maxsona
30-01-2006, 17:44
Chirac e il nucleare, il mai sopito orgoglio nazionale francese
Pier Francesco Galgani, 30 gennaio 2006
Lo scorso 19 gennaio il presidente Jacques Chirac, parlando di fronte al corpo militare di stanza nella base per sottomarini atomici di l’Ile Longue in Bretagna, ha sostenuto che la Francia, sottoposta alla minaccia di un attacco ai propri interessi vitali da parte di uno Stato sostenitore del terrorismo, potrebbe reagire in modo convenzionale oppure mediante l’uso di armi atomiche. Secondo Chirac gli interessi vitali da tutelare sarebbero sia la sicurezza degli approvvigionamenti strategici, come l’energia, sia la difesa della nazioni alleate.
E’ la prima volta che il presidente francese minaccia di usare la forza nucleare per contrastare il pericolo di attacchi terroristici, identificando così chiaramente quali sono gli interessi vitali da proteggere. La scelta dei tempi per tale rilevante revisione della strategia atomica francese non è casuale: fu proprio nel gennaio del 1963 che Charles De Gaulle, di cui Chirac si considera l’erede, si oppose all’ingresso della Gran Bretagna nella Cee, causando una delle più gravi crisi del processo di integrazione europeo. Del resto l’arma atomica francese, conosciuta anche come “force de frappe” costituisce il contributo strategico più importante lasciato dal generale De Gaulle al suo Paese.
Tra i motivi dell’uscita di Chirac vi sarebbero sia ragioni di natura interna sia ragioni di natura internazionale. In primo luogo il costo del mantenimento dell’armamento nucleare. In un Paese come la Francia che nel corso del 2005 ha avuto un deficit/pil superiore al 4,1 per cento, ben oltre il limite del Patto di Stabilità europeo, ha dovuto affrontare la rivolta delle banlieues con le inevitabili crescenti tensioni sociali, rilanciare la force de frappe può essere un modo corretto sia per giustificare il mantenimento di una spesa annua di 3,5 miliari di dollari per mantenere in esercizio appena 350 testate atomiche sia per distrarre l’opinione pubblica dalle problematiche interne facendo appello al mai sopito orgoglio nazionale francese.
Non solo. Con la progettata revisione della strategia nucleare e con le prossime elezioni presidenziali del 2007 ormai vicine, Chirac ha voluto rafforzare la posizione del suo attuale primo ministro Dominique De Villepin contro il suo possibile rivale Nicolas Sarkozy che in passato si era detto contrario alle spese di mantenimento della force de frappe. Per quanto riguarda invece le motivazioni di politica estera, secondo Dominique Moisi dell’Istituto francese per le relazioni internazionali (Ifri) il messaggio di Chirac sarebbe rivolto all’Iran: l’annuncio delle nuova dottrina atomica francese è arrivato pochi giorni dopo il fallimento dei negoziati sul programma nucleare iraniano. Il trio europeo costituito da Gran Bretagna, Germania e Francia non era riuscito a convincere le autorità di Teheran ad abbandonare i loro propostiti atomici e in seguito alle ripetute minacce di Stati Uniti e Israele di lanciare attacchi militari contro le installazioni nucleari iraniane, le parole di Chirac potrebbero essere un tentativo da parte di Parigi per riassumere l’iniziativa con le sue minacce di risposte atomiche.
Tuttavia, se così fosse, l’intervento francese potrebbe avere conseguenze controproducenti. Prima di tutto contribuirebbe a minare qualsiasi credibilità da parte dell’Eliseo nella campagna contro la proliferazione nucleare. Secondo Francois Heisbourg della Fondazione per la ricerca strategica di Parigi, le parole pronunciate da Chirac a l’Ile Longue non sono il discorso da fare per convincere qualcuno a non dotarsi di armi atomiche. In secondo luogo, l’uscita del presidente potrebbe mettere a rischio i futuri colloqui europei con Teheran per indurre le autorità islamiche a ripensare i loro piani nucleari.
