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View Full Version : Mega attentato terroristico in Italia, che cosa stanno aspettando?


Kars
14-02-2006, 22:14
Vogliono un mega-attentato in Europa?

di Maurizio Blondet

giovedì, 09 febbraio 2006

www.effediefffe.com
8 febbraio 2006



Berlino, 31 gennaio scorso.
Riunione dell'Associazione germanica per i rapporti con l'estero, DGAP.
Ad un certo punto, il dibattito viene egemonizzato dagli americani del «Center for Transatlantic Studies» della John Hopkins University, Daniel Hamilton, Heiko Borchart e Gerd Foehrendbach. Costoro hanno dato voce, furiosamente, a tutto il loro dispetto per la «passività» europea nella lotta al terrorismo globale di Bush e neocon.
Gli abitanti del vecchio continente, hanno detto, vivono nella «devastante convinzione che l'Europa sia in qualche modo immune da grandi attacchi terroristici».
Un atteggiamento, hanno aggiunto, che cambierà di colpo quando gli europei si troveranno di fronte a un «mega-attentato».
Che «non è questione di se, ma di quando».
Per chi sappia chi sono i veri mandanti dell'11 settembre, questa è una chiara minaccia.
Specie se si considera che viene pronunciata su uno sfondo da «scontro di civiltà» provocato dai cartoons anti-islamici, e che è stato volutamente organizzato in Europa per concentrare sugli europei la rabbia delle masse islamiche fanatiche.



Su tale orchestrazione il Movimento Solidarietà fornisce nuovi particolari (1).
Il giornale danese da cui tutto è cominciato, il Jylland Posten, appare tra le forze che hanno fondato (il 10 marzo 200) un nuovo centro-studi in Danimarca, il CEPOS (Centro Danese di Studi Politici): ricalcato sulle cosiddette «fondazioni culturali» USA, il CEPOS - focolaio della politica anti-islamica - si è subito collegato ai centri nei conservatori americani (i quali del resto lo hanno fatto nascere), l'American Enterprise di Richard Perle, Leeden e Wolfowitz, e la Heritage Foundation, «pensatoio» dell'estrema destra liberista repubblicana, com'è del resto il danese Posten; il CEPOS è collegato anche a due think-tank di Londra, l'Adam Smith Institute e l'Institute for Economic Affairs.
E su Jylland Posten, si apprende ora che il giornale si era rivolto all'associazione dei disegnatori danesi commissionando esplicitamente le immagini islamofobe.
Lo stesso giornale, nel 2003, aveva rifiutato una serie di vignette ugualmente diffamatorie su Gesù, rispondendo al disegnatore, tale Christoffer Zieler, che le immagini erano «offensive per i lettori» (2).



Ma torniamo al CEPOS danese.
Lo presiede un super-conservatore danese, Bernt Johan Collett, che è stato ministro della Difesa, ed oggi è gran ciambellano della Corte danese nonché Maestro della Caccia Reale (è un ambientalista sfegatato, sua moglie dirige Europa Nostra, ala internazionale di Italia Nostra).
Nel comitato dei consiglieri figura George P. Schultz, eminenza grigia del potere occulto americano: membro distinto della Hoover Institution (un'altra fondazione «culturale», potentissima), già ministro, è stato presidente della Bechtel (la multinazionale delle attrezzature petrolifere) di cui è tutt'ora consigliere d'amministrazione; è inoltre presidente dell'International Council della banca d'affari J.P. Morgan Chase, legata ai Rockefeller e al vecchio potere finanziario USA.
Insieme a James Woolsey, ex capo della CIA (che si distinse nel cercare autonomamente «prove» delle armi di distruzione di massa di Saddam, ed annunciò, dopo l'11 settembre, che cominciava «la quarta guerra mondiale»), George P. Schultz dirige il Committee on the Present Danger.
Storica istituzione questo CPD, la cui importanza non può essere sottovalutata.



