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14-04-2006, 14:01
Africa australe: il forziere delle risorse minerarie del pianeta
I Paesi dell’Africa australe, che possiedono le più ampie risorse minerarie del pianeta, sono oggi chiamati ad affrontare le sfide della globalizzazione, dalla quale, in virtù del loro alto potenziale di sviluppo possono anche trarre numerosi benefici. La sensazione è che proprio un’efficace politica nel settore minerario possa facilitare la diffusione della ricchezza nell’area.
Nicola Di Criscio
Equilibri.net (14 aprile 2006)
L’area SADC
L’area della SADC (Southern Africa Development Community) comprende la maggior parte degli stati meridionali del continente. Fanno oggi parte dell’organizzazione, che è solo uno degli innumerevoli esempi di regionalismo presenti nel continente africano, il Sud Africa, il Lesotho e lo Swaziland, la Namibia, l’Angola, il Botswana, le Isole Mauritius, lo Zimbabwe, la Tanzania e la Repubblica Democratica del Congo. Il settore minerario in quest’area è particolarmente sviluppato, anche se i livelli di produzione e la stessa natura dei vari minerali e metalli presenti non è uniforme, ma risulta particolarmente eterogenea. Per questo, l’unità di coordinamento del settore minerario della SADC, l’MSCU (Mining Sector Co-ordinating Unit), si propone di raccogliere, conservare e distribuire informazioni di carattere regionale sulle risorse minerarie dell’area, nonché di promuovere un’efficace armonizzazione delle capacità e delle conoscenze tecniche dei diversi Paesi membri.
Sud Africa: il Paese dell’oro
Il Sud Africa, con la sua economia strutturata ed in espansione, che rappresenta una delle poche eccezioni nello scacchiere africano, detiene senza dubbio il primato mondiale nella collocazione delle risorse minerarie del sottosuolo non solo per quanto riguarda le quantità prodotte, ma anche per ciò che concerne l’eterogeneità della produzione mineraria. Le industrie principali, tuttavia, restano quelle dell’oro, di cui il Paese è il primo produttore mondiale, e quella dei diamanti, campo nel quale il Sud Africa è superato, nel continente, soltanto dal Botswana e dalla Repubblica Democratica del Congo.
Si fa comunemente risalire la storia mineraria del Paese alla fine del diciannovesimo secolo quando, tra il 1870 e il 1880, la regione iniziò ad attrarre gli investimenti provenienti dall’Europa. Tuttavia, già da diversi secoli prima delle prime esplorazioni, precedenti alla colonizzazione, il settore minerario sudafricano risultava notevolmente sviluppato: l’attività di estrazione e di lavorazione dei minerali ferrosi, praticata specialmente nelle regioni del nord-est era già praticata da circa 1.700 anni; le prime miniere di rame, a sud del fiume Limpopo, risalgono a più di 1.000 anni fa e una delle aree minerarie più produttive, il Witwatersrand (“la dorsale delle acque bianche”, in lingua afrikaans) attraeva minatori anche dalle regioni limitrofe sin dal tredicesimo secolo.
Dalla metà del ventesimo secolo, il Sud Africa risulta essere il primo produttore mondiale non solo di oro, ma anche di platino e di altri metalli definiti come PGM (Platinum Group Metals), cromio, manganese e vanadio, piazzandosi, inoltre, tra i primi posti nelle classifica mondiale delle produzioni di diamanti, carbone, ferro, uranio, rame, argento, amianto e pietra calcarea. Da sola, l’industria mineraria del Paese estrae complessivamente il 45% dei prodotti minerari dell’intero continente africano, nonostante negli ultimi dieci anni la produzione sia diminuita. Per quanto riguarda in particolare l’oro, che resta la fonte primaria di entrate dell’intero settore minerario sudafricano, si è registrato un vistoso calo nella produzione nell’anno 2005. Si è passati, infatti, dalle 342 tonnellate del 2004 alle 296,3 tonnellate: una riduzione del 13,3% che, secondo la Chamber of Mines of South Africa, l’associazione delle industrie minerarie sudafricane, non ha avuto precedenti nella storia, eccezion fatta per il 1923, quando la produzione si era fermata a 284,6 tonnellate. Le ragioni di tale calo sono da individuare, in primo luogo, nell’apprezzamento del Rand, la moneta sudafricana, nei confronti del dollaro, specie durante la prima metà del 2005. Ciò, infatti, ha del tutto vanificato l’incentivo alla produzione rappresentato dal contemporaneo aumento del prezzo dell’oro nel mercato mondiale. In secondo luogo, sono aumentati i costi di produzione in conseguenza di importanti operazioni di ristrutturazione attuate in diverse aree estrattive del Paese, che hanno portato alla chiusura di due miniere, oltre che di diversi pozzi aurei. Inoltre, ponendosi in un ottica di più lungo periodo, sembrerebbe che a pesare sul calo della produzione dell’oro nell’ultimo anno sia stato anche il processo di diversificazione dell’economia sudafricana, che sta lentamente spostando risorse dal settore minerario ad altri settori, in particolare a quello dei servizi. Il calo della produzione aurea del Paese, tuttavia, non sembra destare forti preoccupazioni per le grandi industrie operanti in Sud Africa: già nel primo trimestre del 2006, infatti, le prospettive sembrano migliori, anche grazie alla scoperta di nuovi giacimenti nella zona del Witwatersrand e al conseguente aumento delle riserve che, di fatto, ammontano a circa il 40% delle riserve mondiali. Malgrado il pressoché costante calo del prezzo dell’oro che si registra da ormai diversi anni, dovuto in parte alla decisione da parte di molte banche centrali dei Paesi sviluppati di vendere le proprie riserve auree, la così massiccia presenza del metallo in Sud Africa costituisce senza dubbio una garanzia per il futuro del settore minerario ed estrattivo del Paese, anche in considerazione delle molteplici applicazioni dell’oro, nonché delle altre numerose risorse minerarie di cui il Sud Africa abbonda, nei moderni processi e prodotti industriali.
Circa la destinazione dei prodotti minerari sudafricani, va notato che gran parte di essi finisce nei mercati esteri e alimenta, così, le entrate delle esportazioni. Una delle poche eccezioni è rappresentata dal carbone che, invece, viene utilizzato in buona parte nel mercato domestico come fonte principale di energia, dal momento che il Paese non produce petrolio, né gas naturali utilizzabili in tal senso.
