zerothehero
02-08-2006, 22:04
Il 25 gennaio 2006 i palestinesi hanno votato per le parlamentari ed Hamas è risultato vincitore indiscusso guadagnando 74 dei 123 seggi parlamentari spodestando Fatah il partito dominante dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Da allora Israele e la comunità internazionale hanno aspettato al varco il nuovo governo per testarne la capacità di governo e l'affidabilità.
Paola Righi
Equilibri.net (02 agosto 2006)
La vittoria di Hamas di elezioni libere e competitive, nel rispetto dei canoni di ogni democrazia che si possa ritenere tale e sotto lo stretto e monitoraggio di giudici certamente non benevolenti come gli Stati Uniti, ha posto Israele e gli alleati di fronte alla necessità di trovare un modus vivendis con il nemico dichiarato di sempre. Hamas si è invece trovato di fronte alla necessità di dimostrare nei fatti la propria capacità di guidare il popolo palestinese verso la creazione del tanto agognato stato. Le conseguenze nell'immediato sono state due. Stati Uniti ed Unione Europea hanno deciso di interrompere la collaborazione e l'erogazione di fondi ed aiuti all'ANP fino a quando Hamas non avrà ufficialmente accettato il diritto all’esistenza dello stato d’Israele, non avrà definitivamente preso le distanze e rifiutato ogni forma di lotta violenta, non avrà ufficialmente riconosciuto la validità di tutti gli accordi precedenti tra ANP, Israele e comunità internazionale. L'integrazione politica di Hamas, che per molti osservatori, almeno nel lungo periodo avrebbe dovuto rendere il movimento un normale attore politico, naturalizzarlo eliminando il preponderante aspetto di gruppo terroristico, non sembra però aver prodotto per il momento i risultati sperati.
Per Hamas si è profilata la necessità di trovare una via di convivenza pacifica e collaborativa con Fatha e più precisamente con il presidente dell'ANP Abbas. Tuttavia più che portare ad una normalizzazione del partito, ad una sua affidabilità quale interlocutore nelle trattative con Israele ed ad una linea di governo dei palestinesi con chiari obiettivi, le prove di governo di Hamas ne hanno prodotto l'ennesimo sdoppiamento, evidenziando l'esistenza di due leadership effettive: quella interna del primo ministro Ismail Haniya al governo, e quella in esilio del carismatico leader Khaled Mishal. La vicenda del soldato israeliano rapito, prima prova di affidabilità di Hamas, ha evidenziato questa situazione mostrando i due leader sempre pronti a scaricare l'uno sull'altro ogni responsabilità nella trattativa. Se questo da enorme peso al leader esiliato priva però di credibilità il primo ministro e non può che giustificare i timori israeliani e di buona parte della comunità internazionale sulla natura intrinsecamente terroristica del gruppo e sull'incapacità di Hamas di guidare l'ANP e i palestinesi verso la normalizzazione dei rapporti con Israele.
La leadership Interna
Ismail Haniya, considerato moderato, è stato disegnato quale primo ministro del nuovo governo dell'Autorità Palestinese. Fino ad ora si è dimostrato, almeno a parole, pragmatico. Ha dichiarato più volte che Hamas non ha intenzione di imporre ai palestinesi uno stato islamico e di essere disposto a trattare con Israele nella misura in cui Israele si dimostrerà disposta a riconoscere i palestinesi, i loro diritti e il loro governo eletto. Fino ad ora le priorità del suo governo sono state il boicottaggio imposto dalla comunità internazionale e le tensioni interne con Fatha. I problemi di coabitazione minano infatti la credibilità internazionale del governo Hamas dato che fino ad ora l'OLP e Fatah sono stati gli unici portavoce riconosciuti del popolo palestinese. Hamas ha cercato risposta agli indiscussi problemi generati dal taglio dei fondi internazionali nei suoi finanziatori abituali, Iran, Arabia Saudita, Qatar, Kwait, UAE, nella forma di finanziamenti da privati. Quanto alla ricerca di una coabitazione pacifica un primo passo si è avuto con il Piano di Riconciliazione Nazionale elaborato l'11 maggio dai diversi leader di fazioni palestinesi rinchiusi nella prigione di Hadarim. Il piano, sottoscritto tra gli altri anche da Islamic Jihad, e firmato da Abdel Halek Natshe, anziano leader di Hamas, così come dal carismatico leader di Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghouti, prevede: l'accettazione della creazione di uno stato palestinese comprendente i territori occupati da Israele nel 1967, il diritto al ritorno dei rifugiati e la liberazione dei detenuti, accetta la resistenza solo all'interno dei territori, incita alla riforma dell'OLP e progetta la rapida costituzione di un governo di unità nazionale. Dopo una primo tergiversare di entrambe le parti dovuto all'irritazione di Haniya a fronte dell'ultimatum postogli da Abbas, il documento è stato accettato il 26 giugno. L'accettazione dei contendenti del documento dei prigionieri avrebbe dato attendibilità al governo di Hamas, unificando la posizione strategica palestinese, decretando l'effettiva integrazione di Hamas nel PLO, portando quindi verso un allentamento della tensione con Israele e gli interlocutori internazionali e verso lo sblocco degli aiuti. Tuttavia il sopraggiungere degli eventi di crisi ha bloccato l'avviata evoluzione del governo.È infatti del 25 giugno l'attacco di militanti palestinesi alla postazione di confine israeliana sulla striscia di Gaza ed il conseguente rapimento del caporale Ghilad Shalit che ha innescato la crisi fino all'attuale conflitto con il Libano. Gli eventi si sono successi rapidamente, dalla chiusura dei confini di Gaza con il taglio di acqua, gas e rifornimenti ai raid israeliani nella Striscia contro la stessa sede del primo ministro, agli attacchi dei militanti della Striscia contro le postazioni israeliane e l'assassinio del giovane Eliahu Asheri.
