zerothehero
16-06-2006, 22:23
Legati da vincoli culturali, storici e finanziari lo Stato d’Israele e la Turchia hanno relazioni che, pur avendo subito alterne vicende, si perpetuano da secoli e li collocano in una posizione sempre più centrale nello scacchiere mondiale, i loro recenti conflitti sono un pericolo reale per la già tanto instabile situazione mediorientale.
Maddalena Signorino
Equilibri.net (16 giugno 2006)
I due Paesi, che insieme all’Iran costituiscono la triade degli stati non arabi del Medio Oriente, hanno proseguito, nel corso del ‘900, un cammino parallelo che spesso si è nuovamente incrociato: è del 1996 un patto di difesa che ha creato dei vincoli militari forti fra di loro e che permette di svolgere le loro esercitazioni quattro volte l’anno in territorio turco. Tel Aviv ed Ankara hanno condiviso anche un nemico comune: la Siria, accusata da entrambi di fiancheggiare gruppi terroristici come Hezbollah e Hamas, responsabili di innumerevoli attacchi ad Israele, ed il PKK, gruppo indipendentista curdo che lotta per un Kurdistan indipendente nel sud-est della Turchia. Proprio il leader del PKK, Abdullah Ocalan è stato oggetto di una vicenda che ben testimonia le meccaniche di questo “triangolo”: nel 1998 Ocalan, rifugiatosi a Damasco, aveva portato Turchia e Siria sull’orlo di un conflitto. Fuggì dal Paese e si nascose in Kenia dove venne scoperto in blitz che sembra portare il marchio di un’operazione del Mossad, il servizio segreto israeliano. A fotografare con precisione la situazione è, nel 2001, Barry Rubin, esperto della regione e direttore del Global Research and International Affair Center, che ha base in Israele: “ I due paesi hanno gli stessi amici e gli stessi nemici. Sono entrambe minacciate dagli stessi regimi totalitari, fra cui spiccano Iran, Siria ed Iraq. Hanno sistemi similari di organizzazione di uno stato democratico. Entrambi devono fare i conti col terrorismo. Si distinguono entrambe nella regione per non essere stati arabi e in una certa misura subiscono un esclusione.”
Nel rapporto storico-politco fra i due Stati si è poi inserito un terzo attore. Contrariamente a quanto sperato da David Ben Gurion, padre fondatore di Israele che auspicava fortemente un alleanza fra le tre nazioni non arabe, non si tratta dell’Iran bensì degli Stati Uniti d’America. Negli anni ’90, quando il Congresso americano fermò la vendita di armi ad Ankara per i suoi scarsi sforzi quanto al rispetto dei diritti umanitari, fu proprio Israele ad aiutare la Turchia a modernizzare il suo esercito, firmando con la stessa accordi pluriennali molto lucrativi.
Oggi entrambi intrattengono rapporti molto stretti con Washington, ed il merito maggiore del riavvicinamento fra USA e Turchia è da attribuirsi sicuramente alle potenti lobbies pro israeliane come la potente American Jewish che nel 2000 fece pressioni affinché in Campidoglio fosse affondata la risoluzione con cui si intendeva commemorare il massacro degli Armeni, in cui più di un milione di cristiani furono trucidati dai turchi, nel 1915, durante gli ultimi giorni dell’Impero Ottomano. Nei cieli del Mediterraneo, attualmente, le forze aeree delle tre nazioni conducono esercitazioni congiunte.
Tornando ai rapporti fra Israele e Turchia, è necessario considerare come gli stessi non siano stati sempre rilassati. Dalla cancellazione dei contratti militari che legavano i due stati alle preoccupazioni di Israele per una possibile teocratizzazione della Turchia: il punto di rottura è stato sfiorato, infatti, dopo le elezioni del 2002 quando fu nominato Primo Ministro turco Recep Erdogan: il governo di Tel Aviv temette in una svolta estremista islamica del suo alleato, che, però, non si è realizzata. Le due amministrazioni hanno un nuovo nemico contro cui far fronte comune: Al Qaeda e la sua rete terroristica. Il Mossad, come riporta Joel Leyden di Israel News Agency, collabora stabilmente con Ankara alla cattura degli agenti di Osama bin Laden, che spesso hanno colpito nei luoghi frequentati assiduamente da Ebrei in territorio turco: almeno 300,000 Israeliani visitano ogni anno come turisti la Turchia, dando una spinta decisiva alla sua industria del divertimento.
