shambler1
21-03-2006, 12:23
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lunedì, 20 marzo 2006
La menzogna furiosa e necessaria
La maggior parte di voi ha sicuramente visto la straordinaria sceneggiata di Berlusconi alla Confindustria l'altro giorno.
Chi ha una formazione umanistica o scientifica - e quindi, chi legge i blog come questo - avrà visto quell'esibizione come qualcosa di eccezionale nella sua assurdità.
Il mio lavoro, invece, mi porta a contatto quotidiano con l'imprenditoriato italiano. E devo dire che ho trovato la sceneggiata assolutamente normale.
Silvio Berlusconi è goffo quando fa ciò che non sa fare - il politico o il diplomatico. Sabato scorso, invece, era nel suo elemento. Certo, era spalleggiato da 250 militanti introdotti in platea in modo più o meno palese. Ma rimane il fatto che ha agito e parlato esattamente come agiscono e parlano, in media, i piccoli imprenditori italiani.
Non stiamo parlando degli aristocratici, le cui imprese si intrecciano strettamente con interessi internazionali, con il potere politico, con l'inafferrabile mondo delle banche e con la diplomazia. La faccia di Montezemolo mentre ascoltava la tirata di Berlusconi la dice lunga sul motivo per cui i vertici della Confindustria sognano la vittoria del centrosinistra.
Stiamo parlando però della sterminata fauna dell'imprenditoriato italiano, cioè delle persone che mandano avanti l'economia del paese.
Come il signor B., industrioso proprietario di una fabbrichetta di Imola che mi chiamò per fargli da traduttore in una trattativa. I suoi fornitori inglesi stavano cercando di truffarlo, per favorire un altro produttore. Nulla di insolito, perché al di là della retorica, la truffa è la norma dei rapporti tra imprenditori. Un rappresentante dei fornitori inglesi era arrivato all'aeroporto di Malpensa per imporre le proprie condizioni capestro a B., e io dovevo accompagnarlo come traduttore.
Arrivati all'aeroporto, ci siamo riuniti in una saletta. Io traducevo per B., che non conosceva una sola parola d'inglese. L'inglese, che ovviamente ignorava l'italiano, fece il proprio discorso ben preparato, con il sorriso di superiorità di chi tiene il coltello dalla parte del manico. A un certo punto B. mi scansò con un gesto della mano, e iniziò a urlare in un misto di bestemmie, parolacce e dialetto romagnolo,battendo il pugno sul tavolo. Incredibilmente, l'inglese si arrese, accettando integralmente le proposte di B.
Per comunicare, quindi, un imprenditore non conta sul dono della parola, ma sulla faccia tosta.
E' vero che l'intero imprenditoriato si regge sul principio della menzogna: si tratta, ad esempio, di far credere a un concorrente di avere prezzi più alti dei suoi, per indurlo a non abbassarli; oppure fingersi un cliente per carpirne il prezzario; oppure nascondere le proprie fonti di approvvigionamento; oppure truccare un'asta; oppure far credere a un altro imprenditore di essere suo alleato, al solo scopo di pugnalarlo alle spalle.
Ma tutto questo non richiede arte diplomatica nel senso comune della parola: la menzogna viene urlata e conclusa con una pacca sulle spalle, una barzelletta e un commento sulla prodezza di un calciatore, o sulle gambe di una hostess. Con una successione di grugniti, si crea una bizzarra solidarietà maschile basata sul tradimento. Ma forse non è così bizzarro: in fondo, c'è una certa sicurezza nella certezza che ognuno vuole fare fuori l'altro, e che ognuno in ogni momento mente.
Esistono ovviamente artigiani onesti nei rapporti personali, o bravi nel loro mestiere. Ma una legge ferrea dice che solo chi mente meglio, o almeno chi racconta le barzellette peggiori, può vendere e quindi sopravvivere.
Questa umanità, così visceralmente italiana, ha però anche un forte aspetto americano.
L'Italia clericale ha sempre dato il primo posto morale ai detentori di valori, e quindi al clero che li sa esprimere in linguaggio forbito; un ruolo poi passato in gran parte al ceto intellettuale, in genere di sinistra. Un ceto intellettuale che guarda con ironico ma impotente sdegno cose come la berlusconata di ieri.