La leadership in esilio
Khaled Mishal, capo dell'ufficio politico del partito risiede in Siria a Damasco in cui è in esilio dal 1990. La Siria provvede aiuto e sostegno al movimento. Il regime siriano permette alla leadership esterna di agire liberamente ed indisturbata ed essa si dimostra in molti casi più radicale ed intransigente di quanto non si dimostri la leadership interna, allineandosi sulle posizioni dell'asse siriano-israleiano. Bashar Assad, secondo i servizi segreti israeliani, permette a Mishal di guidare Hamas e di promuovere la propria linea politica nell'ANP dalla Siria, compreso tutto quanto concerne le operazioni terroristiche. La vittoria politica di Hamas, e il conseguente ostracismo internazionale del nuovo governo, hanno poi rafforzato questo legame e reso più evidente l'appoggio del regime siriano al partito. Infatti se in passato, per ragioni politiche i siriani avevano allentato, o meglio , nascosto i loro legami con Hamas in qualità di organizzazione terroristica, negli ultimi due anni la Siria ha sempre più rafforzato e palesato l'appoggio al movimento. Di conseguenza Damasco non ha fatto mistero della propria soddisfazione a fronte della vittoria di Hamas alle parlamentari, nella quale ha visto il trionfo della sua politica della resistenza, ovvero di terrorismo, e il fallimento della politica di USA ed Israele. Inoltre il nuovo ruolo di governo assunto da Hamas dà alla Siria la possibilità di giocare un ruolo leader nella ragione, a discapito soprattutto dell'Egitto, in qualità di amico privilegiato del nuovo interlocutore ufficiale del conflitto israelo-palestinese.
Le due leadership e la crisi di Gaza
La situazione di stallo in cui versa attualmente la crisi di Gaza sembra dimostrare che il vero fulcro di potere di Hamas si trovi in Siria, dove Khaled opera con l'aiuto dei siriani, dettando legge sulla leadership ufficiale di governo, vincolandola nelle trattative e compromettendola con gli attentati terroristici. Le trattative per la fine delle ostilità e la liberazione del caporale, sotto gli auspici del presidente egiziano Hosni Mubarak, e coinvolgenti anche la Siria e Khaled Meshaal, sono infatti ad un punto morto. Haniyeh e Meshaal sono entrambi coinvolti nei negoziati ed ognuno scarica sull'altro la responsabilità delle sorti del soldato. Questa doppiezza che porta l'immobilità, può anche apparire come una strategia per confondere l'avversario. Ma agli occhi della comunità internazionale e date le conseguenze che si infliggono sulla comunità palestinese, mette in evidenza solo l'inadeguatezza di guida di Hamas, coronando forse il sogno israeliano e statunitense di una forzatura degli eventi che costringa Abbas a dichiarare lo stato di emergenza ed assumere la guida dell'ANP con un governo provvisorio Fatha.
La crisi di Gaza non è certamente conclusa ma è fuori dai riflettori ormai orientati sul conflitto libanese, il fronte del sud è tuttavia ancora aperto e Gilead Shalit è ancora prigioniero senza che di lui si abbiano notizie. Ugualmente persistono le difficoltà di vita nella Striscia, senza rifornimenti, senza acqua e senza elettricità. Chiaramente il quadro sembra essere quello del fallimento del governo Haniyeh, che in un mese non è riuscito ad uscire dalla crisi ne ad alleviare la situazione nella Striscia. Tutte le proposte di mediazione sono cadute nel vuoto per la rigidità di Olmert a trattare ma anche per la reticenza di Haniyeh, o del leader ombra Meshal, ad assumersi la responsabilità delle sorti del prigioniero o delle attività dei militanti della Striscia.