I legami fra i due Paesi, infatti, non sono solo politici ma anche economici: da una parte Israele dell’alta tecnologia e degli ingenti capitali, dall’altra la Turchia dei prodotti tessili, delle materie prime e, soprattutto, dell’acqua. L’oro azzurro è stata fonte di alterne vicende nei rapporti fra i due governi. Israele, infatti, possiede scarsissime risorse idriche e ha dovuto far ricorso al proprio vicino, soprattutto per poter far fronte alle costanti esigenze agricole. Un accordo siglato nel 2004 a Gerusalemme fra l’allora Primo Ministro Sharon e il ministro turco dell’energia Zeki Cakan prevedeva l’acquisto da parte di Israele di 50 milioni di metri cubi d’acqua l’anno dalla Turchia, attraverso lo sfruttamento del fiume Manavgat; quest’intesa, destinata ad alleviare le croniche carenze idriche di Israele e ad accrescere l’importanza strategica della Turchia, doveva essere seguita, nel 2005, da una seconda.
Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth rivelò nel gennaio dello scorso anno gli sforzi che il governo stava compiendo per ottenere di costituire kibbutz ebraici in Anatolia, beneficiando così delle acque del Tigri e dell’Eufrate, in cambio di fornitura di mezzi agricoli ad Ankara. E’ però dell’aprile scorso la notizia, ampiamente ripresa dalla stampa mondiale, che l’accordo del 2004 è saltato. Il ministro degli Esteri israeliano Mark Regev ha sostenuto che esso è stato sospeso perché questa soluzione è diventata troppo costosa: sia per rincari del prezzo del petrolio hanno reso eccessivamente oneroso il trasporto dell’acqua attraverso navi cisterna sia per la privatizzazione del sistema di trattamento delle acque del Managvat. La decisione – ha detto ancora Regev – non ha nulla a che fare con la recente visita dei leader di Hamas in Turchia.
Sebbene con tale intesa si coprisse il 7% del fabbisogno annuo di acqua della nazione, l’esperto di risorse idriche Shaul Arlosoroff ha reso noto che, inoltre, è stato aperto un impianto di desalinizzazione nella città portuale di Ashkelon (mentre un secondo impianto è in via di costruzione) e che Israele ha ridotto la sua necessità d’acqua attraverso l’irrigazione e il riciclo dell’acqua utilizzata a scopi agricoli. Ciò non significa che i rapporti commerciali fra i due Stati siano stati interrotti.
Alcuni mezzi di informazione araba sostengono che Tel Aviv ed Ankara stiano progettando di realizzare congiuntamente un gasdotto sottomarino da 50 milioni di dollari, per il trasporto di petrolio e gas naturali dalla Russia. I due partner otterrebbero finanziamenti dalla Banca Europea per gli Investimenti e la società russa Gazprom, leader nel settore, ha espresso il proprio interessamento al progetto. Se i rapporti commerciali ed i relativi conflitti sembrano aver trovato, dunque, la strada verso la risoluzione, altrettanto non si può dire per quelli di natura politico-militare. Aver trovato un nemico comune in Al Qaeda sembra non bastare. Il punto di frizione maggiore fra i due stati ha comunque a che vedere, però, con un terzo soggetto, il popolo curdo, e con la delicatissima situazione internazionale esplosa con l’avvio della missione USA “Iraqui freedoom”.
La paura per l’instabilità irachena ha spinto Israele verso la scelta di un’opzione diversa, al fine di assicurarsi un interlocutore fidato nella nazione araba. La decisione israeliana di radicasi in maniera relativamente profonda nella regione semiautonoma del Kurdistan – definita dall’intelligence israeliana come “piano B”- ha sollevato delle nuove tensioni con la Turchia di Erdogan. Nell’era Sharon, infatti, ingenti fondi sono stati stanziati per addestrare le truppe formate da militari facenti parte di questa popolazione senza un proprio Stato indipendente, così come per finanziare operazioni del Mossad nell’area. Il risultato di ciò è stato il crearsi di una nuova inaspettata alleanza fra Iran, Siria e Turchia, che hanno all’interno dei proprio confini una presenza significativa di minoranze curde.