Il primo posto morale che spetta al ceto intellettuale conta poco nella realtà, ma suscita il furioso risentimento dell'imprenditoriato, e spiega in buona parte il suo anticomunismo. Che non è odio per i cosacchi a cavallo, ma per i grilli parlanti. L'imprenditoriato ammira alla follia gli Stati Uniti perché pongono apertamente al centro morale proprio il self-made man, la figura dell'uomo arricchito e orgoglioso di esserlo.
Ma dagli Stati Uniti, l'imprenditoriato, così privo di ogni traccia di riflessione, prende anche la propria filosofia: l'idealismo pragmatico. Idealismo indica un modo di pensare, secondo cui la "verità è dentro di noi", più che nel mondo che oggettivamente ci circonda. Un modo di pensare che potrebbe facilmente indurre a un ritiro dal mondo.
Ma quando si combina l'idealismo alla ricerca del successo, nasce appunto l'idealismo pragmatico.
L'idea, cioè, che volere è potere, che il destino è nelle nostre mani che persino la malattia è una colpa e che esiste una tecnologia del successo.
Ecco che l'istintualità imprenditoriale fa propri i frammenti della religiosità pentecostale, della psicanalisi, delle cosiddette "religioni orientali" totalmente ricostruite attraverso il metro americano, private di ogni profondità, storia o problematicità.
Il predicatore-animatore, l'uomo di successo che incita all'ottimismo sfrenato, l'uomo come noi che però ci ha trascesi grazie al suo contatto diretto con Dio o con la Volontà, può fare qualunque cosa alla fauna dell'imprenditoriato, che in fondo è assolutamente ingenua e priva di difese. Ecco la penetrazione in tante aziende dei "corsi", il successo di organizzazioni come Landmark. E la nascita di imprese che addirittura vendono solo ottimismo a catena, come Scientology o Amway.
Chi conosce questi gruppi, riconoscerà subito la matrice dello spettacolo berlusconiano dello scorso sabato, con un tocco casareccio però che lo rende ancora più efficace.
Chiaramente, l'intero discorso di Berlusconi è stato un cumulo di menzogne, come si addice a una platea di bugiardi.
Ma non cadiamo nell'errore di guardare solo le menzogne faziose, come quando Berlusconi accusa la sinistra o i giornali della crisi economica italiana. La menzogna è molto più radicale, e consiste nell'idea che con un po' di ottimismo gli imprenditori italiani possano trionfare nell'era del flusso globale. Un paio di post fa, ho parlato di un'impresa italiana che ha delocalizzato in un paese molto vicino, con un livello tecnico abbastanza buono, dove gli stipendi sono un quinto di quelli in Italia e dove non devono pagare tasse per i primi dieci anni.
Di fronte a qualcosa del genere, semplicemente non esiste alcuna possibilità di essere competitivi, e non ci si illuda di rimediare esportando stilisti o vini pregiati, o riducendo le tasse sul costo del lavoro.
Ovviamente, non è solo Berlusconi che mente: mente ugualmente una sinistra che sostiene che la crisi inevitabile e catastrofica in cui ci stiamo lentamente immergendo sia colpa dell'Animatore di Arcore, e che loro sì sapranno come rendere l'Italia competitiva. Certo, la sinistra mente con il linguaggio vellutato adatto ai suoi referenti, quello che Marino Badiale e Massimo Bontempelli chiamano il "ceto intellettuale subalterno".
Comunque, Berlusconi, non appena perderà queste elezioni, potrà rifarsi, dicendo che la crisi ancora più profonda che vivremo tra un anno o due è tutta colpa dei comunisti.
L'importante è capire che la menzogna, che sia quella rozza della destra o quella sottile della sinistra, è necessaria. E' necessaria , innanzitutto, per non parlare dell'indicibile: cioè del fatto che stiamo tutti correndo verso il baratro del capitalismo totale, e che né destra né sinistra hanno la minima intenzione di cambiare direzione.