Botswana: i diamanti e lo sviluppo
Pochi sono i Paesi, eccezion fatta per alcuni tra quelli annoverati nella categoria dei grandi produttori di petrolio, che hanno fondato lo sviluppo della propria economia su un’unica risorsa. Questo sembra essere, invece, il caso del Botswana e della sua industria diamantifera che, con la sua posizione predominante all’interno dell’intero settore minerario, ha svolto a partire dall’indipendenza nel 1966 un ruolo cruciale per il benessere del Paese. Basti pensare che se a metà degli anni sessanta il Botswana riceveva, sottoforma di aiuti internazionali, un’assistenza pari a circa il 30% del proprio PIL, oggi tale percentuale è scesa a meno dell’1% e tale successo si deve appunto al fatto che la produzione di diamanti costituisce ormai un terzo della ricchezza del Paese.
Nel 2005 il Botswana, primo produttore mondiale di diamanti, ha estratto dai suoi giacimenti 31,9 milioni di carati di diamante grezzo, il che costituisce un aumento del 2,57% rispetto al livello raggiunto nell’anno precedente, quando l’output dell’industria diamantifera si era attestato a 31,1 milioni di carati. Per quanto riguarda la produzione per l’anno in corso, ci si attende una crescita stabile, con una quantità di diamanti grezzi ricavati dalle miniere esistenti pressoché uguale a quella del 2005. Gli sforzi compiuti dalle autorità competenti in materia, e principalmente dal Ministero delle Finanze e della Pianificazione dello Sviluppo, si sono concentrati negli ultimi anni sulla creazione e sul consolidamento di una vera e propria industria nazionale di trasformazione del minerale grezzo, che possa in qualche modo competere nel mercato mondiale. Tale iniziativa ha registrato qualche successo nel 2005, tanto che quattro nuove licenze sono state concesse per la creazione di fabbriche di pulitura del diamante ed il numero di lavoratori impiegati nel settore è salito dai 650 ai 785: un aumento del 20,7%. Non si è ancora in presenza, tuttavia, di un adeguato livello di specializzazione ed il grosso dei nuovi investimenti continua a concentrarsi sull’estrazione e sull’esplorazione di nuovi siti per la produzione di diamanti grezzi. Secondo quanto riportato dall’Antwerp World Diamond Center, il centro mondiale che raccoglie informazioni sulla produzione di diamanti, con sede ad Anversa, delle 848 licenze minerarie concesse nel 2005, 548 riguardavano i diamanti, rispetto alle 510 dell’anno precedente. Tale rinnovato interesse per l’esplorazione di nuovi siti è in gran parte dovuto alla creazione di un nuovo e migliorato database geologico del Paese, che probabilmente porterà alla nascita di due nuove miniere, una delle quali a Orapa, dove la Debswana, la joint-venture posseduta per il 50% dalla De Beers e per il restante 50% dal governo del Botswana, gestisce già un’altra importante miniera diamantifera.
L’industria mineraria del Paese, dunque, ha costituito un fattore primario per lo sviluppo economico nel passato e sembra che essa possa ricoprire tale ruolo anche per il prossimo futuro, dal momento che il Botswana può contare su immense riserve di diamanti che, ai tassi di estrazione registratisi nell’ultimo quinquennio, dovrebbero assicurare al Paese una massiccia produzione pressappoco per altri trenta anni. Nel frattempo, di fondamentale importanza risulteranno i tentativi di diversificare l’output minerario e in particolare le esportazioni, i cui ricavi sono ancora costituiti per più dell’80% dalla vendita di diamanti grezzi nei mercati internazionali.
Angola: i diamanti tra speranze e preoccupazioni
Tra i minerali prodotti in Angola, Paese che sta ancora tentando di lasciarsi alle spalle una delle più sanguinose guerre civili di tutto il continente africano, i diamanti (insieme al petrolio) sono senza dubbio quelli che maggiormente contribuiscono allo sviluppo dell’economia. Secondo i dati dell'Agência Nacional para o Investimento Privado (ANIP), la quantità di diamante grezzo estratta ogni anno, principalmente dalle rocce di kimberlite, è pari a circa 6 milioni di carati. L’attività di estrazione è affidata all’Endiama, impresa statale che controlla gran parte della produzione e che ha recentemente annunciato una previsione di crescita della produzione diamantifera per il 2006 pari al 100%: se tale stima si rivelerà esatta, l’Angola potrebbe superare il Sud Africa nella classifica dei maggiori produttori africani e piazzarsi così al terzo posto, dove sarebbe preceduta soltanto dal Botswana e dalla Repubblica Democratica del Congo. L’annunciato aumento della capacità produttiva si deve in primo luogo al rinvenimento di nuovi importanti giacimenti. Da uno solo di questi, situato a Camanjanja, nella provincia nord-orientale di Lunda Norte, l’Endiama si aspetta di poter estrarre in futuro circa 7.000 carati all’anno. In definitiva, se davvero i nuovi progetti saranno portati a compimento e se davvero le aspirazioni dell’Endiama troveranno riscontro, il Paese potrebbe addirittura divenire il quinto produttore a livello mondiale di diamanti, superando non solo il Sud Africa, ma anche il Canada.
L’industria dei diamanti in Angola, tuttavia, suscita alcune preoccupazioni. In primo luogo, il settore in questione ha a lungo goduto di una pessima reputazione a causa dell’utilizzo dei diamanti per l’acquisto di armi durante gli anni della guerra civile, quando la maggior parte delle miniere era sotto il controllo dei ribelli dell’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola). Attualmente il governo angolano fa di tutto per dimostrare di aver “ripulito” il settore, in base alle linee guida del Kimberley Process, un accordo internazionale mirante in particolare a ridurre gli usi illeciti dei diamanti nel traffico di armi. Un motivo di forte preoccupazione per il governo è, inoltre, il problema del contrabbando, che sottrae ogni anno alle entrate ufficiali dello Stato la cifra di 375 milioni di dollari statunitensi. Per questo motivo, dal dicembre 2003, il governo ha lanciato l’Operazione “Brilliant”, tramite la quale sono stati finora arrestati ed espulsi dall’Angola più di 250.000 minatori e contrabbandieri.
