zerothehero
21-06-2006, 21:06
In Asia Centrale l’Unione Europa gioca una partita difficile. L’accesso alle risorse di petrolio e gas dell’area diversificherebbe le fonti di approvvigionamento energetico dell’Europa ma nella regione i rischi di instabilità politica sono forti. Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan devono ancora compiere importanti passi sul percorso della democrazia e far fronte alle sfide del radicalismo islamico, del traffico di droga e della corruzione. Uzbekistan e Turkmenistan, due delle dittature più repressive di tutto il pianeta, violano i diritti umani e sfruttano indiscriminatamente le proprie risorse naturali. Cina, Russia e Stati Uniti incrociano su questo scacchiere le proprie mosse geopolitiche. In mezzo a questa campo di forze l’UE può svolgere un ruolo di stabilità?
Daniel Pescini
Equilibri.net (21 giugno 2006)
Cosa c’è in palio in Asia Centrale?
Essere il dominus in Asia Centrale significa controllare una porzione delle risorse energetiche mondiali. Il Kazakistan, nel 2004, ha prodotto ogni giorno più di 1,1 milioni di barili di petrolio e ha riserve stimate in circa 9 miliardi di barili. Molto più modeste le performance di Turkmenistan e Uzbekistan (che, sempre nel 2004, hanno prodotto rispettivamente quasi 200mila e 142mila barili di petrolio al giorno, mentre le loro riserve di oro nero ammontano a circa 540mila e 600mila milioni di barili). Nel settore del gas il primo produttore dell’area è il Turkmenistan, con poco meno di 60 miliardi di metri cubi prodotti nel 2003 e nel 2004 e 2.900 miliardi di metri cubi di riserve. Segue l’Uzbekistan, con una produzione di 57 miliardi di metri cubi all’anno e con riserve pari a circa 1.860 miliardi di metri cubi. Al terzo posto la produzione di gas naturale del Kazakistan, circa 17 miliardi di metri cubi nel 2003, portata a 25 miliardi nel 2004, con riserve di poco superiori a quelle uzbeke (1.900 miliardi di metri cubi). Praticamente nulle le produzioni e le riserve di petrolio e gas di Tagikistan e Kirghizistan.
Il ruolo della Russia e la vulnerabilità dell’Europa
Quasi tutte le esportazioni di gas del Turkmenistan, del Kazakistan e dell’Uzbekistan sono dirette in Russia, dove una parte è poi deviata verso l’Ucraina e l’Europa. Ciò si spiega anche con il fatto che in Asia Centrale le infrastrutture per il trasporto del gas seguono ancora l’orientamento sud-nord dell’era sovietica, quando le risorse dalla regione erano usate dalle industrie russe. Di conseguenza Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan non hanno grande potere contrattuale verso la Russia che riesce ad acquistare gas a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato. Rivendendo gas sul mercato europeo, Mosca realizza così ingenti guadagni ed evita di investire risorse nello sfruttamento dei dispendiosi giacimenti posti nelle regioni più remote del proprio territorio. In altre parole, il gas naturale che la Russia usa per i propri consumi interni e per le proprie esportazioni in Europa proviene in buona parte dall’Asia Centrale. Alcuni esperti affermano che nel caso di un’interruzione delle esportazioni di gas da questa area, la capacità produttiva della Russia non sarebbe in grado di coprire contemporaneamente il proprio mercato interno e quello europeo. Le minacce che mettono a repentaglio la stabilità dell’Asia Centrale rischiano quindi di avere effetti diretti sull’Unione Europea.
La politica di assistenza e cooperazione dell’UE in campo energetico
L’Unione ha saputo tessere relazioni con le ex repubbliche sovietiche con differenti approcci diplomatici, misurati sulla collocazione geopolitica di ciascun nuovo stato indipendente. Così, mentre la politica di allargamento dell’Ue ha potuto includere le tre repubbliche baltiche, nelle regioni in cui l’influenza russa è più forte Bruxelles ha lanciato una politica di buon vicinato che oggi vede inclusi anche Ucraina, Moldova, Azerbaigian, Georgia e Armenia.