E poi è necessario mentire, perché quando non esistono reali differenze di fondo tra i due schieramenti, diventa necessario inventarle, creando un avversario surreale da odiare: il furore degli attori aumenta in diretta proporzione alla banalità della trama.
lunedì, 20 marzo 2006
La menzogna furiosa e necessaria
La maggior parte di voi ha sicuramente visto la straordinaria sceneggiata di Berlusconi alla Confindustria l'altro giorno.
Chi ha una formazione umanistica o scientifica - e quindi, chi legge i blog come questo - avrà visto quell'esibizione come qualcosa di eccezionale nella sua assurdità.
Il mio lavoro, invece, mi porta a contatto quotidiano con l'imprenditoriato italiano. E devo dire che ho trovato la sceneggiata assolutamente normale.
Silvio Berlusconi è goffo quando fa ciò che non sa fare - il politico o il diplomatico. Sabato scorso, invece, era nel suo elemento. Certo, era spalleggiato da 250 militanti introdotti in platea in modo più o meno palese. Ma rimane il fatto che ha agito e parlato esattamente come agiscono e parlano, in media, i piccoli imprenditori italiani.
Non stiamo parlando degli aristocratici, le cui imprese si intrecciano strettamente con interessi internazionali, con il potere politico, con l'inafferrabile mondo delle banche e con la diplomazia. La faccia di Montezemolo mentre ascoltava la tirata di Berlusconi la dice lunga sul motivo per cui i vertici della Confindustria sognano la vittoria del centrosinistra.
Stiamo parlando però della sterminata fauna dell'imprenditoriato italiano, cioè delle persone che mandano avanti l'economia del paese.
Come il signor B., industrioso proprietario di una fabbrichetta di Imola che mi chiamò per fargli da traduttore in una trattativa. I suoi fornitori inglesi stavano cercando di truffarlo, per favorire un altro produttore. Nulla di insolito, perché al di là della retorica, la truffa è la norma dei rapporti tra imprenditori. Un rappresentante dei fornitori inglesi era arrivato all'aeroporto di Malpensa per imporre le proprie condizioni capestro a B., e io dovevo accompagnarlo come traduttore.
Arrivati all'aeroporto, ci siamo riuniti in una saletta. Io traducevo per B., che non conosceva una sola parola d'inglese. L'inglese, che ovviamente ignorava l'italiano, fece il proprio discorso ben preparato, con il sorriso di superiorità di chi tiene il coltello dalla parte del manico. A un certo punto B. mi scansò con un gesto della mano, e iniziò a urlare in un misto di bestemmie, parolacce e dialetto romagnolo,battendo il pugno sul tavolo. Incredibilmente, l'inglese si arrese, accettando integralmente le proposte di B.
Per comunicare, quindi, un imprenditore non conta sul dono della parola, ma sulla faccia tosta.
E' vero che l'intero imprenditoriato si regge sul principio della menzogna: si tratta, ad esempio, di far credere a un concorrente di avere prezzi più alti dei suoi, per indurlo a non abbassarli; oppure fingersi un cliente per carpirne il prezzario; oppure nascondere le proprie fonti di approvvigionamento; oppure truccare un'asta; oppure far credere a un altro imprenditore di essere suo alleato, al solo scopo di pugnalarlo alle spalle.
Ma tutto questo non richiede arte diplomatica nel senso comune della parola: la menzogna viene urlata e conclusa con una pacca sulle spalle, una barzelletta e un commento sulla prodezza di un calciatore, o sulle gambe di una hostess. Con una successione di grugniti, si crea una bizzarra solidarietà maschile basata sul tradimento. Ma forse non è così bizzarro: in fondo, c'è una certa sicurezza nella certezza che ognuno vuole fare fuori l'altro, e che ognuno in ogni momento mente.
Esistono ovviamente artigiani onesti nei rapporti personali, o bravi nel loro mestiere. Ma una legge ferrea dice che solo chi mente meglio, o almeno chi racconta le barzellette peggiori, può vendere e quindi sopravvivere.
Questa umanità, così visceralmente italiana, ha però anche un forte aspetto americano.
L'Italia clericale ha sempre dato il primo posto morale ai detentori di valori, e quindi al clero che li sa esprimere in linguaggio forbito; un ruolo poi passato in gran parte al ceto intellettuale, in genere di sinistra. Un ceto intellettuale che guarda con ironico ma impotente sdegno cose come la berlusconata di ieri.