Ma allora, se il movente iraniano dell’intervento di Chirac non appare molto credibile, per quale motivo di politica internazionale, a parte le necessità interne, l’attuale inquilino dell’Eliseo ha voluto riaffermare la centralità delle forze nucleari francesi? Nell’ambito di una strategia volta a rafforzare l’ormai traballante e logoro ruolo internazionale della Francia, i destinatari dell’iniziativa del vecchio presidente sono sia gli Stati Uniti sia la Germania della nuova cancelliera Angela Merkel. L’America di Bush e dei teorici neocon della guerra al terrore anche con attacchi preventivi perché con le inaspettate minacce agli “stati canaglia” Chirac non ha più intenzione di lasciare il monopolio della deterrenza contro i terroristi solo a Washington.
D’altra parte sono ormai lontani i primi mesi del 2003 quando il presidente francese era osannato dalla piazze pacifiste di mezza Europa per la sua opposizione alla guerra in Iraq e l’allora ministro degli Esteri De Villepin si scontrava con Colin Powell al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La diplomazia francese è in difficoltà e probabilmente, anche a causa del logoramento della leadership dello stesso Chirac, la posizione di Parigi sulla scena internazionale appare sempre più marginale. Con la scomparsa di Arafat nel novembre del 2004, Parigi ha perso il suo interlocutore privilegiato nel conflitto israelo-palestinese e il presidente francese è stato costretto a scimmiottare le mosse diplomatiche statunitensi definendo “coraggiosa” la politica di Ariel Sharon.
Di conseguenza, quale potrebbe essere il miglior modo per tentare di superare le divisioni con Washington e rilanciare il ruolo internazionale di Parigi se non riaffermare l’importanza della force de frappe da mettere al servizio di un remoto, ma pur sempre possibile attacco degli Stati che sostengono il terrorismo, come ha sempre sostenuto Bush? Considerazioni simili vanno fatte anche per i rapporti franco-tedeschi. Sebbene, secondo Zaki Laidi, professore di Scienze Politiche all’università di Parigi, la relazione tra i due Paesi europei si presenti ancora istituzionalmente molto forte, l’avvento alla cancelleria di Berlino di Angela Merkel ha comportato cambiamenti di rilievo rispetto al rapporto di amicizia anche personale instaurato da Chirac con Gerhard Schroeder.
Malgrado la Merkel abbia sostenuto di voler ispirare la propria politica estera alle tradizionali direttrici della diplomazia tedesca, la sua stessa origine ed esperienza personale, la giovinezza trascorsa nella ex Ddr comunista e l’evoluzione dell’Unione Europea con il suo progressivo allargamento a nazioni dell’ex Europa dell’est l’hanno subito indotta a cercare di riposizionare al centro del continente europeo la sua Germania. Per fare questo ha provato a ricucire i rapporti con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dopo i contrasti sulla guerra in Iraq mettendo in secondo piano la visione di Chirac di un mondo multipolare, favorita da Schroder, in cui più potenze come Europa, Russia e Cina possono agire per controbilanciare l’influenza di Washington.
A Mosca ha fatto capire a Putin che per Berlino la Russia rimane un importante partner strategico ma che i buoni rapporti con i vicini Paesi dell’est sono considerati prioritari in vista dell’ulteriore allargamento della Unione Europea, togliendo enfasi al rapporto con Mosca assegnata dal suo predecessore. Lo stesso discorso va fatto per i rapporti franco-tedeschi. Se la collaborazione tra Parigi e Berlino rimane fondamentale per lo sviluppo dell’integrazione europea, secondo la nuova cancelliera, il rapporto dovrà essere impostato in modo diverso, evitando relazioni troppo strette che potrebbero mettere in secondo piano altre realtà nazionali di nuova appartenenza europea.