I più irriducibili guerrafondai americani nel sistema di potere lo fondarono ai tempi di Carter, da loro giudicato troppo «molle» con Mosca, per diffondere nelle stanze del governo la loro idea fissa: l'URSS sta per superare l'America nella corsa agli armamenti, anzi progetta di sferrare un attacco atomico a sorpresa contro gli USA (era questo il «present danger», il pericolo imminente).
Come conseguenza, i dottor Stranamore proponevano: un aumento enorme delle spese militari, l'abbandono di ogni trattativa con Mosca per il controllo degli armamenti e anzi, stracciare subito i trattati di controllo già in atto («sono trucchi di Mosca per disarmarci»), e - ovviamente - armare pesantemente Israele, «unico alleato nel Medio Oriente»: molti membri del CPD erano, non stupirà, ammiratori del Likud e di Sharon.
Sotto la presidenza Clinton, un altro «molle» da spingere su strade belliciste, il Committee on Present Danger si è sdoppiato in due nuove fondazioni «culturali» che sono in realtà le lobby congiunte dell'apparato militare industriale e della lobby likudnik: uno è il Jewish Institute for National Security Affairs (JINSA), e l'altro è il Center for Security Policy (CPS).



Membri dell'uno e dell'altro «pensatoio»?
I soliti neocon, che non sono poi tanti e devono quindi fare molte parti in commedia: Richard Perle, Douglas Feith (numero 3 al Pentagono l'11 settembre), Paula Dobriansky, Elliott Abrams… tutte personalità che oggi troviamo al fianco di Daniel Pipes come promotori della crociata anti-musulmana mondiale.
Oggi il Commitee on Present Danger, rinato a nuova vita, predica che l'imminente pericolo non viene più dalla Russia, bensì dall'Iran.
E propone le solite ricette: riarmo colossale americano, riarmo di Israele (ormai la terza potenza mondiale), nessuna trattativa ma politica della pura forza.
Non è strano che personaggi del genere guardino con rabbia lo scarso entusiasmo europeo per la guerra al terrorismo.



La forza e pericolosità di questa rabbia è stata descritta così da Peter van Ham (3), un insider olandese (dirige il Netherlands Institute of International Relations): «non solo i neocon, ma la vasta maggioranza dei duri americani oggi considerano l'Unione Europea come una provocazione, che indebolisce la fibra morale di un intero continente e mina la visione 'realista' in cui gli USA possono giocare il ruolo di egemone senza rivali».
Ciò perché «la UE, con la sua stessa esistenza, mostra la possibilità di un modello totalmente diverso, che svaluta la forza e la realpolitik ed esalta il ruolo del diritto e della fiducia… fino a rendere la forza militare irrilevante».
«Mentre l'Europa abolisce i confini, gli americani li induriscono, sia nelle loro teste sia sul terreno», aggiunge l'olandese.
Ciò provoca negli Stati Uniti «una marea crescente di anti-europeismo, segno che la politica estera americana diventa sempre più autistica e meno disposta ad ascoltare i suoi amici».
E infine: «sia i realisti sia i neocon americani ora dicono: se gli europei sono così volonterosi di rafforzare la loro unione per competere con gli USA su tutti i fronti, finiremo per dare loro quello che chiedono: rivalità e, al bisogno, conflitto».



Ancora: questo disprezzo e rabbia per l'Europa configura una chiara e concreta minaccia.
Specie se si considera che a nutrirlo sono i dottor Stranamore «autistici» (e un po' Lubavitcher (4)) del Commitee on the Present Danger, per i quali «conflitto» non è una metafora: è l'aggressione militare e l'eversione, la guerra convenzionale e non-convenzionale.
Con tutti i mezzi, e senza rispetto dei trattati sottoscritti.
Gli europei non sono più «amici», sono nemici particolarmente insidiosi, perché «pacifisti».
Ora, alla riunione del tedesco DGAP del 31 gennaio, questi americani hanno dettato l'agenda, dal titolo: «Un nuovo dialogo USA-Europa sulla difesa del territorio».
Ecco cosa sono venuti a dirci: se volete la nostra «amicizia», un «nuovo dialogo transatlantico», voi europei dovete estendere all'Europa e alla NATO le misure di polizia e leggi speciali emanate da Bush dopo l'11 settembre.