Verso le cinque repubbliche dell’Asia Centrale, invece, non sembra esistere un’altrettanta chiara opzione di politica estera. Bruxelles, ha sempre cercato di proporsi come sostegno per la trasformazione politica ed economica dei cinque paesi della regione. I principali strumenti di intervento europeo sono stati il programma di assistenza tecnica alla Comunità degli Stati Indipendenti (TACIS) e gli accordi di partnership e cooperazione siglati dall’Unione con Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Simili trattati sono stati firmati anche con Tagikistan e Turkmenistan, ma la loro ratifica è ancora lontana. Tra il 1991 e il 2002 l’UE ha investito 944 milioni di euro in progetti di cooperazione con l’Asia Centrale, allo scopo di promuoverne la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo economico e per ridurre la povertà. Nel 2004, dopo l’adozione del documento strategico 2002 - 2006 per l’Asia Centrale, la Commissione Europea ha portato a 50 milioni di euro le risorse disponibili per il programma Tacis, che nel 2005 sono state aumentate a 60 milioni e nel 2006 a 66 milioni di euro. Uno dei tre binari principali lungo i quali si sviluppa il progetto Tacis consiste nell'agevolare i cinque paesi alla cooperazione per migliorare le reti regionali dell’energia.
Più nel dettaglio, è il progetto INOGATE (Intestate Oil and Gas Transport to Europe) a specificare gli interessi energetici europei nell’area. Nato nel 1995, Inogate è un programma di cooperazione internazionale che punta sia a integrare e migliorare le reti di oleodotti e gasdotti presenti nella regione dei cosiddetti NIS (Nuovi Stati Indipendenti), sia a rendere più efficiente e sicuro il trasporto del petrolio e del gas naturale da queste regioni verso l’Europa. Al programma hanno aderito 21 paesi (Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia e Serbia-Montenegro; Bielorussia, Lettonia, Moldova, Romania, Ucraina e Slovacchia; la Turchia; Armenia, Azerbaigian e Georgia; Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). Inogate opera nel contesto del programma di cooperazione Tacis 2004 -
2006 con un budget di circa 18 milioni di euro, ai quali si sono aggiunti altri 10,5 milioni di euro da destinare a progetti specifici per l’Asia Centrale.
Le opportunità per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico
Ad attrarre l’attenzione dell’Unione è la possibilità di collegare le riserve petrolifere e di gas naturale dell’Asia Centrale direttamente all’Europa bypassando il territorio della Russia. Ne è un esempio la possibile estensione al Turkmenistan del gasdotto Iran-Turchia, che permetterebbe al gas dei due paesi di arrivare in Europa attraverso il Caucaso Meridionale. Nei piani degli europei esiste anche un’altra opzione. Lungo la direttrice dell’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (che si prevede entrerà in funzione nel corso di quest’anno) un consorzio internazionale di imprese (che comprende tra le altre l’inglese BP, la norvegese Statoil ASA, l’azera Socar, la russa Lukoil, la francese TotalFinaElf, e la turca TPAO) sta realizzando un gasdotto che da Baku e Tblisi giungerà ad Erzurum, in Turchia. Collegata direttamente al sistema di gasdotti turchi e europei, questa pipeline è stata pensata per trasportare verso ovest il gas dei campi azeri di Shah Deniz. Negli ultimi mesi, tuttavia, si è tornati a valutare l’ipotesi di estenderla, attraversando il Mar Caspio, fino ai giacimenti di gas del Kazakistan e del Turkmenistan. A Bruxelles l’idea sta ottenendo sempre maggior appoggio poiché costituirebbe, per le importazioni europee, un accesso diretto al gas naturale dell’Asia Centrale. Queste soluzioni, tuttavia, non svincolerebbero l’Ue e i suoi stati membri dalla dipendenza energetica che li lega a Mosca, ma a Bruxelles, dopo la disputa sul gas tra Russia e Ucraina del gennaio scorso, si intendono sfruttare tutte le possibilità per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.