Più in generale, l’industria diamantifera angolana sembra ancora necessitare di importanti riforme, atte a liberalizzare non solo la produzione che, visto il potenziale minerario del Paese, potrebbe portare di per sé ad un notevole aumento degli investimenti dall’estero, soprattutto da parte delle più importanti imprese sudafricane, ma anche il commercio dei diamanti, tuttora sottoposto a vincoli da parte dello Stato.
Zimbabwe: la crisi dell’oro e il futuro del platino
La storia e lo sviluppo recenti della Repubblica dello Zimbabwe, oltre che dalla gestione delle risorse agricole, sono profondamente segnati dalle vicende dell’industria mineraria. Molte delle città sorgono proprio in corrispondenza dei siti dove le prime attività minerarie ebbero luogo e, successivamente, la stessa creazione di una rete ferroviaria ha risposto all’esigenza di spostare i prodotti minerari nei vari mercati.
Uno dei minerali più presenti è l’oro ma, sebbene soprattutto in passato l’attività mineraria si sia concentrata proprio su tale metallo, più di recente sono aumentate le ricerche e le operazioni estrattive anche di molti altri minerali come, ad esempio, il rame, il carbone, il cromo e l’amianto. Per quanto riguarda in particolare l’oro, che rappresenta tuttora la principale risorsa mineraria, lo Zimbabwe possiede uno dei terreni più produttivi al mondo in termini di estrazione per chilometro quadrato. Il livello di produzione raggiunto nel 2005, tuttavia, si è notevolmente ridotto rispetto all’anno precedente, passando dai 21.300 chilogrammi del 2004 a circa 13.000 chilogrammi. Secondo l’associazione delle industrie minerarie del Paese, la Chamber of Mines of Zimbabwe, alla base di tale calo è possibile individuare tre ragioni principali. In primo luogo, la scarsità di valuta straniera nel mercato ha impedito ai produttori di acquistare dall’estero gli input necessari alla produzione dell’oro. Anche l’elevatissima inflazione, del resto, ha contribuito ad aumentare i costi della produzione. Tali impedimenti, nel complesso, hanno colpito non solo le piccole industrie, ma anche le grandi imprese che tradizionalmente, a differenza di quanto non accade per la produzione delle altre risorse minerarie, sono i maggiori fornitori di oro nel Paese. Un’ulteriore causa del vistoso calo della produzione è costituita dall’esistenza di un mercato nero, tramite il quale l’oro prodotto viene trasportato fuori dai confini nazionali per essere venduto ad un prezzo più alto. Infine, va considerato anche l’esaurimento di alcuni ricchi giacimenti aurei nei quali operano la maggior parte delle piccole industrie che si occupano sia dell’estrazione che della lavorazione.
Oltre all’oro, un importante risorsa mineraria per lo Zimbabwe è costituita dai cosiddetti “base metals”, ovvero da quei metalli che, diversamente dall’oro o dall’argento (considerati “metalli nobili”), si prestano facilmente alla trasformazione in prodotti semilavorati utilizzabili, quindi, in una moltitudine di ambiti industriali. Appartiene a tale categoria il nichel, che predomina in termini di valore rispetto agli altri minerali della medesima famiglia, ma di cui lo Zimbabwe produce all’incirca 12.000 tonnellate ogni anno, rispetto alle circa 267.000 tonnellate per anno della Russia, che resta il primo produttore mondiale. Il nichel prodotto nello Zimbabwe proviene sia da diverse miniere situate lungo le dorsali di roccia basaltica, la cosiddetta “pietra verde” sia, come prodotto intermedio, dalle operazioni di estrazione dei metalli appartenenti al gruppo del platino, i PGM (Platinum Group Metals). Attualmente il governo del Paese sta tentando di aumentare gli investimenti nel settore, nel quale peraltro operano già due industrie di estrazione e raffinazione.
È proprio il platino, tuttavia, che potrebbe contribuire ad accrescere le entrate del settore minerario in Zimbabwe, soprattutto nel lungo periodo. Si pensa infatti che in futuro il platino possa sostituire l’oro in termini di quantità prodotta e in qualità di maggiore veicolo di scambio di valuta straniera. Lo sfruttamento delle miniere di platino in Zimbabwe risale al 1969, quando la Union Carbide Corporation avviò una cospicua attività estrattiva nella zona di Wedza, a sud del Paese. Il prezzo del platino, allora non sufficientemente elevato, non comportò una produzione sostenuta nel tempo. Oggi, al contrario, il rinnovato interesse nei confronti del platino e degli altri PGM a livello mondiale potrebbe favorire, insieme all’aumento del prezzo del metallo in questione, una forte ripresa delle attività nel settore, tanto più che dal 2001 la Makwiro Platinum Mines, impresa posseduta dalla Zimbabwe Platinum Mines, sta operando con successo in una miniera nella zona dello Ngezi, nel sud-est del Paese, lungo la dorsale del Great Dyke.
Un ruolo chiave nel settore minerario dello Zimbabwe, e in particolare nelle attività relative all’estrazione del platino, sarà senza dubbio svolto in futuro dagli investimenti provenienti dall’estero. In tale contesto, il Sud Africa appare come la fonte più importante delle risorse necessarie per la nascita di nuove miniere e il consolidamento di quelle già esistenti, dal momento che da Pretoria provengono oggi i più grandi investimenti nel settore minerario dello Zimbabwe. Infatti, sia la Anglo Platinum, la più importante industria mineraria del mondo operante nel settore del platino, sia la Impala Platinum, che detiene l’86,7% della Zimplats (Zimbabwe Platinum Mines), sono entrambe società sudafricane attualmente impegnate in molte attività estrattive nel Paese. Bisogna ricordare che il platino, oltre che nel settore della gioielleria, è utilizzato in molti altri ambiti, in particolare nell'industria per la fabbricazione di marmitte catalitiche e in medicina, grazie alle sue qualità anallergeniche. Le prospettive di crescita, tuttavia, potrebbero non essere del tutto ottimistiche, dato che il governo dello Zimbabwe, retto dal contestato presidente Mugabe, ha recentemente annunciato la propria intenzione di espropriare il 51% delle azioni delle imprese mineraria straniere presenti nel Paese. Thabo Mbeki, presidente del Sud Africa, allarmato per le serie minacce che una simile decisione comporterebbe per gli interessi commerciali sudafricani, non ha nascosto le proprie preoccupazioni circa “l’abituale arbitrarietà nella confisca della proprietà” nello Zimbabwe, tanto più che proprio Mugabe aveva precedentemente rassicurato Pretoria sulla “sicurezza” degli investimenti esteri nel proprio Paese. Nei confronti dello Zimbabwe, del resto, lo stesso FMI (Fondo Monetario Internazionale) da diversi anni impone sanzioni economiche proprio a causa del mancato rispetto dei diritti di proprietà.