A causa del notevole attivismo diplomatico tedesco, la Francia si è vista sottrarre un ruolo che non le sarà facile recuperare, per cui, con la rivalutazione della force de frappe, di cui la Germania è da sempre priva, Chirac ha voluto riaffermare la volontà del suo Paese di continuare ad esercitare il proprio tradizionale ruolo di leadership in Europa. Nemmeno i sorrisi e le strette di mano tra il presidente e la Merkel, nel loro incontro di Versailles dello scorso 23 gennaio, sono riusciti a cancellare la tensione fra le due cancellerie.
http://www.paginedidifesa.it/2006/galgani_060130.html
Chirac e il nucleare, come giustificarne l’esistenza
Franco Apicella, 30 gennaio 2006
L’arsenale nucleare francese è costituito da 250-300 testate distribuite tra quattro sottomarini a propulsione nucleare e una sessantina di velivoli, Mirage 2000N dell’aeronautica e Super-Etendard imbarcati sulla portaerei Charles-de-Gaulle. La spesa per mantenere questo arsenale è valutata in circa tre miliardi di euro, pari al dieci per cento del bilancio della Difesa. Il presidente Chirac ha di recente dato un aggiornamento pubblico della dottrina francese di impiego dell’arma nucleare con un discorso pronunciato il 19 gennaio alla base navale de l'Ile Longue a Brest, in Bretagna.
Chirac ha annunciato che tra il 2008 e il 2010 entreranno in servizio due nuovi missili: M51 lanciato dai sottomarini con una gittata utile di 9.000 kilometri; Asmpa (air-sol moyenne portée amélioré) imbarcato sugli aerei. Ma soprattutto il presidente francese ha dato tre precise indicazioni: l’arma nucleare potrebbe essere impiegata contro Stati che sponsorizzano il terrorismo; non si tratterebbe comunque di utilizzare il nucleare a fini militari in un conflitto né contro i terroristi; infine, la difesa di Paesi alleati è uno degli interessi vitali che la Francia considera di dover perseguire anche con il ricorso al nucleare.
Il cancelliere tedesco Merkel ha sostanzialmente concordato con Chirac, affermando pochi giorni dopo il suo discorso: “E’ importante chiarire ancora una volta che si tratta di deterrenza e in questo non c’è nulla da criticare”. Altri invece si sono espressi diversamente, come il quotidiano spagnolo El Pais che ha giudicato il discorso di Chirac “radicale e pericoloso” e il belga De Morgen che in un suo editoriale scrive: “Jacques Chirac è un idiota. Vive in un momento in cui la Francia non è più una potenza mondiale ma agisce ancora come se dovesse continuare la dinastia napoleonica”.
Nel suo intervento Chirac aveva lanciato un monito verso quei “governanti che dovessero fare ricorso a mezzi terroristici […] e a quelli che intendessero utilizzare armi di distruzione di massa”. Nei loro confronti si ricorrerebbe a “una risposta ferma e adeguata che potrebbe essere convenzionale” ma anche “di altra natura”. Chirac ha precisato: “Contro una potenza regionale, la nostra scelta non è tra l’inazione e l’annientamento. La flessibilità delle nostre forze strategiche ci permetterebbe di esercitare la nostra risposta sui suoi centri di potere, sulla sua capacità di agire”.
In realtà non c’è molto di nuovo in questa strategia, compresa la precisazione che “la dissuasione non è destinata a dissuadere terroristi fanatici”. Ciò indica la volontà della Francia di mantenere il ricorso al nucleare sul piano di un eventuale confronto simmetrico tra Stati. In questo ambito Chirac ha cercato di accreditare l’impiego dell’arma nucleare non come strumento militare ma come atto di volontà politica. Dice infatti il presidente che “non si tratterebbe in alcun caso di utilizzare mezzi nucleari per fini militari nell’ambito di un conflitto”, ma per la salvaguardia degli “interessi vitali del Paese”.
Rimane comunque difficile pensare che anche l’eventuale ricorso a una ritorsione nucleare possa sottrarsi alle regole della strategia militare. Lo stesso Chirac quando parla di colpire “centri di potere” e “capacità di agire” grazie alle sue forze nucleari che si sono evolute nel senso della “agilità, flessibilità e precisione” non fa altro che enunciare postulati di dottrina militare. Se poi l’obiettivo delle minacce di Chirac fosse l’Iran - come alcuni commentatori hanno ipotizzato - un eventuale intervento nucleare potrebbe rivelarsi non risolutivo senza il dispiegamento di una contestuale capacità convenzionale.
