<Straker>
18-05-2006, 12:55
'azz, forse no :sofico:
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200605articoli/5349girata.asp
L'EX SEGRETARIO DISTATO DI CLINTON: L'AMERICA NON HA SEMPRE RAGIONE E L'AMMINISTRAZIONE DEVE AMMETTERE I PROPRI ERRORI
Albright a Bush: «George, rispondi alla lettera di Ahmadinejad»
«Le idee sbagliate si battono con quelle buone»
17/5/2006
Nathan Gardels
Il presidente iraniano Ahmadinejad ha mandato al presidente Bush una lettera nella quale propone un approccio comune basato sulle religioni monoteiste. Forse è un tipo di messaggio al quale gli Usa dovrebbero rispondere invece di ignorarlo?
«Credo che la Casa Bianca abbia avuto le sue buone ragioni per non rispondere. Il mio consiglio però sarebbe stato piuttosto di cogliere l’opportunità per un’efficace diplomazia pubblica. Se non riusciamo a dare una risposta di sostanza, a qualcuno verrà il sospetto che non abbiamo risposte buone per controbattere alle numerose esagerazioni, falsità e questioni contenute nella missiva dall’Iran. Non necessariamente dovevamo spedire una lettera dalla Casa Bianca. Si sarebbe potuto replicare, per esempio, con una dichiarazione o un discorso di un alto esponente dello Stato. Ma avremmo dovuto cogliere l’opportunità di reiterare le nostre opinioni sugli argomenti sollevati dall’Iran e, altrettanto importante, su quelli che l’Iran ha ignorato, incluso l’inganno costruito intorno al suo programma nucleare. Le idee sbagliate non si sconfiggono con il silenzio, ma con idee migliori. Questa è la sfida che ci tocca affrontare oggi e, molto probabilmente, negli anni a venire».
Nel suo nuovo libro lei sostiene che religione e cultura devono pesare sulla politica estera. Lei scrive che “il discorso di Al Qaeda non è banale, si interroga su argomenti trascendenti della storia, dell’identità e della fede. Per essere uditi, dobbiamo essere altrettanto profondi”. Non è una svolta rispetto all’idea trionfalistica del dopo guerra fredda, che ormai tutto era solo una questione di modernizzazione economica e di libertà politica? Forse Sam Huntington non aveva tutti i torti quando scriveva di “scontro di civiltà”?
«Si tratta di uscire da una visione del mondo che non rispecchia più la realtà. Quando l’amministrazione Bush si insediò, dissero di aver messo insieme “la più grande squadra di politica estera della storia”. Ciò era vero per il secolo scorso, ma non più per il nostro. Non hanno mai capito che il 21simo secolo sarebbe stato molto diverso, che l’identità religiosa e culturale avrebbe avuto più peso, e in questo contesto considerare con arroganza le proprie posizioni come impeccabili porta ad alienarsi il resto del mondo. Non stiamo assistendo a uno scontro di civiltà, ma a una battaglia delle idee. Quando dico che dobbiamo essere profondi quanto Al Qaeda, la gente mi guarda inorridita, come se gli stessi in qualche modo dando ragione. Non è così. Ma se le loro azioni non avessero una risonanza nel mondo musulmano, in quanto legano la loro fede in un essere supremo con la giustizia sociale, non avrebbero nessun’importanza. Dobbiamo riconoscere che sollevano problemi veramente importanti ed è nostro dovere rispondere adeguatamente. Se non cerchiamo di capire da dove vengono, se non offriamo le nostre risposte alle domande che pongono, non andremo molto lontano nella nostra battaglia delle idee. Guardate cosa accade con Hamas. Sono stati eletti perché abbiamo predicato la democrazia astratta, ma senza fare nulla che sia di qualche significato per la vita della maggior parte dei palestinesi».
Se cultura e religione sono oggi in prima linea della politica globale, l’America è in una posizione strana. L’anima americana è un ibrido laico-religioso, ma la faccia che presentiamo al mondo è Hollywood e non la chiesa.
«Sì, rende più difficile per l’America diventare un modello, insieme al poco rispetto dell’amministrazione Bush per il diritto internazionale. Sono d’accordo che l’America sia un Paese eccezionale, ma non dobbiamo cercare eccezioni per noi stessi. Il problema è che la modernizzazione, e la globalizzazione non si possono fermare. Dobbiamo capire come mitigare i nostri lati peggiori. Capisco perfettamente che gli abitanti di Karachi possano rimanere oltraggiato dagli eccessi della nostra cultura di massa, perché lo sono anche gli abitanti del Kansas. E’ una reazione all’iper permissivismo della nostra cultura. Ho tirato su una famiglia e non posso contare le volte che mi è toccato spegnere la tv o cambiare canale, quando le mie ragazze erano piccole».
La nuova realtà di questo 21simo secolo è che l’America è presente nel mondo non solo con le ambasciate e con le portaerei, ma anche con i film di Hollywood, la tv e la musica pop.
