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View Full Version : Siniscalco sulla Bolkestein


Amilcare Barnabeo Salami
20-02-2006, 18:45
20 febbraio 2006
L’EUROPA DEL DOPO BOLKESTEIN
Il protezionismo che rallenta la crescita
di Domenico Siniscalco

Il Parlamento europeo, riflettendo le forti proteste scoppiate nei Paesi della vecchia Europa, ha molto annacquato la cosiddetta direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi. Con piena ragione i media europei hanno parlato di liberalizzazione a metà. Il testo approvato giovedì, infatti, attraverso molte deroghe (medici, notai, finanza, prestazioni sociali) e l’abbandono dei più importanti principi del progetto originario, incide poco sull'esistente e avrà effetti limitati sulla concorrenza. Inoltre, l'iter della direttiva, che deve ora tornare alla Commissione europea, ne ritarderà l’applicazione al 2009-2011. In sintesi, troppo poco e troppo tardi in un mondo che cambia rapidamente. La direttiva, che era stata disegnata in modo coraggioso dal liberale olandese Frits Bolkestein, ex commissario europeo, doveva rappresentare il completamento del mercato unico europeo sul fronte dei servizi. Un risultato così timido, pur voluto da molte fasce della popolazione europea, deve indurre serie riflessioni.

La prima riflessione è di carattere economico. La mancata liberalizzazione incide negativamente sul tasso di crescita potenziale dell'economia, perché deprime il consumo, attraverso gli alti prezzi, e frena la dinamica della produttività nei servizi che sono ormai la parte preponderante delle nostre economie. Di fronte alle sfide della globalizzazione, è dunque del tutto probabile che l'Europa continui a divergere crescendo assai meno delle altre aree, a partire dagli Stati Uniti.

La seconda riflessione è sul piano sociale. Le reazioni popolari contro il progetto originario di direttiva, soprattutto nel cuore dell'Europa continentale, dimostrano ancora una volta che amplissimi settori della società europea hanno un desiderio di protezione dalla concorrenza, piuttosto che di efficienza e bassi prezzi: senza ricordare che ogni protezione dei produttori corrisponde a uno sfruttamento dei consumatori. Ma, se queste sono le preferenze dei cittadini elettori, è del tutto naturale che il Parlamento europeo e i governi nazionali le facciano proprie contro i piani della Commissione, accusata di essere ultraliberista e tecnocratica. Riflettere le preferenze dei cittadini è l'essenza della democrazia. Se i cittadini scelgono la lenta crescita pur di essere protetti sul posto di lavoro, benissimo. Purché sia chiaro che si tratta di una scelta politica. Queste constatazioni aprono tuttavia una questione più profonda, innanzitutto sul piano europeo.

Il «no» francese e olandese alla Costituzione europea, nella scorsa primavera, ha aperto una crisi istituzionale senza precedenti e sospeso sine die il processo di ratifica dei nuovi trattati. Secondo molti osservatori, tuttavia, il voto contrario alla Costituzione è la conseguenza e non la causa della crisi europea. Quest'ultima, piuttosto, affonda le radici nelle difficoltà economiche strutturali che datano ormai cinque anni e hanno indotto una profonda disillusione nei confronti dell’intera costruzione europea. Un periodo prolungato di lento sviluppo in un mondo che, per contro, da qualche anno ha preso a crescere tumultuosamente, ha tradito le promesse europee e rappresenta un fallimento economico impressionante soprattutto per le istituzioni europee dove si disegna la politica economica. Un fallimento che si ripercuote simmetricamente a livello nazionale, dove i governi in carica sono stati investiti da ondate crescenti di dissenso.

Sui motivi della lenta crescita in Europa bisognerebbe fare un lungo discorso. Anche senza grandi analisi, tuttavia, salta subito all'occhio che i pochi Paesi che crescono a ritmi elevati nell'Eurozona sono quelli che hanno realizzato le riforme strutturali e liberalizzato i propri mercati.

Per questo motivo il desiderio di protezione affermato nel voto dell'Europarlamento sulla direttiva Bolkestein contiene un paradosso. Esprime una scelta economica, probabilmente maggioritaria, che privilegia la protezione sulla concorrenza; ma contiene le radici del malessere economico che stiamo vivendo e che sta minando il consenso a livello nazionale e europeo. Ecco perché è prioritario affrontare i problemi della lenta crescita. Se continueremo a scegliere protezione a spese dell'efficienza, placheremo forse le ansie, ma pianteremo i semi del del declino


www.lastampa.it



Cosa ne pensate?

Onisem
20-02-2006, 18:51
Ma quale protezione dalla concorrenza? La direttiva metteva in condizione le multinazionali di metterci i piedi in faccia più di quanto non facciano già ora. Sempre con questa insulsa religione del "libero mercato"...

Amilcare Barnabeo Salami
20-02-2006, 18:56
Anche l'editoriale di Mieli sul Corriere di oggi è interessante...