Tanzania: un promettente settore minerario
Nonostante non appartenga per convenzione all'area geografica australe del continente africano, la Tanzania possiede un patrimonio minerario molto simile agli altri Paesi dell'area.
Per lungo tempo il settore minerario della Tanzania non ha costituito una grossa fonte di entrate per l’economia, caratterizzata per molti decenni, dopo l’indipendenza del 1961, dalla presenza di una forte tradizione agricola. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo ad un vero e proprio boom nella produzione mineraria: se un decennio fa questa rappresentava non più dello 0,1% del PIL, nel 2005 tale percentuale era salita al 3,2% e ci si attende che, entro il 2020, si possa arrivare al 10%. La crescita dell’industria mineraria ha portato a dei risultati ragguardevoli anche nell’export. Infatti, nonostante il settore assuma complessivamente circa 1 milione di unità, su una popolazione in età lavorativa di circa 18 milioni, i prodotti dell’industria mineraria ed estrattiva della Tanzania hanno costituito circa il 50% delle esportazioni nel 2005, ovvero 693 milioni di dollari statunitensi, rispetto ai 28 milioni di dollari del 1998.
Nel settore minerario l’oro svolge un ruolo di indiscutibile rilievo. Il Paese, infatti, grazie all’aumento delle esplorazioni minerarie e all’ampliamento delle miniere esistenti, verificatosi a metà degli anni Novanta, è oggi diventato il terzo produttore del prezioso metallo nell’ambito dell’intero continente africano, ed il secondo nell’area SADC, essendo preceduto soltanto dal Sud Africa. Nell’arco di circa dieci anni, dal 1995 al 2004, la produzione di oro in Tanzania è balzata da 5 tonnellate a 48 tonnellate, con un aumento percentuale pari all’860%. Anche per quanto riguarda le riserve auree, il Paese gode di un’ottima posizione, essendo al secondo posto nel continente, dopo il Sud Africa. Gran parte della produzione aurea si concentra nella miniera di Geita, che è la più grande di tutta l’Africa orientale ed è attualmente controllata dalla Anglo Gold Ashanti, una delle maggiori compagnie multinazionali operanti nel settore minerario. Tutto il mercato estrattivo della Tanzania, del resto, è caratterizzato, come anche quello dello Zimbabwe, dalla forte presenza di imprese di media o piccola grandezza, che di fatto assumono circa il 90% della manodopera del settore.
Benché di fondamentale importanza per il rilancio dell’industria mineraria del Paese, l’oro non è l’unica risorsa che, soprattutto nel futuro (si prevede infatti che numerosi investimenti continueranno ad affluire in Tanzania), potrebbe essere fatto oggetto di sfruttamento economico. Esistono diverse miniere di diamanti, la più importante delle quali, in termini di resa, è quella di Williamson. Nel Paese esistono circa 300 tipi di kimberlite, il 20% delle quali è classificato come “diamantifero”. Inoltre, la Tanzania può vantare l’unica miniera al mondo, quella di Merelani, in cui si produce una delle gemme maggiormente apprezzate nei mercati internazionali e che non a caso è chiamata “tanzanite”. Sono presenti giacimenti di nichel, rame e cobalto nelle zone nord-occidentali del Paese, dove negli ultimi anni l’attenzione si è concentrata soprattutto sui progetti relativi ai siti del Kabanga e del Kagera. Il primo appare come il più promettente, in quanto ha stimato un’elevata quantità di riserve per il futuro, pari a circa 26.400 tonnellate. Un’altra importante risorsa è rappresentata dal carbone, il cui livello di produzione è attualmente ancora molto basso, ma che potrebbe costituire in futuro un’apprezzabile fonte di energia per il Paese, dal momento che esistono circa 140 milioni di tonnellate di riserve certe, cifra che potrebbe salire a 1,2 miliardi di tonnellate se l’esistenza di ulteriori giacimenti, ipotizzata da stime effettuate di recente, venisse definitivamente accertata. Oltre a quelli già indicati, il potenziale minerario ed estrattivo della Tanzania si estende a numerosi altri metalli quali il platino e gli altri PGM (Platinum Group Metals), ferro (specie nella zona di Liganga, a sud-ovest del Paese) e tungsteno (prodotti a Karagwe, nell’estremità nord-ovest della Tanzania).
Il settore, in definitiva, sembra ancora dover beneficiare degli ingenti investimenti necessari per avviare un’attività estrattiva che sia capace di assicurare uno sfruttamento economico duraturo e che possa costituire una risorsa per la Tanzania, uno dei Paesi più poveri del mondo.
Conclusione
L’Africa australe, e l’area SADC in particolare, hanno un potenziale minerario tra i più alti al mondo. Il Sud Africa, in questo quadro, appare senza dubbio come l’economia maggiormente sviluppata, a differenza di altri Paese che, al contrario, sembrano ancora fare i conti con i retaggi del loro passato coloniale. Per questo motivo, i problemi da affrontare oggi, come negli anni a venire, riguarderanno lo sviluppo e la modernizzazione dell’intera area. Ci si è a lungo domandati se la presenza di risorse minerarie possa bastare, di per sé, a garantire alle popolazioni locali un adeguato livello di sviluppo economico e di reddito, ma in realtà è difficile che la presenza di ampi giacimenti minerari possa garantire, da sola, un benessere diffuso nella regione. L’Africa australe, nell’era della globalizzazione, deve affrontare anche la sfida della democratizzazione dei regimi politici che spesso pongono vincoli alla stessa possibilità di creare ricchezza, come nel caso dello Zimbabwe. Inoltre, sembra ormai superflua la constatazione che i governi dei Paesi SADC dovrebbero sforzarsi maggiormente nel tentativo di diversificare le loro economie, per evitare che il calo dei prezzi di un determinato prodotto minerario possa avere effetti drammatici sul tenore di vita di milioni di persone.
