FabioGreggio
31-03-2006, 08:09
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Può darsi che faccia così perché pensa e spera di rivincere le elezioni, nonostante i sondaggi, il clima, le previsioni di tutti. Magari ha anche ragione, l’elettore in fondo può sempre cambiare idea, il deluso reilludersi, l’astensionista annoiato tornare alle urne. E allora tanto vale tentare il tutto per tutto, giocarsi le carte buone e quelle truccate, utilizzare toni apocalittici, inventarsi battute volgari come l’ultima su Fassino «funebre». Oppure storie fantascientifiche come quella sui comunisti cinesi che, a differenza dei loro compagni russi, i bambini non li mangiavano ma li trituravano per farne concime. Come si dice, in guerra tutto è lecito, e queste elezioni per il presidente del Consiglio sono la guerra.
Ma siccome neanche lui vive sulla luna e i sondaggi li conosce, il clima lo avverte e un’idea più realistica se la sarà pure fatta, è probabile che in realtà stia giocando non per vincere la partita, ma per perderla al meglio. Il meglio per sé ovviamente, dunque per il suo partito, le sue televisioni, i suoi problemi giudiziari. Il meglio insomma per assicurarsi il futuro: politico, imprenditoriale, personale.
Il che significa innanzitutto il peggio per i suoi alleati, non a caso ormai annichiliti dal protagonismo del Cavaliere. Il quale vuole assolutamente uscire dalle urne se non vincente nel Paese quantomeno trionfante in casa. Se Forza Italia riuscisse a restare il primo partito italiano o giù di lì, con una percentuale di voti che si aggira attorno al 22-23 per cento; e se contemporaneamente Fini ne prendesse la metà e Casini un quarto, il gioco lo comanderebbe sempre lui.
Deciderebbe lui se e quando uscire di scena, se e come fare il Partito unico o non farlo, chi e perché dovrà essere il suo successore (ammesso che intenda farsi succedere).
Ma significa anche mettere un’ipoteca seria su quel che potrebbero fare i suoi avversari nel caso vincessero le elezioni.
Approfittando di una dichiarazione di D'Alema, si è infatti levato un coro: giù le mani da Mediaset, cioè giù le mani dal conflitto di interessi, insomma giù le mani da Berlusconi. Lo ha spiegato bene Giuliano Ferrara ieri sul Foglio, addirittura sotto forma di appello a Romano Prodi in quanto presidente del consiglio in pectore: costringere Berlusconi a rinunciare alla politica per tenersi le sue televisioni "vuol dire inaugurare un nuovo regime (...) in cui non vale più il principio costituzionale del pari diritto di tutti i cittadini di accedere alle cariche pubbliche".
Ecco appunto, per impedire che nasca questo "regime illiberale" il cui obiettivo principale sarebbe l'esproprio delle televisioni di Berlusconi o, in alternativa, l'espulsione di Berlusconi dalla vita politica, c'è poco da sperare in Fini e Casini, i quali peraltro non vedono l'ora di togliersi di torno il loro leader. Non importa gran che nemmeno il risultato di tutto il centrodestra, punto in più o in meno. Quel che conta per Berlusconi è Berlusconi: più voti prende lui, per lui, per quel che rappresenta, che ha fatto, ha detto dice e dirà, più si assicura un futuro da intoccabile.
Può darsi che faccia così perché pensa e spera di rivincere le elezioni, nonostante i sondaggi, il clima, le previsioni di tutti. Magari ha anche ragione, l’elettore in fondo può sempre cambiare idea, il deluso reilludersi, l’astensionista annoiato tornare alle urne. E allora tanto vale tentare il tutto per tutto, giocarsi le carte buone e quelle truccate, utilizzare toni apocalittici, inventarsi battute volgari come l’ultima su Fassino «funebre». Oppure storie fantascientifiche come quella sui comunisti cinesi che, a differenza dei loro compagni russi, i bambini non li mangiavano ma li trituravano per farne concime. Come si dice, in guerra tutto è lecito, e queste elezioni per il presidente del Consiglio sono la guerra.
Ma siccome neanche lui vive sulla luna e i sondaggi li conosce, il clima lo avverte e un’idea più realistica se la sarà pure fatta, è probabile che in realtà stia giocando non per vincere la partita, ma per perderla al meglio. Il meglio per sé ovviamente, dunque per il suo partito, le sue televisioni, i suoi problemi giudiziari. Il meglio insomma per assicurarsi il futuro: politico, imprenditoriale, personale.
Il che significa innanzitutto il peggio per i suoi alleati, non a caso ormai annichiliti dal protagonismo del Cavaliere. Il quale vuole assolutamente uscire dalle urne se non vincente nel Paese quantomeno trionfante in casa. Se Forza Italia riuscisse a restare il primo partito italiano o giù di lì, con una percentuale di voti che si aggira attorno al 22-23 per cento; e se contemporaneamente Fini ne prendesse la metà e Casini un quarto, il gioco lo comanderebbe sempre lui.
Deciderebbe lui se e quando uscire di scena, se e come fare il Partito unico o non farlo, chi e perché dovrà essere il suo successore (ammesso che intenda farsi succedere).
Ma significa anche mettere un’ipoteca seria su quel che potrebbero fare i suoi avversari nel caso vincessero le elezioni.
Approfittando di una dichiarazione di D'Alema, si è infatti levato un coro: giù le mani da Mediaset, cioè giù le mani dal conflitto di interessi, insomma giù le mani da Berlusconi. Lo ha spiegato bene Giuliano Ferrara ieri sul Foglio, addirittura sotto forma di appello a Romano Prodi in quanto presidente del consiglio in pectore: costringere Berlusconi a rinunciare alla politica per tenersi le sue televisioni "vuol dire inaugurare un nuovo regime (...) in cui non vale più il principio costituzionale del pari diritto di tutti i cittadini di accedere alle cariche pubbliche".
Ecco appunto, per impedire che nasca questo "regime illiberale" il cui obiettivo principale sarebbe l'esproprio delle televisioni di Berlusconi o, in alternativa, l'espulsione di Berlusconi dalla vita politica, c'è poco da sperare in Fini e Casini, i quali peraltro non vedono l'ora di togliersi di torno il loro leader. Non importa gran che nemmeno il risultato di tutto il centrodestra, punto in più o in meno. Quel che conta per Berlusconi è Berlusconi: più voti prende lui, per lui, per quel che rappresenta, che ha fatto, ha detto dice e dirà, più si assicura un futuro da intoccabile.