majin mixxi
26-01-2006, 19:10
(Apcom) - Papa Paolo VI era ricattato per una sua presunta omosessualità e cercava una via d'uscita chiedendo aiuto al presidente del Consiglio Aldo Moro. E' quanto emerge dagli appunti riservati del generale Giorgio Manes, pubblicati su "L'Espresso" in edicola domani. "Il Papa - scriveva il 30 marzo 1967 l'allora vice-comandante dei Carabinieri, riferendo una confidenza fattagli dal socialdemocratico Mario Tanassi - preme su Moro e anche monsignor Costa (dirigente dell'Azione Cattolica e collaboratore del pontefice, n.d.r.) fu da lui". La ragione è di massima segretezza e riguarda "i suoi trascorsi giovanili. La Dc vorrebbe salvarlo, ma S. è deciso. Prelati ripetutamente da lui per cercare appoggio ad un compromesso". Ipotizzabile, scrive "L'Espresso" è che dietro quella "S" ci fosse il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che di Tanassi era compagno di partito. E che l'oggetto del ricatto fosse la presunta omosessualità di Paolo VI, della quale nove anni dopo parlò il suo libro il francese Roger Peyrefitte.
Ma non è l'unica rivelazione contenuta nelle carte di Manes, nascoste per anni dentro due valigie depositate in banca. Molti sono gli eventi cardine della vita pubblica italiana sui quali emergono informazioni riservate. In particolare, quelli che hanno visto protagonista il generale Giovanni De Lorenzo, con il quale Manes si scontrò ripetutamente, e che mise sotto accusa con un celebre memoriale sul presunto golpe progettato nel 1964. Ad esempio, il vice-comandante racconta un retroscena che riguarda il referendum del 1946, quando gli italiani dovettero scegliere tra Monarchia e Repubblica.
"L'allora commissario Marzano - si legge - possedeva un ingente deposito di armi", utili "per un colpo di forza nel caso il referendum fosse stato sfavorevole al re". Avendo però De Lorenzo constatato che "nel nuovo ordine di cose Marzano aveva avuto un posto come direttore automezzi, diffidò di lui, sgombrando di notte le armi". Cosicché, "il giorno successivo, la polizia le cercò invano". De Lorenzo, scrive Manes, riferisce l'episodio per "sfatare la sua nomea di monarchico", scomoda per un eventuale sostegno a sinistra nella seconda metà degli anni Sessanta, quando la presenza socialista al governo divenne una consuetudine.
Comunque sia, interessante è la rete dei rapporti del generale, che secondo Manes sostenne il democristiano Amintore Fanfani nella sua corsa al Quirinale. Anche con mezzi audaci. "Silurò il candidato Leone - si legge negli appunti - facendo fare un fotomontaggio con la signora e l'autista tramite Sifar". E quando Leone, "vistolo su un giornale, si rivolse attraverso Andreotti al Comandante generale", per chiedere l'apertura di un'inchiesta, fu liquidato con un depistaggio: "Quelli del Sifar hanno attribuito" la manovra "agli ambienti del Psdi".
Non mancano, nelle carte di Manes, i resoconti dei contatti segreti tra Pci e carabinieri, le trame con al centro il Vaticano e le manovre del giovane ministro Andreotti. Un ritratto dell'Italia di allora che è di straordinaria attualità in quella di oggi, dove le accuse dei Ds e le relative polemiche hanno fatto rievocare la celebre 'atmosfera da Sifar'. Nel caso del vice-comandante Manes, il finale è stato tragico. È morto nel 1969 in Parlamento, dopo aver bevuto caffè, mentre stava per essere ascoltato dalla commissione d'inchiesta sul presunto golpe del 1964. Materia su cui proprio 'L'Espresso' fece un clamoroso scoop, che contrappose in tribunale l'allora direttore Eugenio Scalfari e il redattore Lino Jannuzzi al generale De Lorenzo
Ma non è l'unica rivelazione contenuta nelle carte di Manes, nascoste per anni dentro due valigie depositate in banca. Molti sono gli eventi cardine della vita pubblica italiana sui quali emergono informazioni riservate. In particolare, quelli che hanno visto protagonista il generale Giovanni De Lorenzo, con il quale Manes si scontrò ripetutamente, e che mise sotto accusa con un celebre memoriale sul presunto golpe progettato nel 1964. Ad esempio, il vice-comandante racconta un retroscena che riguarda il referendum del 1946, quando gli italiani dovettero scegliere tra Monarchia e Repubblica.
"L'allora commissario Marzano - si legge - possedeva un ingente deposito di armi", utili "per un colpo di forza nel caso il referendum fosse stato sfavorevole al re". Avendo però De Lorenzo constatato che "nel nuovo ordine di cose Marzano aveva avuto un posto come direttore automezzi, diffidò di lui, sgombrando di notte le armi". Cosicché, "il giorno successivo, la polizia le cercò invano". De Lorenzo, scrive Manes, riferisce l'episodio per "sfatare la sua nomea di monarchico", scomoda per un eventuale sostegno a sinistra nella seconda metà degli anni Sessanta, quando la presenza socialista al governo divenne una consuetudine.
Comunque sia, interessante è la rete dei rapporti del generale, che secondo Manes sostenne il democristiano Amintore Fanfani nella sua corsa al Quirinale. Anche con mezzi audaci. "Silurò il candidato Leone - si legge negli appunti - facendo fare un fotomontaggio con la signora e l'autista tramite Sifar". E quando Leone, "vistolo su un giornale, si rivolse attraverso Andreotti al Comandante generale", per chiedere l'apertura di un'inchiesta, fu liquidato con un depistaggio: "Quelli del Sifar hanno attribuito" la manovra "agli ambienti del Psdi".
Non mancano, nelle carte di Manes, i resoconti dei contatti segreti tra Pci e carabinieri, le trame con al centro il Vaticano e le manovre del giovane ministro Andreotti. Un ritratto dell'Italia di allora che è di straordinaria attualità in quella di oggi, dove le accuse dei Ds e le relative polemiche hanno fatto rievocare la celebre 'atmosfera da Sifar'. Nel caso del vice-comandante Manes, il finale è stato tragico. È morto nel 1969 in Parlamento, dopo aver bevuto caffè, mentre stava per essere ascoltato dalla commissione d'inchiesta sul presunto golpe del 1964. Materia su cui proprio 'L'Espresso' fece un clamoroso scoop, che contrappose in tribunale l'allora direttore Eugenio Scalfari e il redattore Lino Jannuzzi al generale De Lorenzo