Conclusioni
Le risorse energetiche dell’Asia non sono ambite solo dall’Ue. Gli Stati Uniti hanno ancora nel cassetto il progetto per un gasdotto che porti il gas del Turkmenistan, via Afghanistan, in Pakistan e in India. La Cina ha già in funzione un oleodotto per importare petrolio dal Kazakistan e sta contrattando con Uzbekistan e Turkmenistan per il gas. L’Ue non può contare su un’influenza diretta nell’area ma può prepararvi il terreno per indurre le proprie aziende petrolifere ad investire. I progetti di assistenza tecnica e di cooperazione in campo energetico sono funzionali anche a questo obiettivo. Non a caso, il commissario europeo all’energia Piebalgs nella sua recente visita in Kazakistan è stato accompagnato da rappresentanti di primo piano dell’industria petrolifera e del gas, per discutere di maggiori investimenti europei nel settore energetico kazako. Tuttavia, posto che gli ostacoli fisici per raggiungere i giacimenti dell’Asia Centrale possano essere superati, occorre scavalcare anche gli ostacoli politici che possono frapporsi a simili progetti, soprattutto se mettono in discussione l’influenza russa nella regione e se coinvolgono due tra le dittature più repressive del pianeta. Il ruolo, e l’interesse, dell’UE resta quello promuovere la stabilità dell’area e renderla più attrattiva possibile per gli investimenti. Ciò richiede una politica di relazioni articolata a livello delle esigenze dei singoli paesi. Se il Kazakistan ricerca nell’Europa una piena legittimazione al proprio ruolo di potenza regionale, Tagikistan e Kirghizistan hanno bisogno di politiche di cooperazione allo sviluppo più tradizionalmente intese, mentre un caso a parte sono le dittature di Turkmenistan e Uzbekistan. L’elaborazione della nuova strategia europea in l’Asia centrale per il periodo 2007 - 2013 e l’inclusione della regione nella politica di vicinato europea possono essere due occasioni per affermare il soft power europeo, che può acquisire capacità di penetrazione inattese, purché Bruxelles si ponga come attore di stabilità e di sviluppo per l’intera regione.
Daniel Pescini
Equilibri.net (21 giugno 2006)
Cosa c’è in palio in Asia Centrale?
Essere il dominus in Asia Centrale significa controllare una porzione delle risorse energetiche mondiali. Il Kazakistan, nel 2004, ha prodotto ogni giorno più di 1,1 milioni di barili di petrolio e ha riserve stimate in circa 9 miliardi di barili. Molto più modeste le performance di Turkmenistan e Uzbekistan (che, sempre nel 2004, hanno prodotto rispettivamente quasi 200mila e 142mila barili di petrolio al giorno, mentre le loro riserve di oro nero ammontano a circa 540mila e 600mila milioni di barili). Nel settore del gas il primo produttore dell’area è il Turkmenistan, con poco meno di 60 miliardi di metri cubi prodotti nel 2003 e nel 2004 e 2.900 miliardi di metri cubi di riserve. Segue l’Uzbekistan, con una produzione di 57 miliardi di metri cubi all’anno e con riserve pari a circa 1.860 miliardi di metri cubi. Al terzo posto la produzione di gas naturale del Kazakistan, circa 17 miliardi di metri cubi nel 2003, portata a 25 miliardi nel 2004, con riserve di poco superiori a quelle uzbeke (1.900 miliardi di metri cubi). Praticamente nulle le produzioni e le riserve di petrolio e gas di Tagikistan e Kirghizistan.
