majin mixxi
15-12-2005, 19:16
Barroso sfida Blair
«Non si può spaccare la Ue tra ricchi e poveri La Gran Bretagna deve pagare come gli altri»
15/12/2005
Il presidente della
Commissione europea
Manuel Barroso
STRASBURGO. «Un accordo è difficile. A questo punto è veramente molto difficile. Ma è ancora possibile». Mancano poche ore all’apertura del vertice che deve affrontare la questione avvelenata del nuovo bilancio dell’Unione e Manuel Durao Barroso non rinuncia all’ultima speranza. Ammette che, tra oggi e domani, i capi di Stato e di governo dei Venticinque a Bruxelles dovranno fare un «grande sforzo» per superare le divisioni perché la proposta britannica, anche l’ultima presentata ieri da Londra, è «semplicemente insufficiente». E’ soltanto una base per una trattativa che sarà molto dura. «Sono d’accordo con Tony Blair quando indica le ambizioni dell’Europa, ma non sono d’accordo con lui se, poi, non vuole mettere a disposizione i mezzi necessari per realizzarle». Il presidente della Commissione europea è preoccupato, soprattutto, dagli effetti perversi che un nuovo fallimento - dopo quello del giugno scorso - innescherebbe sul tessuto già lacerato della Ue.
Presidente Barroso, quali sono i rischi in caso di non accordo?
«Il fallimento di sei mesi fa, quando fu bocciata la proposta della presidenza del Lussemburgo, è stato già un brutto colpo. Un altro fallimento, adesso, sarebbe irresponsabile. Sarebbe un segno di impotenza che farebbe perdere credibilità all’Unione di fronte ai suoi 450 milioni di cittadini. Abbiamo preso impegni per politiche comuni sull’immigrazione, la sicurezza, lo sviluppo. E gli impegni vanno rispettati. Le parole non bastano. Anzi, se restano soltanto parole rischiano di aggravare quel malessere che attraversa l’Europa e che si chiama sfiducia nella politica. Poi c’è il rischio di un effetto-contagio su altri dossier che potrebbero bloccarsi: le nuove tappe dell’allargamento, i negoziati sul commercio, l’agenda di Lisbona. E c’è il pericolo di creare subito una spaccatura tra i vecchi Paesi della Ue e i nuovi dieci partner che si aspettano una solidarietà che non possiamo tradire».
E’ per questo che ha paragonato Tony Blair allo sceriffo di Nottingham che ruba ai poveri per dare ai ricchi?
«L’ho detto e sono pronto a ripeterlo. E non lo faccio per rendere difficile la vita alla presidenza, ma per spingerla ad agire nell’interesse di tutti. E’ il mio compito di presidente della Commissione. Londra ha dato l’impressione ai nuovi Paesi membri di far pagare soltanto a loro il compromesso sul bilancio. I nostri nuovi partner vogliono anche sentirsi difesi. Se nessuna voce si fosse levata a loro favore, avrebbero potuto dire: ecco l’Europa dei ricchi contro l’Europa dei poveri, ecco i Quindici che vogliono per loro la modernizzazione e a noi tagliano i sussidi».
Ma per tagliare di meno, Londra dovrebbe ridurre il suo sconto sui contributi al bilancio...
«La Gran Bretagna deve affrontare il problema dello sconto. Deve ridurlo e ridurlo in modo permanente perché si tratta di trovare i fondi per le maggiori spese necessarie a far riuscire l’allargamento che saranno permanenti e tutti devono contribuire in modo equo alle spese per l’allargamento».
Londra, in cambio, chiede la riduzione della spesa agricola che Parigi non è disposta a concedere. Siamo in un vicolo cieco?
«Non si può fare questo collegamento meccanico. Se si ragiona così non si arriverà mai a un accordo. Le due questioni sono diverse. La riduzione dello sconto britannico si deve fare subito e serve a finanziare l’allargamento, non la politica agricola. La revisione della Pac ha bisogno di tempi più lunghi: c’è un accordo già preso due anni fa, anche con il sì di Londra, che arriva fino al 2013».
Come si può trovare quel compromesso che lei considera ancora possibile?
