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View Full Version : Barroso: Yes Global è il futuro dell'Africa


Ewigen
27-12-2005, 15:44
Barroso: «sì global» è il futuro dell'Africa

«Non sono afropessimista: il mercato aperto offre molti vantaggi ai Paesi del Sud L'Europa ha raddoppiato gli aiuti ed è la prima donatrice, soprattutto per grandi opere»
Di François Misser

La Commissione europea e la Commissione dell'Unione africana si sono riunite il 12 ottobre a Bruxelles per gettare le basi di un partenariato che punta ad aiutare l'Africa a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio (lanciati in sede Onu nel 2000, per dimezzare la povertà entro il 2015). L'idea è stabilire una cooperazione orizzontale tra i commissari dei due continenti in materia di trasporti, salute, flussi migratori, ricerca, pace e sicurezza.
José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea: «È importante che i due continenti si diano la mano. L'Europa ha annunciato il raddoppio del suo aiuto per lo sviluppo: la metà dei nostri sforzi sarà rivolta all'Africa. Già oggi, con 34 miliardi di euro, siamo il maggior donatore al mondo: il 56% dell'aiuto allo sviluppo ha origine dalla Commissione europea e dagli Stati dell'Ue. Abbiamo raggiunto un accordo per raddoppiare questo aiuto entro il 2010». Barroso conosce l'Africa. Nel 1991 fu tra i promotori dell'accordo di pace di Bicesse, in Angola. Così spiega il senso di questo processo di partenariato con l'Africa: «Intanto si tratta di tradurre gli annunci in pratica. Noi abbiamo obiettivi concreti, per esempio nelle infrastrutture. Bisogna sostenere i grandi progetti (strade, aeroporti, ferrovie, centri intermodali) in modo che l'Africa possa beneficiare appieno della liberalizzazione del commercio mondiale. Liberalizzare non è sufficiente: occorre anche far sì che i prodotti africani possano arrivare rapidamente ai porti per essere esportati. È per questo che all'ultimo vertice dei G8 in Scozia, lo scorso luglio, la Commissione europea ha offerto un miliardo di euro per il programma Aid for Trade. Un altro ambito molto concreto sarà la lotta alle grandi malattie: malaria, aids, tubercolosi».
Ma l'Europa ha già specifici strumenti di cooperazione con l'Africa. Che cosa aggiunge la Commissione?
«Prima di tutto, si porta più denaro. E questo è importante. L'invito agli Stati d i raddoppiare l'aiuto è stato accettato. Se il vertice del Millennio ha avuto un certo successo, ciò è grazie all'impegno che noi europei ci siamo assunti. È poi importante che i giovani europei capiscano che si sta facendo uno sforzo, che l'Europa non guarda solamente a sé stessa e che c'è un dovere di solidarietà da prendere molto sul serio. Inoltre, affermare che almeno metà di questo aiuto sarà per l'Africa e riconoscere che questa è la priorità, è già un fatto significativo per i nostri amici africani. Certo, vogliamo anche rendere più agili gli strumenti esistenti e auspichiamo più efficaci meccanismi di buon governo. Già si vedono cambiamenti importanti: spesso sono gli stessi dirigenti africani a chiederci di indicare loro ciò che riteniamo non funzioni a dovere in termini di Stato di diritto e nella gestione della cosa pubblica. Ed è positivo che alcuni Paesi Acp (Area Africa, Caraibi e Pacifico, con cui l'Europa ha rapporti di cooperazione da trent'anni) abbiano accettato di essere valutati dai loro pari, nel quadro indicato dal Nepad (Nuova partnership per lo sviluppo dell'Africa, lanciata nel 2001 dai presidenti di Sudafrica, Nigeria, Senegal e Algeria; chiede di investire nel continente in cambio di buon governo). Tra le due Commissioni, e in particolare tra me e il presidente della Commissione Ua, Alpha Omar Konaré, si potrà discutere concretamente dell'impatto degli aiuti sulla vita della gente».