Il ruolo della Russia e la vulnerabilità dell’Europa
Quasi tutte le esportazioni di gas del Turkmenistan, del Kazakistan e dell’Uzbekistan sono dirette in Russia, dove una parte è poi deviata verso l’Ucraina e l’Europa. Ciò si spiega anche con il fatto che in Asia Centrale le infrastrutture per il trasporto del gas seguono ancora l’orientamento sud-nord dell’era sovietica, quando le risorse dalla regione erano usate dalle industrie russe. Di conseguenza Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan non hanno grande potere contrattuale verso la Russia che riesce ad acquistare gas a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato. Rivendendo gas sul mercato europeo, Mosca realizza così ingenti guadagni ed evita di investire risorse nello sfruttamento dei dispendiosi giacimenti posti nelle regioni più remote del proprio territorio. In altre parole, il gas naturale che la Russia usa per i propri consumi interni e per le proprie esportazioni in Europa proviene in buona parte dall’Asia Centrale. Alcuni esperti affermano che nel caso di un’interruzione delle esportazioni di gas da questa area, la capacità produttiva della Russia non sarebbe in grado di coprire contemporaneamente il proprio mercato interno e quello europeo. Le minacce che mettono a repentaglio la stabilità dell’Asia Centrale rischiano quindi di avere effetti diretti sull’Unione Europea.
La politica di assistenza e cooperazione dell’UE in campo energetico
L’Unione ha saputo tessere relazioni con le ex repubbliche sovietiche con differenti approcci diplomatici, misurati sulla collocazione geopolitica di ciascun nuovo stato indipendente. Così, mentre la politica di allargamento dell’Ue ha potuto includere le tre repubbliche baltiche, nelle regioni in cui l’influenza russa è più forte Bruxelles ha lanciato una politica di buon vicinato che oggi vede inclusi anche Ucraina, Moldova, Azerbaigian, Georgia e Armenia.
Verso le cinque repubbliche dell’Asia Centrale, invece, non sembra esistere un’altrettanta chiara opzione di politica estera. Bruxelles, ha sempre cercato di proporsi come sostegno per la trasformazione politica ed economica dei cinque paesi della regione. I principali strumenti di intervento europeo sono stati il programma di assistenza tecnica alla Comunità degli Stati Indipendenti (TACIS) e gli accordi di partnership e cooperazione siglati dall’Unione con Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Simili trattati sono stati firmati anche con Tagikistan e Turkmenistan, ma la loro ratifica è ancora lontana. Tra il 1991 e il 2002 l’UE ha investito 944 milioni di euro in progetti di cooperazione con l’Asia Centrale, allo scopo di promuoverne la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo economico e per ridurre la povertà. Nel 2004, dopo l’adozione del documento strategico 2002 - 2006 per l’Asia Centrale, la Commissione Europea ha portato a 50 milioni di euro le risorse disponibili per il programma Tacis, che nel 2005 sono state aumentate a 60 milioni e nel 2006 a 66 milioni di euro. Uno dei tre binari principali lungo i quali si sviluppa il progetto Tacis consiste nell'agevolare i cinque paesi alla cooperazione per migliorare le reti regionali dell’energia.
Più nel dettaglio, è il progetto INOGATE (Intestate Oil and Gas Transport to Europe) a specificare gli interessi energetici europei nell’area. Nato nel 1995, Inogate è un programma di cooperazione internazionale che punta sia a integrare e migliorare le reti di oleodotti e gasdotti presenti nella regione dei cosiddetti NIS (Nuovi Stati Indipendenti), sia a rendere più efficiente e sicuro il trasporto del petrolio e del gas naturale da queste regioni verso l’Europa. Al programma hanno aderito 21 paesi (Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia e Serbia-Montenegro; Bielorussia, Lettonia, Moldova, Romania, Ucraina e Slovacchia; la Turchia; Armenia, Azerbaigian e Georgia; Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). Inogate opera nel contesto del programma di cooperazione Tacis 2004 -
2006 con un budget di circa 18 milioni di euro, ai quali si sono aggiunti altri 10,5 milioni di euro da destinare a progetti specifici per l’Asia Centrale.