In USA ormai non solo le intercettazioni extralegali sono ammesse, ma la NSA (National Security Agency) sta allestendo campi di concentramento (da riempire con americani dissidenti, «complici oggettivi» del terrorismo islamico), e il Pentagono - in violazione della Costituzione - si sta preparando al mantenimento dell'ordine interno: insomma l'apparato specifico di un colpo di Stato, messo in atto con la giustificazione di uno «stato d'emergenza» imminente, che sarà un'ottima occasione per mettere sotto controllo anti-democratico la popolazione USA.
Si fanno i primi passi per mettere internet sotto controllo, attraverso l'obbligo di pagamento per i contenuti e per le e-mail.
Il potere dell'esecutivo è assoluto e incontrollato.
Chi entra in USA anche solo per prendere un aereo di coincidenza viene fotografato e gli vengono prese le impronte digitali.
Gli Stati Uniti sono ormai un regime poliziesco che somiglia ogni giorno di più alla Germania Est dei bei tempi.

Ma non basta.
Ora i golpisti dell'11 settembre esigono che queste misure da stato d'eccezione siano adottate anche dall'Europa e dalla NATO; per esempio consentendo alle polizie e alle forze di sicurezza americane di operare sul territorio europeo, insomma estendendo alla «vecchia» quel che la «nuova Europa», Romania e Polonia, hanno già fatto ospitando i campi d'internamento e d'interrogatorio della CIA. In questo quadro, gli americani vogliono che la NATO diventi la forza di sicurezza interna, che controlli il territorio e i cittadini europei, tutto naturalmente nel nome della «lotta al terrorismo» e dell'«ordine pubblico» interno.
Non è un'ipotesi.
E' l'ordine del giorno che si dovrà discutere al vertice della NATO programmato per l'autunno a Riga («nuova Europa»).
Il quadro di un controllo militare sui propri cittadini.



L'Europa nicchia un po'.
Ecco la rabbia americana.
Voi, ci hanno detto, vivete «nella devastante convinzione che l'Europa sia immune da mega-attacchi» perché siete rammolliti, senza fibra morale, pacifisti (le tesi di Giuliano Ferrara).
Invece no, il mega-attentato arriverà.
Islamico, naturalmente: e già vedete che i musulmani bruciano le vostre ambasciate.
«Non è questione di se, ma di quando»: una minaccia chiarissima.
Il nostro nemico è il nostro alleato.

Maurizio Blondet




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Note
1) Eir Strategic Alert, 6-9 febbraio 2006.
2) G. Fouché, «Danish paper rejected Jesus cartoons», Guardian, 6 febbraio 2006.
3) Peter van Ham, «Trans-atlantic tensions - How a relationship goes sour», International Herald Tribune, 7 febbraio 2006.
4) La setta messianica dei Lubavitcher scrive nei suoi opuscoli: «siamo in guerra. Non è solo una lotta per il potere, i beni o qualche vantaggio materiale; è uno scontro titanico sul futuro della civiltà mondiale [..] Questa guerra già dilaga in ogni nazione, in ogni istituzione, in ogni attività umana, Per questo è 'guerra mondiale' nel significato più radicale». E' l'esatto programma dei neocon, dello scontro di civiltà e…di Giuliano Ferrara. Confronta il mio «Chi comanda in America», Effedieffe, 2004, pagina 30.

ciao




_____
Kars2

Lucio Virzì
14-02-2006, 22:17
:tie:

maxsona
14-02-2006, 22:20
Quindi la CIA con un caccia radiocomandato che và a gasolio butterà giù il Pirellone ? :(

Sursit
14-02-2006, 22:33
Cosa vuol dire mega attentato in Italia?
Pensi che per arrivare a fare una cosa del genere, col sistema organizzato che c'è in Italia, si riesca a fare qualcosa del genere senza che una delle varie mafie non lo venga a sapere? Pensi che qualche quintale di esplosivo si riesca a racimolare senza passare inosservati? :rolleyes:
Forse lo faranno, ma non senza che i nostri governanti lo vengano a sapere.