Lei lavora per un'Europa politica che non sia solamente un mercato. Sta operando anche perché emerga un'Africa politica?
«Sono prima di tutto gli africani a dover decidere. Ma penso che, senza nessuna pretesa da parte europea, il caso Europa meriti attenzione. Quando gli africani hanno scelto il nome della Commissione Ua, credo si siano un po' ispirati all'Ue, perché l'Europa, nel suo processo politico, è il superamento di certi egoismi. E sappiamo che particolarismi di vario genere sono all'origine di non pochi conflitti in Africa. I n Europa possiamo essere fieri di essere francesi, tedeschi, portoghesi, italiani, spagnoli o polacchi, ma nello stesso tempo - e qui dobbiamo essere onesti e sinceri con noi stessi - crediamo che ci sia un interesse più generale. Anche i nostri amici africani devono puntare a questo. Oggi i Paesi africani chiedono l'apertura dei mercati europei, ma in Africa il mercato non è affatto aperto. Un po' strano, non crede? Dunque, bisogna dare una coerenza regionale ai mercati africani. In questo contesto, ci sono elementi per attivare una maggiore cooperazione sia a livello regionale che continentale. Per questo l'Ue sostiene l'Ua, per esempio, quando c'è un conflitto, in modo che siano gli stessi africani, con le loro forze armate, a intervenire per ripristinare la pace. L'Ue opera per rafforzare le capacità istituzionali e finanziarie delle istituzioni panafricane. E so che gli africani sono molto interessati: lo dico per esperienza, in quanto ho avuto modo di ascoltare molti leader africani. Devo dire che parlano con franchezza, e questo mi piace. Sono finiti i tempi, gli anni '80 e anche oltre, in cui si sbandieravano i principi della non ingerenza negli affari interni degli Stati. Siamo tutti membri della stessa famiglia umana e quindi, se si vuole avere un rapporto costruttivo, si può discutere apertamente dei problemi e vedere in che modo risolverli».
In Africa c'è inquietudine riguardo alla globalizzazione e di fronte ai futuri rapporti di cooperazione e di libero scambio con l'Ue. Come vede questo delicato passaggio?
«Credo che gli africani ne usciranno vincitori. Ci sono Paesi che possono esportare materie prime e prodotti agricoli e che, dunque, traggono vantaggi dal mercato aperto. Anche noi europei abbiamo tutto l'interesse a fare ciò, ma naturalmente verificando l'impatto e le conseguenze negative che possono toccare alcune regioni, alcuni settori e alcune categorie professionali. L'Africa ha un grande futuro: lo credo fermamente. Non condivid o l'idea dell'afropessimismo. In Africa ci sono casi di successo economico e politico, anche se, purtroppo, in Europa sembriamo accorgerci solo delle cose che vanno male. Guardiamo il Mozambico: uscito da una guerra civile terribile e con un'economia distrutta, oggi fa un passo in avanti ogni giorno ed è considerato un caso di buon governo. Guardiamo il Sudafrica: era sotto il giogo dell'apartheid e ne è uscito attraverso una transizione pacifica alla democrazia, che è un esempio per tutti; certo, rimangono delle difficoltà, ma il Paese va. L'Africa deve ancora risolvere alcuni problemi strutturali e per questo ritengo necessario un partenariato speciale nel quadro degli accordi di Cotonou. Fermarsi di fronte alla globalizzazione non è la soluzione: è la cosa peggiore. Fermarsi significa non modernizzare le strutture produttive. L'Africa si deve aprire, i giovani devono poter studiare all'estero. Noi stessi dobbiamo inviare risorse umane. Il mondo sta cambiando e sappiamo bene che tutti quelli che si sono fermati hanno tutto da perdere. Il caso della Cina è notevole. E come è avvenuto? Aprendo l'economia, cercando nuovi mercati. L'apertura, in generale, funziona. Ma dev'essere accompagnata da misure volte a sostenere certi strati sociali o certi settori che possono essere colpiti dai costi della transizione».

(Avvenire)