majin mixxi
09-03-2006, 21:14
Paolo Madron per Panorama, in edicola domani
Non ho nulla contro Luca di Montezemolo. Condivido quasi tutto del manifesto confindustriale così come lo ha illustrato al Sole 24 Ore nell’unica intervista italiana concessa dopo due anni dalla sua investitura a leader degli industriali. Sono ammirato dalle sue straordinarie capacità di marketing, paragonabili solamente a quelle del Cavaliere di quando ammaliava le platee dei venditori convincendoli di avere il sole in tasca. Come sono ammirato dalle sue capacità di lavoro, da come riesce a indossare contemporaneamente tanti e onerosi cappelli (presidente di Fiat, Ferrari, Confindustria, e molto altro) senza soccombere alla sfibrante fatica che gli deriva dalla molteplicità dei ruoli.
Il tutto senza mai perdere stile e aplomb, che di questi tempi convulsi e rancorosi non è acqua. Perciò mi ha stupito non poco leggere di quella clausola disvelata della pubblicazione dei bilanci Fiat in base alla quale Montezemolo, oltre a tutti gli emolumenti di cui gode e godrà, si è visto approvare anche un ventennale vitalizio che impegna la Ferrari a pagarlo per il resto dei suoi giorni.
La clausola, per la verità, è alquanto fumosa, così come l’interpretazione che ne è stata data. Noi, perché il lettore se ne faccia un’idea, la pubblichiamo per esteso così come risulta in calce alla tabella sui compensi per gli amministratori del Lingotto: «A partire dal quarto anno di mandato il Presidente e Amministratore delegato di Ferrari maturerà il diritto a percepire, in caso di interruzione del rapporto di collaborazione, un capitale rateizzato in venti anni pari al massimo, dopo dieci anni, a cinque volte l’emolumento annuale fisso». Qualcuno, giusto per far di conto, ha moltiplicato per cinque lo stipendio del leader di Confindustria (6,484 milioni nel 2005) fissando così in 32,5 milioni di euro l’intero ammontare della somma.
Ma non è il caso di fare la tigna sulle cifre, né eccepire, come a buon diritto potrebbe fare l’interessato, che si sono mischiati capra e cavoli perché nella clausola in questione il parametro è l’emolumento fisso mentre i 6 e passa milioni di euro comprendono anche la parte variabile. Qui interessa il principio, che per fortuna esenta da laconiche considerazioni di tipo matematico, e suggerisce una domanda: presidente Montezemolo, lei che guadagna bene, ha un’attività imprenditoriale in proprio, può già contare su una pensione dorata e un robusto pacchetto di stock option, per non parlare della liquidazione, perché ha ritenuto necessario aggiungere questo vitalizio che evoca privilegi dal vago sapore feudale? Perché impegnare un’azienda a doverle qualcosa fino a vent’anni dopo la sua uscita, quando il mondo sarà un’altra cosa, e a gestirla non ci saranno più gli uomini di oggi, figuriamoci gli azionisti?
Quando venne fuori che Maurizio Romiti aveva stipulato un patto anticoncorrenza che gli garantiva oltre 14 milioni di euro una volta lasciata la Rcs, quella di Montezemolo fu tra le voci più critiche. Per par condicio, ora mi tocca contestargli simile anomalia retributiva, a maggior ragione per il fatto che il presidente della Ferrari e della Fiat è anche il leader degli imprenditori. Come tale, ha calcato i quattro angoli della Penisola per propagandare il suo credo liberista.
Una società che liberi l’industria dai lacci e lacciuoli della burocrazia che ne tarpa le ali, che non penalizzi produzione e lavoro, che liberi risorse da destinare a ricerca e investimenti. Che faccia strame, insomma, del corporativismo e delle rendite di posizione che la costringono a giocare costantemente in difesa.
Ecco, il vitalizio Ferrari ci sembra possa essere incluso in una delle tante rendite di posizione che non trovano giustificazione in un moderno sistema retributivo. Il manager ha già tanti modi per veder valorizzato il frutto del suo lavoro, a cominciare dalle stock option. Infatti nessuno si sogna di eccepire su quelle, assai pingui, di cui, tanto per restare a Torino, beneficia Sergio Marchionne, l’artefice della svolta Fiat. Ma le rendite no, la parola dovrebbe essere bandita dal vocabolario degli industriali, i quali rivendicano come tratto distintivo la propensione al rischio e il gusto della sfida.
Sabato 18 marzo Montezemolo sarà a Vicenza per il convegno biennale di Confindustria. Il tema, «Concorrenza, bene pubblico», è più di un manifesto programmatico. Concorrenza è il contrario di rendita: come sarebbe bello se il leader degli imprenditori approfittasse dell’occasione per far sapere di aver rinunciato a quella anacronistica clausola contrattuale.