Il governo di Hams a Gaza sembra quindi uscire da questa situazione quale ostaggio del governo ombra di Damasco o delle frange militari del suo stesso partito che è incapace di gestire, non prefigurando un futuro roseo ne duraturo del governo democraticamente eletto dai palestinesi.
Paola Righi
Equilibri.net (02 agosto 2006)
La vittoria di Hamas di elezioni libere e competitive, nel rispetto dei canoni di ogni democrazia che si possa ritenere tale e sotto lo stretto e monitoraggio di giudici certamente non benevolenti come gli Stati Uniti, ha posto Israele e gli alleati di fronte alla necessità di trovare un modus vivendis con il nemico dichiarato di sempre. Hamas si è invece trovato di fronte alla necessità di dimostrare nei fatti la propria capacità di guidare il popolo palestinese verso la creazione del tanto agognato stato. Le conseguenze nell'immediato sono state due. Stati Uniti ed Unione Europea hanno deciso di interrompere la collaborazione e l'erogazione di fondi ed aiuti all'ANP fino a quando Hamas non avrà ufficialmente accettato il diritto all’esistenza dello stato d’Israele, non avrà definitivamente preso le distanze e rifiutato ogni forma di lotta violenta, non avrà ufficialmente riconosciuto la validità di tutti gli accordi precedenti tra ANP, Israele e comunità internazionale. L'integrazione politica di Hamas, che per molti osservatori, almeno nel lungo periodo avrebbe dovuto rendere il movimento un normale attore politico, naturalizzarlo eliminando il preponderante aspetto di gruppo terroristico, non sembra però aver prodotto per il momento i risultati sperati.
Per Hamas si è profilata la necessità di trovare una via di convivenza pacifica e collaborativa con Fatha e più precisamente con il presidente dell'ANP Abbas. Tuttavia più che portare ad una normalizzazione del partito, ad una sua affidabilità quale interlocutore nelle trattative con Israele ed ad una linea di governo dei palestinesi con chiari obiettivi, le prove di governo di Hamas ne hanno prodotto l'ennesimo sdoppiamento, evidenziando l'esistenza di due leadership effettive: quella interna del primo ministro Ismail Haniya al governo, e quella in esilio del carismatico leader Khaled Mishal. La vicenda del soldato israeliano rapito, prima prova di affidabilità di Hamas, ha evidenziato questa situazione mostrando i due leader sempre pronti a scaricare l'uno sull'altro ogni responsabilità nella trattativa. Se questo da enorme peso al leader esiliato priva però di credibilità il primo ministro e non può che giustificare i timori israeliani e di buona parte della comunità internazionale sulla natura intrinsecamente terroristica del gruppo e sull'incapacità di Hamas di guidare l'ANP e i palestinesi verso la normalizzazione dei rapporti con Israele.
La leadership Interna
Ismail Haniya, considerato moderato, è stato disegnato quale primo ministro del nuovo governo dell'Autorità Palestinese. Fino ad ora si è dimostrato, almeno a parole, pragmatico. Ha dichiarato più volte che Hamas non ha intenzione di imporre ai palestinesi uno stato islamico e di essere disposto a trattare con Israele nella misura in cui Israele si dimostrerà disposta a riconoscere i palestinesi, i loro diritti e il loro governo eletto. Fino ad ora le priorità del suo governo sono state il boicottaggio imposto dalla comunità internazionale e le tensioni interne con Fatha. I problemi di coabitazione minano infatti la credibilità internazionale del governo Hamas dato che fino ad ora l'OLP e Fatah sono stati gli unici portavoce riconosciuti del popolo palestinese. Hamas ha cercato risposta agli indiscussi problemi generati dal taglio dei fondi internazionali nei suoi finanziatori abituali, Iran, Arabia Saudita, Qatar, Kwait, UAE, nella forma di finanziamenti da privati. Quanto alla ricerca di una coabitazione pacifica un primo passo si è avuto con il Piano di Riconciliazione Nazionale elaborato l'11 maggio dai diversi leader di fazioni palestinesi rinchiusi nella prigione di Hadarim. Il piano, sottoscritto tra gli altri anche da Islamic Jihad, e firmato da Abdel Halek Natshe, anziano leader di Hamas, così come dal carismatico leader di Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghouti, prevede: l'accettazione della creazione di uno stato palestinese comprendente i territori occupati da Israele nel 1967, il diritto al ritorno dei rifugiati e la liberazione dei detenuti, accetta la resistenza solo all'interno dei territori, incita alla riforma dell'OLP e progetta la rapida costituzione di un governo di unità nazionale. Dopo una primo tergiversare di entrambe le parti dovuto all'irritazione di Haniya a fronte dell'ultimatum postogli da Abbas, il documento è stato accettato il 26 giugno. L'accettazione dei contendenti del documento dei prigionieri avrebbe dato attendibilità al governo di Hamas, unificando la posizione strategica palestinese, decretando l'effettiva integrazione di Hamas nel PLO, portando quindi verso un allentamento della tensione con Israele e gli interlocutori internazionali e verso lo sblocco degli aiuti. Tuttavia il sopraggiungere degli eventi di crisi ha bloccato l'avviata evoluzione del governo.È infatti del 25 giugno l'attacco di militanti palestinesi alla postazione di confine israeliana sulla striscia di Gaza ed il conseguente rapimento del caporale Ghilad Shalit che ha innescato la crisi fino all'attuale conflitto con il Libano. Gli eventi si sono successi rapidamente, dalla chiusura dei confini di Gaza con il taglio di acqua, gas e rifornimenti ai raid israeliani nella Striscia contro la stessa sede del primo ministro, agli attacchi dei militanti della Striscia contro le postazioni israeliane e l'assassinio del giovane Eliahu Asheri.
