata la fortuna a salvarlo le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un mondo migliore.

“Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno dei Lyons.
Ma ci andai in borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo arrestai, aveva in tasca l’elenco completo di quelli che avevano firmato il necrologio per la mia prima moglie. Di tutti sapevano indirizzo, abitudini, orari. Nel caso mi fossi rifugiato da uno di loro, per precauzione. Ma io precauzioni non ne prendo. Non le ho prese neppure nei giorni in cui su “Rosso” appariva la mia faccia al centro del bersaglio da tirassegno, con il punteggio dieci, il massimo. Se non è istigazione ad uccidere questa?”

Generale, sinceramente, ma a lei i garantisti piacciono?
Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno accenna un inchino e mormora: “Eccellenza”.

Cfranco
04-09-2006, 12:33
"Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato”.
Come Falcone , come Borsellino , come tanti altri , prima si provvede a isolarli , ci sono tanti modi , dai "corvi" agli attacchi televisivi tramite qualche giornalista prezzolato , dagli attacchi politici al taglio delle scorte , poi una bomba o un mitra sistema tutto .
Come diceva ElleKappa in una vignetta , "I magistrati si dividono in due categorie , quelli bravi e quelli vivi"

Gemma
04-09-2006, 16:00
un uomo a cui si può solo portare onore e rispetto.

sander4
04-09-2006, 16:18
Come Falcone , come Borsellino , come tanti altri , prima si provvede a isolarli , ci sono tanti modi , dai "corvi" agli attacchi televisivi tramite qualche giornalista prezzolato , dagli attacchi politici al taglio delle scorte , poi una bomba o un mitra sistema tutto .
Come diceva ElleKappa in una vignetta , "I magistrati si dividono in due categorie , quelli bravi e quelli vivi"

Esatto.

Oggi, però, non è necessario far fuori le persone "scomode", ad esempio giornalisti o magistrati, basta bastonarle usando le tv e/o giornali e spargendo calunnie;da anni siamo abituati alle calunnie ("comunisti", matti etc etc) a cui sono stati sottoposti i giudici di Milano e persone come Caselli, che hanno lottato contro la criminalità senza aver paura di chi avevano di fronte.

Ad un uomo di legge come Dalla Chiesa non si può che portare rispetto e riconoscimento per il suo lavoro.