Lascia perplessi anche l’affermazione secondo cui il deterrente nucleare francese potrebbe servire alla difesa dei Paesi alleati nella “prospettiva di una Europa forte, responsabile della sua sicurezza”. L’ombrello nucleare americano è diventato ben presto un arnese scomodo dopo la fine della Unione Sovietica; non si vede ora a cosa possa servire un leggiadro parasole francese, per il quale sarebbero da concordare ex novo regole e procedure.
La sortita di Chirac riprende per certi aspetti una dichiarazione fatta pochi giorni prima - l’11 gennaio - dal ministro della Difesa russo. Ivanov aveva affermato che “la Russia non intende rinunciare alla sua capacità nucleare (militare, ndr), poiché essa rappresenta un deterrente decisivo e uno strumento cruciale nella protezione degli interessi nazionali e nel perseguimento di certi obiettivi politici”. Sembra dunque di assistere a una rivalutazione dell’arma nucleare, quanto meno nel suo ruolo tradizionale di deterrente.
Ma questa rivalutazione potrebbe anche avere altre due motivazioni, la prima di ordine pratico ed economico, la seconda più strettamente politica. L’arsenale nucleare costa ma forse sarebbe ancora più costoso disfarsene, soprattutto nel mondo occidentale dove bisogna fare i conti con legioni di ecologisti. Tanto vale quindi giustificarne l’esistenza con ipotesi di impiego plausibili. Sul piano politico lo status di potenza nucleare militare è una garanzia per quelle potenze regionali che in un futuro prossimo costituiranno l’unico contrappeso della superpotenza mondiale, gli Usa. Forse Chirac pensa così a un’Europa armata della force de frappe francese. Il che potrebbe non dispiacere neppure alla signora Merkel.
http://www.paginedidifesa.it/2006/apicella_060130.html
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Pier Francesco Galgani, 30 gennaio 2006
Lo scorso 19 gennaio il presidente Jacques Chirac, parlando di fronte al corpo militare di stanza nella base per sottomarini atomici di l’Ile Longue in Bretagna, ha sostenuto che la Francia, sottoposta alla minaccia di un attacco ai propri interessi vitali da parte di uno Stato sostenitore del terrorismo, potrebbe reagire in modo convenzionale oppure mediante l’uso di armi atomiche. Secondo Chirac gli interessi vitali da tutelare sarebbero sia la sicurezza degli approvvigionamenti strategici, come l’energia, sia la difesa della nazioni alleate.
E’ la prima volta che il presidente francese minaccia di usare la forza nucleare per contrastare il pericolo di attacchi terroristici, identificando così chiaramente quali sono gli interessi vitali da proteggere. La scelta dei tempi per tale rilevante revisione della strategia atomica francese non è casuale: fu proprio nel gennaio del 1963 che Charles De Gaulle, di cui Chirac si considera l’erede, si oppose all’ingresso della Gran Bretagna nella Cee, causando una delle più gravi crisi del processo di integrazione europeo. Del resto l’arma atomica francese, conosciuta anche come “force de frappe” costituisce il contributo strategico più importante lasciato dal generale De Gaulle al suo Paese.
Tra i motivi dell’uscita di Chirac vi sarebbero sia ragioni di natura interna sia ragioni di natura internazionale. In primo luogo il costo del mantenimento dell’armamento nucleare. In un Paese come la Francia che nel corso del 2005 ha avuto un deficit/pil superiore al 4,1 per cento, ben oltre il limite del Patto di Stabilità europeo, ha dovuto affrontare la rivolta delle banlieues con le inevitabili crescenti tensioni sociali, rilanciare la force de frappe può essere un modo corretto sia per giustificare il mantenimento di una spesa annua di 3,5 miliari di dollari per mantenere in esercizio appena 350 testate atomiche sia per distrarre l’opinione pubblica dalle problematiche interne facendo appello al mai sopito orgoglio nazionale francese.