beppegrillo
14-02-2006, 22:39
Cosa vuol dire mega attentato in Italia?
Pensi che per arrivare a fare una cosa del genere, col sistema organizzato che c'è in Italia, si riesca a fare qualcosa del genere senza che una delle varie mafie non lo venga a sapere? Pensi che qualche quintale di esplosivo si riesca a racimolare senza passare inosservati? :rolleyes:
Forse lo faranno, ma non senza che i nostri governanti lo vengano a sapere.
E seppure le mafie lo vengano a sapere,pensi che avvertano lo stato?
Ti sbagli di grosso, pensano solo ad i loro guadagni, e legami con i terroristi sono già stati dimostrati.
Ad esempio la camorra napoletana ha da sempre sepolto scorie radiottive nelle
terre campane, una persona normale direbbe, ci guadagno 1000 lire ma rischio di far venire la leucemia a me o i miei familiari non vale la candela, eppure...

^TiGeRShArK^
14-02-2006, 22:43
minkia...
mi state facendo consumare i goielli di famiglia stasera....

:tie:

Sursit
14-02-2006, 22:56
E seppure le mafie lo vengano a sapere,pensi che avvertano lo stato?
Ti sbagli di grosso, pensano solo ad i loro guadagni, e legami con i terroristi sono già stati dimostrati.
Ad esempio la camorra napoletana ha da sempre sepolto scorie radiottive nelle
terre campane, una persona normale direbbe, ci guadagno 1000 lire ma rischio di far venire la leucemia a me o i miei familiari non vale la candela, eppure...
Sì, lo credo perchè altrimenti i terroristi si porrebbero più in alto della mafia. Cosa che non può essere permessa.

coldd
14-02-2006, 23:06
Cosa vuol dire mega attentato in Italia?
Pensi che per arrivare a fare una cosa del genere, col sistema organizzato che c'è in Italia, si riesca a fare qualcosa del genere senza che una delle varie mafie non lo venga a sapere? Pensi che qualche quintale di esplosivo si riesca a racimolare senza passare inosservati? :rolleyes:
Forse lo faranno, ma non senza che i nostri governanti lo vengano a sapere.

spero tu stia scherzando



gli attentati in italia non li fanno xche la nostra nazione non conta niente sul piano internazionale

Swisström
14-02-2006, 23:11
Cosa vuol dire mega attentato in Italia?
Pensi che per arrivare a fare una cosa del genere, col sistema organizzato che c'è in Italia, si riesca a fare qualcosa del genere senza che una delle varie mafie non lo venga a sapere? Pensi che qualche quintale di esplosivo si riesca a racimolare senza passare inosservati? :rolleyes:
Forse lo faranno, ma non senza che i nostri governanti lo vengano a sapere.

certo :rotfl:
Negli states son riusciti a buttare giù due torri e 5 aerei... e in Italia pensate di venire a saperlo prima che accada? :rotfl:


e protetti da chi? CIA, FBI, NSA, servizi segreti? polizia? NO, dalla mafia :sbonk:

coldd
14-02-2006, 23:13
certo :rotfl:
Negli states son riusciti a buttare giù due torri e 5 aerei... e in Italia pensate di venire a saperlo prima che accada? :rotfl:

tranne forse negli usa, un'attentato si puo organizzare senza problemi in qualsiasi paese

Swisström
14-02-2006, 23:18
tranne forse negli usa, un'attentato si puo organizzare senza problemi in qualsiasi paese

Infatti ;)

noi qui in SVizzera abbiamo una polizia discretamente organizzata, ma non siamo assolutamente in grado di combattere efficacemente il terrorismo (anche perchè qui da noi si mimetizzano bene :asd: )

Secondo me i meglio messi sono tedeschi ed inglese qui in europa

Banus
14-02-2006, 23:19
L'articolo mi sembra abbastanza approssimativo, e comunque di Blondet non mi fiderei molto :p

