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View Full Version : Corea del Sud - Stati Uniti: un’alleanza ormai logora?


zerothehero
14-04-2006, 14:02
Corea del Sud - Stati Uniti: un’alleanza ormai logora?

Sono sempre di più i segnali di contrasti tra due alleati storici come la Corea del Sud e gli Stati Uniti d’America. Il legame sancito dalla guerra anti-comunista del 1950-53 sembra vacillare di fronte al sempre più diverso approccio che i due Paesi hanno verso il regime della Corea del Nord: più pragmatico quello di Seoul, più inflessibile quello di Washington. Ma ci sono realmente le probabilità di un clamoroso divorzio? Quali sono i temi più controversi delle relazioni bilaterali? E come questi sviluppi cambierebbero la situazione geopolitica in Asia orientale?

Vincenzo Mazzara

Equilibri.net (14 aprile 2006)

Contrasti tra gli alleati ed ambizioni militari di Seul

Tra critiche reciproche, opinioni pubbliche ostili ed azioni non concordate nei confronti della Corea del Nord l’alleanza tra Seoul e Washington, dopo aver resistito nei duri anni della Guerra Fredda e nonostante la persistente minaccia militare proveniente dal Nord, sembra destinata, se non alla conclusione, ad un ridimensionamento e ad un deciso riequilibrio dopo decenni di predominio americano. Significativa di questa tendenza è la riduzione delle truppe USA sul suolo coreano entro il 2008 a 24.500 unità (erano oltre 40.000 10 anni fa). Per di più gradualmente i soldati rimasti saranno ridispiegati lontano dalle zone di confine, che passeranno sotto il diretto comando militare sudcoreano, fuori dal raggio d’azione della potente artiglieria nordcoreana. Inoltre saranno posizionati in caserme distanti dalle città, soprattutto Seoul, dove la loro presenza contribuisce al risentimento di parte della popolazione, dato anche lo status di extragiudizialità di cui godono nel caso commettano reati. Questo ridimensionamento della presenza USA è reso possibile dal rafforzamento qualitativo dell’armata sudcoreana che, tenendo conto del programma di riarmo e riforma del presidente Roh Hoo Myun, nel 2020 dovrebbe essere in grado di difendere da sola il proprio Paese da qualsiasi minaccia dal Nord. Attualmente la preponderanza numerica di Pyongyang, sia in termini di uomini, sia di armamenti, è ancora rilevante e la presenza dei soldati USA, sia come rinforzo che come pegno di un intervento americano a difesa di una Corea del Sud invasa, è necessario per riequilibrare la situazione sul campo. Altro motivo di attrito degli ultimi mesi, parzialmente risolto con un accordo siglato questo gennaio dopo 3 anni di negoziati e polemiche, è quello della richiesta di flessibilità strategica delle truppe americane stanziate in Corea del Sud. Il governo di Washington aveva richiesto che, in caso di emergenze o “security crisis”, le proprie truppe dislocate a ridosso del 38° parallelo potessero essere spostate liberamente anche in aree vicino alla penisola coreana. Il governo di Roh, basandosi su un precedente accordo che esclude questa possibilità, si è dimostrato contrario a questa concessione per timore di restare coinvolto in un conflitto tra Stati Uniti e Cina. Quest’ultima considererebbe sicuramente un atto di guerra da parte di Seul l’uso del territorio sudcoreano come base di logistica e di partenza di truppe USA impegnate in un ipotetico scontro nella zona dello stretto di Taiwan o delle isole Spratly. Dal lato statunitense, d’altra parte, in caso di emergenza, pare assurdo dover far arrivare truppe dall’America avendo migliaia di uomini inoperosi nell’area. La soluzione di compromesso trovata è una versione limitata della flessibilità strategica: le truppe americane in Corea, per essere utilizzate fuori area, avranno bisogno ogni volta dell’autorizzazione del governo di Seul. L’accordo appare molto vantaggioso per gli USA, perché un eventuale diniego coreano in caso di emergenza appare improbabile, anche se non impossibile, in quanto metterebbe i due alleati in grave contrasto, come è successo col rifiuto turco a concedere il proprio territorio per l’attacco USA all’Iraq. Proprio per questo il compromesso è stato accolto con una forte opposizione interna in Corea, soprattutto da politici ed ufficiali che spingono per una maggiore autonomia sudcoreana.

