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View Full Version : La nuova strategia USA nella guerra al terrore


easyand
11-03-2006, 13:35
Così gli Americani sarebbero degli elefanti nella cristalleria? Gente senza tatto che preferisce ricorrere alle bombe senza capire la natura del nemico e la sua cultura? I luoghi comuni europei sono smentiti in pieno dal nuovo piano strategico per la guerra globale al terrorismo (National Military Strategic Plan for the War on Terrorism), che si distingue per la raffinatezza dell’analisi del nemico e la complessità della strategia adottata per combatterlo. I dettagli della strategia americana sono segreti. Non possiamo sapere quali saranno le prossime mosse. Ciò che è stato pubblicato la settimana scorsa è la dottrina militare che dà un’idea della linea di politica militare che gli Stati Uniti seguiranno nei prossimi anni. Il nemico è identificato nell’“estremismo”, definito come un’ideologia che “si oppone, per principio e nella pratica al diritto degli individui a decidere come vivere e come organizzare la propria società e che sostiene l’omicidio di gente comune per promuovere i suoi propositi”. Gli alleati sono i “moderati”, che “non necessariamente sono non osservanti, laici o occidentalisti. È una definizione che si applica a persone molto diverse tra loro e diverse dagli Americani sotto molti punti di vista, fatta eccezione per il fatto che anch’essi si oppongono all’uccisione di gente comune per motivi ideologici”. La natura della guerra al terrorismo, dunque, viene definita: “Gli Stati Uniti sono in guerra contro gli estremisti che sostengono e praticano la violenza per conquistare il controllo su tutti gli altri e, nel far questo, minacciano il nostro modo di vivere.

La Guerra Globale al Terrorismo è un conflitto mirante a difendere la capacità delle persone a vivere secondo le loro scelte e a proteggere la tolleranza di società libere e aperte”. Rispetto ai luoghi comuni del politically correct e del conflitto di civiltà, il documento militare americano dimostra molta più raffinatezza di analisi: prima di tutto riconosce che il nemico non è una religione, né un problema sociale, ma un’ideologia trasversale. Non è una guerra tra ricchi e poveri, né fra Cristianesimo e Islam, ma una guerra tra società aperta e aspirazioni autoritarie di “un movimento transnazionale di organizzazioni estremistiche, individui e reti – oltre che i loro sponsor statuali e non statuali – che hanno, come caratteristica comune lo sfruttamento politico dell’Islam e l’uso del terrorismo per il raggiungimento dei loro obiettivi”. Al Qaeda viene indicato come il pericolo più immediato, ma non l’unico. I nemici sono sia gruppi che regimi. Il centro di gravità del nemico viene identificato con la sua ideologia. Siccome si tratta di affrontare un nemico transnazionale, la strategia è incentrata sulla guerra ideologica: “sostenere gli sforzi delle maggioranze per espellere l’estremismo”. Il che implica, come nel conflitto contro il comunismo nell’America Latina degli anni ’80, non tanto la conquista territoriale, quanto quella “dei cuori e delle menti” della popolazione locale: “Noi dobbiamo essere consapevoli della cultura, degli usi e costumi, del linguaggio e della filosofia delle popolazioni interessate e del nemico, così da combattere l’estremismo più efficacemente e promuovere la democrazia, la libertà e la prosperità economica all’estero”. Un compito molto più difficile, lungo e rischioso.

