Adric
22-12-2005, 07:58
Bossi: vogliono dividerci e aiutare i democristiani
Il Senatùr accusa: ma il vero obiettivo è Berlusconi
Patrini: ho incontrato Brancher anche al ministero
MILANO — La Lega sotto accusa fa quadrato. Dalle carte dei magistrati di Milano escono ormai tutti i giorni indiscrezioni che fanno pericolosamente vacillare l'asse di valutazione del rapporto privilegiato con Fiorani. Quello che era spiegato come un semplice sodalizio politico a favore della causa «padana» di una Banca del Nord, ammesso e rivendicato, rischia di rimanere impigliato in una rete meno limpida di affidamenti finanziari, contatti trasversali e favori dati e ricevuti. A tenere la barra dritta e a reggere l'urto della tempesta ci prova Umberto Bossi, che ieri ha telefonato ai suoi colonnelli sotto accusa, Giorgetti e Calderoli («non buttarti giù»), per esprimere la sua solidarietà. Al suo entourage e ai Giovani Padani, che ha incontrato in questi giorni, ha spiegato: «È chiaro quello che sta succedendo: attaccano noi perché vogliono dividerci. Ma il vero obiettivo dell'offensiva è Berlusconi».
BOSSI — Il segretario federale segue con attenzione gli sviluppi dell'inchiesta. Liquidato Fazio ancor prima della dimissioni — «ormai non c'è più» —, difeso, ma non troppo, Fiorani — «Mi è simpatico, spero che sia innocente» —, assiste con preoccupazione all'inchiesta che si avvicina pericolosamente al fortino di via Bellerio. E dà un'interpretazione tutta sua degli eventi, che vede il ritorno di un suo incubo di sempre, «i democristianoni». Perché Bossi interpreta gli attacchi alla Lega e a Forza Italia come un modo per indebolire una parte del centrodestra che non è il centro. E nel contempo, fa notare anche gli attacchi alla sinistra e a D'Alema. Insomma, spiega ai suoi, è il progetto di sempre che fa leva sull'arma giudiziaria, il temutissimo ritorno del Grande Centro, con i democristiani delle due coalizioni a farla da padroni e a ripercorre le orme della vecchia Democrazia Cristiana.
MARONI — Bossi teme che qualcuno provi a «dividere» la Lega. E qualcuno, in via Bellerio, ora reinterpreta la vecchia ruggine tra «ministeriali» e leghisti «di lotta» alla luce delle (presunte) rivelazioni di Fiorani e company. Ma i piani alti del partito sono decisi a reagire compatti e Roberto Maroni esprime la sua solidarietà a Calderoli: «L'ho sentito stamattina, era molto avvilito. So quanto è rigoroso». Secondo il ministro del Welfare «Calderoli ha avuto rapporti finanziari con la Popolare di Lodi come tutti, ma non c'entra la sua attività di governo». E quando dice «tutti» il ministro dice proprio tutti: «So che anche D'Alema ne ha avuti e anch'io, con altra banca, ho avuto modo di fare operazioni finanziarie per acquisti che nulla hanno a che vedere con l'attività politica e istituzionale». Anche il segretario piemontese Roberto Cota fa muro: «È un attacco politico, Calderoli viene attaccato perché è il più esposto, avendo portato avanti le riforme a difesa della nostra identità. Siamo tutti compatti e solidali. È incredibile come delle normalissime operazioni bancarie vengano strumentalizzate».
BRANCHER — Tra gli accusati c'è anche Aldo Brancher, esponente di Forza Italia ma comunemente definito come «ufficiale di collegamento» con la Lega. Per intendersi, quando Bossi è andato a Roma per assistere al varo della devolution, ha dormito a casa di Brancher. Molto intimo del deputato e sottosegretario alle Riforme «azzurro» pare fosse anche Donato Patrini, l'uomo che per Fiorani gestiva i rapporti con i politici. Ai magistrati Patrini ha spiegato: «Ho incontrato almeno una quindicina volte Brancher, presso il suo ufficio in via Paleocapa e al ministero delle Riforme. Una volta anche nella sede della Lega, in via Bellerio». Patrini spiega che all'inizio dell'anno gli affidamenti a favore di Brancher e della moglie sono aumentati, «arrivando fino a 2,5 milioni di euro».
Al. T.