La leadership in esilio
Khaled Mishal, capo dell'ufficio politico del partito risiede in Siria a Damasco in cui è in esilio dal 1990. La Siria provvede aiuto e sostegno al movimento. Il regime siriano permette alla leadership esterna di agire liberamente ed indisturbata ed essa si dimostra in molti casi più radicale ed intransigente di quanto non si dimostri la leadership interna, allineandosi sulle posizioni dell'asse siriano-israleiano. Bashar Assad, secondo i servizi segreti israeliani, permette a Mishal di guidare Hamas e di promuovere la propria linea politica nell'ANP dalla Siria, compreso tutto quanto concerne le operazioni terroristiche. La vittoria politica di Hamas, e il conseguente ostracismo internazionale del nuovo governo, hanno poi rafforzato questo legame e reso più evidente l'appoggio del regime siriano al partito. Infatti se in passato, per ragioni politiche i siriani avevano allentato, o meglio , nascosto i loro legami con Hamas in qualità di organizzazione terroristica, negli ultimi due anni la Siria ha sempre più rafforzato e palesato l'appoggio al movimento. Di conseguenza Damasco non ha fatto mistero della propria soddisfazione a fronte della vittoria di Hamas alle parlamentari, nella quale ha visto il trionfo della sua politica della resistenza, ovvero di terrorismo, e il fallimento della politica di USA ed Israele. Inoltre il nuovo ruolo di governo assunto da Hamas dà alla Siria la possibilità di giocare un ruolo leader nella ragione, a discapito soprattutto dell'Egitto, in qualità di amico privilegiato del nuovo interlocutore ufficiale del conflitto israelo-palestinese.
Le due leadership e la crisi di Gaza
La situazione di stallo in cui versa attualmente la crisi di Gaza sembra dimostrare che il vero fulcro di potere di Hamas si trovi in Siria, dove Khaled opera con l'aiuto dei siriani, dettando legge sulla leadership ufficiale di governo, vincolandola nelle trattative e compromettendola con gli attentati terroristici. Le trattative per la fine delle ostilità e la liberazione del caporale, sotto gli auspici del presidente egiziano Hosni Mubarak, e coinvolgenti anche la Siria e Khaled Meshaal, sono infatti ad un punto morto. Haniyeh e Meshaal sono entrambi coinvolti nei negoziati ed ognuno scarica sull'altro la responsabilità delle sorti del soldato. Questa doppiezza che porta l'immobilità, può anche apparire come una strategia per confondere l'avversario. Ma agli occhi della comunità internazionale e date le conseguenze che si infliggono sulla comunità palestinese, mette in evidenza solo l'inadeguatezza di guida di Hamas, coronando forse il sogno israeliano e statunitense di una forzatura degli eventi che costringa Abbas a dichiarare lo stato di emergenza ed assumere la guida dell'ANP con un governo provvisorio Fatha.
La crisi di Gaza non è certamente conclusa ma è fuori dai riflettori ormai orientati sul conflitto libanese, il fronte del sud è tuttavia ancora aperto e Gilead Shalit è ancora prigioniero senza che di lui si abbiano notizie. Ugualmente persistono le difficoltà di vita nella Striscia, senza rifornimenti, senza acqua e senza elettricità. Chiaramente il quadro sembra essere quello del fallimento del governo Haniyeh, che in un mese non è riuscito ad uscire dalla crisi ne ad alleviare la situazione nella Striscia. Tutte le proposte di mediazione sono cadute nel vuoto per la rigidità di Olmert a trattare ma anche per la reticenza di Haniyeh, o del leader ombra Meshal, ad assumersi la responsabilità delle sorti del prigioniero o delle attività dei militanti della Striscia.
Il governo di Hams a Gaza sembra quindi uscire da questa situazione quale ostaggio del governo ombra di Damasco o delle frange militari del suo stesso partito che è incapace di gestire, non prefigurando un futuro roseo ne duraturo del governo democraticamente eletto dai palestinesi.