Non solo. Con la progettata revisione della strategia nucleare e con le prossime elezioni presidenziali del 2007 ormai vicine, Chirac ha voluto rafforzare la posizione del suo attuale primo ministro Dominique De Villepin contro il suo possibile rivale Nicolas Sarkozy che in passato si era detto contrario alle spese di mantenimento della force de frappe. Per quanto riguarda invece le motivazioni di politica estera, secondo Dominique Moisi dell’Istituto francese per le relazioni internazionali (Ifri) il messaggio di Chirac sarebbe rivolto all’Iran: l’annuncio delle nuova dottrina atomica francese è arrivato pochi giorni dopo il fallimento dei negoziati sul programma nucleare iraniano. Il trio europeo costituito da Gran Bretagna, Germania e Francia non era riuscito a convincere le autorità di Teheran ad abbandonare i loro propostiti atomici e in seguito alle ripetute minacce di Stati Uniti e Israele di lanciare attacchi militari contro le installazioni nucleari iraniane, le parole di Chirac potrebbero essere un tentativo da parte di Parigi per riassumere l’iniziativa con le sue minacce di risposte atomiche.
Tuttavia, se così fosse, l’intervento francese potrebbe avere conseguenze controproducenti. Prima di tutto contribuirebbe a minare qualsiasi credibilità da parte dell’Eliseo nella campagna contro la proliferazione nucleare. Secondo Francois Heisbourg della Fondazione per la ricerca strategica di Parigi, le parole pronunciate da Chirac a l’Ile Longue non sono il discorso da fare per convincere qualcuno a non dotarsi di armi atomiche. In secondo luogo, l’uscita del presidente potrebbe mettere a rischio i futuri colloqui europei con Teheran per indurre le autorità islamiche a ripensare i loro piani nucleari.
Ma allora, se il movente iraniano dell’intervento di Chirac non appare molto credibile, per quale motivo di politica internazionale, a parte le necessità interne, l’attuale inquilino dell’Eliseo ha voluto riaffermare la centralità delle forze nucleari francesi? Nell’ambito di una strategia volta a rafforzare l’ormai traballante e logoro ruolo internazionale della Francia, i destinatari dell’iniziativa del vecchio presidente sono sia gli Stati Uniti sia la Germania della nuova cancelliera Angela Merkel. L’America di Bush e dei teorici neocon della guerra al terrore anche con attacchi preventivi perché con le inaspettate minacce agli “stati canaglia” Chirac non ha più intenzione di lasciare il monopolio della deterrenza contro i terroristi solo a Washington.
D’altra parte sono ormai lontani i primi mesi del 2003 quando il presidente francese era osannato dalla piazze pacifiste di mezza Europa per la sua opposizione alla guerra in Iraq e l’allora ministro degli Esteri De Villepin si scontrava con Colin Powell al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La diplomazia francese è in difficoltà e probabilmente, anche a causa del logoramento della leadership dello stesso Chirac, la posizione di Parigi sulla scena internazionale appare sempre più marginale. Con la scomparsa di Arafat nel novembre del 2004, Parigi ha perso il suo interlocutore privilegiato nel conflitto israelo-palestinese e il presidente francese è stato costretto a scimmiottare le mosse diplomatiche statunitensi definendo “coraggiosa” la politica di Ariel Sharon.
Di conseguenza, quale potrebbe essere il miglior modo per tentare di superare le divisioni con Washington e rilanciare il ruolo internazionale di Parigi se non riaffermare l’importanza della force de frappe da mettere al servizio di un remoto, ma pur sempre possibile attacco degli Stati che sostengono il terrorismo, come ha sempre sostenuto Bush? Considerazioni simili vanno fatte anche per i rapporti franco-tedeschi. Sebbene, secondo Zaki Laidi, professore di Scienze Politiche all’università di Parigi, la relazione tra i due Paesi europei si presenti ancora istituzionalmente molto forte, l’avvento alla cancelleria di Berlino di Angela Merkel ha comportato cambiamenti di rilievo rispetto al rapporto di amicizia anche personale instaurato da Chirac con Gerhard Schroeder.