“Combattere il sostegno ideologico e la propaganda del nemico implica sia l’uso della forza che delle parole” – si legge nel piano. Per raggiungere l’obiettivo principale, i metodi sono soprattutto politici, più che militari. Dal punto di vista militare, si tratta di “Uccidere e catturare i leader nemici, distruggere i campi di addestramento, negare al nemico l’accesso alle risorse necessarie alla conduzione delle sue operazioni” ovunque nel mondo. Dal punto di vista politico: “L’elemento chiave è la convinzione della popolazione musulmana che il terrorismo non è uno strumento legittimo per perseguire fini politici. La strategia consiste nell’incoraggiare i musulmani moderati a promuovere la loro visione, secondo cui gli sforzi degli estremisti minano il benessere della comunità musulmana a livello locale, regionale e globale. La convinzione che l’estremismo è dannoso per la comunità islamica e contrario agli insegnamenti dell’Islam deve provenire dall’interno dello stesso Islam”. L’esercito americano si è prefissato soprattutto tre compiti per raggiungere questo obiettivo: fornire la sicurezza, sia attraverso truppe proprie che truppe locali, così da permettere ai civili di esprimersi liberamente senza essere intimiditi dalla minaccia terrorista; fornire assistenza umanitaria; aumentare i contatti con la leadership militare dei Paesi alleati. Ciascuna operazione militare viene pianificata a livello locale, in base a come possa influenzare ideologicamente la popolazione locale. La scelta degli obiettivi, delle armi e dei tempi di ogni azione deve: “evitare di minare la credibilità e la legittimità delle autorità moderate nemiche degli estremisti e, allo stesso tempo, negare agli estremisti la possibilità di diffondere la loro ideologia”.

Una guerra così politicizzata è un rischio. Nella I Guerra del Golfo del 1991, gli Americani misero da parte la politica, negarono l’accesso ai giornalisti e perseguirono obiettivi militari limitati. La guerra finì con una piena vittoria militare, ma non risolse il problema Saddam. Nella Guerra del Vietnam, invece, gli strateghi americani accettarono l’ingerenza della politica e spalancarono le porte ai giornalisti. Così come è adesso, anche nel lungo conflitto nel Sud Est asiatico, gli Americani mirarono alla nascita di forze politiche favorevoli all’interno della popolazione locale e pianificarono tutte le loro operazioni militari tenendo conto soprattutto di questo fattore. E la guerra finì in un lungo stallo, poi in un ritiro, causato più dall’esaurimento del morale e dall’opposizione politica che non per una sconfitta. Nell’attuale scenario mediorientale, molto più esteso e lontano, geograficamente e mentalmente, dagli Stati Uniti, i tempi saranno sicuramente più lunghi e gli esiti sono incerti, come ammettono gli stessi vertici militari americani: “Sconfiggere l’estremismo richiede uno sforzo pluri-decennale”. La “sindrome del Vietnam”, (cioè: vincere tutte le battaglie sul campo, ma vivere la guerra come una sconfitta e infine ritirare le truppe) può essere ancora un rischio. Alcuni settori della destra americana, soprattutto i conservatori e i libertari, sono contrari a questa strategia. I libertari del Cato Institute suggeriscono di limitare gli sforzi alla guerra contro il network di Al Qaeda, ingaggiandolo in una serie di piccole azioni militari dirette contro i suoi leader e le sue basi.

I conservatori sono favorevoli a blindare le frontiere nazionali e contrari ad un impegno di forze militari all’estero. Il Piano Nazionale americano riflette maggiormente la visione neoconservatrice delle relazioni internazionali: promuovere la libertà all’estero per garantire maggior sicurezza negli Stati Uniti. Ed è un piano ben coordinato con la diplomazia americana, ora guidata da Condoleeza Rice, che il mese scorso ha ricevuto precise istruzioni su come incoraggiare ovunque il processo di democratizzazione. Questa strategia non nasce da un ideale astratto, ma da una precisa constatazione: coesistere con delle dittature, occuparsi solo della sicurezza militare e non cercare nemmeno di condizionare in senso democratico il resto del mondo, non ha portato a buoni risultati, né ha aumentato la sicurezza degli Stati Uniti. Gli attacchi dell’11 settembre sono la dimostrazione più evidente. La nuova strategia funzionerà? Finirà come finì l’intervento nel Vietnam? La guerra di oggi è senza precedenti e non si presta a paralleli col passato. Non si possono fare previsioni attendibili per tempi che si prospettano lunghissimi. L’unica cosa che si può affermare con certezza è che le strategie alternative sperimentate contro il terrorismo, il contenimento e la sicurezza nazionale, sono già fallite. Non resta che provare l’esportazione della democrazia.