Italia in declino, l'Europa non può aiutarci
Quel sogno svanito con la Bolkestein
di
Paolo Mieli

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Allorché giovedì scorso il Parlamento europeo ha approvato la versione annacquata della direttiva Bolkestein si è avuta nella comunità intellettuale una reazione di allarme di intensità pari a quella di compiacimento della comunità politica (con rarissime eccezioni tra cui, va detto, si segnala per lucidità di argomentazione e di visione quella dei Radicali). Curioso divorzio. Come mai osservatori e studiosi si preoccupano così tanto? Non capiscono che quel compromesso è pur sempre meglio di niente? La comunità intellettuale e quei pochi politici avveduti sono inquieti non per la Bolkestein ma per qualcosa di più generale, perché appare a loro (e a noi) sempre più chiaro che è definitivamente svanito il sogno degli Anni Novanta e l'Europa non è più in grado di costringerci a fare i nostri interessi. L'opinione che il mondo si è fatta di noi è emersa a Davos dove l'economista Nuriel Roubini ci ha paragonato all'Argentina e uno dei capi della Goldman Sachs, Jim O'Neill, ha sentenziato che possiamo offrire solo cibo e pallone. A spulciare qua e là tra i dati si nota che il nostro debito pubblico in rapporto al Pil che dal 1998 al 2004 era stato in costante diminuzione (dal 117,2 al 106,5), secondo le stime più aggiornate è salito nel 2005 di due punti percentuali scavalcando la Grecia e toccando il record (bel record!) continentale.

Secondo i rilievi del rapporto Schneider (assai più inquietanti di quelli Istat) l'incidenza dell'economia sommersa in percentuale del Pil ammonterebbe qui da noi al 27% rispetto al 16,3 della Germania, al 15 della Francia all'8,7 degli Stati Uniti. Inoltre tra il 1995 e il 2004 si è avuta in Italia un'impressionante flessione della quota di mercato delle esportazioni (a prezzi costanti) crollate dal 4,6% al 2,9%: nello stesso periodo in Francia sono rimaste stabili attorno al 5% e in Germania sono salite dal 10,3% all'11,8%. E dove qualcosa è migliorato (ad esempio il tasso di occupazione passato in dieci anni — tra il 1993 e il 2003 — dal 52,5 al 56,2%) siamo sempre ai livelli più bassi d'Europa.

In Italia (e questo ci accomuna a Francia e Germania) un occupato dipendente lavora in termini di ore medie annue il 16% in meno che negli Stati Uniti. Condividiamo però con la sola Germania il record europeo di tassazione dei redditi di impresa. E in Europa siamo tra quelli che attraggono meno investimenti esteri: mentre Francia e Regno Unito sono quasi magnetiche, noi nel 2005 abbiamo registrato una variazione negativa rispetto al 2004 (-23%). Secondo le stime Unctad dedicate a tale questione nella graduatoria mondiale occupiamo il novantottesimo posto, dopo il Benin. In compenso siamo primi nell'esportazione di cervelli, meglio conosciuta come «fuga».

Siamo al 154˚ scalino nella classifica mondiale della giustizia civile: laddove in Russia occorrono in media 330 giorni per il recupero dei crediti delle imprese, in India ne servono 425, in Brasile 546, qui ce ne vogliono 1.390. Veniamo dopo — secondo le stime della Banca Mondiale — la Tunisia, l'Estonia, financo la Cina. Per fortuna c'è un Paese che sta peggio di noi: il Guatemala. Ci aspettavamo che questi problemi venissero avviati a soluzione dalla Bolkestein? È evidente che no. È solo che giovedì scorso abbiamo definitivamente appreso che per salvarci non possiamo più affidarci alla spinta di un'Europa dove non può che non prevalere la tendenza a mediare. E che forse in campagna elettorale faremmo meglio ad affrontare il tema di come farcela da soli.
20 febbraio 2006

majin mixxi
20-02-2006, 18:58
ma quale sogno...la Bolkenstein era un vero incubo

sempreio
20-02-2006, 19:02
Ma quale protezione dalla concorrenza? La direttiva metteva in condizione le multinazionali di metterci i piedi in faccia più di quanto non facciano già ora. Sempre con questa insulsa religione del "libero mercato"...

non credere, pure io la pensavo cosi, ma probabilmente quella legge ci avrebbe salvati da una crisi ormai certa

giannola
20-02-2006, 19:10
sulla bolkenstein c'è già un 3d:
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1138066

questo è da chiudere

Onisem
20-02-2006, 19:10
non credere, pure io la pensavo cosi, ma probabilmente quella legge ci avrebbe salvati da una crisi ormai certa
Sarà...io tendo piuttosto ad essere d'accordo con Mieli, nel senso di cominciare a pensare come farcela "da sè" come nazione.

IpseDixit
20-02-2006, 19:22
La prima versione della Bolkenstein era un errore grave, la versione corretta è peggio. L'Ue rinuncia a liberalizzare i servizi, ce ne pentiremo.

zerothehero
20-02-2006, 19:23
http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1138066

continuare qui.