Le opportunità per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico
Ad attrarre l’attenzione dell’Unione è la possibilità di collegare le riserve petrolifere e di gas naturale dell’Asia Centrale direttamente all’Europa bypassando il territorio della Russia. Ne è un esempio la possibile estensione al Turkmenistan del gasdotto Iran-Turchia, che permetterebbe al gas dei due paesi di arrivare in Europa attraverso il Caucaso Meridionale. Nei piani degli europei esiste anche un’altra opzione. Lungo la direttrice dell’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (che si prevede entrerà in funzione nel corso di quest’anno) un consorzio internazionale di imprese (che comprende tra le altre l’inglese BP, la norvegese Statoil ASA, l’azera Socar, la russa Lukoil, la francese TotalFinaElf, e la turca TPAO) sta realizzando un gasdotto che da Baku e Tblisi giungerà ad Erzurum, in Turchia. Collegata direttamente al sistema di gasdotti turchi e europei, questa pipeline è stata pensata per trasportare verso ovest il gas dei campi azeri di Shah Deniz. Negli ultimi mesi, tuttavia, si è tornati a valutare l’ipotesi di estenderla, attraversando il Mar Caspio, fino ai giacimenti di gas del Kazakistan e del Turkmenistan. A Bruxelles l’idea sta ottenendo sempre maggior appoggio poiché costituirebbe, per le importazioni europee, un accesso diretto al gas naturale dell’Asia Centrale. Queste soluzioni, tuttavia, non svincolerebbero l’Ue e i suoi stati membri dalla dipendenza energetica che li lega a Mosca, ma a Bruxelles, dopo la disputa sul gas tra Russia e Ucraina del gennaio scorso, si intendono sfruttare tutte le possibilità per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.
Conclusioni
Le risorse energetiche dell’Asia non sono ambite solo dall’Ue. Gli Stati Uniti hanno ancora nel cassetto il progetto per un gasdotto che porti il gas del Turkmenistan, via Afghanistan, in Pakistan e in India. La Cina ha già in funzione un oleodotto per importare petrolio dal Kazakistan e sta contrattando con Uzbekistan e Turkmenistan per il gas. L’Ue non può contare su un’influenza diretta nell’area ma può prepararvi il terreno per indurre le proprie aziende petrolifere ad investire. I progetti di assistenza tecnica e di cooperazione in campo energetico sono funzionali anche a questo obiettivo. Non a caso, il commissario europeo all’energia Piebalgs nella sua recente visita in Kazakistan è stato accompagnato da rappresentanti di primo piano dell’industria petrolifera e del gas, per discutere di maggiori investimenti europei nel settore energetico kazako. Tuttavia, posto che gli ostacoli fisici per raggiungere i giacimenti dell’Asia Centrale possano essere superati, occorre scavalcare anche gli ostacoli politici che possono frapporsi a simili progetti, soprattutto se mettono in discussione l’influenza russa nella regione e se coinvolgono due tra le dittature più repressive del pianeta. Il ruolo, e l’interesse, dell’UE resta quello promuovere la stabilità dell’area e renderla più attrattiva possibile per gli investimenti. Ciò richiede una politica di relazioni articolata a livello delle esigenze dei singoli paesi. Se il Kazakistan ricerca nell’Europa una piena legittimazione al proprio ruolo di potenza regionale, Tagikistan e Kirghizistan hanno bisogno di politiche di cooperazione allo sviluppo più tradizionalmente intese, mentre un caso a parte sono le dittature di Turkmenistan e Uzbekistan. L’elaborazione della nuova strategia europea in l’Asia centrale per il periodo 2007 - 2013 e l’inclusione della regione nella politica di vicinato europea possono essere due occasioni per affermare il soft power europeo, che può acquisire capacità di penetrazione inattese, purché Bruxelles si ponga come attore di stabilità e di sviluppo per l’intera regione.