«Certamente. Alcuni aspetti dell’America che la gente ha visto in “Dallas” o “Dynasty” hanno contribuito alla rivoluzione globale dell’aumento delle aspettative. La ricchezza mostrata in questi film ha creato il desiderio di averla, ma anche l’invidia. Oggi, la violenza, il sesso e la volgarità offendono la gente, mostrando una società in cui non vogliono vivere».
Lei cita Bill Clinton che chiedeva di riconoscere che “non siamo detentori dell’intera verità”. Abbiamo bisogno di maggiore umiltà anche nel nostro modello culturale globale?
«Assolutamente. Io sono molto orgogliosa dell’America. Ma dobbiamo riconoscere che non tutto quanto abbiamo fatto sia grande. Uno dei grandi problemi dell’amministrazione Bush è che manca di questa umiltà. Si tratta di un “noi contro loro”, male contro bene. Per un leader esiste una linea sottile tra la sicurezza e l’arroganza. Ma soprattutto, il presidente e la sua amministrazione devono riconoscere di aver fatto degli errori. L’America è buona, ma non è perfetta. Insistendo che siamo l’epitome del bene abbiamo ristretto la base del nostro appoggio internazionale. Clinton è molto saggio su questo punto. Cita l’apostolo Paolo che diceva: “vediamo attraverso un vetro scuro”, in altre parole, esiste un’assoluta verità ma noi umili umani non la conosciamo. Nella prassi della politica il problema, come abbiamo visto in Iraq, è che quando siete troppo sicuri del vostro Piano A, non avete un Piano B quando il primo non funziona. E allora finite per impantanarvi nel pasticcio generato dalla vostra supponenza».
Ricapitolando: la politica estera non tratta più solo commercio e missili. La globalizzazione scaraventa tutti, con valori spesso anche incompatibili, nella piazza globale, e rende necessario l’orientamento delle relazioni internazionali sulla religione, la cultura e la civiltà esattamente come su altri argomenti.
«Senza dubbio. E questo ci richiede una conoscenza maggiore del mondo. Siamo bombardati dalle informazioni, ma non necessariamente aumentano la conoscenza. Religione e cultura sono una parte cospicua del discorso, ma capire la fede e le motivazioni degli altri - e come questo collide con il nostro modello di vita - è oggi necessario. E bisogna essere estremamente cauti con le generalizzazioni, soprattutto in diplomazia e soprattutto quando si è in posizioni di leadership politica».
(C) 2006, Global Viewpoint, Tribune Media Services, Inc.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200605articoli/5349girata.asp
L'EX SEGRETARIO DISTATO DI CLINTON: L'AMERICA NON HA SEMPRE RAGIONE E L'AMMINISTRAZIONE DEVE AMMETTERE I PROPRI ERRORI
Albright a Bush: «George, rispondi alla lettera di Ahmadinejad»
«Le idee sbagliate si battono con quelle buone»
17/5/2006
Nathan Gardels
Il presidente iraniano Ahmadinejad ha mandato al presidente Bush una lettera nella quale propone un approccio comune basato sulle religioni monoteiste. Forse è un tipo di messaggio al quale gli Usa dovrebbero rispondere invece di ignorarlo?
«Credo che la Casa Bianca abbia avuto le sue buone ragioni per non rispondere. Il mio consiglio però sarebbe stato piuttosto di cogliere l’opportunità per un’efficace diplomazia pubblica. Se non riusciamo a dare una risposta di sostanza, a qualcuno verrà il sospetto che non abbiamo risposte buone per controbattere alle numerose esagerazioni, falsità e questioni contenute nella missiva dall’Iran. Non necessariamente dovevamo spedire una lettera dalla Casa Bianca. Si sarebbe potuto replicare, per esempio, con una dichiarazione o un discorso di un alto esponente dello Stato. Ma avremmo dovuto cogliere l’opportunità di reiterare le nostre opinioni sugli argomenti sollevati dall’Iran e, altrettanto importante, su quelli che l’Iran ha ignorato, incluso l’inganno costruito intorno al suo programma nucleare. Le idee sbagliate non si sconfiggono con il silenzio, ma con idee migliori. Questa è la sfida che ci tocca affrontare oggi e, molto probabilmente, negli anni a venire».
Nel suo nuovo libro lei sostiene che religione e cultura devono pesare sulla politica estera. Lei scrive che “il discorso di Al Qaeda non è banale, si interroga su argomenti trascendenti della storia, dell’identità e della fede. Per essere uditi, dobbiamo essere altrettanto profondi”. Non è una svolta rispetto all’idea trionfalistica del dopo guerra fredda, che ormai tutto era solo una questione di modernizzazione economica e di libertà politica? Forse Sam Huntington non aveva tutti i torti quando scriveva di “scontro di civiltà”?