I legami fra il CEPOS e il Jyllands-Posten sono abbastanza labili: uno dei fondatori (http://www.cepos.dk/cms/index.php?id=119) del CEPOS, David Gress (http://en.wikipedia.org/wiki/David_Gress) scrive sul Jyllands-Posten, ma non c'è nessuna relazione apparente fra lui e la vicenda delle vignette. Chi le ha pubblicate invece, Flemming Rose, compare in un paio di pagine del sito, in danese e quindi non so riferire il contenuto :p

L'immagine degli USA è dipinta a tinte fin troppo fosche. Rigurado alle intercettazioni infatti ci sono proposte di leggi per limitare il potere della NSA (qui (http://punto-informatico.it/p.asp?i=57804&r=PI) e qui (http://punto-informatico.it/p.asp?i=57806&r=PI)): ora che Bush ne ha ammesso pubblicamente l'uso, deve anche subirne le conseguenze ;)

Sursit
15-02-2006, 06:51
certo :rotfl:
Negli states son riusciti a buttare giù due torri e 5 aerei... e in Italia pensate di venire a saperlo prima che accada? :rotfl:


e protetti da chi? CIA, FBI, NSA, servizi segreti? polizia? NO, dalla mafia :sbonk:
Bè, sai, può sembrare paradossale. Per te che sei svizzero.
Qui il controllo del territorio, non dappertutto, ma in molte zone sì, è in mano alla criminalità organizzata. Non è da moderno Pese industrializzato, certo, ma è così. :cry:
Tu ridi, io piango.

Kars
28-02-2006, 00:06
Un mega-attentato per colpire l’Iran?
Maurizio Blondet
26/02/2005
L'installazione petrolifera saudita di Abqaiq

Un grosso attentato «islamico» è imminente?
La voce circola negli ambienti dell'intelligence.
E il motivo c'è.
Philip Giraldi è un ex alto funzionario della CIA.
Nel numero di Agosto 2005 del periodico American Conservative, Giraldi disse che Cheney e Rumsfeld avevano istruito il Pentagono di preparare i piani per un attacco all'Iran: il piano doveva essere pronto a scattare «in risposta ad un altro attacco terroristico tipo 11 settembre».
E aggiungeva: «come nel caso dell'Iraq, tale risposta non è condizionata dal fatto che l'Iran sia davvero implicato nell'atto di terrorismo contro gli Stati Uniti» («the response is not conditional on Iran actually being involved in the act of terrorism»).
Si può essere più chiari?
Cheney e Rumsfeld «sanno già» che un attentato «deve» accadere, per giustificare l'intervento in Iran.
Lo scenario immaginabile è lineare:
1) si verifica un «nuovo», terrorizzante e spettacolare 11 settembre;
2) la Casa Bianca accusa l'Iran di essere il mandante dell'attentato, in base a «prove» che non può rivelare per non scoprire le sue fonti d'intelligence;
3) cominciano i bombardamenti sulle installazioni nucleari iraniane.

L'attentato auspicato, naturalmente, dovrà essere abbastanza enorme e sanguinoso da convincere l'opinione pubblica e il Congresso americano, terrorizzati, che è necessaria un'altra guerra.
Le operazioni in Iraq e Afghanistan vanno male, costano al Paese 7 miliardi di dollari al mese senza che una fine sia in vista, e la nazione americana è indebitata ad un livello senza precedenti (8 mila miliardi di dollari); senza un evento traumatico, c'è motivo di ritenere che il parlamento e il popolo si opporrebbero a un'ulteriore avventura militare, anch'essa senza fine certa.
La domanda che circola negli ambienti ben informati è dunque: è pronta la Casa Bianca a fare la guerra all'Iran?
Perché dalla risposta dipende se ci sarà o no, prima, l'attentato «islamico».
I segnali non sono univoci.
Gli ambienti suddetti guardano con apprensione il susseguirsi di visite importanti avvenute nelle ultime settimane ad Ankara: Condoleezza Rice, il direttore dell'FBI Robert Mueller, il capo della CIA Porter Goss.
A che scopo?
Perché la Turchia, che condivide un confine con l'Iran, è essenziale alle operazioni contro Teheran.