«La soluzione può essere una clausola di revisione del bilancio 2007-2013 da fare, magari, a metà strada o anche prima. Sette anni sono davvero tanti. Nessuno di noi può dire oggi come sarà l’Europa nel 2013 e di che cosa avrà più bisogno. Dobbiamo essere pronti a ridiscutere, senza tabù, entrate e uscite, obiettivi e spese. Molti non sono d’accordo adesso su come si raccolgono i fondi e su come si spendono? Bene, fissiamo sin da ora una revisione nel 2009, per esempio, e impegnamoci a discutere tutto».
Anche la spesa per la politica agricola comune?
«Concentrarci sull’agricoltura non è un modo positivo per affrontare il problema del bilancio. Ma la clausola di revisione deve essere la più ampia possibile. Può essere l’avvio di un dibattito anche sulla Pac. Se cominciamo a dire che non si può parlare di questo o di quello, allora è inutile fissare una clausola di revisione».
Hanno ragione Paesi come l’Italia o la Spagna che pongono come «linea rossa» il mantenimento dei fondi strutturali che ricevono?
«E’ giusto prevedere un sistema di phasing out, di uscita graduale, per le regioni che possono perdere gli aiuti che andranno a quelle, più arretrate, dei nuovi partner. Ma non mi piace il ragionamento di chi dice: tanto verso, tanto voglio avere. Un pareggio perfetto non è possibile. E poi nella contabilità del dare e avere nessuno considera i vantaggi economici dal mercato unico europeo. L’Olanda, che vuole anche lei uno sconto, ha mai calcolato quanto la sua economia ha guadagnato dall’allargamento della Ue?».
Lei spera ancora in un accordo entro domani. Ma un cattivo accordo non potrebbe essere peggiore di un non accordo?
«Non voglio un accordo qualunque. Deve essere un buon accordo che assicuri all’Unione strumenti per realizzare quelle politiche che sono gli stessi capi di Stato e di governo dei Venticinque a chiedere. Per vedere se ce la faremo non si può che aspettare. Ma una cosa è chiara: a questo punto un rinvio sarebbe un rifiuto. Come si dice proprio in inglese “delayed is denied”. Questo i leader europei, anche quelli che sono più rigidi sulle loro posizioni, lo sanno bene. E sono convinto che tutti, in fondo, sperano in un accordo».
«Non si può spaccare la Ue tra ricchi e poveri La Gran Bretagna deve pagare come gli altri»
15/12/2005
Il presidente della
Commissione europea
Manuel Barroso
STRASBURGO. «Un accordo è difficile. A questo punto è veramente molto difficile. Ma è ancora possibile». Mancano poche ore all’apertura del vertice che deve affrontare la questione avvelenata del nuovo bilancio dell’Unione e Manuel Durao Barroso non rinuncia all’ultima speranza. Ammette che, tra oggi e domani, i capi di Stato e di governo dei Venticinque a Bruxelles dovranno fare un «grande sforzo» per superare le divisioni perché la proposta britannica, anche l’ultima presentata ieri da Londra, è «semplicemente insufficiente». E’ soltanto una base per una trattativa che sarà molto dura. «Sono d’accordo con Tony Blair quando indica le ambizioni dell’Europa, ma non sono d’accordo con lui se, poi, non vuole mettere a disposizione i mezzi necessari per realizzarle». Il presidente della Commissione europea è preoccupato, soprattutto, dagli effetti perversi che un nuovo fallimento - dopo quello del giugno scorso - innescherebbe sul tessuto già lacerato della Ue.
Presidente Barroso, quali sono i rischi in caso di non accordo?
«Il fallimento di sei mesi fa, quando fu bocciata la proposta della presidenza del Lussemburgo, è stato già un brutto colpo. Un altro fallimento, adesso, sarebbe irresponsabile. Sarebbe un segno di impotenza che farebbe perdere credibilità all’Unione di fronte ai suoi 450 milioni di cittadini. Abbiamo preso impegni per politiche comuni sull’immigrazione, la sicurezza, lo sviluppo. E gli impegni vanno rispettati. Le parole non bastano. Anzi, se restano soltanto parole rischiano di aggravare quel malessere che attraversa l’Europa e che si chiama sfiducia nella politica. Poi c’è il rischio di un effetto-contagio su altri dossier che potrebbero bloccarsi: le nuove tappe dell’allargamento, i negoziati sul commercio, l’agenda di Lisbona. E c’è il pericolo di creare subito una spaccatura tra i vecchi Paesi della Ue e i nuovi dieci partner che si aspettano una solidarietà che non possiamo tradire».
