danilo@12
16-06-2006, 11:23
Il piano italiano: 39 ufficiali resteranno in Iraq
Il ministro degli Esteri a Washington dalla Rice con una proposta per il dopo-ritiro
Nella sua visita di oggi a Washington, Massimo D'Alema dovrà verificare in quale misura è robusto e in quale misura è riducibile il fastidio dell'Amministrazione di George W. Bush per la decisione italiana di ritirare dall'Iraq la missione militare senza sostituirla con una civile. Nel cercare di attenuare gli attriti, il ministro degli Esteri potrebbe offrire al consigliere per la sicurezza nazionale Steve Hadley e al segretario di Stato Condoleezza Rice la permanenza di 32 ufficiali italiani già impegnati nell'addestramento delle forze di sicurezza irachene e di altri sette, tenuti a certificare il grado di preparazione. Sarebbe una delle forme di aiuto del nostro Paese al nuovo governo di Bagdad. Senza clamore, l'argomento è stato già esaminato con il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer. La struttura alla quale appartengono i 32 italiani infatti è la scuola di Ar-Rustamiyah, a una trentina di chilometri da Bagdad, creata dall'Alleanza atlantica nel 2004. Lì è previsto che per formare uomini dell'esercito e della polizia irachena lavorino 200 persone di varie nazioni. Adesso ce ne sono circa 180. Non è escluso che, da 32, la componente italiana aumenti.
Un altro piccolo contributo del nostro Paese alla costruzione del nuovo Stato iracheno, sempre con la Nato, è quello di un gruppo di sette ufficiali chiamato Malt, Multi advice liaison team. Una squadra che verifica il grado di formazione raggiunta dagli addestrati. Rispetto alle forze che il governo ha deciso di ritirare entro l'anno da Nassiriya, questi due gruppi italiani hanno caratteristiche più compatibili con una permanenza in Iraq. Primo: non c'è bisogno che nostri soldati italiani rinuncino al rientro per proteggerli. Agiscono in strutture Nato, la cui sicurezza è già garantita. Secondo: a riserve di Rifondazione e Pdci, si obietterebbe che così si favorisce un approccio multilaterale alla ricostruzione dell'Iraq, coerente con la risoluzione 1546 dell'Onu. Certo, gli Usa vorrebbero di più. Ieri, a Bruxelles, D'Alema ha già fatto capire che sulla morte di Nicola Calipari, ucciso per errore da soldati americani, oggi non mira a scontri. «È una vicenda che riguarda la magistratura», ha dichiarato pur sperando in «maggiore collaborazione». «Si capirà che siamo amici degli Usa. Amici forse in modo diverso da come lo era il precedente governo, ma dobbiamo cercare un terreno per collaborare...», ha aggiunto. Dal dipartimento di Stato dicono di desiderare «una buona relazione con questo nuovo governo». Oggi si capirà meglio quanto.
Maurizio Caprara
16 giugno 2006
www.corriere.it
Il ministro degli Esteri a Washington dalla Rice con una proposta per il dopo-ritiro
Nella sua visita di oggi a Washington, Massimo D'Alema dovrà verificare in quale misura è robusto e in quale misura è riducibile il fastidio dell'Amministrazione di George W. Bush per la decisione italiana di ritirare dall'Iraq la missione militare senza sostituirla con una civile. Nel cercare di attenuare gli attriti, il ministro degli Esteri potrebbe offrire al consigliere per la sicurezza nazionale Steve Hadley e al segretario di Stato Condoleezza Rice la permanenza di 32 ufficiali italiani già impegnati nell'addestramento delle forze di sicurezza irachene e di altri sette, tenuti a certificare il grado di preparazione. Sarebbe una delle forme di aiuto del nostro Paese al nuovo governo di Bagdad. Senza clamore, l'argomento è stato già esaminato con il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer. La struttura alla quale appartengono i 32 italiani infatti è la scuola di Ar-Rustamiyah, a una trentina di chilometri da Bagdad, creata dall'Alleanza atlantica nel 2004. Lì è previsto che per formare uomini dell'esercito e della polizia irachena lavorino 200 persone di varie nazioni. Adesso ce ne sono circa 180. Non è escluso che, da 32, la componente italiana aumenti.
Un altro piccolo contributo del nostro Paese alla costruzione del nuovo Stato iracheno, sempre con la Nato, è quello di un gruppo di sette ufficiali chiamato Malt, Multi advice liaison team. Una squadra che verifica il grado di formazione raggiunta dagli addestrati. Rispetto alle forze che il governo ha deciso di ritirare entro l'anno da Nassiriya, questi due gruppi italiani hanno caratteristiche più compatibili con una permanenza in Iraq. Primo: non c'è bisogno che nostri soldati italiani rinuncino al rientro per proteggerli. Agiscono in strutture Nato, la cui sicurezza è già garantita. Secondo: a riserve di Rifondazione e Pdci, si obietterebbe che così si favorisce un approccio multilaterale alla ricostruzione dell'Iraq, coerente con la risoluzione 1546 dell'Onu. Certo, gli Usa vorrebbero di più. Ieri, a Bruxelles, D'Alema ha già fatto capire che sulla morte di Nicola Calipari, ucciso per errore da soldati americani, oggi non mira a scontri. «È una vicenda che riguarda la magistratura», ha dichiarato pur sperando in «maggiore collaborazione». «Si capirà che siamo amici degli Usa. Amici forse in modo diverso da come lo era il precedente governo, ma dobbiamo cercare un terreno per collaborare...», ha aggiunto. Dal dipartimento di Stato dicono di desiderare «una buona relazione con questo nuovo governo». Oggi si capirà meglio quanto.
Maurizio Caprara
16 giugno 2006
www.corriere.it