I Paesi dell’Africa australe, che possiedono le più ampie risorse minerarie del pianeta, sono oggi chiamati ad affrontare le sfide della globalizzazione, dalla quale, in virtù del loro alto potenziale di sviluppo possono anche trarre numerosi benefici. La sensazione è che proprio un’efficace politica nel settore minerario possa facilitare la diffusione della ricchezza nell’area.
Nicola Di Criscio
Equilibri.net (14 aprile 2006)
L’area SADC
L’area della SADC (Southern Africa Development Community) comprende la maggior parte degli stati meridionali del continente. Fanno oggi parte dell’organizzazione, che è solo uno degli innumerevoli esempi di regionalismo presenti nel continente africano, il Sud Africa, il Lesotho e lo Swaziland, la Namibia, l’Angola, il Botswana, le Isole Mauritius, lo Zimbabwe, la Tanzania e la Repubblica Democratica del Congo. Il settore minerario in quest’area è particolarmente sviluppato, anche se i livelli di produzione e la stessa natura dei vari minerali e metalli presenti non è uniforme, ma risulta particolarmente eterogenea. Per questo, l’unità di coordinamento del settore minerario della SADC, l’MSCU (Mining Sector Co-ordinating Unit), si propone di raccogliere, conservare e distribuire informazioni di carattere regionale sulle risorse minerarie dell’area, nonché di promuovere un’efficace armonizzazione delle capacità e delle conoscenze tecniche dei diversi Paesi membri.
Sud Africa: il Paese dell’oro
Il Sud Africa, con la sua economia strutturata ed in espansione, che rappresenta una delle poche eccezioni nello scacchiere africano, detiene senza dubbio il primato mondiale nella collocazione delle risorse minerarie del sottosuolo non solo per quanto riguarda le quantità prodotte, ma anche per ciò che concerne l’eterogeneità della produzione mineraria. Le industrie principali, tuttavia, restano quelle dell’oro, di cui il Paese è il primo produttore mondiale, e quella dei diamanti, campo nel quale il Sud Africa è superato, nel continente, soltanto dal Botswana e dalla Repubblica Democratica del Congo.
Si fa comunemente risalire la storia mineraria del Paese alla fine del diciannovesimo secolo quando, tra il 1870 e il 1880, la regione iniziò ad attrarre gli investimenti provenienti dall’Europa. Tuttavia, già da diversi secoli prima delle prime esplorazioni, precedenti alla colonizzazione, il settore minerario sudafricano risultava notevolmente sviluppato: l’attività di estrazione e di lavorazione dei minerali ferrosi, praticata specialmente nelle regioni del nord-est era già praticata da circa 1.700 anni; le prime miniere di rame, a sud del fiume Limpopo, risalgono a più di 1.000 anni fa e una delle aree minerarie più produttive, il Witwatersrand (“la dorsale delle acque bianche”, in lingua afrikaans) attraeva minatori anche dalle regioni limitrofe sin dal tredicesimo secolo.
Dalla metà del ventesimo secolo, il Sud Africa risulta essere il primo produttore mondiale non solo di oro, ma anche di platino e di altri metalli definiti come PGM (Platinum Group Metals), cromio, manganese e vanadio, piazzandosi, inoltre, tra i primi posti nelle classifica mondiale delle produzioni di diamanti, carbone, ferro, uranio, rame, argento, amianto e pietra calcarea. Da sola, l’industria mineraria del Paese estrae complessivamente il 45% dei prodotti minerari dell’intero continente africano, nonostante negli ultimi dieci anni la produzione sia diminuita. Per quanto riguarda in particolare l’oro, che resta la fonte primaria di entrate dell’intero settore minerario sudafricano, si è registrato un vistoso calo nella produzione nell’anno 2005. Si è passati, infatti, dalle 342 tonnellate del 2004 alle 296,3 tonnellate: una riduzione del 13,3% che, secondo la Chamber of Mines of South Africa, l’associazione delle industrie minerarie sudafricane, non ha avuto precedenti nella storia, eccezion fatta per il 1923, quando la produzione si era fermata a 284,6 tonnellate. Le ragioni di tale calo sono da individuare, in primo luogo, nell’apprezzamento del Rand, la moneta sudafricana, nei confronti del dollaro, specie durante la prima metà del 2005. Ciò, infatti, ha del tutto vanificato l’incentivo alla produzione rappresentato dal contemporaneo aumento del prezzo dell’oro nel mercato mondiale. In secondo luogo, sono aumentati i costi di produzione in conseguenza di importanti operazioni di ristrutturazione attuate in diverse aree estrattive del Paese, che hanno portato alla chiusura di due miniere, oltre che di diversi pozzi aurei. Inoltre, ponendosi in un ottica di più lungo periodo, sembrerebbe che a pesare sul calo della produzione dell’oro nell’ultimo anno sia stato anche il processo di diversificazione dell’economia sudafricana, che sta lentamente spostando risorse dal settore minerario ad altri settori, in particolare a quello dei servizi. Il calo della produzione aurea del Paese, tuttavia, non sembra destare forti preoccupazioni per le grandi industrie operanti in Sud Africa: già nel primo trimestre del 2006, infatti, le prospettive sembrano migliori, anche grazie alla scoperta di nuovi giacimenti nella zona del Witwatersrand e al conseguente aumento delle riserve che, di fatto, ammontano a circa il 40% delle riserve mondiali. Malgrado il pressoché costante calo del prezzo dell’oro che si registra da ormai diversi anni, dovuto in parte alla decisione da parte di molte banche centrali dei Paesi sviluppati di vendere le proprie riserve auree, la così massiccia presenza del metallo in Sud Africa costituisce senza dubbio una garanzia per il futuro del settore minerario ed estrattivo del Paese, anche in considerazione delle molteplici applicazioni dell’oro, nonché delle altre numerose risorse minerarie di cui il Sud Africa abbonda, nei moderni processi e prodotti industriali.
Circa la destinazione dei prodotti minerari sudafricani, va notato che gran parte di essi finisce nei mercati esteri e alimenta, così, le entrate delle esportazioni. Una delle poche eccezioni è rappresentata dal carbone che, invece, viene utilizzato in buona parte nel mercato domestico come fonte principale di energia, dal momento che il Paese non produce petrolio, né gas naturali utilizzabili in tal senso.