I timori di Ankara sono rivolti alla possibile espansione della presenza di Israele in Kurdistan e alla conseguente possibilità che venga incoraggiata l’ambizione della minoranza di creare uno Stato autonomo. Un eminente agente dei servizi segreti tedeschi ha confidato a Seymour Hersh di Annals of National Security “ Un Kurdistan indipendente dalle riserve petroliferi sufficienti avrebbe delle conseguenze enormi su Siria, Iran e Turchia”: è evidente che questo porterebbe ulteriore instabilità in Medio Oriente. Un’eventuale dichiarazione di indipendenza comporterebbe una reazione assolutamente negativa da parte della Turchia e minerebbe una consolidata rete di rapporti politici ed economici fra la stessa ed Israele, mettendo in primo luogo a repentaglio le strette relazioni diplomatiche che i due Stati hanno sviluppato soprattutto negli ultimi dieci anni: basti pensare che entrambi hanno condiviso una posizione iniziale di opposizione alla guerra in Iraq. L’appoggio di Israele ai Curdi, d’altro canto, ha inevitabilmente comportato un avvicinamento fra il suo partner di sempre ed i due Paesi mussulmani che fin ad allora avevano con lo stesso rapporti a dir poco tesi, come si accennava sopra: la loro condivisa circospezione nei confronti dei Curdi ha fatto sì che superassero le proprie divisioni. Il timore turco che le truppe addestrate da ufficiali israeliani per bilanciare le milizie sciite irachene (di cui si accennava sopra) possano infiltrarsi ed attaccare la Turchia ha fatto il resto. D’altro canto Tel Aviv incontra aperta ostilità da parte di tutti i propri vicini, eccezione fatta, appunto, per il Kurdistan. Stando così le cose c’è il fondato timore che la frattura che si è creata non possa, in futuro, ricomporsi, soprattutto se si tiene conto che la conflittualità è mantenuta alta dal perdurare della crisi irachena, che non è certo, allo stato attuale, sulla via della risoluzione.
Conclusioni
Ponte fra la civiltà occidentale e quella mediorientale, Turchia ed Israele non solo hanno molti punti di convergenza dal punto di vista storico e culturale, ma sono stati legati strettamente da accordi di carattere militare e finanziario. I loro rapporti, oggi, rischiano una crisi profonda: dopo le alterne vicende subite dalle loro partnerships commerciali, il problema maggiore che la loro storica alleanza si trova ad affrontare è dato dalla vicenda che li vede coinvolti, su posizioni opposte, circa il destino del Kurdistan. Certo è che questa ulteriore, pericolosa divisione in Medio oriente non porta nulla di buono in un’area già fortemente schiacciata da conflitti e spaccature.
Maddalena Signorino
Equilibri.net (16 giugno 2006)
I due Paesi, che insieme all’Iran costituiscono la triade degli stati non arabi del Medio Oriente, hanno proseguito, nel corso del ‘900, un cammino parallelo che spesso si è nuovamente incrociato: è del 1996 un patto di difesa che ha creato dei vincoli militari forti fra di loro e che permette di svolgere le loro esercitazioni quattro volte l’anno in territorio turco. Tel Aviv ed Ankara hanno condiviso anche un nemico comune: la Siria, accusata da entrambi di fiancheggiare gruppi terroristici come Hezbollah e Hamas, responsabili di innumerevoli attacchi ad Israele, ed il PKK, gruppo indipendentista curdo che lotta per un Kurdistan indipendente nel sud-est della Turchia. Proprio il leader del PKK, Abdullah Ocalan è stato oggetto di una vicenda che ben testimonia le meccaniche di questo “triangolo”: nel 1998 Ocalan, rifugiatosi a Damasco, aveva portato Turchia e Siria sull’orlo di un conflitto. Fuggì dal Paese e si nascose in Kenia dove venne scoperto in blitz che sembra portare il marchio di un’operazione del Mossad, il servizio segreto israeliano. A fotografare con precisione la situazione è, nel 2001, Barry Rubin, esperto della regione e direttore del Global Research and International Affair Center, che ha base in Israele: “ I due paesi hanno gli stessi amici e gli stessi nemici. Sono entrambe minacciate dagli stessi regimi totalitari, fra cui spiccano Iran, Siria ed Iraq. Hanno sistemi similari di organizzazione di uno stato democratico. Entrambi devono fare i conti col terrorismo. Si distinguono entrambe nella regione per non essere stati arabi e in una certa misura subiscono un esclusione.”