Il primo posto morale che spetta al ceto intellettuale conta poco nella realtà, ma suscita il furioso risentimento dell'imprenditoriato, e spiega in buona parte il suo anticomunismo. Che non è odio per i cosacchi a cavallo, ma per i grilli parlanti. L'imprenditoriato ammira alla follia gli Stati Uniti perché pongono apertamente al centro morale proprio il self-made man, la figura dell'uomo arricchito e orgoglioso di esserlo.
Ma dagli Stati Uniti, l'imprenditoriato, così privo di ogni traccia di riflessione, prende anche la propria filosofia: l'idealismo pragmatico. Idealismo indica un modo di pensare, secondo cui la "verità è dentro di noi", più che nel mondo che oggettivamente ci circonda. Un modo di pensare che potrebbe facilmente indurre a un ritiro dal mondo.
Ma quando si combina l'idealismo alla ricerca del successo, nasce appunto l'idealismo pragmatico.
L'idea, cioè, che volere è potere, che il destino è nelle nostre mani che persino la malattia è una colpa e che esiste una tecnologia del successo.
Ecco che l'istintualità imprenditoriale fa propri i frammenti della religiosità pentecostale, della psicanalisi, delle cosiddette "religioni orientali" totalmente ricostruite attraverso il metro americano, private di ogni profondità, storia o problematicità.
Il predicatore-animatore, l'uomo di successo che incita all'ottimismo sfrenato, l'uomo come noi che però ci ha trascesi grazie al suo contatto diretto con Dio o con la Volontà, può fare qualunque cosa alla fauna dell'imprenditoriato, che in fondo è assolutamente ingenua e priva di difese. Ecco la penetrazione in tante aziende dei "corsi", il successo di organizzazioni come Landmark. E la nascita di imprese che addirittura vendono solo ottimismo a catena, come Scientology o Amway.
Chi conosce questi gruppi, riconoscerà subito la matrice dello spettacolo berlusconiano dello scorso sabato, con un tocco casareccio però che lo rende ancora più efficace.
Chiaramente, l'intero discorso di Berlusconi è stato un cumulo di menzogne, come si addice a una platea di bugiardi.
Ma non cadiamo nell'errore di guardare solo le menzogne faziose, come quando Berlusconi accusa la sinistra o i giornali della crisi economica italiana. La menzogna è molto più radicale, e consiste nell'idea che con un po' di ottimismo gli imprenditori italiani possano trionfare nell'era del flusso globale. Un paio di post fa, ho parlato di un'impresa italiana che ha delocalizzato in un paese molto vicino, con un livello tecnico abbastanza buono, dove gli stipendi sono un quinto di quelli in Italia e dove non devono pagare tasse per i primi dieci anni.
Di fronte a qualcosa del genere, semplicemente non esiste alcuna possibilità di essere competitivi, e non ci si illuda di rimediare esportando stilisti o vini pregiati, o riducendo le tasse sul costo del lavoro.
Ovviamente, non è solo Berlusconi che mente: mente ugualmente una sinistra che sostiene che la crisi inevitabile e catastrofica in cui ci stiamo lentamente immergendo sia colpa dell'Animatore di Arcore, e che loro sì sapranno come rendere l'Italia competitiva. Certo, la sinistra mente con il linguaggio vellutato adatto ai suoi referenti, quello che Marino Badiale e Massimo Bontempelli chiamano il "ceto intellettuale subalterno".
Comunque, Berlusconi, non appena perderà queste elezioni, potrà rifarsi, dicendo che la crisi ancora più profonda che vivremo tra un anno o due è tutta colpa dei comunisti.
L'importante è capire che la menzogna, che sia quella rozza della destra o quella sottile della sinistra, è necessaria. E' necessaria , innanzitutto, per non parlare dell'indicibile: cioè del fatto che stiamo tutti correndo verso il baratro del capitalismo totale, e che né destra né sinistra hanno la minima intenzione di cambiare direzione.
E poi è necessario mentire, perché quando non esistono reali differenze di fondo tra i due schieramenti, diventa necessario inventarle, creando un avversario surreale da odiare: il furore degli attori aumenta in diretta proporzione alla banalità della trama.