Botswana: i diamanti e lo sviluppo
Pochi sono i Paesi, eccezion fatta per alcuni tra quelli annoverati nella categoria dei grandi produttori di petrolio, che hanno fondato lo sviluppo della propria economia su un’unica risorsa. Questo sembra essere, invece, il caso del Botswana e della sua industria diamantifera che, con la sua posizione predominante all’interno dell’intero settore minerario, ha svolto a partire dall’indipendenza nel 1966 un ruolo cruciale per il benessere del Paese. Basti pensare che se a metà degli anni sessanta il Botswana riceveva, sottoforma di aiuti internazionali, un’assistenza pari a circa il 30% del proprio PIL, oggi tale percentuale è scesa a meno dell’1% e tale successo si deve appunto al fatto che la produzione di diamanti costituisce ormai un terzo della ricchezza del Paese.
Nel 2005 il Botswana, primo produttore mondiale di diamanti, ha estratto dai suoi giacimenti 31,9 milioni di carati di diamante grezzo, il che costituisce un aumento del 2,57% rispetto al livello raggiunto nell’anno precedente, quando l’output dell’industria diamantifera si era attestato a 31,1 milioni di carati. Per quanto riguarda la produzione per l’anno in corso, ci si attende una crescita stabile, con una quantità di diamanti grezzi ricavati dalle miniere esistenti pressoché uguale a quella del 2005. Gli sforzi compiuti dalle autorità competenti in materia, e principalmente dal Ministero delle Finanze e della Pianificazione dello Sviluppo, si sono concentrati negli ultimi anni sulla creazione e sul consolidamento di una vera e propria industria nazionale di trasformazione del minerale grezzo, che possa in qualche modo competere nel mercato mondiale. Tale iniziativa ha registrato qualche successo nel 2005, tanto che quattro nuove licenze sono state concesse per la creazione di fabbriche di pulitura del diamante ed il numero di lavoratori impiegati nel settore è salito dai 650 ai 785: un aumento del 20,7%. Non si è ancora in presenza, tuttavia, di un adeguato livello di specializzazione ed il grosso dei nuovi investimenti continua a concentrarsi sull’estrazione e sull’esplorazione di nuovi siti per la produzione di diamanti grezzi. Secondo quanto riportato dall’Antwerp World Diamond Center, il centro mondiale che raccoglie informazioni sulla produzione di diamanti, con sede ad Anversa, delle 848 licenze minerarie concesse nel 2005, 548 riguardavano i diamanti, rispetto alle 510 dell’anno precedente. Tale rinnovato interesse per l’esplorazione di nuovi siti è in gran parte dovuto alla creazione di un nuovo e migliorato database geologico del Paese, che probabilmente porterà alla nascita di due nuove miniere, una delle quali a Orapa, dove la Debswana, la joint-venture posseduta per il 50% dalla De Beers e per il restante 50% dal governo del Botswana, gestisce già un’altra importante miniera diamantifera.
L’industria mineraria del Paese, dunque, ha costituito un fattore primario per lo sviluppo economico nel passato e sembra che essa possa ricoprire tale ruolo anche per il prossimo futuro, dal momento che il Botswana può contare su immense riserve di diamanti che, ai tassi di estrazione registratisi nell’ultimo quinquennio, dovrebbero assicurare al Paese una massiccia produzione pressappoco per altri trenta anni. Nel frattempo, di fondamentale importanza risulteranno i tentativi di diversificare l’output minerario e in particolare le esportazioni, i cui ricavi sono ancora costituiti per più dell’80% dalla vendita di diamanti grezzi nei mercati internazionali.
Angola: i diamanti tra speranze e preoccupazioni
Tra i minerali prodotti in Angola, Paese che sta ancora tentando di lasciarsi alle spalle una delle più sanguinose guerre civili di tutto il continente africano, i diamanti (insieme al petrolio) sono senza dubbio quelli che maggiormente contribuiscono allo sviluppo dell’economia. Secondo i dati dell'Agência Nacional para o Investimento Privado (ANIP), la quantità di diamante grezzo estratta ogni anno, principalmente dalle rocce di kimberlite, è pari a circa 6 milioni di carati. L’attività di estrazione è affidata all’Endiama, impresa statale che controlla gran parte della produzione e che ha recentemente annunciato una previsione di crescita della produzione diamantifera per il 2006 pari al 100%: se tale stima si rivelerà esatta, l’Angola potrebbe superare il Sud Africa nella classifica dei maggiori produttori africani e piazzarsi così al terzo posto, dove sarebbe preceduta soltanto dal Botswana e dalla Repubblica Democratica del Congo. L’annunciato aumento della capacità produttiva si deve in primo luogo al rinvenimento di nuovi importanti giacimenti. Da uno solo di questi, situato a Camanjanja, nella provincia nord-orientale di Lunda Norte, l’Endiama si aspetta di poter estrarre in futuro circa 7.000 carati all’anno. In definitiva, se davvero i nuovi progetti saranno portati a compimento e se davvero le aspirazioni dell’Endiama troveranno riscontro, il Paese potrebbe addirittura divenire il quinto produttore a livello mondiale di diamanti, superando non solo il Sud Africa, ma anche il Canada.
L’industria dei diamanti in Angola, tuttavia, suscita alcune preoccupazioni. In primo luogo, il settore in questione ha a lungo goduto di una pessima reputazione a causa dell’utilizzo dei diamanti per l’acquisto di armi durante gli anni della guerra civile, quando la maggior parte delle miniere era sotto il controllo dei ribelli dell’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola). Attualmente il governo angolano fa di tutto per dimostrare di aver “ripulito” il settore, in base alle linee guida del Kimberley Process, un accordo internazionale mirante in particolare a ridurre gli usi illeciti dei diamanti nel traffico di armi. Un motivo di forte preoccupazione per il governo è, inoltre, il problema del contrabbando, che sottrae ogni anno alle entrate ufficiali dello Stato la cifra di 375 milioni di dollari statunitensi. Per questo motivo, dal dicembre 2003, il governo ha lanciato l’Operazione “Brilliant”, tramite la quale sono stati finora arrestati ed espulsi dall’Angola più di 250.000 minatori e contrabbandieri.