22 dicembre 2005
(Corriere della Sera)
Il Senatùr accusa: ma il vero obiettivo è Berlusconi
Patrini: ho incontrato Brancher anche al ministero
MILANO — La Lega sotto accusa fa quadrato. Dalle carte dei magistrati di Milano escono ormai tutti i giorni indiscrezioni che fanno pericolosamente vacillare l'asse di valutazione del rapporto privilegiato con Fiorani. Quello che era spiegato come un semplice sodalizio politico a favore della causa «padana» di una Banca del Nord, ammesso e rivendicato, rischia di rimanere impigliato in una rete meno limpida di affidamenti finanziari, contatti trasversali e favori dati e ricevuti. A tenere la barra dritta e a reggere l'urto della tempesta ci prova Umberto Bossi, che ieri ha telefonato ai suoi colonnelli sotto accusa, Giorgetti e Calderoli («non buttarti giù»), per esprimere la sua solidarietà. Al suo entourage e ai Giovani Padani, che ha incontrato in questi giorni, ha spiegato: «È chiaro quello che sta succedendo: attaccano noi perché vogliono dividerci. Ma il vero obiettivo dell'offensiva è Berlusconi».
BOSSI — Il segretario federale segue con attenzione gli sviluppi dell'inchiesta. Liquidato Fazio ancor prima della dimissioni — «ormai non c'è più» —, difeso, ma non troppo, Fiorani — «Mi è simpatico, spero che sia innocente» —, assiste con preoccupazione all'inchiesta che si avvicina pericolosamente al fortino di via Bellerio. E dà un'interpretazione tutta sua degli eventi, che vede il ritorno di un suo incubo di sempre, «i democristianoni». Perché Bossi interpreta gli attacchi alla Lega e a Forza Italia come un modo per indebolire una parte del centrodestra che non è il centro. E nel contempo, fa notare anche gli attacchi alla sinistra e a D'Alema. Insomma, spiega ai suoi, è il progetto di sempre che fa leva sull'arma giudiziaria, il temutissimo ritorno del Grande Centro, con i democristiani delle due coalizioni a farla da padroni e a ripercorre le orme della vecchia Democrazia Cristiana.
MARONI — Bossi teme che qualcuno provi a «dividere» la Lega. E qualcuno, in via Bellerio, ora reinterpreta la vecchia ruggine tra «ministeriali» e leghisti «di lotta» alla luce delle (presunte) rivelazioni di Fiorani e company. Ma i piani alti del partito sono decisi a reagire compatti e Roberto Maroni esprime la sua solidarietà a Calderoli: «L'ho sentito stamattina, era molto avvilito. So quanto è rigoroso». Secondo il ministro del Welfare «Calderoli ha avuto rapporti finanziari con la Popolare di Lodi come tutti, ma non c'entra la sua attività di governo». E quando dice «tutti» il ministro dice proprio tutti: «So che anche D'Alema ne ha avuti e anch'io, con altra banca, ho avuto modo di fare operazioni finanziarie per acquisti che nulla hanno a che vedere con l'attività politica e istituzionale». Anche il segretario piemontese Roberto Cota fa muro: «È un attacco politico, Calderoli viene attaccato perché è il più esposto, avendo portato avanti le riforme a difesa della nostra identità. Siamo tutti compatti e solidali. È incredibile come delle normalissime operazioni bancarie vengano strumentalizzate».
BRANCHER — Tra gli accusati c'è anche Aldo Brancher, esponente di Forza Italia ma comunemente definito come «ufficiale di collegamento» con la Lega. Per intendersi, quando Bossi è andato a Roma per assistere al varo della devolution, ha dormito a casa di Brancher. Molto intimo del deputato e sottosegretario alle Riforme «azzurro» pare fosse anche Donato Patrini, l'uomo che per Fiorani gestiva i rapporti con i politici. Ai magistrati Patrini ha spiegato: «Ho incontrato almeno una quindicina volte Brancher, presso il suo ufficio in via Paleocapa e al ministero delle Riforme. Una volta anche nella sede della Lega, in via Bellerio». Patrini spiega che all'inizio dell'anno gli affidamenti a favore di Brancher e della moglie sono aumentati, «arrivando fino a 2,5 milioni di euro».
Al. T.
22 dicembre 2005
(Corriere della Sera)