E’ per questo che ha paragonato Tony Blair allo sceriffo di Nottingham che ruba ai poveri per dare ai ricchi?
«L’ho detto e sono pronto a ripeterlo. E non lo faccio per rendere difficile la vita alla presidenza, ma per spingerla ad agire nell’interesse di tutti. E’ il mio compito di presidente della Commissione. Londra ha dato l’impressione ai nuovi Paesi membri di far pagare soltanto a loro il compromesso sul bilancio. I nostri nuovi partner vogliono anche sentirsi difesi. Se nessuna voce si fosse levata a loro favore, avrebbero potuto dire: ecco l’Europa dei ricchi contro l’Europa dei poveri, ecco i Quindici che vogliono per loro la modernizzazione e a noi tagliano i sussidi».
Ma per tagliare di meno, Londra dovrebbe ridurre il suo sconto sui contributi al bilancio...
«La Gran Bretagna deve affrontare il problema dello sconto. Deve ridurlo e ridurlo in modo permanente perché si tratta di trovare i fondi per le maggiori spese necessarie a far riuscire l’allargamento che saranno permanenti e tutti devono contribuire in modo equo alle spese per l’allargamento».
Londra, in cambio, chiede la riduzione della spesa agricola che Parigi non è disposta a concedere. Siamo in un vicolo cieco?
«Non si può fare questo collegamento meccanico. Se si ragiona così non si arriverà mai a un accordo. Le due questioni sono diverse. La riduzione dello sconto britannico si deve fare subito e serve a finanziare l’allargamento, non la politica agricola. La revisione della Pac ha bisogno di tempi più lunghi: c’è un accordo già preso due anni fa, anche con il sì di Londra, che arriva fino al 2013».
Come si può trovare quel compromesso che lei considera ancora possibile?
«La soluzione può essere una clausola di revisione del bilancio 2007-2013 da fare, magari, a metà strada o anche prima. Sette anni sono davvero tanti. Nessuno di noi può dire oggi come sarà l’Europa nel 2013 e di che cosa avrà più bisogno. Dobbiamo essere pronti a ridiscutere, senza tabù, entrate e uscite, obiettivi e spese. Molti non sono d’accordo adesso su come si raccolgono i fondi e su come si spendono? Bene, fissiamo sin da ora una revisione nel 2009, per esempio, e impegnamoci a discutere tutto».
Anche la spesa per la politica agricola comune?
«Concentrarci sull’agricoltura non è un modo positivo per affrontare il problema del bilancio. Ma la clausola di revisione deve essere la più ampia possibile. Può essere l’avvio di un dibattito anche sulla Pac. Se cominciamo a dire che non si può parlare di questo o di quello, allora è inutile fissare una clausola di revisione».
Hanno ragione Paesi come l’Italia o la Spagna che pongono come «linea rossa» il mantenimento dei fondi strutturali che ricevono?
«E’ giusto prevedere un sistema di phasing out, di uscita graduale, per le regioni che possono perdere gli aiuti che andranno a quelle, più arretrate, dei nuovi partner. Ma non mi piace il ragionamento di chi dice: tanto verso, tanto voglio avere. Un pareggio perfetto non è possibile. E poi nella contabilità del dare e avere nessuno considera i vantaggi economici dal mercato unico europeo. L’Olanda, che vuole anche lei uno sconto, ha mai calcolato quanto la sua economia ha guadagnato dall’allargamento della Ue?».
Lei spera ancora in un accordo entro domani. Ma un cattivo accordo non potrebbe essere peggiore di un non accordo?
«Non voglio un accordo qualunque. Deve essere un buon accordo che assicuri all’Unione strumenti per realizzare quelle politiche che sono gli stessi capi di Stato e di governo dei Venticinque a chiedere. Per vedere se ce la faremo non si può che aspettare. Ma una cosa è chiara: a questo punto un rinvio sarebbe un rifiuto. Come si dice proprio in inglese “delayed is denied”. Questo i leader europei, anche quelli che sono più rigidi sulle loro posizioni, lo sanno bene. E sono convinto che tutti, in fondo, sperano in un accordo».