Più in generale, l’industria diamantifera angolana sembra ancora necessitare di importanti riforme, atte a liberalizzare non solo la produzione che, visto il potenziale minerario del Paese, potrebbe portare di per sé ad un notevole aumento degli investimenti dall’estero, soprattutto da parte delle più importanti imprese sudafricane, ma anche il commercio dei diamanti, tuttora sottoposto a vincoli da parte dello Stato.
Zimbabwe: la crisi dell’oro e il futuro del platino
La storia e lo sviluppo recenti della Repubblica dello Zimbabwe, oltre che dalla gestione delle risorse agricole, sono profondamente segnati dalle vicende dell’industria mineraria. Molte delle città sorgono proprio in corrispondenza dei siti dove le prime attività minerarie ebbero luogo e, successivamente, la stessa creazione di una rete ferroviaria ha risposto all’esigenza di spostare i prodotti minerari nei vari mercati.
Uno dei minerali più presenti è l’oro ma, sebbene soprattutto in passato l’attività mineraria si sia concentrata proprio su tale metallo, più di recente sono aumentate le ricerche e le operazioni estrattive anche di molti altri minerali come, ad esempio, il rame, il carbone, il cromo e l’amianto. Per quanto riguarda in particolare l’oro, che rappresenta tuttora la principale risorsa mineraria, lo Zimbabwe possiede uno dei terreni più produttivi al mondo in termini di estrazione per chilometro quadrato. Il livello di produzione raggiunto nel 2005, tuttavia, si è notevolmente ridotto rispetto all’anno precedente, passando dai 21.300 chilogrammi del 2004 a circa 13.000 chilogrammi. Secondo l’associazione delle industrie minerarie del Paese, la Chamber of Mines of Zimbabwe, alla base di tale calo è possibile individuare tre ragioni principali. In primo luogo, la scarsità di valuta straniera nel mercato ha impedito ai produttori di acquistare dall’estero gli input necessari alla produzione dell’oro. Anche l’elevatissima inflazione, del resto, ha contribuito ad aumentare i costi della produzione. Tali impedimenti, nel complesso, hanno colpito non solo le piccole industrie, ma anche le grandi imprese che tradizionalmente, a differenza di quanto non accade per la produzione delle altre risorse minerarie, sono i maggiori fornitori di oro nel Paese. Un’ulteriore causa del vistoso calo della produzione è costituita dall’esistenza di un mercato nero, tramite il quale l’oro prodotto viene trasportato fuori dai confini nazionali per essere venduto ad un prezzo più alto. Infine, va considerato anche l’esaurimento di alcuni ricchi giacimenti aurei nei quali operano la maggior parte delle piccole industrie che si occupano sia dell’estrazione che della lavorazione.
Oltre all’oro, un importante risorsa mineraria per lo Zimbabwe è costituita dai cosiddetti “base metals”, ovvero da quei metalli che, diversamente dall’oro o dall’argento (considerati “metalli nobili”), si prestano facilmente alla trasformazione in prodotti semilavorati utilizzabili, quindi, in una moltitudine di ambiti industriali. Appartiene a tale categoria il nichel, che predomina in termini di valore rispetto agli altri minerali della medesima famiglia, ma di cui lo Zimbabwe produce all’incirca 12.000 tonnellate ogni anno, rispetto alle circa 267.000 tonnellate per anno della Russia, che resta il primo produttore mondiale. Il nichel prodotto nello Zimbabwe proviene sia da diverse miniere situate lungo le dorsali di roccia basaltica, la cosiddetta “pietra verde” sia, come prodotto intermedio, dalle operazioni di estrazione dei metalli appartenenti al gruppo del platino, i PGM (Platinum Group Metals). Attualmente il governo del Paese sta tentando di aumentare gli investimenti nel settore, nel quale peraltro operano già due industrie di estrazione e raffinazione.
È proprio il platino, tuttavia, che potrebbe contribuire ad accrescere le entrate del settore minerario in Zimbabwe, soprattutto nel lungo periodo. Si pensa infatti che in futuro il platino possa sostituire l’oro in termini di quantità prodotta e in qualità di maggiore veicolo di scambio di valuta straniera. Lo sfruttamento delle miniere di platino in Zimbabwe risale al 1969, quando la Union Carbide Corporation avviò una cospicua attività estrattiva nella zona di Wedza, a sud del Paese. Il prezzo del platino, allora non sufficientemente elevato, non comportò una produzione sostenuta nel tempo. Oggi, al contrario, il rinnovato interesse nei confronti del platino e degli altri PGM a livello mondiale potrebbe favorire, insieme all’aumento del prezzo del metallo in questione, una forte ripresa delle attività nel settore, tanto più che dal 2001 la Makwiro Platinum Mines, impresa posseduta dalla Zimbabwe Platinum Mines, sta operando con successo in una miniera nella zona dello Ngezi, nel sud-est del Paese, lungo la dorsale del Great Dyke.
Un ruolo chiave nel settore minerario dello Zimbabwe, e in particolare nelle attività relative all’estrazione del platino, sarà senza dubbio svolto in futuro dagli investimenti provenienti dall’estero. In tale contesto, il Sud Africa appare come la fonte più importante delle risorse necessarie per la nascita di nuove miniere e il consolidamento di quelle già esistenti, dal momento che da Pretoria provengono oggi i più grandi investimenti nel settore minerario dello Zimbabwe. Infatti, sia la Anglo Platinum, la più importante industria mineraria del mondo operante nel settore del platino, sia la Impala Platinum, che detiene l’86,7% della Zimplats (Zimbabwe Platinum Mines), sono entrambe società sudafricane attualmente impegnate in molte attività estrattive nel Paese. Bisogna ricordare che il platino, oltre che nel settore della gioielleria, è utilizzato in molti altri ambiti, in particolare nell'industria per la fabbricazione di marmitte catalitiche e in medicina, grazie alle sue qualità anallergeniche. Le prospettive di crescita, tuttavia, potrebbero non essere del tutto ottimistiche, dato che il governo dello Zimbabwe, retto dal contestato presidente Mugabe, ha recentemente annunciato la propria intenzione di espropriare il 51% delle azioni delle imprese mineraria straniere presenti nel Paese. Thabo Mbeki, presidente del Sud Africa, allarmato per le serie minacce che una simile decisione comporterebbe per gli interessi commerciali sudafricani, non ha nascosto le proprie preoccupazioni circa “l’abituale arbitrarietà nella confisca della proprietà” nello Zimbabwe, tanto più che proprio Mugabe aveva precedentemente rassicurato Pretoria sulla “sicurezza” degli investimenti esteri nel proprio Paese. Nei confronti dello Zimbabwe, del resto, lo stesso FMI (Fondo Monetario Internazionale) da diversi anni impone sanzioni economiche proprio a causa del mancato rispetto dei diritti di proprietà.