Malgrado la Merkel abbia sostenuto di voler ispirare la propria politica estera alle tradizionali direttrici della diplomazia tedesca, la sua stessa origine ed esperienza personale, la giovinezza trascorsa nella ex Ddr comunista e l’evoluzione dell’Unione Europea con il suo progressivo allargamento a nazioni dell’ex Europa dell’est l’hanno subito indotta a cercare di riposizionare al centro del continente europeo la sua Germania. Per fare questo ha provato a ricucire i rapporti con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dopo i contrasti sulla guerra in Iraq mettendo in secondo piano la visione di Chirac di un mondo multipolare, favorita da Schroder, in cui più potenze come Europa, Russia e Cina possono agire per controbilanciare l’influenza di Washington.
A Mosca ha fatto capire a Putin che per Berlino la Russia rimane un importante partner strategico ma che i buoni rapporti con i vicini Paesi dell’est sono considerati prioritari in vista dell’ulteriore allargamento della Unione Europea, togliendo enfasi al rapporto con Mosca assegnata dal suo predecessore. Lo stesso discorso va fatto per i rapporti franco-tedeschi. Se la collaborazione tra Parigi e Berlino rimane fondamentale per lo sviluppo dell’integrazione europea, secondo la nuova cancelliera, il rapporto dovrà essere impostato in modo diverso, evitando relazioni troppo strette che potrebbero mettere in secondo piano altre realtà nazionali di nuova appartenenza europea.
A causa del notevole attivismo diplomatico tedesco, la Francia si è vista sottrarre un ruolo che non le sarà facile recuperare, per cui, con la rivalutazione della force de frappe, di cui la Germania è da sempre priva, Chirac ha voluto riaffermare la volontà del suo Paese di continuare ad esercitare il proprio tradizionale ruolo di leadership in Europa. Nemmeno i sorrisi e le strette di mano tra il presidente e la Merkel, nel loro incontro di Versailles dello scorso 23 gennaio, sono riusciti a cancellare la tensione fra le due cancellerie.
http://www.paginedidifesa.it/2006/galgani_060130.html
Chirac e il nucleare, come giustificarne l’esistenza
Franco Apicella, 30 gennaio 2006
L’arsenale nucleare francese è costituito da 250-300 testate distribuite tra quattro sottomarini a propulsione nucleare e una sessantina di velivoli, Mirage 2000N dell’aeronautica e Super-Etendard imbarcati sulla portaerei Charles-de-Gaulle. La spesa per mantenere questo arsenale è valutata in circa tre miliardi di euro, pari al dieci per cento del bilancio della Difesa. Il presidente Chirac ha di recente dato un aggiornamento pubblico della dottrina francese di impiego dell’arma nucleare con un discorso pronunciato il 19 gennaio alla base navale de l'Ile Longue a Brest, in Bretagna.
Chirac ha annunciato che tra il 2008 e il 2010 entreranno in servizio due nuovi missili: M51 lanciato dai sottomarini con una gittata utile di 9.000 kilometri; Asmpa (air-sol moyenne portée amélioré) imbarcato sugli aerei. Ma soprattutto il presidente francese ha dato tre precise indicazioni: l’arma nucleare potrebbe essere impiegata contro Stati che sponsorizzano il terrorismo; non si tratterebbe comunque di utilizzare il nucleare a fini militari in un conflitto né contro i terroristi; infine, la difesa di Paesi alleati è uno degli interessi vitali che la Francia considera di dover perseguire anche con il ricorso al nucleare.