Occorre che consenta allo stazionamento nel suo territorio del 12% delle forze aeree e cingolate israeliane.
Le prime, perché il volo dei caccia da Israele all'Iran richiede almeno un rifornimento in volo.
Le seconde per un motivo più allarmante: anche se si ritiene che l'attacco a Teheran sarà «solo» aereo, una puntata offensiva terrestre pare prevista per occupare la provincia iraniana del Khuzestan, che sta al confine con l'Iraq e contiene il 90% dei giacimenti petroliferi iraniani.
Ciò strapperebbe a Teheran la sua fonte principale di ricatto internazionale, e sarebbe una succosa preda di guerra per il settore petrolifero americano (1).
E' certo che gli importanti visitatori ad Ankara hanno discusso di questo.
Secondo Der Spiegel che ne parlò a dicembre, Porter Goss avrebbe assicurato ai turchi che «saranno informati con qualche ora di anticipo di ogni attacco aereo contro l'Iran» (sic).
Ma è ovvio che Ankara, dov'è al governo la componente islamica (pur se «moderata»), stia facendo resistenza.
Dalla resistenza turca dipende in gran parte la «preparedness» israelo-americana alla guerra, e dunque se ci sarà il previo, necessario attentato islamico.
D'altra parte, l'opinione pubblica occidentale è già stata psicologicamente preparata ad accettare la nuova guerra.

In Europa, con le vignette danesi e la furiosa reazione araba hanno cambiato uno stato d'animo (che i neocon USA giudicavano deplorevolmente passivo) in un'attiva, militante ostilità anti-islamica di massa.
Sia stata o no deliberata (come noi crediamo) la faccenda delle vignette, lo stato d'animo paranoico creato nelle masse rappresenta una «finestra di opportunità» che va sfruttata prima che si richiuda.
L'opinione pubblica americana è già stata preparata dall'allarmismo dei suoi media.
Un sondaggio Gallup ha rivelato che ormai 31 americani su 100 guardano all'Iran come al «peggior nemico» degli Stati Uniti: con un aumento del 14% rispetto al mese precedente, e a molta distanza dall'Iraq che, per quanto occupato, resta il secondo «peggior nemico» per 21 americani su 100, e dalla Corea del Nord (di cui i media parlano poco), ferma al 15% (2).
Il mega-attentato preliminare avverrà negli USA?
E' possibile, ma non certo.
Secondo alcuni analisti, anzi, il tentato attacco del 24 febbraio alle più importanti installazioni petrolifere saudite ad Abqaiq, poteva essere l'attentato auspicato da Cheney e da Rumsfeld.
L'attentato è stato sventato dall'eroica determinazione di alcune guardie saudite, che non hanno esitato a sparare contro tre auto dell'azienda perché si avvicinavano alle sbarre d'entrata accelerando; le tre auto-bomba sono così esplose fuori dal complesso petrolchimico.

Se fosse andato a buon fine, l'attentato sarebbe stato meno spettacolare e telegenico dell'11 settembre, ma avrebbe di colpo rincarato astronomicamente i carburanti in tutto il mondo: motivo sufficiente per scatenare la guerra a Teheran, che mette in pericolo tutti gli automobilisti.
E' solo un'ipotesi, ma ha dalla sua un indizio preciso.
Un think tank americano, la Jamestown Institution, aveva postato sul suo sito, proprio il giorno «precedente» al fallito attacco ad Abqaiq, un articolo straordinariamente profetico evidentemente preparato giorni prima: «impianti petroliferi sauditi: il prossimo bersaglio di Al Qaeda?» (3). L'articolista profetico notava che «il 19 gennaio Osama bin Laden ha rotto 14 mesi di silenzio
per annunciare che la sua organizzazione prepara altri attacchi contro l'Occidente: la guerra contro l'America, ha detto, non sarà confinata all'Iraq. Che altre nostre operazioni siano scatenate in America è solo questione di tempo. Sono in fase di preparazione».
L'autore speculava che questo attacco annunciato avrebbe potuto colpire l'Arabia Saudita, per bloccare le forniture petrolifere all'Occidente.
E indicava precisamente «la gigantesca raffineria di Abqaiq, a 25 miglia dalla costa del Golfo di Bahrein, che da sola raffina i due terzi del greggio dell'Arabia Saudita».