Nel rapporto storico-politco fra i due Stati si è poi inserito un terzo attore. Contrariamente a quanto sperato da David Ben Gurion, padre fondatore di Israele che auspicava fortemente un alleanza fra le tre nazioni non arabe, non si tratta dell’Iran bensì degli Stati Uniti d’America. Negli anni ’90, quando il Congresso americano fermò la vendita di armi ad Ankara per i suoi scarsi sforzi quanto al rispetto dei diritti umanitari, fu proprio Israele ad aiutare la Turchia a modernizzare il suo esercito, firmando con la stessa accordi pluriennali molto lucrativi.
Oggi entrambi intrattengono rapporti molto stretti con Washington, ed il merito maggiore del riavvicinamento fra USA e Turchia è da attribuirsi sicuramente alle potenti lobbies pro israeliane come la potente American Jewish che nel 2000 fece pressioni affinché in Campidoglio fosse affondata la risoluzione con cui si intendeva commemorare il massacro degli Armeni, in cui più di un milione di cristiani furono trucidati dai turchi, nel 1915, durante gli ultimi giorni dell’Impero Ottomano. Nei cieli del Mediterraneo, attualmente, le forze aeree delle tre nazioni conducono esercitazioni congiunte.
Tornando ai rapporti fra Israele e Turchia, è necessario considerare come gli stessi non siano stati sempre rilassati. Dalla cancellazione dei contratti militari che legavano i due stati alle preoccupazioni di Israele per una possibile teocratizzazione della Turchia: il punto di rottura è stato sfiorato, infatti, dopo le elezioni del 2002 quando fu nominato Primo Ministro turco Recep Erdogan: il governo di Tel Aviv temette in una svolta estremista islamica del suo alleato, che, però, non si è realizzata. Le due amministrazioni hanno un nuovo nemico contro cui far fronte comune: Al Qaeda e la sua rete terroristica. Il Mossad, come riporta Joel Leyden di Israel News Agency, collabora stabilmente con Ankara alla cattura degli agenti di Osama bin Laden, che spesso hanno colpito nei luoghi frequentati assiduamente da Ebrei in territorio turco: almeno 300,000 Israeliani visitano ogni anno come turisti la Turchia, dando una spinta decisiva alla sua industria del divertimento.
I legami fra i due Paesi, infatti, non sono solo politici ma anche economici: da una parte Israele dell’alta tecnologia e degli ingenti capitali, dall’altra la Turchia dei prodotti tessili, delle materie prime e, soprattutto, dell’acqua. L’oro azzurro è stata fonte di alterne vicende nei rapporti fra i due governi. Israele, infatti, possiede scarsissime risorse idriche e ha dovuto far ricorso al proprio vicino, soprattutto per poter far fronte alle costanti esigenze agricole. Un accordo siglato nel 2004 a Gerusalemme fra l’allora Primo Ministro Sharon e il ministro turco dell’energia Zeki Cakan prevedeva l’acquisto da parte di Israele di 50 milioni di metri cubi d’acqua l’anno dalla Turchia, attraverso lo sfruttamento del fiume Manavgat; quest’intesa, destinata ad alleviare le croniche carenze idriche di Israele e ad accrescere l’importanza strategica della Turchia, doveva essere seguita, nel 2005, da una seconda.
Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth rivelò nel gennaio dello scorso anno gli sforzi che il governo stava compiendo per ottenere di costituire kibbutz ebraici in Anatolia, beneficiando così delle acque del Tigri e dell’Eufrate, in cambio di fornitura di mezzi agricoli ad Ankara. E’ però dell’aprile scorso la notizia, ampiamente ripresa dalla stampa mondiale, che l’accordo del 2004 è saltato. Il ministro degli Esteri israeliano Mark Regev ha sostenuto che esso è stato sospeso perché questa soluzione è diventata troppo costosa: sia per rincari del prezzo del petrolio hanno reso eccessivamente oneroso il trasporto dell’acqua attraverso navi cisterna sia per la privatizzazione del sistema di trattamento delle acque del Managvat. La decisione – ha detto ancora Regev – non ha nulla a che fare con la recente visita dei leader di Hamas in Turchia.
Sebbene con tale intesa si coprisse il 7% del fabbisogno annuo di acqua della nazione, l’esperto di risorse idriche Shaul Arlosoroff ha reso noto che, inoltre, è stato aperto un impianto di desalinizzazione nella città portuale di Ashkelon (mentre un secondo impianto è in via di costruzione) e che Israele ha ridotto la sua necessità d’acqua attraverso l’irrigazione e il riciclo dell’acqua utilizzata a scopi agricoli. Ciò non significa che i rapporti commerciali fra i due Stati siano stati interrotti.