«Si tratta di uscire da una visione del mondo che non rispecchia più la realtà. Quando l’amministrazione Bush si insediò, dissero di aver messo insieme “la più grande squadra di politica estera della storia”. Ciò era vero per il secolo scorso, ma non più per il nostro. Non hanno mai capito che il 21simo secolo sarebbe stato molto diverso, che l’identità religiosa e culturale avrebbe avuto più peso, e in questo contesto considerare con arroganza le proprie posizioni come impeccabili porta ad alienarsi il resto del mondo. Non stiamo assistendo a uno scontro di civiltà, ma a una battaglia delle idee. Quando dico che dobbiamo essere profondi quanto Al Qaeda, la gente mi guarda inorridita, come se gli stessi in qualche modo dando ragione. Non è così. Ma se le loro azioni non avessero una risonanza nel mondo musulmano, in quanto legano la loro fede in un essere supremo con la giustizia sociale, non avrebbero nessun’importanza. Dobbiamo riconoscere che sollevano problemi veramente importanti ed è nostro dovere rispondere adeguatamente. Se non cerchiamo di capire da dove vengono, se non offriamo le nostre risposte alle domande che pongono, non andremo molto lontano nella nostra battaglia delle idee. Guardate cosa accade con Hamas. Sono stati eletti perché abbiamo predicato la democrazia astratta, ma senza fare nulla che sia di qualche significato per la vita della maggior parte dei palestinesi».
Se cultura e religione sono oggi in prima linea della politica globale, l’America è in una posizione strana. L’anima americana è un ibrido laico-religioso, ma la faccia che presentiamo al mondo è Hollywood e non la chiesa.
«Sì, rende più difficile per l’America diventare un modello, insieme al poco rispetto dell’amministrazione Bush per il diritto internazionale. Sono d’accordo che l’America sia un Paese eccezionale, ma non dobbiamo cercare eccezioni per noi stessi. Il problema è che la modernizzazione, e la globalizzazione non si possono fermare. Dobbiamo capire come mitigare i nostri lati peggiori. Capisco perfettamente che gli abitanti di Karachi possano rimanere oltraggiato dagli eccessi della nostra cultura di massa, perché lo sono anche gli abitanti del Kansas. E’ una reazione all’iper permissivismo della nostra cultura. Ho tirato su una famiglia e non posso contare le volte che mi è toccato spegnere la tv o cambiare canale, quando le mie ragazze erano piccole».
La nuova realtà di questo 21simo secolo è che l’America è presente nel mondo non solo con le ambasciate e con le portaerei, ma anche con i film di Hollywood, la tv e la musica pop.
«Certamente. Alcuni aspetti dell’America che la gente ha visto in “Dallas” o “Dynasty” hanno contribuito alla rivoluzione globale dell’aumento delle aspettative. La ricchezza mostrata in questi film ha creato il desiderio di averla, ma anche l’invidia. Oggi, la violenza, il sesso e la volgarità offendono la gente, mostrando una società in cui non vogliono vivere».
Lei cita Bill Clinton che chiedeva di riconoscere che “non siamo detentori dell’intera verità”. Abbiamo bisogno di maggiore umiltà anche nel nostro modello culturale globale?
«Assolutamente. Io sono molto orgogliosa dell’America. Ma dobbiamo riconoscere che non tutto quanto abbiamo fatto sia grande. Uno dei grandi problemi dell’amministrazione Bush è che manca di questa umiltà. Si tratta di un “noi contro loro”, male contro bene. Per un leader esiste una linea sottile tra la sicurezza e l’arroganza. Ma soprattutto, il presidente e la sua amministrazione devono riconoscere di aver fatto degli errori. L’America è buona, ma non è perfetta. Insistendo che siamo l’epitome del bene abbiamo ristretto la base del nostro appoggio internazionale. Clinton è molto saggio su questo punto. Cita l’apostolo Paolo che diceva: “vediamo attraverso un vetro scuro”, in altre parole, esiste un’assoluta verità ma noi umili umani non la conosciamo. Nella prassi della politica il problema, come abbiamo visto in Iraq, è che quando siete troppo sicuri del vostro Piano A, non avete un Piano B quando il primo non funziona. E allora finite per impantanarvi nel pasticcio generato dalla vostra supponenza».
Ricapitolando: la politica estera non tratta più solo commercio e missili. La globalizzazione scaraventa tutti, con valori spesso anche incompatibili, nella piazza globale, e rende necessario l’orientamento delle relazioni internazionali sulla religione, la cultura e la civiltà esattamente come su altri argomenti.
«Senza dubbio. E questo ci richiede una conoscenza maggiore del mondo. Siamo bombardati dalle informazioni, ma non necessariamente aumentano la conoscenza. Religione e cultura sono una parte cospicua del discorso, ma capire la fede e le motivazioni degli altri - e come questo collide con il nostro modello di vita - è oggi necessario. E bisogna essere estremamente cauti con le generalizzazioni, soprattutto in diplomazia e soprattutto quando si è in posizioni di leadership politica».
(C) 2006, Global Viewpoint, Tribune Media Services, Inc.