Un attentato a Abqaiq ridurrebbe per due mesi la produzione dagli attuali 6,8 milioni di barili al giorno, a solo uno, «una perdita equivalente a un terzo del consumo giornaliero americano».
E forse, avrebbe fatto mancare alle forniture globali un decimo del petrolio richiesto.
Con ripercussioni spaventose sui prezzi, già assai tesi.
Tale previsione non deve nulla all'astrologia.
E non solo perché ad Abqaiq abitano oltre mille americani che vi lavorano, e fra cui è sicuramente la CIA.
La Jamestown Intitution è una fondazione d'analisi poltica poco nota, ma assai importante: è capeggiata da Zbigniew Brzezinsky, già consigliere della Sicurezza Nazionale sotto Carter e uomo di punta del Council on Foreign Relations (CFR).
Vero è che Brezezinsky ha espresso critiche anche dure sull'avventura di Bush in Iraq: ma per il «modo», non per la cosa in sé.
La Jamestown pare essere la camera di compensazione al cui interno Brzezinsky e la vecchia guardia imperiale geopolitica (quella di Kissinger e, appunto, del CFR) sta riallacciando i buoni rapporti con i neocon, i neo-imperialisti che l'hanno detronizzata.
In ogni caso, in Arabia Saudita l'attentato è stato sventato.

Perciò «deve» avvenire da qualche parte.
Anche in un paese «alleato» degli USA?
Possibile; in Italia?
Le misure di sicurezza eccezionali messe in atto attorno alle Olimpiadi invernali di Torino indica che il timore c'era.
I disordini anti-italiani di Bengasi sono un altro segnale.
Una prossima occasione possono essere le elezioni politiche: la presenza dei media stranieri garantirebbe la massima visibilità TV all'attentato.
E l'Italia è stata finora risparmiata dalla cosiddetta Al Qaeda.
Ancora una volta: si può credere che siano ipotesi senza fondamento.
Che l'invasione dell'Iran (e l'attentato necessario preliminare), già tante volte annunciati, non avverranno.
Ma un segnale contrario viene da un osservatorio oggettivo: le quotazioni dell'oro.
Come si sa, l'oro, il cui prezzo è rimasto piatto per quasi un quarto di secolo, si vendeva a 250 dollari l'oncia nel 2001, ma da allora è aumentato fino a 550 dollari.
E' un prezzo ancora lontano dagli 850 che il metallo raggiunse nel 1980, ma sta ancora salendo.
Il mercato dei future sull'oro ha già scontato aumenti ancora più forti.
Alcuni analisti predicono persino che arriverà a 5 mila dollari l'oncia.

E' il segno che le mani forti della speculazione continuano a fare incetta di oro, anche a prezzi proibitivi.
Ora, come ci è stato ripetuto mille volte, detenere oro in periodi normali è un pessimo investimento, perché i lingotti non danno interessi né dividendi.
Solo se i tempi non sono normali l'oro diventa «conveniente» per gli speculatori: come bene-rifugio. L'oro sale quando gli investitori finanziari perdono fiducia nella moneta cartacea di riferimento (oggi il dollaro), e «sentono» vicino un periodo di instabilità esplosiva e rilevante: sia un'altra guerra, sia un altro 11 settembre, sia la rottura delle forniture petrolifere.
Il primo motivo, in verità, già sarebbe sufficiente a spiegare il rincaro dell'oro.
Gli USA hanno un deficit commerciale mai visto nella storia, oltre i 725 miliardi di dollari, e un debito pubblico stellare; e il bilancio di previsione di Bush per il 2007 propone di aumentare i due deficit di altri 192 miliardi in cinque anni.
Ossia promette di stampare ancora più dollari per pagare i suoi fornitori esteri, sempre più Buoni del Tesoro da gettare ai suoi creditori.
Si avvicina il momento in cui il dollaro sarà valutato per quel che è: carta straccia, sostenuta nel corso da un'egemonia insostenibile e irripetibile.