Un sempre più diverso approccio verso la Corea del Nord

Un altro motivo di contrasto tra i due governi è stata la decisione americana di impedire a banche straniere con conti nordcoreani, ed a banche che hanno rapporti con quest’ultime, di effettuare transazioni con banche statunitensi. Dato che i rapporti con gli USA superano di gran lunga in importanza quelli con la Corea del Nord, numerose banche asiatiche, soprattutto giapponesi, ma anche sud coreane, si sono adeguate a questa direttiva, quasi paralizzando i già ridotti scambi commerciali di Pyongyang. La misura ha a tal punto danneggiato il regime che, in cambio della sua sospensione, si è dichiarato disposto a tornare al tavolo a sei (USA, Cina, Russia, Giappone, Sud Corea e Corea del Nord) dei negoziati sul nucleare nordcoreano. Questo ricorso americano alla linea dura è stato causato dal sospetto, abbastanza fondato, che la Corea del Nord stesse falsificando grosse quantità di dollari USA per poi utilizzarli nelle proprie transazioni internazionali con la collaborazione, più o meno complice, di banche asiatiche, tra cui soprattutto il Banco Delta Asia di Macao, accusato tra l’altro di essere coinvolto nel riciclaggio di denaro di provenienza illecita nordcoreana. Il governo di Seul, contrariamente alle stesse banche sudcoreane, non ha appoggiato gli USA in questa manovra che giudica eccessiva e controproducente in vista dei più importanti negoziati sul nucleare e la riappacificazione tra le due Coree. Questo è un tipico esempio di come divergono gli obiettivi politici ed i mezzi usati dai due Paesi. Gli USA mirano a rovesciare il regime di Pyongyang per eliminare una concreta minaccia ai propri interessi strategici ed ai propri alleati regionali e temono che ogni ritardo avvicini sempre più Pyongyang al possesso dell’atomica. La Corea del Sud, pur consapevole che una caduta del regime, spianerebbe la strada all’agognata riunificazione nazionale, è consapevole che il doversi sobbarcare da un giorno all’altro i derelitti nordcoreani metterebbe a rischio la propria economia e società, oltre a peggiorare i rapporti, per ora eccellenti, con Pechino. La politica di collaborazione, inaugurata nel 2000 dal precedente presidente Kim Dae Jong, mira ad una riunificazione lenta, ma più o meno concordata, preceduta da misure che preparino la società nordcoreana ad essere assorbita senza essere un fardello letale per quella del Sud. Quindi concessioni adesso in vista di una migliore riunificazione in seguito, ma su questo c’è disaccordo con gli USA che sostengono che così si rinforza un regime pericoloso perdendo l’occasione favorevole della riunificazione oltre a quella di eliminare un pericolo attuale e dichiarato. Nella vicenda dei dollari falsificati inoltre gli USA difendono principalmente la loro valuta, senza curarsi delle ricadute delle loro drastiche contromisure sui rapporti tra l’alleato sudcoreano e Pyongyang, mentre il governo di Seul dimostra di sottovalutare l'esigenza USA di fronte al rischio di un irrigidimento delle posizioni nordcoreane esacerbate dalla pressione finanziaria americana. I due alleati, è evidente, non hanno concordato la reazione e questo è solo uno dei tanti contrasti degli ultimi anni, soprattutto da quando il Partito Progressista al potere a Seul dà voce al diffuso risentimento presente in Corea riguardo alla presenza di truppe americane nel Paese.

Un Accordo di Libero Scambio per rivitalizzare l’alleanza?