L'Opinione.it
di Stefano Magni

Korn
11-03-2006, 13:48
come mai tutto quello scritto viene smentito dai fatti? ad esempio sono raffinate 2 guerre contro il terrorismo, carneficine utili solo per un di propaganda e riuscire a colpire i terroristi cosi tanto da permettergli di fari esplodere a londra e madrid e in tante altre parti del mondo, hanno abbattutto 2 dittature per favorirne quante altre?

twinpigs
11-03-2006, 13:59
Ciò che è stato pubblicato la settimana scorsa è la dottrina militare che dà un’idea della linea di politica militare che gli Stati Uniti seguiranno nei prossimi anni. Il nemico è identificato nell’“estremismo”, definito come un’ideologia che “si oppone, per principio e nella pratica al diritto degli individui a decidere come vivere e come organizzare la propria società e che sostiene l’omicidio di gente comune per promuovere i suoi propositi”.

Aberrante, altro che nazismo. Questo "estremismo" lo si vede palesemente nel suo splendore nella politica imperialistica Usa.

il fatto che i "cattivi" siano dipinti in maniera pittoresca e con notizie che sembrano provengano dal pianeta marte mi da ancora più consapevolezza nel fatto che questi "terroristi" siano solo i fratellastri dei primi ma comunque discendenti dalla stessa linea sanguigna

ally
11-03-2006, 14:24
...ciao...

...non capisco perchè questo cambio di strategia...la guerra in Iraq è stata vinta...il sistema di combattere il terrorismo in questo paese è risultato vincente e convincente...

http://i.cnn.net/cnn/2003/ALLPOLITICS/10/28/mission.accomplished/vstory.bush.banner.afp.jpg

...Bush said, "The battle of Iraq is one victory in a war on terror that began on September 11, 2001, and still goes on."...

...basta solo continuarlo nel resto dei paesi affetti da questa piaga nella stessa maniera...così da poter mostrare un definitivo mission accomplished alla guerra al terrorismo...

...non vorrete mica dirmi che tale strategia non ha portato ai risultati sperati?...non vorrete mica dirmi che l'Iraq è meno sicuro di quanto non lo fosse con Saddam...non vorrete mica dirmi che da quando questa guerra ha avuto inizio i rapporti con il mondo islamico si sono resi difficilissimi?...non vorrete mica dirmi che vista la situazione attuale ormai imbarcarsi in una direzione di sola diplomazia risulta inattuabile?...quanto fatto fin ora è perciò da considerarsi inutile?...quanto fatto fin ora puo' aver addirittura compromesso una politica di dialogo?...

...Il che implica, come nel conflitto contro il comunismo nell’America Latina degli anni ’80, non tanto la conquista territoriale, quanto quella “dei cuori e delle menti” della popolazione locale: “Noi dobbiamo essere consapevoli della cultura, degli usi e costumi, del linguaggio e della filosofia delle popolazioni interessate e del nemico, così da combattere l’estremismo più efficacemente e promuovere la democrazia, la libertà e la prosperità economica all’estero”. Un compito molto più difficile, lungo e rischioso...

...come si entra nel cuore e nella mente della popolazione locale?...con carceri stile guantanamo?...con bombardamenti aerei in paesi limitrofi per presunti avvistamenti di capi terroristi?...con l'utilizzo del fosforo bianco?...o con una buona dose di agente orange?...

...attendiamo di vedere dove ci porterà questa "nuova strategia"...

ally
12-03-2006, 21:01
...ciao...

...nessun altro commento?...

...ciao...

Tefnut
13-03-2006, 11:32
bhe ora si ritirano dall-iraq e se ne vanno in iran... semplice