La Cina, che già sta lentamente diversificando le sue riserve alleggerendosi di dollari in cambio di euro, ha aperto ora il suo mercato di scambi in oro.
Alcuni Stati islamici ricchi hanno già cominciato a condurre certi commerci bilaterali in dinari d'oro.
E il momento della verità può fare un passo decisivo a marzo, quando l'Iran aprirà la sua borsa petrolifera nazionale, dove ha annunciato che accetterà euro per il suo greggio.
Di per sé, forse, questo non sarebbe sufficiente al tracollo del dollaro.
Ma altre nazioni stanno cominciando ad accettare euro contro petrolio: Venezuela, Russia, Libia, Indonesia e Malaysia.
Il dollaro sta già perdendo il suo privilegio come moneta-petrolio, e dunque la sua «copertura».
Ciò imprime un'ulteriore urgenza ai piani d'attacco all'Iran.
Tout se tient, come si vede.
L'attacco «deve avvenire» presto.
E così il mega-attentato che lo motiverà.

Maurizio Blondet

Note
1) I neocon in realtà vogliono soprattutto eliminare uno ad uno i potenziali avversari bellici d'Israele. Ma non avrebbero potuto trascinare gli Stati Uniti in quest'avventura, se non si fossero garantiti l'alleanza di comodo con i due poteri forti che avrebbero potuto porre il veto: il settore militare-industriale e la finanza petrolifera. Il primo ha, con la guerra di lunga durata, le desiderate commesse senza fine e senza limiti di spesa dal Pentagono. L'industria petrolifera ha avuto i rincari del greggio, e dunque gli enormi profitti conseguenti. Ma le si deve garantire un tornaconto ulteriore, per convincerla a non ostacolare l'aggressione all'Iran. I giacimenti del Khuzestan sono il suo compenso.
2) George Gedda, «Poll: americans see Iran as enemy nr.1», Associated Press, 24 febbraio 2006.
3) John C.K. Daly, «Saudi Oil Facilities: Al-Qaeda's Next Target?», Jamestown Institution, 23 febbraio 2006. Nell'articolo si ricorda che Osama ha già attaccato interessi petroliferi in passato. E come esempio, significativamente, si ricorda l'affondamento della Limburg, superpetroliera francese che portava 400 mila barili di greggio dall'Iran alla Malaysia. Il 6 ottobre 2002 la Limburg fu abbordata da battelli esplosivi nella rada di Aden: l'attentato fu rivendicato da Al Qaeda. I servizi francesi vi lessero un avvertimento non tanto di Al Qaeda, quanto dei suoi mandanti. Il messaggio infatti diceva: non creda la Francia, per le sue posizioni americane, di essere al sicuro da attentati «arabi».


ciao



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Kars2

Alexis80
28-02-2006, 00:46
Beh l'europa una cosa sola dovrebbe fare unirsi e far capire agli americani che ormai loro non sono più una potenza economica, e gli rimangono solo le armi, quei 3, che definirli prof. universitari sarebbe una bestemmmia, farebbero meglio a guardarsi in casa; Sono così sicuri che l'europa avrà un attentato solamente perchè saranno gli americani stessi a provocarlo, gli Usa si stanno accorgendo che le scusa del terrorismo non regge più molto, e che l'iraq per loro è stato un fallimento peggiore di quello del Vietnam. Vogliono mantenere alta sempre la tensione tra gli stati e tra i popoli e ci stanno riuscendo grazie ad un terrorismo prima Mediatico e poi armato; si accorgono di essere diventati più deboli e vogliono consensi e compagni di merende per continuare ad esportare la loro democrazia petrolifera. Fra un pò dichiareranno guerra all'Iran perchè ha più petrolio dell'iraq e ha anche un pò di miniere di Uranio. Due costosissime fonti energetiche.
Una cosa certa tutto è cominciato da loro e la cosa che mi fa strainca@@are è che il nostro futuro dipende da come si svegliano loro la mattina.