Tanzania: un promettente settore minerario
Nonostante non appartenga per convenzione all'area geografica australe del continente africano, la Tanzania possiede un patrimonio minerario molto simile agli altri Paesi dell'area.
Per lungo tempo il settore minerario della Tanzania non ha costituito una grossa fonte di entrate per l’economia, caratterizzata per molti decenni, dopo l’indipendenza del 1961, dalla presenza di una forte tradizione agricola. Negli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo ad un vero e proprio boom nella produzione mineraria: se un decennio fa questa rappresentava non più dello 0,1% del PIL, nel 2005 tale percentuale era salita al 3,2% e ci si attende che, entro il 2020, si possa arrivare al 10%. La crescita dell’industria mineraria ha portato a dei risultati ragguardevoli anche nell’export. Infatti, nonostante il settore assuma complessivamente circa 1 milione di unità, su una popolazione in età lavorativa di circa 18 milioni, i prodotti dell’industria mineraria ed estrattiva della Tanzania hanno costituito circa il 50% delle esportazioni nel 2005, ovvero 693 milioni di dollari statunitensi, rispetto ai 28 milioni di dollari del 1998.
Nel settore minerario l’oro svolge un ruolo di indiscutibile rilievo. Il Paese, infatti, grazie all’aumento delle esplorazioni minerarie e all’ampliamento delle miniere esistenti, verificatosi a metà degli anni Novanta, è oggi diventato il terzo produttore del prezioso metallo nell’ambito dell’intero continente africano, ed il secondo nell’area SADC, essendo preceduto soltanto dal Sud Africa. Nell’arco di circa dieci anni, dal 1995 al 2004, la produzione di oro in Tanzania è balzata da 5 tonnellate a 48 tonnellate, con un aumento percentuale pari all’860%. Anche per quanto riguarda le riserve auree, il Paese gode di un’ottima posizione, essendo al secondo posto nel continente, dopo il Sud Africa. Gran parte della produzione aurea si concentra nella miniera di Geita, che è la più grande di tutta l’Africa orientale ed è attualmente controllata dalla Anglo Gold Ashanti, una delle maggiori compagnie multinazionali operanti nel settore minerario. Tutto il mercato estrattivo della Tanzania, del resto, è caratterizzato, come anche quello dello Zimbabwe, dalla forte presenza di imprese di media o piccola grandezza, che di fatto assumono circa il 90% della manodopera del settore.
Benché di fondamentale importanza per il rilancio dell’industria mineraria del Paese, l’oro non è l’unica risorsa che, soprattutto nel futuro (si prevede infatti che numerosi investimenti continueranno ad affluire in Tanzania), potrebbe essere fatto oggetto di sfruttamento economico. Esistono diverse miniere di diamanti, la più importante delle quali, in termini di resa, è quella di Williamson. Nel Paese esistono circa 300 tipi di kimberlite, il 20% delle quali è classificato come “diamantifero”. Inoltre, la Tanzania può vantare l’unica miniera al mondo, quella di Merelani, in cui si produce una delle gemme maggiormente apprezzate nei mercati internazionali e che non a caso è chiamata “tanzanite”. Sono presenti giacimenti di nichel, rame e cobalto nelle zone nord-occidentali del Paese, dove negli ultimi anni l’attenzione si è concentrata soprattutto sui progetti relativi ai siti del Kabanga e del Kagera. Il primo appare come il più promettente, in quanto ha stimato un’elevata quantità di riserve per il futuro, pari a circa 26.400 tonnellate. Un’altra importante risorsa è rappresentata dal carbone, il cui livello di produzione è attualmente ancora molto basso, ma che potrebbe costituire in futuro un’apprezzabile fonte di energia per il Paese, dal momento che esistono circa 140 milioni di tonnellate di riserve certe, cifra che potrebbe salire a 1,2 miliardi di tonnellate se l’esistenza di ulteriori giacimenti, ipotizzata da stime effettuate di recente, venisse definitivamente accertata. Oltre a quelli già indicati, il potenziale minerario ed estrattivo della Tanzania si estende a numerosi altri metalli quali il platino e gli altri PGM (Platinum Group Metals), ferro (specie nella zona di Liganga, a sud-ovest del Paese) e tungsteno (prodotti a Karagwe, nell’estremità nord-ovest della Tanzania).
Il settore, in definitiva, sembra ancora dover beneficiare degli ingenti investimenti necessari per avviare un’attività estrattiva che sia capace di assicurare uno sfruttamento economico duraturo e che possa costituire una risorsa per la Tanzania, uno dei Paesi più poveri del mondo.
Conclusione
L’Africa australe, e l’area SADC in particolare, hanno un potenziale minerario tra i più alti al mondo. Il Sud Africa, in questo quadro, appare senza dubbio come l’economia maggiormente sviluppata, a differenza di altri Paese che, al contrario, sembrano ancora fare i conti con i retaggi del loro passato coloniale. Per questo motivo, i problemi da affrontare oggi, come negli anni a venire, riguarderanno lo sviluppo e la modernizzazione dell’intera area. Ci si è a lungo domandati se la presenza di risorse minerarie possa bastare, di per sé, a garantire alle popolazioni locali un adeguato livello di sviluppo economico e di reddito, ma in realtà è difficile che la presenza di ampi giacimenti minerari possa garantire, da sola, un benessere diffuso nella regione. L’Africa australe, nell’era della globalizzazione, deve affrontare anche la sfida della democratizzazione dei regimi politici che spesso pongono vincoli alla stessa possibilità di creare ricchezza, come nel caso dello Zimbabwe. Inoltre, sembra ormai superflua la constatazione che i governi dei Paesi SADC dovrebbero sforzarsi maggiormente nel tentativo di diversificare le loro economie, per evitare che il calo dei prezzi di un determinato prodotto minerario possa avere effetti drammatici sul tenore di vita di milioni di persone.