Non ho nulla contro Luca di Montezemolo. Condivido quasi tutto del manifesto confindustriale così come lo ha illustrato al Sole 24 Ore nell’unica intervista italiana concessa dopo due anni dalla sua investitura a leader degli industriali. Sono ammirato dalle sue straordinarie capacità di marketing, paragonabili solamente a quelle del Cavaliere di quando ammaliava le platee dei venditori convincendoli di avere il sole in tasca. Come sono ammirato dalle sue capacità di lavoro, da come riesce a indossare contemporaneamente tanti e onerosi cappelli (presidente di Fiat, Ferrari, Confindustria, e molto altro) senza soccombere alla sfibrante fatica che gli deriva dalla molteplicità dei ruoli.
Il tutto senza mai perdere stile e aplomb, che di questi tempi convulsi e rancorosi non è acqua. Perciò mi ha stupito non poco leggere di quella clausola disvelata della pubblicazione dei bilanci Fiat in base alla quale Montezemolo, oltre a tutti gli emolumenti di cui gode e godrà, si è visto approvare anche un ventennale vitalizio che impegna la Ferrari a pagarlo per il resto dei suoi giorni.
La clausola, per la verità, è alquanto fumosa, così come l’interpretazione che ne è stata data. Noi, perché il lettore se ne faccia un’idea, la pubblichiamo per esteso così come risulta in calce alla tabella sui compensi per gli amministratori del Lingotto: «A partire dal quarto anno di mandato il Presidente e Amministratore delegato di Ferrari maturerà il diritto a percepire, in caso di interruzione del rapporto di collaborazione, un capitale rateizzato in venti anni pari al massimo, dopo dieci anni, a cinque volte l’emolumento annuale fisso». Qualcuno, giusto per far di conto, ha moltiplicato per cinque lo stipendio del leader di Confindustria (6,484 milioni nel 2005) fissando così in 32,5 milioni di euro l’intero ammontare della somma.
Ma non è il caso di fare la tigna sulle cifre, né eccepire, come a buon diritto potrebbe fare l’interessato, che si sono mischiati capra e cavoli perché nella clausola in questione il parametro è l’emolumento fisso mentre i 6 e passa milioni di euro comprendono anche la parte variabile. Qui interessa il principio, che per fortuna esenta da laconiche considerazioni di tipo matematico, e suggerisce una domanda: presidente Montezemolo, lei che guadagna bene, ha un’attività imprenditoriale in proprio, può già contare su una pensione dorata e un robusto pacchetto di stock option, per non parlare della liquidazione, perché ha ritenuto necessario aggiungere questo vitalizio che evoca privilegi dal vago sapore feudale? Perché impegnare un’azienda a doverle qualcosa fino a vent’anni dopo la sua uscita, quando il mondo sarà un’altra cosa, e a gestirla non ci saranno più gli uomini di oggi, figuriamoci gli azionisti?
Quando venne fuori che Maurizio Romiti aveva stipulato un patto anticoncorrenza che gli garantiva oltre 14 milioni di euro una volta lasciata la Rcs, quella di Montezemolo fu tra le voci più critiche. Per par condicio, ora mi tocca contestargli simile anomalia retributiva, a maggior ragione per il fatto che il presidente della Ferrari e della Fiat è anche il leader degli imprenditori. Come tale, ha calcato i quattro angoli della Penisola per propagandare il suo credo liberista.
Una società che liberi l’industria dai lacci e lacciuoli della burocrazia che ne tarpa le ali, che non penalizzi produzione e lavoro, che liberi risorse da destinare a ricerca e investimenti. Che faccia strame, insomma, del corporativismo e delle rendite di posizione che la costringono a giocare costantemente in difesa.
Ecco, il vitalizio Ferrari ci sembra possa essere incluso in una delle tante rendite di posizione che non trovano giustificazione in un moderno sistema retributivo. Il manager ha già tanti modi per veder valorizzato il frutto del suo lavoro, a cominciare dalle stock option. Infatti nessuno si sogna di eccepire su quelle, assai pingui, di cui, tanto per restare a Torino, beneficia Sergio Marchionne, l’artefice della svolta Fiat. Ma le rendite no, la parola dovrebbe essere bandita dal vocabolario degli industriali, i quali rivendicano come tratto distintivo la propensione al rischio e il gusto della sfida.
Sabato 18 marzo Montezemolo sarà a Vicenza per il convegno biennale di Confindustria. Il tema, «Concorrenza, bene pubblico», è più di un manifesto programmatico. Concorrenza è il contrario di rendita: come sarebbe bello se il leader degli imprenditori approfittasse dell’occasione per far sapere di aver rinunciato a quella anacronistica clausola contrattuale.