Alcuni mezzi di informazione araba sostengono che Tel Aviv ed Ankara stiano progettando di realizzare congiuntamente un gasdotto sottomarino da 50 milioni di dollari, per il trasporto di petrolio e gas naturali dalla Russia. I due partner otterrebbero finanziamenti dalla Banca Europea per gli Investimenti e la società russa Gazprom, leader nel settore, ha espresso il proprio interessamento al progetto. Se i rapporti commerciali ed i relativi conflitti sembrano aver trovato, dunque, la strada verso la risoluzione, altrettanto non si può dire per quelli di natura politico-militare. Aver trovato un nemico comune in Al Qaeda sembra non bastare. Il punto di frizione maggiore fra i due stati ha comunque a che vedere, però, con un terzo soggetto, il popolo curdo, e con la delicatissima situazione internazionale esplosa con l’avvio della missione USA “Iraqui freedoom”.
La paura per l’instabilità irachena ha spinto Israele verso la scelta di un’opzione diversa, al fine di assicurarsi un interlocutore fidato nella nazione araba. La decisione israeliana di radicasi in maniera relativamente profonda nella regione semiautonoma del Kurdistan – definita dall’intelligence israeliana come “piano B”- ha sollevato delle nuove tensioni con la Turchia di Erdogan. Nell’era Sharon, infatti, ingenti fondi sono stati stanziati per addestrare le truppe formate da militari facenti parte di questa popolazione senza un proprio Stato indipendente, così come per finanziare operazioni del Mossad nell’area. Il risultato di ciò è stato il crearsi di una nuova inaspettata alleanza fra Iran, Siria e Turchia, che hanno all’interno dei proprio confini una presenza significativa di minoranze curde.
I timori di Ankara sono rivolti alla possibile espansione della presenza di Israele in Kurdistan e alla conseguente possibilità che venga incoraggiata l’ambizione della minoranza di creare uno Stato autonomo. Un eminente agente dei servizi segreti tedeschi ha confidato a Seymour Hersh di Annals of National Security “ Un Kurdistan indipendente dalle riserve petroliferi sufficienti avrebbe delle conseguenze enormi su Siria, Iran e Turchia”: è evidente che questo porterebbe ulteriore instabilità in Medio Oriente. Un’eventuale dichiarazione di indipendenza comporterebbe una reazione assolutamente negativa da parte della Turchia e minerebbe una consolidata rete di rapporti politici ed economici fra la stessa ed Israele, mettendo in primo luogo a repentaglio le strette relazioni diplomatiche che i due Stati hanno sviluppato soprattutto negli ultimi dieci anni: basti pensare che entrambi hanno condiviso una posizione iniziale di opposizione alla guerra in Iraq. L’appoggio di Israele ai Curdi, d’altro canto, ha inevitabilmente comportato un avvicinamento fra il suo partner di sempre ed i due Paesi mussulmani che fin ad allora avevano con lo stesso rapporti a dir poco tesi, come si accennava sopra: la loro condivisa circospezione nei confronti dei Curdi ha fatto sì che superassero le proprie divisioni. Il timore turco che le truppe addestrate da ufficiali israeliani per bilanciare le milizie sciite irachene (di cui si accennava sopra) possano infiltrarsi ed attaccare la Turchia ha fatto il resto. D’altro canto Tel Aviv incontra aperta ostilità da parte di tutti i propri vicini, eccezione fatta, appunto, per il Kurdistan. Stando così le cose c’è il fondato timore che la frattura che si è creata non possa, in futuro, ricomporsi, soprattutto se si tiene conto che la conflittualità è mantenuta alta dal perdurare della crisi irachena, che non è certo, allo stato attuale, sulla via della risoluzione.
Conclusioni
Ponte fra la civiltà occidentale e quella mediorientale, Turchia ed Israele non solo hanno molti punti di convergenza dal punto di vista storico e culturale, ma sono stati legati strettamente da accordi di carattere militare e finanziario. I loro rapporti, oggi, rischiano una crisi profonda: dopo le alterne vicende subite dalle loro partnerships commerciali, il problema maggiore che la loro storica alleanza si trova ad affrontare è dato dalla vicenda che li vede coinvolti, su posizioni opposte, circa il destino del Kurdistan. Certo è che questa ulteriore, pericolosa divisione in Medio oriente non porta nulla di buono in un’area già fortemente schiacciata da conflitti e spaccature.