Il cancelliere tedesco Merkel ha sostanzialmente concordato con Chirac, affermando pochi giorni dopo il suo discorso: “E’ importante chiarire ancora una volta che si tratta di deterrenza e in questo non c’è nulla da criticare”. Altri invece si sono espressi diversamente, come il quotidiano spagnolo El Pais che ha giudicato il discorso di Chirac “radicale e pericoloso” e il belga De Morgen che in un suo editoriale scrive: “Jacques Chirac è un idiota. Vive in un momento in cui la Francia non è più una potenza mondiale ma agisce ancora come se dovesse continuare la dinastia napoleonica”.
Nel suo intervento Chirac aveva lanciato un monito verso quei “governanti che dovessero fare ricorso a mezzi terroristici […] e a quelli che intendessero utilizzare armi di distruzione di massa”. Nei loro confronti si ricorrerebbe a “una risposta ferma e adeguata che potrebbe essere convenzionale” ma anche “di altra natura”. Chirac ha precisato: “Contro una potenza regionale, la nostra scelta non è tra l’inazione e l’annientamento. La flessibilità delle nostre forze strategiche ci permetterebbe di esercitare la nostra risposta sui suoi centri di potere, sulla sua capacità di agire”.
In realtà non c’è molto di nuovo in questa strategia, compresa la precisazione che “la dissuasione non è destinata a dissuadere terroristi fanatici”. Ciò indica la volontà della Francia di mantenere il ricorso al nucleare sul piano di un eventuale confronto simmetrico tra Stati. In questo ambito Chirac ha cercato di accreditare l’impiego dell’arma nucleare non come strumento militare ma come atto di volontà politica. Dice infatti il presidente che “non si tratterebbe in alcun caso di utilizzare mezzi nucleari per fini militari nell’ambito di un conflitto”, ma per la salvaguardia degli “interessi vitali del Paese”.
Rimane comunque difficile pensare che anche l’eventuale ricorso a una ritorsione nucleare possa sottrarsi alle regole della strategia militare. Lo stesso Chirac quando parla di colpire “centri di potere” e “capacità di agire” grazie alle sue forze nucleari che si sono evolute nel senso della “agilità, flessibilità e precisione” non fa altro che enunciare postulati di dottrina militare. Se poi l’obiettivo delle minacce di Chirac fosse l’Iran - come alcuni commentatori hanno ipotizzato - un eventuale intervento nucleare potrebbe rivelarsi non risolutivo senza il dispiegamento di una contestuale capacità convenzionale.
Lascia perplessi anche l’affermazione secondo cui il deterrente nucleare francese potrebbe servire alla difesa dei Paesi alleati nella “prospettiva di una Europa forte, responsabile della sua sicurezza”. L’ombrello nucleare americano è diventato ben presto un arnese scomodo dopo la fine della Unione Sovietica; non si vede ora a cosa possa servire un leggiadro parasole francese, per il quale sarebbero da concordare ex novo regole e procedure.
La sortita di Chirac riprende per certi aspetti una dichiarazione fatta pochi giorni prima - l’11 gennaio - dal ministro della Difesa russo. Ivanov aveva affermato che “la Russia non intende rinunciare alla sua capacità nucleare (militare, ndr), poiché essa rappresenta un deterrente decisivo e uno strumento cruciale nella protezione degli interessi nazionali e nel perseguimento di certi obiettivi politici”. Sembra dunque di assistere a una rivalutazione dell’arma nucleare, quanto meno nel suo ruolo tradizionale di deterrente.
Ma questa rivalutazione potrebbe anche avere altre due motivazioni, la prima di ordine pratico ed economico, la seconda più strettamente politica. L’arsenale nucleare costa ma forse sarebbe ancora più costoso disfarsene, soprattutto nel mondo occidentale dove bisogna fare i conti con legioni di ecologisti. Tanto vale quindi giustificarne l’esistenza con ipotesi di impiego plausibili. Sul piano politico lo status di potenza nucleare militare è una garanzia per quelle potenze regionali che in un futuro prossimo costituiranno l’unico contrappeso della superpotenza mondiale, gli Usa. Forse Chirac pensa così a un’Europa armata della force de frappe francese. Il che potrebbe non dispiacere neppure alla signora Merkel.
http://www.paginedidifesa.it/2006/apicella_060130.html
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