I contrasti con gli Stati Uniti hanno anche conseguenze sull’acceso dibattito politico in Corea del Sud, ma comunque le recentissime dimissioni del primo ministro sudcoreano Lee Hae Chan non dovrebbero portare cambiamenti agli orientamenti di politica estera del governo che è prerogativa del presidente Roh Moo Hyun. All’interno del suo pur diviso partito progressista, infatti, vi è un accordo sulla politica contemporanea di trattative col Nord e rafforzamento militare per rendersi autonomi dall’alleato USA. Solo una vittoria conservatrice alle prossime elezioni presidenziali del 2007 potrebbe portare alla Casa Blu di Seul un sostenitore convinto, anche se non supino, dell’alleanza americana e della linea dura col regime di Pyongyang. La caduta di Lee, chiesta a gran voce dall’opposizione e da suoi rivali interni tra cui il sempre più influente presidente del partito Chiang Dong Young, sicuramente indebolisce la presidenza di Roh dal punto di vista dell’implementazione delle promesse riforme interne ed in previsione delle elezioni locali di maggio. Lo scandalo causato dalla controversa partita di golf del premier con due discussi uomini d’affari non dovrebbe in ogni caso danneggiare troppo il partito progressista.
Mentre dal punto di vista politico-militare i due Paesi sembrano estraniarsi, da quello economico potrebbero però avvicinarsi ancora di più e questo potrebbe aiutare anche i rapporti bilaterali. A giugno inizieranno dopo molti rinvii i negoziati per la conclusione di un Accordo di Libero Scambio tra Stati Uniti e Corea del Sud. In questo modo i prodotti industriali e tessili sudcoreani avrebbero libero accesso al grande mercato USA ed i prodotti agricoli e le automobili americane potrebbero entrare nel ricco mercato della nazione asiatica, forse di oltre 40 milioni di consumatori. Forti, però, sono i dubbi in alcuni settori della società coreana sull’opportunità di tale accordo, soprattutto tra gli agricoltori e chi vorrebbe allentare in ogni caso i rapporti con l’America. Altri chiedono che l’accordo non preveda solo la libera circolazione delle merci, ma anche delle persone, e quindi un’inclusione della Corea tra i paesi favoriti dagli Stati Uniti nella concessione dei visti. Washington ha già dichiarato che dall’accordo devono essere esclusi i beni prodotti in zone speciali come quella di Gaesong dove, in territorio nordcoreano di confine, aziende del Sud producono a prezzi stracciati grazie all’impiego della manodopera settentrionale. Questa richiesta mira ad escludere dall’accordo un’iniziativa di cui beneficia anche il governo di Pyongyang, verso il quale Washington preferisce la linea dura, quindi uno status quo comunque gestibile, almeno fino a quando la sua attenzione e le sue risorse saranno concentrate quasi esclusivamente sul Medio Oriente. La vasta ed agguerrita opposizione parlamentare con cui l’anno scorso il governo di Seoul ha dovuto confrontarsi per far approvare un simile accordo concluso col Cile fa però prevedere grossi interrogativi sulla fattibilità di questo deciso passo avanti nelle relazioni bilaterali.

Conclusioni

I contrasti sono quindi numerosi e ben presenti alle due parti e si teme, o si spera, che un’ulteriore, e non improbabile, vittoria progressista nelle presidenziali coreane del 2007, possa spingere gli Stati Uniti a ritirare le proprie truppe ed a ridispiegarle in Giappone. Questo sarebbe però uno scacco troppo grosso per Washington che perderebbe molto potere nelle trattative con la Corea del Nord e gran parte del suo attuale controllo su Seoul. Un tale indebolimento americano di fronte alla crescita cinese ed al ritorno del Giappone ad una maggiore assertività in ambito internazionale sarebbe controproducente per gli USA ed anche pericoloso per le potenze locali per le quali la presenza statunitense è anche un utile cuscinetto. Un eventuale ritiro americano, oltre che a spianare la strada ad eventuali aggressioni nordcoreane, spingerebbe anche il Giappone al riarmo, precipitando l’area verso un’inquietante pace armata. E questo per la Corea del Sud sarebbe ancora più pericoloso dell’attuale tutela di Washington.